L’invio di lettere anonime non configura il reato di molestia o disturbo alle persone

Il reato di molestia o disturbo alle persone di cui all’art. 660 c.p. si configura solamente laddove la molestia o il disturbo sia compiuto in luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulenza o per altro biasimevole motivo .

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 15523/18, depositata il 6 aprile. Il caso. Il Tribunale di Rimini riconosceva l’imputato colpevole dei reati di cui agli artt. 81 Concorso formale e 660 Molestia o disturbo alle persone c.p Avverso la sentenza del Tribunale l’imputato ricorre per cassazione denunciando l’insussistenza degli elementi costitutivi del reato, in quanto la condotta contestata al ricorrente si concretizzava nell’invio di lettere anonime recapitate nella cassetta delle lettere della vittima. La molestia o disturbo alle persone. Il Supremo Collegio precisa che il reato di cui all’art. 660 c.p. si configura laddove l’agente rechi molestia o disturbo in luogo pubblico o aperto al pubblico, anche attraverso il telefono, per petulenza o per altro biasimevole motivo . Nel caso di specie la Suprema Corte rileva come nessuna delle condotte tipizzate dall’art. 660 c.p. veniva posta in essere dalla ricorrente , alla quale veniva contestata la trasmissione di lettere anonime, che venivano depositate nella cassetta delle lettere della vittima . Difatti, la condotta in questione risultava priva sia dell’utilizzo del mezzo telefonico sia del requisito del luogo pubblico o aperto al pubblico. La Corte dunque annulla senza rinvio l’impugnata sentenza perché il fatto non sussiste.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 6 marzo – 6 aprile 2018, n. 15523 Presidente Di Tomassi – Relatore Centonze Rilevato in fatto 1. Con la sentenza in epigrafe il Tribunale di Rimini condannava R.B. alla pena di 400,00 Euro di ammenda, giudicandola colpevole del reato di cui agli artt. 81 e 660 cod. pen., commesso a Rimini tra il 07/04/2009 e l’aprile del 2010. 2. Avverso tale sentenza R.B., a mezzo dell’avv. Giuseppe Spada, ricorreva per cassazione, deducendo violazione di legge e vizio di motivazione, conseguenti al fatto che la decisione in esame risultava sprovvista di un percorso argomentativo che desse esaustivamente conto degli elementi costitutivi del reato contestato ex artt. 81 e 660 cod. pen. - rilevanti sia sotto il profilo dell’elemento oggettivo sia sotto il profilo dell’elemento soggettivo - e del trattamento sanzionatorio irrogato, censurato per il mancato riconoscimento delle attenuanti generiche, escluse nonostante l’assenza di pregiudizi penali dell’imputata. Queste ragioni imponevano l’annullamento della sentenza impugnata. Considerato in diritto 1. Il ricorso proposto da R.L. è fondato nei termini di seguito indicati. 2. Osserva anzitutto il Collegio che il che il reato ascritto a R. , ai sensi degli artt. 81 e 660 cod. pen., implica che l’agente rechi molestia o disturbo in un luogo pubblico o aperto al pubblico, ovvero col mezzo del telefono, per petulanza o per altro biasimevole motivo . Nel caso di specie, nessuna delle condotte tipizzate dall’art. 660 cod. pen. veniva posta in essere da R. , alla quale veniva contestata la trasmissione di lettere anonime, che venivano depositate nella cassetta delle lettere della vittima. Ne deriva che l’azione perturbatrice di R. non si concretizzava in un luogo pubblico o aperto al pubblico, né veniva arrecata mediante l’uso del telefono, con la conseguenza di rendere privi di rilievo penale i comportamenti emulativi dell’imputata e insussistente la fattispecie oggetto di contestazione, così come prefigurata dalla giurisprudenza di legittimità consolidata 5ez. 1, n. 30294 del 24/06/2011, Donato, Rv. 250912 Sez. 1, n. 26303 del 06/05/2004, Pirastru, Rv. 2282207 . 2.1. Queste considerazioni rendono superfluo l’esame della residua doglianza, afferente al trattamento sanzionatorio irrogato a R. che postula un giudizio di responsabilità nei confronti dell’imputata, che, per le ragioni che si sono esposte, non è possibile formulare. 3. Ne discende conclusivamente che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio perché il fatto contestato all’imputata Luisa R. non sussiste. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non sussiste.