L'atteggiamento della moglie non giustifica l’ira del marito manesco: condannato

L’imputato è ritenuto responsabile del reato di lesioni per l’aggressione ai danni della consorte. Respinta l’ipotesi della provocazione, rappresentata, secondo il legale, dai comportamenti stizzosi” tenuti dalla consorte del suo cliente.

I comportamenti irritanti della moglie legittimano la piccata replica verbale del marito. Andare oltre, cioè passare dalle parole alle mani, non è assolutamente accettabile né giustificabile. Legittima quindi la condanna per il reato di lesioni. Esclusa categoricamente l’ipotesi della circostanza attenuante della provocazione in riferimento agli atteggiamenti tenuti dalla donna Cassazione, sentenza n. 15529/18, sez. I Penale, depositata oggi . Aggressione ai danni della coniuge. Lo scontro – fisico e verbale – tra i coniugi si trasferisce dalle mura domestiche alle aule di giustizia. L’uomo finisce sotto accusa per maltrattamenti e lesioni personali ai danni della moglie, ma i Giudici in Corte d’Appello lo ritengono colpevole solo per l’aggressione fisica nei confronti della moglie, che ha riportato danni seri. Secondo il legale dell’uomo, però, è stato ignorato il contesto in cui si è verificato l’episodio, ossia la tensione creata dagli atteggiamenti mostrati dalla moglie del suo cliente. In questa ottica l’avvocato sostiene che vada riconosciuta al marito l’attenuante della provocazione derivante, a suo dire, dal comportamento stizzoso della donna, da cui è derivata la perdita dell’autocontrollo che ha spinto l’uomo a colpire la coniuge . Questa obiezione viene respinta in modo netto dai Giudici della Cassazione. A loro parere è corretta la valutazione compiuta in Appello, dove si è evidenziato che la reazione dell’uomo è apparsa del tutto inadeguata rispetto alla causa scatenante stizzosi comportamenti della moglie e non si è arrestata all’immediata istintiva reazione verbale , tanto che egli ha posto in essere una vera e propria aggressione ai danni della coniuge .

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 20 marzo – 6 aprile 2018, n. 15529 Presidente Di Tomassi – Relatore Aprile Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento impugnato, la Corte d'appello di Catania, in parziale riforma della sentenza pronunciata in data 20 novembre 2015 dal Tribunale di Ragusa, ha riconosciuto Ma. BE. responsabile del delitto di lesioni personali aggravate commesso in danno del coniuge Ro. Ca. artt. 582, 585, comma primo, 576, comma primo, n. 5, cod. pen. - capo C e del delitto di violazione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale articolo 75, comma 2, D.Lgs. n. 159 del 2011 - capo A , assolvendolo dal delitto di maltrattamenti in danno del coniuge, escludendo l'aggravante di cui all'articolo 61, comma primo, n. 2 cod. pen. contestata al capo C e ritenendo prevalenti sulla recidiva le circostanze attenuanti generiche, così riducendo la pena ad anni uno e mesi quattro di reclusione. 2. Ricorre Ma. BE., a mezzo del difensore avv. En. Pl., che chiede l'annullamento della sentenza impugnata denunciando - primo motivo la violazione di legge, in riferimento all'articolo 62, comma primo, n. 2, cod. pen., e il vizio della motivazione con riguardo alla mancata concessione della circostanza attenuante della provocazione derivante dal comportamento stizzoso della persona offesa da cui è derivata la perdita dell'autocontrollo che ha spinto il ricorrente a colpire il coniuge - secondo motivo la violazione di legge, in riferimento all'articolo 75 D.Lgs. n. 159 del 2011, e il vizio della motivazione con riguardo alla ritenuta sussistenza dell'indicata fattispecie in forza della violazione della prescrizione di vivere onestamente e rispettare le leggi derivante dalla commissione del delitto di cui al capo C - terzo motivo la violazione di legge, in riferimento all'articolo 99 cod. pen., e il vizio della motivazione, non essendo stata fornita alcuna motivazione a supporto della recidiva - quarto motivo la violazione di legge, in riferimento all'articolo 133 cod. pen. e al D.Lgs. n. 274 del 2000, e il vizio della motivazione con riguardo alla quantificazione della pena che avrebbe dovuto essere determinata considerando più grave il reato cui al capo A , mentre il reato di cui al capo C , di competenza del Giudice di pace, prevede unicamente la pena pecuniaria. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato in parte. 2. Il primo motivo di ricorso, nella parte in cui denuncia la violazione della legge sostanziale, è inammissibile poiché viene formalmente censurata l'interpretazione della norma articolo 62, comma primo, n. 2, cod. pen. , mentre di fatto è criticata la motivazione della sentenza impugnata, tanto che il ricorso pone in evidenza gli elementi che attengono la - dedotta - erroneità della motivazione, senza contestare l'applicazione delle norme di legge fatta dalla Corte di appello. Il medesimo motivo di ricorso, nella parte in cui denuncia il vizio della motivazione, è, comunque, inammissibile poiché si ripropongono pedissequamente le censure già mosse in sede di appello e puntualmente esaminate dalla Corte di appello nella sentenza impugnata, tanto che il ricorso neppure esamina le argomentazioni del giudice di secondo grado. La Corte di appello ha, in realtà, esaminato compiutamente e analiticamente confutato, con motivazione immune da vizi logici, le argomentazioni difensive contenute nell'atto di appello, ritenendo di superare le questioni poste utilizzando argomentazioni che riguardano esclusivamente aspetti di merito attinenti la valutazione della prova. 2.1. Con riguardo all'invocata circostanza attenuante della provocazione, o meglio dell'aver reagito in stato d'ira determinato dal fatto ingiusto altrui articolo 62, comma primo, n. 2, cod. pen. , va evidenziato che i giudici di merito hanno escluso la ricorrenza di detta circostanza, poiché la reazione dell'imputato è apparsa del tutto inadeguata rispetto alla causa scatenante stizzosi comportamenti del coniuge e non si è arrestata all'immediata istintiva reazione verbale, tanto che il ricorrente ha posto in essere una vera e propria aggressione ai danni del coniuge. Il Collegio condivide, in proposito, il costante orientamento di legittimità, già affermatosi in epoca risalente, secondo il quale la proporzione tra fatto ingiusto e reazione non costituisce un elemento richiesto dalla legge per il riconoscimento della circostanza attenuante comune della provocazione. Tuttavia la proporzione medesima può assumere rilevanza, ai fini dell'esclusione dell'attenuante, quando essa sia di così notevole entità da escludere in concreto la stessa sussistenza del nesso causale tra fatto provocatorio e reazione. In tal caso il fatto provocatorio diventa una mera occasione della reazione, la quale in effetti, trova origine e spiegazione in altre ragioni inerenti essenzialmente alla personalità dell'agente Sez. 1, n. 7486 del 07/08/1984, Valenti, Rv. 165718 in epoca recente, tra molte, si veda Sez. 1, n. 47840 del 14/11/2013, Saieva, Rv. 258454 secondo la quale ai fini della configurabilità dell'attenuante della provocazione occorrono a lo stato d'ira , costituito da un'alterazione emotiva che può anche protrarsi nel tempo e non essere in rapporto di immediatezza con il fatto ingiusto altrui b il fatto ingiusto altrui , che deve essere connotato dal carattere della ingiustizia obiettiva, intesa come effettiva contrarietà a regole giuridiche, morali e sociali, reputate tali nell'ambito di una determinata collettività in un dato momento storico e non con riferimento alle convinzioni dell'imputato e alla sua sensibilità personale c un rapporto di causalità psicologica e non di mera occasionalità tra l'offesa e la reazione, indipendentemente dalla proporzionalità tra esse, sempre che sia riscontrabile una qualche adeguatezza tra l'una e l'altra condotta . Oltre all'indicata inadeguatezza della reazione, che di per sé esclude la ricorrenza della circostanza attenuante, i giudici di merito hanno evidenziato, con motivazione logica e coerente, l'esistenza di propositi vessatori incompatibili con l'invocata circostanza attenuante. 3. E' fondato il secondo motivo di ricorso che riguarda il reato di cui all'articolo 75, comma 2, D.Lgs. n. 159 del 2011, contestato come violazione della prescrizione honeste vivere, poiché la violazione dell'indicata prescrizione di vivere onestamente e rispettare le leggi non assume penale rilevanza. Il Collegio intende richiamarsi, sul punto, al recente mutamento della giurisprudenza di legittimità SU n. 40076 del 27/04/2017, Paterno, Rv. 270496 che ha escluso la penale rilevanza delle violazioni delle prescrizioni di vivere onestamente e rispettare le leggi , di cui all'articolo 75 d.lgs. n. 159 del 2011 già articolo 9, comma 2, I. n. 1423 del 1956 , stabilendo il seguente principio di diritto L'inosservanza delle prescrizioni generiche di vivere onestamente e di rispettare le leggi , da parte del soggetto sottoposto alla sorveglianza speciale con obbligo o divieto di soggiorno, non configura il reato previsto dall'articolo 75, comma secondo, D.Lgs. n. 159 del 2011, il cui contenuto precettivo è integrato esclusivamente dalle prescrizioni cd. specifiche la predetta inosservanza può, tuttavia, rilevare ai fini dell'eventuale aggravamento della misura di prevenzione . La sentenza impugnata va, dunque, annullata sul punto senza rinvio perché il fatto non sussiste, con eliminazione del relativo aumento di pena di mesi 4 di reclusione per il delitto di cui al capo A . 4. È inammissibile, perché manifestamente infondato e generico, il terzo motivo di ricorso che riguarda la recidiva, avendo i giudici di merito fornito ampia e logica motivazione a sostegno della ritenuta sussistenza della circostanza aggravante, desunta dai precedenti penali e dalla specifica attinenza ad essi delle condotte oggetto del giudizio che sono state ritenute espressive dell'accresciuta capacità di delinquere. Il ricorso, infatti, è meramente assertivo e non si confronta con la motivazione del provvedimento impugnato. 5. Il quarto motivo di ricorso è, parimenti, inammissibile. 5.1. È del tutto erronea la denuncia di violazione del principio di legalità della pena con riguardo al delitto di lesioni, poiché lo stesso prevede la pena della reclusione da 6 mesi a 3 anni e non rientra affatto nella competenza del giudice di pace. 5.2. Il ricorso appare inammissibile nella parte in cui censura il provvedimento impugnato lamentando la violazione di legge in relazione all'articolo 133 cod. pen., ma deduce invece l'illogicità della determinazione della pena, in quanto il giudice di merito non ha affatto omesso di motivare sul punto, avendo valorizzato, anche ai fini dell'articolo 133 cod. pen., le caratteristiche del fatto e la personalità del soggetto. La Corte di merito, con motivazione ampia, congruente, logica e non contraddittoria, ha esposto gli elementi in forza dei quali ha esercitato i propri poteri di quantificazione della pena. E', in particolare, inammissibile perché risolventesi in censure su valutazioni di merito, insuscettibili, come tali, di aver seguito nel presente giudizio di legittimità, il motivo di ricorso concernente la misura della pena giacché la motivazione della impugnata sentenza, pure su tali punti conforme a quella del primo giudice, si sottrae a ogni sindacato per avere adeguatamente valorizzato la gravità della condotta e il comportamento dell'imputato - elementi sicuramente rilevanti ai sensi dell'articolo 133 cod. pen. - nonché per le connotazioni di complessiva coerenza dei suoi contenuti nell'apprezzamento della gravità dei fatti. 5.3. Le ulteriori deduzioni difensive che riguardano l'individuazione della fattispecie più grave tra i delitti di lesioni capo C e di violazione delle prescrizioni inerenti la misura di prevenzione capo A , risultano inconferenti in ragione del disposto annullamento della sentenza per tale ultimo reato, sicché la pena resta determinata, come correttamente indicato dal giudice d'appello, nella misura di anni uno di reclusione per il delitto di lesioni personali, concesse le circostanze attenuanti generiche prevalenti sulla recidiva, dovendosi eliminare l'aumento operato in ragione del delitto di cui al capo A. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata limitatamente al reato di cui all'articolo 75 D.Lgs. n. 159 del 2011, perché il fatto non sussiste, ed elimina la relativa pena di mesi quattro di reclusione. Dichiara inammissibile il ricorso nel resto.