Detenzione di stupefacenti nell’appartamento: convivenza non equivale a concorso nel reato

Imputati condannati per concorso nel reato di detenzione di stupefacenti ai fini di spaccio. Secondo la Corte d’Appello le sostanze illegali nell’appartamento erano prova del concorso nel reato tra i conviventi. La Suprema Corte non è d’accordo. Bisogna valutare attentamente il consapevole apporto materiale e morale all’altrui condotta criminosa.

Sul punto la Cassazione con sentenza n. 15195/18, depositata il 5 aprile. La vicenda. La Corte d’Appello di Bologna confermava la decisione di prime cure e condannava gli imputati alla pena di giustizia per concorso nella detenzione a fine di cessione illecita di stupefacenti. Secondo i Giudici di merito doveva escludersi che il reato fosse riconducibile ad un fatto lieve di cui all’art. 5, comma 5 del testo unico sugli stupefacenti ed, inoltre, doveva essere respinta la tesi difensiva secondo la quale la seconda imputata non aveva posto in essere una condotta criminosa stante la sua minima partecipazione al fatto di reato. Contro la decisione di merito ricorre per cassazione la seconda imputata deducendo violazione dell’art. 110 c.p. Pena per coloro che concorrono nel reato , in quanto la stessa era semplice convivente dell’altro imputato ed, inoltre, le sostante stupefacenti erano state rivenute solo negli oggetti di quest’ultimo ciò escludeva il concorso nel reato attribuitele. Concorso di reato e convivenza. Nel decidere la controversia, oggetto di ricorso, il Supremo Collegio ha ribadito il principio secondo il quale integra la connivenza non punibile una condotta meramente passiva quale l’assistenza inerte, come tale inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell’illecito , mentre vi è concorso nel reato solo quando si offre un consapevole apporto materiale o morale all’altrui condotta criminosa. In particolare la Corte ha precisato che per configurare il concorso nella detenzione di stupefacenti il solo accertamento di un rapporto di coabitazione nell’appartamento in cui è custodita la droga non è sufficiente, infatti non è ravvisabile a carico del convivente alcun obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40 c.p. Rapporto di causalità . Nella fattispecie, precisa la Cassazione, la Corte territoriale ha dedotto la prestazione di un contributo causale della ricorrente dal solo fatto della convivenza, tale condizione non è sufficiente per integrare il concorso nel reato. Per queste ragioni la Suprema Corte ha accolto il ricorso e annullato la sentenza impugnata nei confronti della ricorrente con rinvio alla Corte d’Appello per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 gennaio – 5 aprile 2018, n. 15195 Presidente Blaiotta – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di appello di Bologna ha confermato la pronuncia emessa nei confronti di F.G. e S.I. dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Rimini, con la quale questi erano stati giudicati responsabili di aver concorso nella detenzione a fine di cessione illecita a terzi di 24,880 grammi di cannabis sativa, 153,384 grammi di cocaina, 65,210 grammi di hashish e cannabis ed erano stati condannati alla pena ritenuta per ciascuno equa. In particolare la Corte di Appello ha escluso che nel reato accertato fossero rinvenibili i tratti del fatto lieve di cui al comma 5 dell’art. 73 T.U. Stup. ed ha altresì respinto la tesi difensiva della ravvisabilità nella condotta della S. di una connivenza non punibile e comunque di una minima partecipazione, valevole a farle riconoscere l’attenuante di cui all’art. 114 cod. pen 2. Avverso tale decisione ricorre per cassazione il F. a mezzo del difensore di fiducia, avv. Giuliano Renzi. Con unico motivo deduce la violazione di legge, in relazione all’art. 73, co. 5 T.U. Stup., perché tenuto conto dei mezzi, delle modalità dell’azione e della qualità e quantità della sostanza, che indicano trattarsi di microspaccio ad opera di tossicodipendente per soddisfare il proprio fabbisogno giornaliero, il fatto è di lieve entità. 3. Ricorre per la cassazione della sentenza anche S.I. , con atto sottoscritto dal medesimo difensore. 3.1. Con un primo motivo deduce violazione di legge in relazione all’art. 110 cod. pen Rammentato che il F. si è assunto la paternità di tutte le sostanze rinvenute nell’appartamento abitato con la convivente S. , e che questa era al corrente della presenza delle stesse, rileva l’esponente che, alla luce del fatto che ogni sostanza stupefacente era detenuta in oggetti maschili, non è ravvisabile alcun contributo causale da parte dell’imputata ma una sua mera connivenza, penalmente non punibile. 3.2. Con un secondo motivo deduce che la Corte di Appello ha escluso che la S. avesse recato un contributo minimo alla commissione del reato sulla scorta delle medesime argomentazioni utilizzate per affermare il concorso nel reato ma esse non trovano conforto negli atti processuali e nella giurisprudenza di legittimità. Considerato in diritto 4. Il ricorso proposto nell’interesse del F. è manifestamente infondato. Invero, la più risalente la giurisprudenza di questa Corte ha affermato che la circostanza attenuante del fatto di lieve entità, nei reati concernenti le sostanze stupefacenti, è esclusa nel caso in cui il dato ponderale e qualitativo della sostanza superi una soglia ragionevole di valore economico, non rilevando in senso contrario eventuali circostanze favorevoli all’imputato Sez. 4, n. 31663 del 27/05/2010 - dep. 11/08/2010, Ahmetaj, Rv. 248112 . Anche più di recente si è statuito che la fattispecie autonoma di cui al comma quinto dell’art. 73 del d.P.R. n. 309 del 1990 è configurabile nelle ipotesi di cosiddetto piccolo spaccio, che si caratterizza per una complessiva minore portata dell’attività dello spacciatore e dei suoi eventuali complici, con una ridotta circolazione di merce e di denaro nonché di guadagni limitati e che essa ricomprende anche la detenzione di una provvista per la vendita che, comunque, non sia superiore tenendo conto del valore e della tipologia della sostanza stupefacente - a dosi conteggiate a decine Sez. 6, n. 15642 del 27/01/2015 - dep. 15/04/2015, Driouech, Rv. 263068 . Ne deriva che l’evocazione fatta dal ricorrente del concetto di microspaccio non risulta pertinente al caso che occupa, nel quale sono risultati detenuti dal F. quantitativi di stupefacente dai quali era possibile trarre ben più di poche decine di dosi. Conseguentemente, il ricorso va dichiarato inammissibile ed il ricorrente va condannato al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000 in favore della cassa delle ammende. 5. Il ricorso proposto nell’interesse della S. è fondato. 5.1. La Corte di Appello ha affermato che la S. aveva facilitato la detenzione illecita perpetrata dal F. permettendo che la comune abitazione fosse utilizzata come luogo di custodia della sostanza stupefacente e degli oggetti utili allo svolgimento dell’attività di spaccio e che ella diveniva custode di tali materiali quando il compagno era assente. In ciò ha ravvisato un contributo materiale o morale alla commissione del reato da parte del F. , mai dubitando della rivendicazione della titolarità dello stupefacente da questi operata. A tanto la ricorrente ha opposto il richiamo ad alcune pronunce di questa Corte e da una in particolare la n. 21604/2015 ha tratto motivo per affermare che le modalità di custodia dovevano essere intese come riscontro all’ipotesi difensiva. Appare opportuno svolgere alcune precisazioni. Questa Corte condivide il ripetuto principio secondo il quale integra la connivenza non punibile una condotta meramente passiva quale l’assistenza inerte, come tale inidonea ad apportare un contributo causale alla realizzazione dell’illecito, di cui pur si conosca la sussistenza, mentre ricorre il concorso nel reato nel caso in cui si offra un consapevole apporto - morale o materiale - all’altrui condotta criminosa, anche in forme che agevolino o rafforzino il proposito criminoso del concorrente Sez. 3, n. 41055 del 22/09/2015 - dep. 13/10/2015, Rapushi e altro, Rv. 265167 . Tuttavia ritiene che l’affermazione secondo la quale non è sufficiente per configurare il concorso nella detenzione di sostanza stupefacente l’accertamento di un rapporto di coabitazione nell’appartamento in cui la droga era custodita, perché non è ravvisabile a carico del convivente alcun obbligo giuridico di impedire l’evento ex art. 40 cod. pen. in tal senso la decisione appena citata , meriti qualche puntualizzazione, poiché ben vi possono essere casi in cui quell’obbligo sussiste e casi nei quali non viene in considerazione l’obbligo di impedimento. Si pensi, per la prima evenienza, all’esercente la potestà genitoriale consapevole della detenzione nell’abitazione familiare di stupefacenti a fine di spaccio compiuta dal figlio minore si pensi, per la seconda, a chi ha titolo per precludere l’utilizzo dell’abitazione a fini illeciti da chi vi sia ospitato. In particolare in questo secondo caso a venire in considerazione non è l’obbligo giuridico di impedire l’evento ma la valenza causale di una condotta che non è omissiva bensì commissiva e che consiste nel mettere o nel continuare a mettere a disposizione di taluno un bene sul quale si ha dominio. Ove tale condotta si traduca in un’agevolazione della commissione dell’illecito, perché garantisce la sicurezza della custodia, la clandestinizzazione dell’attività illecita, la pronta disponibilità delle cose e quindi la facilitazione del traffico, e di ciò il soggetto sia consapevole, ben potrà escludersi la connivenza non punibile perché con condotta positiva si è arrecato un contributo, materiale o morale, alla commissione dell’illecito per come effettivamente concretizzatosi. Nel caso di specie la Corte di Appello mostra di aver dedotto la prestazione di un contributo causale della S. dal solo fatto della convivenza condizione che, come si è esposto, non è in quanto tale valevole ad integrare il concorso nel reato. Ne è testimonianza anche il secondo profilo posto in evidenza dalla corte territoriale, ovvero l’aver la S. garantito la custodia dello stupefacente nell’assenza del F. . Anche in tal caso si tratta di affermazione che non risulta riferita ad altra circostanza che allo stato di coabitazione ma in tal modo si è posta una errata nozione di custodia, la quale contempla obblighi di conservazione del bene che non derivano dalla relazione di coabitazione ma da un accordo tra le parti o da comportamenti concludenti, che nella specie non risultano dalla corte territoriale neppure evocati. 6. Alla luce di tali premesse la sentenza impugnata va annullata nei confronti di S.I. , con rinvio alla Corte di Appello di Bologna per nuovo esame. Il giudice del rinvio dovrà accertare se la S. avesse o meno - non già l’obbligo di impedire l’utilizzo a fini illeciti dell’abitazione ma - il diritto di interdire tale uso del bene e se abbia assunto compiti di custodia dello stupefacente in assenza del F. . 7. Il secondo motivo di ricorso resta assorbito. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata nei confronti di S.I. e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di Bologna, altra sezione. Dichiara inammissibile il ricorso di F.G. e lo condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di euro 2.000 alla cassa delle ammende.