Reati tributari: la Cassazione precisa funzione e confini delle soglie di punibilità

Con le sentenze nn. 15133 e 15172/18, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione formula due utili precisazioni in materia di soglia di punibilità per gli illeciti penali da un lato l’elevazione della soglia di punibilità compiuta con il d.lgs. n. 158/2015 ha determinato la parziale abolizione delle fattispecie incriminatrici dell’omesso versamento delle ritenute certificate art. 10-bis d.lgs. n. 74/2000 e dell’IVA art. 10 ter d.lgs. n. 74/2000 , dall’altro il valore dei beni sottratti fraudolentemente al pagamento delle imposte può essere inferiore all’ammontare di euro 50.000 come elemento costitutivo del reato dall’art. 11, comma 1, d.lgs. n. 74/2000.

L’elevazione della soglia di punibilità determina la parziale abolizione del reato tributario. Con la sentenza n. 15172/18, la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha enunciato il seguente principio di diritto La nuova fattispecie di reato di cui all’art. 10- ter d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74, come modificata dall’art. 8 d.lgs. 24 settembre 2015, n. 158, che ha elevato a euro 250.000 la soglia di punibilità, ha determinato l’abolizione parziale del reato commesso in epoca antecedente che aveva ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, e in considerazione dell’abrogazione parziale trovano applicazione gli artt. 2, comma 2, c.p. e non il comma 4 dell’art. 2 c.p. e 673, comma 1, c.p.p. . Nel caso di specie, il Giudice dell’esecuzione revoca ex art. 673, comma 1, c.p.p. una sentenza di condanna pronunciata in relazione al reato di omesso versamento dell’IVA ex art. 10- ter d.lgs. n. 74/2000, in quanto la somma evasa era inferiore alla vigente soglia di punibilità, fissata a euro 250.000 dall’art. 8 d.lgs. n. 158/2015. Nella sentenza in commento la Suprema Corte rigetta il ricorso della Procura della Repubblica, ritenendo che la modifica della soglia di punibilità abbia comportato la parziale abrogazione della norma incriminatrice, rendendo non più penalmente rilevante le omissioni al di sotto di euro 250.000 secondo il Giudice di legittimità, da ciò consegue che il giudice dell’esecuzione deve revocare la sentenza di condanna, se non sono necessari ulteriori accertamenti. Viene consolidandosi l’orientamento della Corte di Cassazione in materia. In passato la Suprema Corte ha infatti affermato che la mutata soglia di punibilità dei reati di omesso versamento di ritenute certificate [] e di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto [], al di sotto della quale operano soltanto a misure sanzionatorie di tipo amministrativo, introdotta dal d.lgs. n. 158/2015 rientra [] nell’abrogazione parziale dei due reati, nei quali il mutato giudizio di offensività della condotta omissiva si è tradotto nel restringimento dell’area della loro penale rilevanza, con assegnazione a quella amministrativa delle condotte che si collocano al di sotto della nuova soglia. Configurando la soglia di punibilità un elemento costitutivo di entrambe le fattispecie legali astratte delle suddette disposizioni, è evidente che la sua modifica rende la nuova fattispecie speciale rispetto alla precedente poiché ne restringe l’ambito applicativo, rimanendo l’area della punibilità circoscritta alle sole condotte che si collochino al di sopra della nuova soglia così Cass. Pen. n. 10810/18, in CED Cass., non massimata . Con specifico riferimento al reato di omesso versamento di ritenute dovute o certificate ex art. 10- bis d.lgs. n. 74/2000, il Giudice di legittimità ha statuito che la novella del 2015 ha escluso la rilevanza penale delle condotte sino all’ammontare di euro 150.000, determinando così una abolitio criminis parziale con riferimento alle condotte aventi ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, commesse in epoca antecedente Cass. Pen. n. 34362/17, in CED Cass., Rv. 270961 . Il valore dei beni fraudolentemente sottratti al pagamento di imposte può essere inferiore a euro 50.000. Nella sentenza n. 15133/18 la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione afferma il seguente principio di diritto In tema di reati tributari, il valore dei beni sottratti fraudolentemente al pagamento delle imposte può essere inferiore all’ammontare di euro 50.000 previsto dall’art. 11 d.lgs. 10 marzo 2000, n. 74 come elemento costitutivo del reato. L’offensività della condotta va parametrata esclusivamente in base alla sua attitudine a ridurre o eliminare la garanzia patrimoniale, secondo un giudizio ex ante . In sua applicazione il Collegio annulla con rinvio l’ordinanza con la quale è stato annullato il provvedimento di sequestro preventivo di un immobile ceduto per un corrispettivo euro 10.000 inferiore rispetto a quello di mercato oscillante tra euro 33.000 e euro 44.000 , in ragione della ritenuta insussistenza indiziaria del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte. In base all’art. 11, comma 1, d.lgs. n. 74/2000, è punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni . Come già statuito dalla giurisprudenza di legittimità in passato Cass. Pen. n. 3011/17 , in CED Cass., non massimata , l’intero d.lgs. n. 74/2000 codifica condotte potenzialmente idonee a ledere, da angolazioni diverse, il medesimo bene giuridico, individuato nel dovere di concorrere alle spese pubbliche. A tal fine il Legislatore ha selezionato le fasi dell’obbligazione tributaria – dalla genesi alla sua esecuzione – ritenute essenziali al suo corretto adempimento individuandole nell’obbligo – strumentale al corretto adempimento dell’obbligazione tributaria – di dichiarare i fatti costitutivi dell’obbligazione e il suo oggetto e di farlo in modo corrispondente al vero, nell’obbligo di adempiere all’obbligazione tributaria nei tempi e modi previsti, nella necessità – anch’essa strumentale – di documentare fedelmente le operazioni fiscalmente rilevanti che incidono sull’an e sul quantum dell’obbligazione tributaria stessa e nel dovere di conservare tale documentazione, nella necessità di preservare la riscossione del credito erariale da attività volte a depauperare in modo fraudolento la garanzia costituita dal patrimonio del debitore. L’art. 11, comma 1, d.lgs. n. 74/2000 si ascrive a quest’ultima fase della vita dell’obbligazione tributaria. Attraverso l’incriminazione della condotta da esso prevista il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell’Erario. La sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte ha natura di reato di pericolo secondo il Collegio, il fatto che il Legislatore ha inteso selezionare, a fini penalistici, solo le condotte che pongono in pericolo la riscossione di imposte ovvero sanzioni e interessi ad essi relativi complessivamente superiori all’ammontare di euro 50.000, non autorizza l’interpretazione secondo la quale anche il valore del bene simulatamente alienato deve essere superiore a detto ammontare . La diversa opinione è smentita dal testo della norma la possibilità che la procedura di riscossione possa essere anche solo in parte” pregiudicata dalla condotta fraudolenta comporta necessariamente che il valore del bene possa essere inferiore al credito erariale agito, e poiché la soglia di punibilità” riguarda il credito e non il bene, è arbitrario ritenere che il suo superamento costituisca predicato di entrambi . Ciò che conta è che la condotta sia idonea a frustrare il diritto di credito erariale incidendo sul patrimonio del debitore in modo da ridurne in modo effettivo la consistenza, svuotandolo della funzione di garanzia cui esso assolve nel caso di specie, la sottrazione di un immobile per un valore di mercato oscillante da euro 44.000 ed euro 33.000 è idonea a pregiudicare anche solo in parte” la riscossione del maggior credito erariale superiore a euro 200.000.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 marzo – 5 aprile 2018, n. 15172 Presidente Savani – Relatore Socci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Bari, giudice dell’esecuzione, con provvedimento del 27 aprile 2017 ha revocato la sentenza del Tribunale di Bari n. 1205 del 2014, irrevocabile il 18 ottobre 2014, in relazione all’art. 10 ter, d.lgs. 74/2000, in quanto la somma evasa era inferiore alla attuale soglia di 250.000,00 Euro come previsto dall’art. 8, d.lgs. 158/2015 . 2. La Procura della Repubblica presso il Tribunale di Bari, ha proposto ricorso per Cassazione, per i motivi di seguito enunciati, nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. pen 2.1. Violazione di legge, art. 2, cod. pen Nel caso di specie non si è verificata un’abolizione del reato, ma un evidente fenomeno di successione di leggi penali nel tempo, con la conseguente applicabilità dell’art. 2, quarto comma, cod. pen Il diritto dell’imputato ad essere giudicato in base al trattamento più favorevole, tra quelli succedutesi nel tempo, trova però il limite del giudicato. Ha chiesto pertanto l’annullamento della decisione impugnata. 2.2. La Procura generale della Suprema Corte di Cassazione, Sostituto Procuratore Generale Gabriele Mazzotta ha chiesto il rigetto del ricorso. 2.3. S.P. ha presentato memoria, nella quale chiede il rigetto del ricorso, per avere il Tribunale correttamente revocato la sentenza di condanna. Considerato in diritto 3. Il ricorso è infondato. In tema di revoca per abolitio criminis , ai sensi dell’art. 673 cod. proc. pen., la delibazione del giudice dell’esecuzione deve riguardare il confronto strutturale tra le fattispecie legali astratte che si succedono nel tempo, senza la necessità di ricercare conferme della eventuale continuità tra le stesse facendo ricorso ai criteri valutativi dei beni tutelati e delle modalità di offesa, atteso che detto confronto permette in maniera autonoma di verificare se l’intervento legislativo posteriore assuma carattere demolitorio di un elemento costitutivo del fatto tipico, alterando così radicalmente la figura di reato, ovvero, non incidendo sulla struttura della stessa, consenta la sopravvivenza di un eventuale spazio comune alle suddette fattispecie. Sez. 1, n. 36079 del 10/05/2016 - dep. 31/08/2016, Costa, Rv. 26800201 vedi anche, nello stesso senso, Sez. 3, n. 5248 del 25/10/2016 - dep. 03/02/2017, Managò, Rv. 26901101 . Con il novellato art. 10 ter del d.lgs. N. 74 del 2000 come modificato dall’art. 8 del d.lgs. 158 del 2015 il limite per la configurabilità del reato è di Euro 250.000,00 È punito con la reclusione da sei mesi a due anni chiunque non versa, entro il termine per il versamento dell’acconto relativo al periodo d’imposta successivo, l’imposta sul valore aggiunto dovuta in base alla dichiarazione annuale, per un ammontare superiore a Euro duecentocinquantamila per ciascun periodo d’imposta . La modifica della soglia di punibilità 250.000,00 Euro ha comportato l’abrogazione, parziale, della norma incriminatrice, rendendo non più reato le omissioni al di sotto di 250.000,0 Euro. Quindi il giudice dell’esecuzione, ex art. 673, primo comma, cod. proc. pen. deve revocare la sentenza di condanna, se non sono necessari ulteriori accertamenti, come nel caso in giudizio imposta evasa pacificamente inferiore a 250.000,00 Euro . Del resto questa Corte Suprema di Cassazione già si è pronunciata per la parziale abrogazione del reato, nell’ipotesi di soglia modificata La modifica dell’art. 10-bis d.lgs. n. 74 del 2000 ad opera dell’art. 7, comma 1, lett. b , d.lgs. n. 158 del 2015, che ha escluso la rilevanza penale dell’omesso versamento di ritenute dovute o certificate sino all’ammontare di Euro 150.000,00, ha determinato una abolitio criminis parziale con riferimento alle condotte aventi ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, commesse in epoca antecedente Sez. 3, n. 34362 del 11/05/2017 - dep. 13/07/2017, Sbrolla, Rv. 27096101 vedi anche, per l’art. 10 ter, d.lgs. 74/2000, Sez. 3, n. 10810/2018 non massimata La mutata soglia di punibilità dei reati di omesso versamento di ritenute certificate art. 10-bis del d.lgs. n. 74 del 2000 e di omesso versamento dell’imposta sul valore aggiunto art. 10-ter, del d.lgs. n. 74 del 2000 , al di sotto della quale operano soltanto a misure sanzionatorie di tipo amministrativo, introdotta dal d.lgs. 158/2015 rientra pertanto nell’abrogazione parziale dei due reati, nei quali il mutato giudizio di offensività della condotta omissiva si è tradotto nel restringimento dell’area della loro penale rilevanza, con assegnazione a quella amministrativa delle condotte che si collocano al di sotto della nuova soglia. Configurando la soglia di punibilità un elemento costitutivo di entrambe le fattispecie legali astratte delle suddette disposizioni, è evidente che la sua modifica rende la nuova fattispecie speciale rispetto alla precedente poiché ne restringe l’ambito applicativo, rimanendo l’area della punibilità circoscritta alle sole condotte che si collochino al di sopra della nuova soglia . Non v’è dubbio, del resto, che alla data odierna l’omesso versamento di somme inferiori a 250.000,00 Euro non è più previsto dalla legge come reato, sicché ove dovesse contestarsi, oggi, l’omesso versamento di somme per importi inferiori alla nuova soglia, la formula di proscioglimento sarebbe perché il fatto non è previsto dalla legge come reato , che il giudice può adottare senza nemmeno accertare la corrispondenza al vero del fatto così contestato. Deve pertanto essere affermato il seguente principio di diritto La nuova fattispecie di reato di cui all’art. 10 ter, d.lgs. n. 74 del 2000, come modificata dall’art. 8, d.lgs. n. 158 del 2015, che ha elevato a Euro 250.000,00 la soglia di punibilità, ha determinato l’abolizione parziale del reato commesso in epoca antecedente che aveva ad oggetto somme pari o inferiori a detto importo, e in considerazione dell’abrogazione parziale trovano applicazione gli art. 2, comma secondo, cod. pen. e non il quarto comma dell’art. 2, cod. pen. , e 673, comma primo, cod. proc. pen. . P.Q.M. Rigetta il ricorso del P.M

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 novembre 2017 – 5 aprile 2018, n. 15133 Presidente Ramazzi – Relatore Aceto Ritenuto in fatto 1. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Palermo ricorre per l’annullamento dell’ordinanza dell’11/07/2017 del Tribunale del riesame che ha annullato il provvedimento del 06/06/2017 del Giudice per le indagini preliminari di quello stesso tribunale che, sulla ritenuta sussistenza indiziaria del reato di cui all’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000, aveva ordinato il sequestro preventivo dell’immobile, sito in omissis , venduto dalla società General Work Service S.r.l. a S.G. , fratello del legale rappresentante, al prezzo concordato di 10.000,00 Euro, inferiore a quello stimato come congruo oscillante tra 33.000,00 e 44.000,00 Euro. 1.1.Con unico motivo eccepisce, ai sensi dell’art. 606, lett. b , cod. proc. pen., l’erronea applicazione dell’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000. Deduce, al riguardo, che il Tribunale ha confuso la cd. soglia di punibilità, relativa all’imposta evasa, con il profitto del reato che corrisponde, nel caso di specie, alla differenza tra il valore del bene e l’importo effettivamente corrisposto. Considerato in diritto 2. Il ricorso è fondato. 3. Con ordinanza del 06/06/2017, il G.i.p. del Tribunale di Palermo, decidendo conformemente alla richiesta del pubblico ministero, aveva ordinato, tra l’altro, il sequestro preventivo di un immobile di proprietà della società General Work Service S.r.l. venduta a S.G. , fratello del legale rappresentante della società, ad un prezzo ritenuto inferiore a quello ritenuto congruo. La contestazione provvisoria ipotizza che la vendita era stata effettuata al fine di eludere il pagamento delle imposte sui redditi o sul valore aggiunto, ovvero di interessi o sanzioni amministrative relative a dette imposte per un valore complessivo di duecentomila Euro. Secondo il Tribunale, avuto riguardo alla ratio” e al bene protetto dalla norma il corretto funzionamento della procedura esecutiva , poiché la norma richiede come elemento costitutivo della fattispecie, l’idoneità dell’operazione simulata o fraudolenta a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva, la concreta pericolosità della condotta dipenderà anche dalla quantità e dal controvalore dei beni sui quali si compie l’azione. In sostanza, la cd. soglia di punibilità rappresenta l’ammontare del debito tributario che il soggetto agente si propone di non adempiere, tramite la condotta tipizzata, sottraendosi alla procedura esecutiva per una somma minima pari a tale entità. In altre parole e per essere ancora più espliciti e chiari, la soglia concreta rappresenta il presumibile danno patito dall’Erario a seguito delle manovre fraudolente del soggetto agente, ossia il valore che potrebbe recuperare, a seguito della procedura di riscossione coattiva, da quei beni che l’agente ha alienato simulatamente, o mediante atti fraudolenti, ha comunque voluto sottrarre alla pretesa fiscale. In definitiva, l’oggettività del reato comporta l’esistenza do un debito tributario che superi i cinquantamila Euro e, contestualmente, che i beni sottratti siano superiori alla stessa cifra e possano compromettere la riscossione per un importo superiore alla cifra medesima, mentre il dolo presuppone l’esistenza e la rappresentazione di un debito tributario che superi i cinquantamila Euro e, contestualmente, la consapevolezza che i beni sottratti presumibilmente siano superiori alla stessa cifra e possano compromettere la riscossione per un importo superiore alla cifra medesima . Ne consegue - conclude il Tribunale - che poiché il valore stimato dell’immobile alienato simulatamente non è superiore a 50.000,00 Euro, l’operazione in contestazione non può compromettere la riscossione tributaria per un importo superiore o pari alla cifra costituente la soglia indicata dall’art. 11, in esame . 3.1. Il Procuratore della Repubblica contesta siffatta interpretazione dell’art. 11 d.lgs. n. 74 del 2000 ed eccepisce che, in realtà, il legislatore non ha indicato alcuna soglia per il profitto perseguito dall’autore del reato mediante la condotta tipica, rilevando anche l’inefficacia parziale della procedura di riscossione. 4. Il ricorso è fondato. 5. L’art. 11, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000 recita È punito con la reclusione da sei mesi a quattro anni chiunque, al fine di sottrarsi al pagamento di imposte sui redditi o sul valore aggiunto ovvero di interessi o sanzioni amministrative relativi a dette imposte di ammontare complessivo superiore ad Euro cinquantamila, aliena simulatamente o compie altri atti fraudolenti sui propri o su altrui beni idonei a rendere in tutto o in parte inefficace la procedura di riscossione coattiva. Se l’ammontare delle imposte, sanzioni ed interessi è superiore ad Euro duecentomila si applica la reclusione da un anno a sei anni . 5.1. Come già affermato da questa Corte, l’intero d.lgs. n. 74 del 2000 codifica condotte ciascuna potenzialmente idonea a ledere, da angolazioni diverse, il medesimo ed unico bene giuridico, individuato, come detto, nel dovere di concorrere alle spese pubbliche e di garantire, conseguentemente, il flusso di beni necessario a farvi fronte . A tal fine il legislatore ha selezionato le fasi dell’obbligazione tributaria, dalla genesi alla sua esecuzione, ritenute essenziali al suo corretto adempimento individuandole nell’obbligo strumentale al corretto adempimento dell’obbligazione tributaria di dichiarare i fatti costitutivi dell’obbligazione e il suo oggetto e di farlo in modo corrispondente al vero, nell’obbligo di adempiere all’obbligazione tributaria nei tempi e modi previsti, nella necessità strumentale di documentare fedelmente le operazioni fiscalmente rilevanti che incidono sull’an e sul quantum dell’obbligazione tributaria stessa e nel dovere di conservare tale documentazione, nella necessità di preservare la riscossione del credito erariale da attività volte a depauperare in modo fraudolento la garanzia costituita dal patrimonio del debitore. L’art. 11, comma 1, d.lgs. n. 74 del 2000 si ascrive a quest’ultima fase della vita dell’obbligazione tributaria. Attraverso l’incriminazione della condotta da esso prevista il legislatore ha inteso evitare che il contribuente si sottragga al suo dovere di concorrere alle spese pubbliche creando una situazione di apparenza tale da consentirgli di rimanere nel possesso dei propri beni fraudolentemente sottratti alle ragioni dell’Erario cfr., sul punto, Sez. 3, n. 36290 del 18/05/2011, Cualbu, Rv. 251077, secondo cui l’oggetto giuridico del reato di sottrazione fraudolenta al pagamento di imposte non è il diritto di credito del fisco, bensì la garanzia generica data dai beni dell’obbligato, potendo quindi il reato configurarsi anche qualora, dopo il compimento degli atti fraudolenti, avvenga comunque il pagamento dell’imposta e dei relativi accessori . L’antecedente storico immediato e diretto della norma in questione è costituito dall’art. 97, d.P.R. 29 settembre 1973, n. 602 che, come sostituito dall’art. 15, legge 30 dicembre 1991, n. 413, così recitava Il contribuente che, al fine di sottrarsi al pagamento delle imposte, interessi, soprattasse e pene pecuniarie dovuti, ha compiuto, dopo che sono iniziati accessi, ispezioni e verifiche o sono stati notificati gli inviti e le richieste previsti dalle singole leggi di imposta ovvero sono stati notificati atti di accertamento o iscrizioni a ruolo, atti fraudolenti sui propri o su altrui beni che hanno reso in tutto o in parte inefficace la relativa esecuzione esattoriale, è punito con la reclusione fino a tre anni. La disposizione non si applica se l’ammontare delle somme non corrisposte non è superiore a lire 10 milioni . La diversità strutturale delle due fattispecie, sin da subito segnalata da questa Corte Sez. 3, n. 17071 del 04/04/2006, De Nicolo, Rv. 234322 , è evidente scompare, nella nuova, ogni riferimento alla necessità dell’effettivo avvio di un qualsiasi accertamento fiscale e non è più conseguentemente richiesto che l’azione comprometta effettivamente l’esecuzione esattoriale, essendo sufficiente che sia idonea a renderla inefficace sulla conseguente natura di reato di pericolo concreto la giurisprudenza di questa Corte è ormai consolidata cfr., da ultimo, Sez. 3, n. 35853 del 11/05/2016, Calvi, Rv. 267648, che ha affermato che il delitto in questione è reato di pericolo, integrato dall’uso di atti simulati o fraudolenti per occultare i propri o altrui beni, idonei a pregiudicare - secondo un giudizio ex ante - l’attività recuperatoria della amministrazione finanziaria nonché, Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Pass, Rv. 266771, con richiami ai numerosi precedenti conformi fa ingresso, nella fattispecie, la condotta di alienazione simulata , che costituisce modalità alternativa al compimento di atti fraudolenti sui propri o altrui beni così, in motivazione, Sez. 3, n. 3011 del 05/07/2016, Di Tullio . 5.2. Del resto, sulla natura di reato di pericolo del reato in questione, questa Corte non ha mai nutrito dubbi oltre Sez. 3, n. 35853 del 2016, cit., cfr. anche Sez. 3, n. 23986 del 05/05/2011, Pascone, Rv. 250646 Sez. 3, n. 40561 del 04/04/2012, Soldera, Rv. 253400 e proprio per questa ragione non possono essere condivise le conseguenze che il Tribunale trae dalla previsione della cd. soglia di punibilità . Il fatto che il legislatore ha inteso selezionare, ai fini penalistici, solo le condotte che pongono in pericolo la riscossione di imposte ovvero sanzioni e interessi ad essi relativi complessivamente superiori all’ammontare di 50.000,00 Euro, non autorizza l’interpretazione secondo la quale anche il valore del bene simulatamente alienato deve essere superiore a detto ammontare. È il dato testuale che priva di fondamento tale tesi la possibilità che la procedura di riscossione possa essere anche solo in parte pregiudicata dalla condotta fraudolenta comporta necessariamente che il valore del bene possa essere inferiore al credito erariale agito, e poiché la soglia di punibilità riguarda il credito e non il bene, è arbitrario ritenere che il suo superamento costituisca predicato di entrambi. Il credito erariale, insomma, deve poter essere riscosso nella sua interezza. L’interpretazione fornita dal tribunale che non pare avere precedenti nemmeno nella giurisprudenza di merito, certamente non in quella di legittimità porterebbe alla creazione di un’inammissibile zona franca costituita dalla differenza tra l’importo complessivo del debito erariale e la soglia di punibilità , così che il contribuente sarebbe sostanzialmente legittimato a diminuire la garanzia del debito erariale e dunque la sua possibilità di recupero per intero con alienazioni simulate penalmente indifferenti se il valore dei beni sottratti è ogni volta inferiore a 50.000,00 Euro. Conseguenza ancora più assurda se, ipotizzando, un credito di imposta pari a 50.100,00 Euro, la sottrazione di beni di valore complessivo pari a 49.000,00 Euro sarebbe penalmente irrilevante benché idonea a pregiudicare la riscossione del credito nella sua interezza e certamente a pregiudicarla in parte. 5.3. Quel che conta, in ultima analisi, è che la condotta sia davvero idonea a frustrare il diritto di credito erariale e che dunque incida sul patrimonio del debitore in modo da ridurne in modo effettivo la consistenza, svuotandolo della funzione di garanzia cui esso assolve sulla valutazione di sufficienza della consistenza del patrimonio del contribuente in rapporto alla pretesa dell’Erario, quale parametro al quale ancorare il giudizio di idoneità ex ante della condotta, cfr. Sez. 3, n. 13233 del 24/02/2016, Pass, Rv. 266771 cfr. altresì Sez. 3, n. 6798 del 16/12/2015, dep. 2016, Arosio, Rv. 266771 . Restando al caso di specie, è evidente che la sottrazione di beni per un valore oscillante tra 44.000,00 e 33.000,00 Euro è idonea a pregiudicare, anche solo in parte, la procedura di riscossione del maggior credito erariale superiore a 200.000,00 Euro. Quel che il Tribunale avrebbe dovuto indagare restando sul piano della offensività è se il patrimonio residuo del simulato alienante è capiente rispetto alla procedura esecutiva ed arrestare qui la sua indagine sulla concreta idoneità della condotta. 5.4. Deve perciò essere affermato il seguente principio di diritto In tema di reati tributari, il valore dei beni sottratti fraudolentemente al pagamento delle imposte può essere inferiore all’ammontare di 50.000,00 Euro previsto dall’art. 11, d.lgs. n. 74 del 2000 come elemento costitutivo del reato. L’offensività della condotta va parametrata esclusivamente in base alla sua attitudine a ridurre o eliminare la garanzia patrimoniale, secondo un giudizio ex ante . 5.5. Ne consegue che l’ordinanza impugnata deve essere annullata con rinvio al Tribunale di Palermo per nuovo esame. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Palermo per nuovo esame.