Mancano conseguenze lesive per il paesaggio? Non c’è periculum in mora

In tema di sequestro preventivo di manufatti abusivi realizzati in zona soggetta a vincolo paesaggistico-ambientale, il periculum in mora non può essere desunto solo dalla esistenza ed entità delle opere ultimate, essendo invece necessario dimostrare che l'effettiva disponibilità materiale o giuridica delle stesse, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa ulteriormente pregiudicare il bene protetto dal vincolo, sulla base di un accertamento da parte del giudice circa l'incidenza degli abusi sulle diverse matrici ambientali ovvero il loro impatto sulle zone oggetto di particolare tutela.

Lo ha stabilito la Quarta Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 15254, depositata il 5 aprile 2018. I reati paesaggistici Preliminarmente, giova ricordare che la vigente legislazione in materia di reati paesistici è finalizzata alla tutela di beni finali di alto rango, mediante una tutela anticipata delle funzioni amministrative di controllo e vigilanza sull’integrità del paesaggio. Tutta la disciplina penale paesistica appare infatti caratterizzata dall’indeterminatezza dei soggetti esposti alle potenziali offese, nonché dalla serialità di queste ultime dovuta alla professionalità dell’attività esercitata . Stanti tali fondamentali caratteristiche, le attività connesse ai beni sovraindividuali quale appunto è il paesaggio vanno perciò esercitate in conformità alle prescrizioni dell’autorità amministrativa per lo più attraverso il previo ottenimento di autorizzazioni dagli organi preposti alla tutela del relativo vincolo . Ciò in quanto il controllo delle attività economiche presuppone obblighi informativi, e corrispondenti poteri di acquisizione di dati e notizie, in capo agli Enti locali o alle Agenzie di controllo, istituite in seno ai Ministeri competenti. Guardando nello specifico ai reati paesaggistici, potrà notarsi che la sanzione penale colpisce sia il discostamento dalle condizioni, indicate nel provvedimento amministrativo, per l’esercizio dell’attività edilizia, sia l’elusione della preventiva autorizzazione/abilitazione amministrativa, a prescindere dal concreto verificarsi di un’offesa per i beni giuridici tutelati cfr. Cass. Pen. n. 39744/02 . Del pari, la giurisprudenza di legittimità ha stabilito che, in tema di protezione delle bellezze naturali, il rilascio dell’autorizzazione paesaggistica, dopo l’esecuzione di lavori in zona vincolata, avvenuti in difetto della predetta autorizzazione, non determina l’estinzione del reato previsto dall’art. 163 d.lgs. 29 ottobre 1999 n. 490 ora art. 181 d.lgs. n. 42/2004 , ma ha il solo effetto di escludere la remissione in pristino dello stato dei luoghi ciò in quanto l’amministrazione ha valutato l’intervento e lo ha ritenuto compatibile con l’assetto paesaggistico dell'area interessata cfr. Cass. Pen. n. 37318/07 . In ogni caso, il rilascio postumo dell’autorizzazione paesistica da parte dell’autorità preposta alla tutela del vincolo non determina l’estinzione del reato paesaggistico art. 181, d.lgs. 22 gennaio 2004 n. 42 poiché tale effetto non è espressamente previsto da alcuna disposizione legislativa avente carattere generale, mentre il nulla osta paesaggistico ha l’effetto di escludere l’emissione o l’esecuzione dell’ordine di rimessione in pristino dello stato dei luoghi cfr. sempre Cass. Pen. n. 37318/07 . ed i presupposti del sequestro preventivo. In base all’orientamento delle Sezioni Unite della Suprema Corte di Cassazione, il sequestro preventivo di cosa pertinente al reato è consentito anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi, purché il pericolo della libera disponibilità della cosa stessa - che va accertato dal giudice con adeguata motivazione - presenti i requisiti della concretezza e dell'attualità e le conseguenze del reato, ulteriori rispetto alla sua consumazione, abbiano connotazione di antigiuridicità, consistano nel volontario aggravarsi o protrarsi dell'offesa al bene protetto che sia in rapporto di stretta connessione con la condotta penalmente illecita e possano essere definitivamente rimosse con l'accertamento irrevocabile del reato. Inoltre, il sequestro preventivo di tipo impeditivo previsto dal comma 1 dell'art. 321 c.p.p. è una misura di coercizione reale connessa e strumentale al procedimento penale ed all'accertamento del reato per cui si procede, avente lo scopo di evitare che il decorso del tempo pregiudichi irrimediabilmente l'effettività della giurisdizione espressa con la sentenza irrevocabile di condanna. Ne discende che la sua applicazione va disposta nelle situazioni in cui il mancato assoggettamento a vincolo della cosa pertinente al reato possa condurre, in pendenza del relativo accertamento, non solo al protrarsi del comportamento illecito od alla reiterazione della condotta criminosa, ma anche alla realizzazione di ulteriori pregiudizi quali nuovi effetti offensivi del bene protetto, sicché può essere adottato anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi. Nel caso di specie, la Terza Sezione ha ritenuto che, in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva ultimata non integri i requisiti della concretezza ed attualità del pericolo, in assenza di ulteriori elementi idonei a dimostrare che la disponibilità della stessa, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa implicare una effettiva lesione dell'ambiente e del paesaggio.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 28 febbraio – 5 aprile 2018, numero 15254 Presidente Izzo – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 30/6/2015, il Tribunale di Napoli ebbe a rigettare la richiesta di riesame avverso il decreto di sequestro preventivo del Gip dello stesso Tribunale del 7 maggio 2015, emesso in relazione ai reati di cui agli artt. 44, comma 1, lettera del d.P.R. numero 380 del 2001, 181 del d.lgs. numero 42 del 2004, 349 cod. penumero , ed avente ad oggetto un immobile. Avverso l’ordinanza in questione l’indagato propose, tramite il difensore, ricorso per cassazione, lamentando, con unico motivo di doglianza, la violazione dell’art. 324 cod. proc. penumero , perché il Tribunale avrebbe rigettato l’eccezione di nullità del decreto di sequestro, ritenendo non applicabile il principio dell’autonoma valutazione delle esigenze cautelari quanto al sequestro preventivo. Nell’occasione venne richiamata la sentenza Sez. Unumero , 6 maggio 2016, numero 18954, con la quale si afferma che anche i decreti dispositivi di misure cautelari reali devono contenere un’autonoma valutazione del periculum in mora. 2. La Terza Sezione Penale di questa Corte di Cassazione, con sentenza numero 34349 del 17/2/2017 annullò con rinvio l’ordinanza impugnata, sul rilievo che le Sezioni Unite di questa Corte, con la sentenza numero 18954 del 31/03/2016, Rv. 266789 hanno affermato che, nel procedimento di riesame avverso i provvedimenti di sequestro, le disposizioni concernenti il potere di annullamento del tribunale, introdotte dalla legge 8 aprile 2015, numero 47 al comma 9 dell’art. 309 cod. proc. penumero , sono applicabili in virtù del rinvio operato dall’art. 324, comma 7, dello stesso codice in quanto compatibili con la struttura e la funzione del provvedimento applicativo della misura cautelare reale e del sequestro probatorio, nel senso che il tribunale del riesame annulla il provvedimento impugnato se la motivazione manca o non contiene la autonoma valutazione degli elementi che ne costituiscono il necessario fondamento, nonché degli elementi forniti dalla difesa. L’ordinanza impugnata pronunciata prima che le Sezioni Unite, con la pronuncia sopra richiamata, risolvessero i contrasti interpretativi sorti in materia negava espressamente tale conclusione, sul rilievo che non vi sarebbe analogia tra i presupposti e le esigenze per l’applicazione delle misure cautelari reali e quelli per l’applicazione delle misure cautelari personali. Su tale erroneo assunto, formulato in via preliminare, il tribunale partenopeo basava, sostanzialmente i criteri di valutazione della motivazione del decreto impugnato circa la sussistenza del presupposto del periculum in mora utilizzato nel prosieguo dell’ordinanza. Il Tribunale di Napoli, quale giudice di rinvio, con nuova ordinanza del 27/9/2017, ha nuovamente rigettato il proposto riesame, confermando il provvedimento impugnato. 3. Ricorre R.V. , a mezzo del proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173, comma 1, disp. att., cod. proc. penumero . Con un primo motivo deduce violazione degli artt. 152 e 324 cod. proc. penumero assumendosi che il tribunale partenopeo non abbia correttamente applicato i principi di cui alla sentenza di rinvio. Il decreto impositivo impugnato sarebbe, infatti, secondo tale assunto, totalmente carente sia nella descrizione del fumus, motivato con una generica quanto vacua formula di stile sussistono gravi indizi di colpevolezza in ordine ai reati di cui agli art. 44 d.p.r. 380101 e 349 c.p. ed invero da verbale risulta. il completamento dell’opera , sia quanto al periculum l’opera può determinare un ulteriore aggravamento delle conseguenze dei reati indicati . Non vi sarebbe nel decreto di sequestro alcuna autonoma valutazione delle esigenze cautelari, ma solo vuote formule di stile, ivi compreso un richiamo all’art. 221 TULPS, norma depenalizzata. Il tribunale avrebbe dovuto quindi annullare il decreto di sequestro rilevando le evidenti lacune motivazionali dello stesso. Sotto un secondo profilo, inerente alla valutazione in concreto della sussistenza delle esigenze cautelari, ci si duole che il tribunale partenopeo abbia confermato l’impugnato decreto di sequestro ritenendo sussistente il periculum in mora nonostante si tratti di un opera ultimata e rifinita e collocabile temporalmente in epoca immediatamente successiva al precedente sequestro del 2011. Sul punto il Collegio traviserebbe il fatto, ritenendo che la permanenza della condotta delittuosa di cui all’art. 44 D.P.R. 380/01 non sia cessata e che le opere siano databili in epoca prossima all’accertamento del 27/04/2015 e non al precedente sequestro del 2011, non indicandone le ragioni di diritto. Tale interpretazione, in assenza di elementi di segno contrario, si porrebbe in stridente contrasto con il costante orientamento di codesta Suprema Corte a tenore del quale, in materia edilizia, il tempus commissi delicti va rapportato a dati certi. Ma nel caso in esame, l’unico dato certo risulta essere il sequestro del 2011. Non vi sarebbero, quindi, ragioni utili al mantenimento del sequestro né, tanto meno lo stesso potrebbe essere giustificato da un formale aggravamento delle conseguenze del reato in considerazione del fatto che quel reato non è più perseguibile. Chiede pertanto che questa Corte annulli l’ordinanza impugnata, con tutte le conseguenze di legge. Considerato in diritto 1. I motivi sopra illustrati appaiono fondati, limitatamente alla motivazione afferente il periculum in mora e pertanto, l’ordinanza impugnata va annullata con rinvio al Tribunale del Riesame di Napoli. Infondato è, invece, il profilo di doglianza inerente la motivazione in ordine alla sussistenza del fumus boni iuris. 2. Preliminarmente, va ricordato, in punto di diritto che, ai sensi dell’art. 321 cod. proc. penumero , la concessione del sequestro preventivo è subordinata alla sussistenza del pericolo che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati. L’art. 325 cod. proc. penumero prevede, contro le ordinanza in materia di appello e di riesame di misure cautelari reali, che il ricorso per cassazione possa essere proposto per sola violazione di legge. La giurisprudenza di questa Suprema Corte, anche a Sezioni Unite, ha più volte ribadito, tuttavia, come in tale nozione debbano ricomprendersi sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice vedasi Sez. Unumero numero 25932 del 29/5/2008, Ivanov, Rv. 239692 conf. Sez. 5, numero 43068 del 13/10/2009, Bosi, Rv. 245093 Sez. 3, numero 4919 del 14/07/2016, Faiella, Rv. 269296 . È stato anche precisato che è ammissibile il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo, pur consentito solo per violazione di legge, quando la motivazione del provvedimento impugnato sia del tutto assente o meramente apparente, perché sprovvista dei requisiti minimi per rendere comprensibile la vicenda contestata e l’ iter logico seguito dal giudice nel provvedimento impugnato così Sez. 6, numero 6589 del 10/1/2013, Gabriele, Rv. 254893 nel giudicare una fattispecie in cui la Corte ha annullato il provvedimento impugnato che, in ordine a contestazioni per i reati previsti dagli artt. 416, 323, 476, 483 e 353 cod. penumero con riguardo all’affidamento di incarichi di progettazione e direzione di lavori pubblici, non aveva specificato le violazioni riscontrate, ma aveva fatto ricorso ad espressioni ambigue, le quali, anche alla luce di quanto prospettato dalla difesa in sede di riesame, non erano idonee ad escludere che si fosse trattato di mere irregolarità amministrative . Di fronte all’assenza, formale o sostanziale, di una motivazione, atteso l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali, viene dunque a mancare un elemento essenziale dell’atto. Va anche aggiunto che, anche se in materia di sequestro preventivo il codice di rito non richiede che sia acquisito un quadro probatorio pregnante come per le misure cautelari personali, non è però sufficiente prospettare un fatto costituente reato, limitandosi alla sua mera enunciazione e descrizione, ma è invece necessario valutare le concrete emergenze istruttorie per ricostruire la vicenda anche in semplici termini di fumus . 3. Nel caso in esame, si è in presenza di una motivazione del tutto carente, per i motivi di cui si dirà in seguito, in relazione al periculum in mora. Si è, invece, senz’altro al di fuori di tali ipotesi in relazione al fumus commissi delicti perché il Tribunale di Napoli, sul punto, ha seguito un percorso motivazionale del tutto coerente laddove ha dato atto che il contenuto del provvedimento cautelare impugnato deve considerarsi integrato, perché specificatamente richiamato, da quello del sequestro preventivo d’urgenza operato dalla P.G Esaminando, dunque, complessivamente i contenuti dei due atti, osservano i giudici partenopei che, da un lato, risulta chiaramente identificata e descritta l’opera edilizia abusiva oggetto di sequestro ed i reati realizzati attraverso la sua costruzione. Quanto, all’esistenza in concreto del primo dei due presupposti del provvedimento in esame, i giudici del gravame cautelare osservano che il fumus dei reati appare evincibile dalla pronuncia di una sentenza di condanna in data 29/4/2014 per i reati di cui all’art. 44 DPR 380/01 ed art. 181 D. Lvo 42/04 per quei lavori edili aventi ad oggetto il medesimo manufatto oggi in contestazione, ma realizzati fino all’anno 2011 data del primo sequestro . Il sequestro preventivo di cose pertinenti al reato va ricordato può essere adottato anche nel caso di ipotesi criminosa già perfezionatasi. In particolare, per i reati edilizi, è ammissibile il sequestro di un immobile costruito abusivamente la cui edificazione sia ultimata, fermo restando l’obbligo di motivazione del giudice circa le conseguenze antigiuridiche, ed ulteriori rispetto alla consumazione del reato, derivanti dall’uso dell’edificio realizzato abusivamente, che la misura cautelare intende inibire Sez. 4, numero 15821 del 31/1/2007, Bove ed altro, Rv. 236601 . Coerente è la conseguenza che, a fronte della prosecuzione di quei lavori, non possono che ritenersi altrettanto comprovati i medesimi reati costituenti titolo cautelare. Quanto alla data di ultimazione dell’opera, va ricordato che la permanenza del reato di edificazione abusiva termina, con conseguente consumazione della fattispecie, o nel momento in cui, per qualsiasi causa volontaria o imposta, cessano o vengono sospesi i lavori abusivi, ovvero, se i lavori sono proseguiti anche dopo l’accertamento e fino alla data del giudizio, in quello della emissione della sentenza di primo grado cfr Sez. 3, numero 29974 del 6/5/2014, Sullo Rv. 260498 . In altri termini, in presenza di una prosecuzione ed ultimazione dei lavori edili abusivi dopo un primo sequestro ed una prima condanna, come nel caso che ci occupa, in assenza di circostanze di fatto dimostrative della data in cui i lavori risultino realizzati, tale evento deve necessariamente collocarsi alla data dell’ultimo sequestro. Pertanto, correttamente il tribunale partenopeo, ha ritenuto che, allo stato, nel caso in esame il reato per cui si procede deve considerarsi consumato alla data del 27/4/2015 e non, come sostenuto dalla difesa, alla data del primo sequestro avvenuto l’8/8/2011. 4. A diverse conclusioni, come si anticipava, deve pervenirsi, invece, in riferimento al secondo presupposto del provvedimento cautelare reale in esame, costituito dal periculum in mora ai sensi dell’art. 321 codice di procedura penale secondo il quale è possibile disporre sequestro preventivo solo quando vi è pericolo che la libera disponibilità di una cosa pertinente al reato possa aggravare o protrarre le conseguenze di esso ovvero agevolare la commissione di altri reati . Va ricordato che le Sezioni Unite di questa Corte di legittimità hanno affermato che, in tema di reati edilizi o urbanistici, la valutazione che, al fine di disporre il sequestro preventivo di manufatto abusivo, il giudice di merito ha il dovere di compiere in ordine al pericolo che la libera disponibilità della cosa pertinente al reato possa agevolare o protrarre le conseguenze di esso o agevolare la commissione di altri reati, va diretta in particolare ad accertare se esista un reale pregiudizio degli interessi attinenti al territorio o una ulteriore lesione del bene giuridico protetto anche con riferimento ad eventuali interventi di competenza della p.a. in relazione a costruzioni non assistite da concessione edilizia, ma tuttavia conformi agli strumenti urbanistici ovvero se la persistente disponibilità del bene costituisca un elemento neutro sotto il profilo dell’offensività Sez. U, Sentenza numero 12878 del 29/01/2003, Innocenti, Rv. 223722 . Costituisce ius receptum il principio che ritiene è legittimo il sequestro preventivo di un manufatto abusivo già ultimato allorquando, pur cessata la permanenza, le conseguenze lesive della condotta sul bene protetto possano perdurare nel tempo, sempre che il pericolo degli effetti pregiudizievoli del reato presenti il requisito della concretezza, della cui sussistenza in punto di fatto il giudice di merito deve fornire adeguata giustificazione Sez. 3, numero 4745 del 12/12/2007 dep. il 2008, Giuliano, Rv. 238783 conf. Sez. 6, numero 21734 del 4/2/2008, Bianchi ed altro, Rv. 240984 . Nel caso di sequestro di un immobile costruito abusivamente la cui edificazione sia ultimata, il giudice della cautela deve ottemperare in concreto e non attraverso mere clausole di stile all’obbligo di motivazione circa le conseguenze antigiuridiche, ed ulteriori rispetto alla consumazione del reato, derivanti dall’uso dell’edificio realizzato abusivamente, che la misura cautelare intende inibire Sez. 2, numero 17170 del 23/4/2010, De Monaco, Rv. 246854 conf. Sez. 3, numero 6599 del 24/11/2011 dep. il 2012, Susinno, Rv. 252016 Sez. 4, numero 2389 del 06/12/2013 dep. il 2014, Gullo, Rv. 258182 Sez. 3, numero 52051 del 20/10/2016, Giudici, Rv. 268812 . Ebbene, corretto nei limiti del sopra ricordato limite del sindacato di questa Corte di legittimità appare il principio di diritto ricordato dai giudici partenopei secondo cui l’ultimazione ed abitazione dell’opera edile abusiva non escludono concretezza ed attualità al periculum in mora enucleato dall’accusa l’aggravamento delle conseguenze del reato , atteso che il bene giuridico protetto dalla normativa penale in materia urbanistica la tutela sostanziale dell’assetto territoriale viene ad essere turbato non solo dalla realizzazione dell’opera abusiva, ma anche dal suo uso che implica una nuova domanda di servizi e di infrastrutture destinata ad aggravare il carico urbanistico, al di fuori di ogni controllo imposto in funzione della tutela degli interessi pubblici coinvolti ed in contrasto con la destinazione d’uso stabilita per la zona su cui insiste l’opera edile abusiva, con conseguente alterazione dei luoghi protetti ai sensi del D.L.vo 42/04. Pacifico altresì, sempre in relazione all’attualità ed alla concretezza del periculum in mora, che l’opera edile che insiste in zona vincolata non può ritenersi conforme agli strumenti urbanistici. Dopo queste premesse di ordine generale, tuttavia, lo scarno provvedimento del tribunale del riesame napoletano non offre alcuna motivazione rispetto al caso concreto. In che termini è la domanda motivazionale cui i giudici del gravame cautelare non hanno risposto l’uso di quello specifico immobile, tenuto conto dell’urbanizzazione di quella specifica zona, comporta una nuova domanda di servizi e di infrastrutture destinata ad aggravare il carico urbanistico, al di fuori di ogni controllo imposto in funzione della tutela degli interessi pubblici coinvolti ed in contrasto con la destinazione d’uso stabilita per la zona in questione, con conseguente alterazione dei luoghi tutelati? 5. In proposito il giudice del rinvio dovrà tenere conto che risulta ormai superato l’iniziale orientamento di questa Corte di legittimità, pur espresso in numerose pronunce Sez. 3, numero 43880 del 30/09/2004, Macino, Rv. 230184 Sez. 2, numero 23681 del 14/05/2008, Cristallo, Rv. 240621 Sez. 3, numero 30932 del 19/05/2009, Tortora, Rv. 245207 Sez. 3, numero 24539 del 20/3/2013, Chiantone, Rv. 255560 Sez. 3, numero 42363 del 18/9/2013, Colicchio, Rv. 257526 Sez. 3, numero 5954 del 15/1/2015, Chiacchiaro, Rv. 264370 che propendeva perché, in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva integrasse il requisito dell’attualità del pericolo indipendentemente dall’essere l’edificazione ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio ed all’equilibrio ambientale, a prescindere dall’effettivo danno al paesaggio e dall’incremento del carico urbanistico, perdura in stretta connessione con l’utilizzazione della costruzione ultimata. Tale indirizzo si fondava sul presupposto che, anche nel caso di ultimazione dei lavori, l’esecuzione di interventi edilizi in zona vincolata, inevitabilmente ne protraesse nel tempo e ne aggravasse le conseguenze, determinando e radicando il danno all’ambiente ed al quadro paesaggistico che il vincolo ambientale mira a salvaguardare Sez. 3, numero 30932 del 19/05/2009, cit. . La conseguenza, enunciata più diffusamente nella sentenza Macino, sarebbe che qualunque lavoro, in zona soggetta al vincolo paesaggistico, può costituire un’offesa al bene protetto, tale essendo quello dell’armonia paesaggistica, e ciò sarebbe sufficiente ad integrare il requisito della concretezza e della attualità cautelare, sussistenti poiché l’offesa al bene protetto è destinata a perdurare proprio in virtù della semplice esistenza e mantenimento in essere della struttura abusiva. Ne deriverebbe che, in ogni caso, sussisterebbe la necessità di inibire all’indagato la concreta utilizzazione del bene affinché sia impedita l’ulteriore protrazione della lesione dell’equilibrio paesaggistico e, se del caso, anche urbanistico e latu sensu ambientale. Secondo tale impostazione, scontata la legittimità del sequestro preventivo in caso di aggravio del carico urbanistico in tal senso, e condivisibilmente, sono tutte le pronunce del filone suindicato , l’esigenza cautelare andrebbe ravvisata in relazione, da un lato, alla specifica natura vincolata della zona e, dall’altro, nella accentuata necessità di impedire l’utilizzazione di ciò che consolida l’offesa inferta al territorio, essendo incontestabile che in zone di rilevante e spiccata peculiarità l’utilizzazione di opere abusivamente realizzate consolidi la lesione dell’interesse protetto e, quindi, si risolva in ulteriore aggravamento della stessa. Da ultimo, la sentenza Chiacchiaro, dopo aver richiamato tutte le pronunce affermative di tale indirizzo giurisprudenziale, aveva ribadito il principio secondo il quale la circostanza della ubicazione dell’intervento edilizio abusivo in area sottoposta a vincolo paesaggistico rende di per sé legittima la misura reale applicata indipendentemente dall’effettivo aggravio del carico urbanistico, stante la persistente incidenza sull’assetto del territorio vincolato determinata dall’esistenza stessa dell’opera abusiva e dalla sua utilizzazione. Secondo tale tesi, in altri termini, la sola esistenza di una struttura abusiva integra il requisito dell’attualità del pericolo, indipendentemente dall’essere l’edificazione illecita ultimata o meno, in quanto il rischio di offesa al territorio ed all’equilibrio ambientale, a prescindere dall’effettivo danno al paesaggio, perdura in stretta connessione alla utilizzazione della costruzione ultimata, contestando a tale orientamento di ritenere l’attualità del periculum in re ipsa , stante la idoneità del mero uso del manufatto realizzato in zona vincolata a deteriorare ulteriormente l’ecosistema protetto dal vincolo, senza alcuna indicazione del motivo per cui sì debba differenziare l’individuazione dell’aggravamento delle conseguenze del reato a seconda che si tratti di un reato edilizio oppure di un reato paesaggistico vedasi anche Sez. 3, numero 48958/2015 . 6. Tuttavia, come si diceva, si va ormai consolidando il diverso orientamento, che questa Corte condivide e intende rafforzare, secondo cui, in tema di sequestro preventivo per reati paesaggistici, la sola esistenza di una struttura abusiva ultimata non integra i requisiti della concretezza ed attualità del pericolo, essendo invece necessario dimostrare che l’effettiva disponibilità materiale o giuridica del bene, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa ulteriormente deteriorare l’ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico, sulla base di un approfondito accertamento da parte del giudice di merito circa la natura del vincolo medesimo e la situazione preesistente alla realizzazione dell’opera abusiva Sez. 3, numero 48958 del 13/10/2015, Giordano, Rv. 266011 Sez. 3, numero 28388 del 14/04/2016, Bondanini, Rv. 267412 Sez. 3, numero 40677 del 23/6/2016, La Sala ed altro, Rv. 268049 . In realtà, già nel 2010 come ricorda la sentenza 40677/2016, alla cui analitica rassegna giurisprudenziale si rimanda aveva rilevato come, già in precedenza, si fosse affermato come dovesse ritenersi insussistente il presupposto del periculum in mora per il sequestro preventivo di un immobile abusivo sito in zona paesaggisticamente vincolata, ove detto immobile fosse stato utilizzato compatibilmente agli interessi tutelati dal vincolo ambientale, precisandosi che l’esclusione dell’idoneità dell’uso della cosa a deteriorare ulteriormente l’ecosistema protetto dal vincolo dovesse formare oggetto di un esame particolarmente approfondito da parte del Giudice di merito Sez. 3, numero 40486 del 27/10/2010, Petrina, Rv. 248701 . Così argomentando, la sentenza Petrina aveva dato atto del consolidato indirizzo interpretativo di questa Corte di legittimità in materia di violazioni paesaggistiche secondo il quale, pur esaurendosi la fattispecie contravvenzionale con il completamento delle opere realizzate senza la necessaria autorizzazione ovvero con la cessazione della condotta Sez. 3, numero 28338 del 30/04/2003, Grilli, Rv 225385 , permangono comunque gli effetti dannosi delle opere abusive per il paesaggio o l’ambiente ritenuto dal legislatore meritevole di particolare tutela Sez. 3, numero 30932 del 19/05/2009, cit. ed aveva, quindi, coerentemente affermato che anche l’uso dell’immobile, realizzato in violazione di vincoli, si palesa idoneo ad aggravare le conseguenze dannose prodotte dall’opera abusiva sull’ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico o di altra natura e giustifica pertanto l’applicazione della misura cautelare diretta ad impedire la protrazione o l’aggravamento delle conseguenze dannose del reato. A ben guardare, tuttavia, la sentenza Petrina, laddove aveva affermato che la esclusione della idoneità dell’uso della cosa a deteriorare ulteriormente l’ecosistema protetto dal vincolo deve formare oggetto di un esame particolarmente approfondito da parte del giudice di merito, avendo la valutazione sul punto ad oggetto l’incidenza negativa della condotta su un più delicato equilibrio rispetto a quello riguardante genericamente il carico urbanistico sul territorio, si era già posta in rotta di collisione con il precedente orientamento in base al quale la semplice presenza della struttura abusiva in zona paesaggisticamente vincolata integrava il periculum in mora, collisione maggiormente accentuata dall’affermazione secondo la quale l’ulteriore lesione del bene protetto, derivante dall’uso dell’opera abusiva, deve essere, infatti, esclusa solo ove si accerti la assoluta compatibilità di tale uso con gli interessi tutelati dal vincolo, tenendosi conto della natura di quest’ultimo e della 7 situazione preesistente alla realizzazione dell’opera , dovendo il giudice del merito valutare l’aggravamento delle conseguenze del reato derivante dall’uso dell’immobile anche con riferimento all’ecosistema protetto dal vincolo paesaggistico, oltre che sotto il profilo urbanistico Sez. 3, numero 40486 del 27/10/2010, cit. . Nel solco di tale pronuncia la giurisprudenza successiva di questa Corte di legittimità, sul presupposto che il pericolo, attinente alla libera disponibilità del bene, deve presentare i caratteri della concretezza e dell’attualità, ha sostenuto che i principi, pacificamente applicati per i reati urbanistici, dovessero essere affermati anche in relazione ad opere realizzate in zone sottoposte a vincolo paesaggistico, rientrando, nella finalità del sequestro preventivo, ai sensi dell’art. 321, comma primo, cod. proc. penumero , che il pericolo debba essere effettivo e concreto, sicché, pur confrontandosi con il diverso indirizzo giurisprudenziale e disattendendolo, ha ritenuto, comunque, necessario un accertamento in concreto che l’uso dell’immobile, abusivamente realizzato in zona vincolata, determini un aggravamento delle conseguenze del reato senza quindi che possa esserci una sorta di automatismo tra detto uso e la alterazione dell’ecosistema tutelato dal vincolo Sez. 3, numero 15802 del 07/02/2013, Russo ed altri non mass. Sez. 3, numero 40866 del 20/09/2012, Salati non mass. , precisando comunque che anche l’uso dell’immobile, realizzato in violazione di vincoli, si palesa idoneo ad aggravare le conseguenze dannose prodotte dall’opera abusiva sull’ecosistema protetto da vincolo paesaggistico o di altra natura giustificando l’applicazione della misura cautelare diretta ad impedire la protrazione e l’aggravamento delle conseguenze dannose del reato in presenza però di una accertata incompatibilità di tale uso con gli interessi tutelati dal vincolo. È intervenuta poi la sentenza Giordano, in precedenza richiamata, che ha ribadito tale approccio interpretativo. Sono seguite, tuttavia, altre pronunce che hanno condiviso il diverso orientamento interpretativo sopra ricordate sub 5. Sez. 3, numero 30999 del 27/04/2016, Cardone, non mass. Sez. 3, numero 9950 del 21/01/2016, Ministero Difesa, non mass. sul punto Sez. 3, numero 4646 del 09/12/2015, dep. 2016, Colangelo, non mass. , ma anche numerose altre che sono andate ad innestarsi nel solco tracciato dalla sentenza Giordano e hanno ritenuto incomprensibile la ragione per la quale la valutazione dell’attualità delle esigenze, da ancorare in concreto, con riguardo agli illeciti urbanistici, una volta ultimate le opere, ad una effettiva lesione del bene giuridico, dovrebbe, in caso di opere realizzate in zona vincolata, e per il solo fatto che, dunque, la lesione attingerebbe anche il profilo paesaggistico, esaurirsi nella sola constatazione di opera insediata in un tale contesto, pervenendo alla conclusione che, in adesione all’orientamento espresso dalla sentenza Giordano e rifiutato ogni automatismo tra uso del bene ed alterazione dell’ecosistema, ribadisce la necessità che il giudice dia specifica motivazione, in caso di opere ultimate, dell’attualità delle esigenze cautelari in presenza del reato paesaggistico. Quindi, è intervenuta la sentenza 40677/2016, alla cui condivisibile motivazione si è rimandato, che si è posta il problema della delimitazione dell’applicazione del sequestro preventivo, che, perché non comporti un’indiscriminata ed esasperata compressione dei diritti individuali di proprietà e di libera iniziativa economica privata, in un necessario bilanciamento di interessi, avuta comunque presente, in una gerarchia dei valori costituzionali, la natura di diritti condizionati di quelli su indicati si risolve nelle sue peculiarità e quindi nel pericolo che la libera disponibilità della cosa costituisca un pericolo di aggravamento o di protrazione delle conseguenze del reato o dell’agevolazione della commissione di altri per tutte, Sez. 3, numero 490 del 02/02/1996, Morandi, Rv. 205404 . Pertanto, nella logica del sequestro preventivo cd. impeditivo, il pericolo non può essere ravvisato nella semplice presenza della struttura abusiva realizzata in zona paesaggisticamente vincolata o in una qualsiasi opera eseguita senza autorizzazione in dette zone perché ciò non integra necessariamente il periculum in mora, dovendosi verificare in concreto la sussistenza del pericolo cautelare inteso, come innanzi precisato, come probabilità di danno futuro in conseguenza della effettiva disponibilità materiale o giuridica della cosa pertinente al reato cfr. anche Sez. 3, numero 28233 del 3/3/2016, Menti, Rv. 267410 . E, ancora, in altra pronuncia è stato condivisibilmente ribadito che, in tema di sequestro preventivo di manufatti abusivi realizzati in zona soggetta a vincolo paesaggistico-ambientale, il periculum in mora non può essere desunto solo dalla esistenza ed entità delle opere ultimate, essendo invece necessario dimostrare che l’effettiva disponibilità materiale o giuridica delle stesse, da parte del soggetto indagato o di terzi, possa ulteriormente pregiudicare il bene protetto dal vincolo, sulla base di un accertamento da parte del giudice circa l’incidenza degli abusi sulle diverse matrici ambientali ovvero il loro impatto sulle zone oggetto di particolare tutela Sez. 3, numero 50336 del 5/7/2016, Del Gaizo, Rv. 268331 . 7. Al deficit motivazionale sopra evidenziato dovrà quindi porre riparo il Giudice del rinvio che si atterrà ai principi in precedenza esposti ed al quale, previo annullamento dell’impugnata ordinanza, vanno trasmessi gli atti per nuovo esame sul punto. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata limitatamente alla questione concernente il periculum in mora e rinvia al Tribunale di Napoli, Sezione Riesame, per nuovo esame.