Il cointestatario del conto corrente non è sempre obbligato a comunicare all’INPS il decesso del pensionato

Il cointestatario del conto corrente, sul quale vengono accreditate le somme a titolo di pensione di un altro cointestatario, non è obbligato a comunicare all’INPS il decesso del pensionato qualora non rientri tra i soggetti di cui all’art. 72 d.P.R. n. 396/2000 Regolamento per la revisione e la semplificazione dell'ordinamento dello stato civile .

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 14940/18, depositata il 4 aprile. Il caso. Il Tribunale di Cosenza confermava con ordinanza il provvedimento di sequestro preventivo disposto dal GIP di Castrovillari nei confronti della cointestataria del conto corrente del de cuius per il reato di cui all’art. 316- ter c.p. Indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato . La cointestataria non avrebbe, secondo la ricostruzione dei fatti, comunicato all’INPS il decesso dell’altro cointestatario, appropriandosi, di conseguenza, delle indennità pensionistiche di quest’ultimo. Avverso il provvedimento del Tribunale la cointestataria ricorre per cassazione denunciando l’omesso rilascio della documentazione del sequestro e l’erronea qualificazione del fatto come integrante il delitto di cui all’art. 316- ter c.p Indebita percezione di erogazioni. Il Supremo Collegio, ripercorrendo le differenze intercorrenti tra il reato di truffa aggravata ex art. 640- bis c.p. e quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato ex art. 316- ter c.p., ribadisce che quest’ultima fattispecie presuppone che la percezione delle erogazioni pubbliche sia comunque avvenuta dietro la presentazione di documenti falsi condotta attiva ovvero a cagione della omessa comunicazione di informazioni dovute” condotta omissiva . Nel caso di specie, la Suprema Corte precisa che la comunicazione del decesso del pensionato debba, così come previsto dalla circolare INPS n. 33/2015, effettuarsi all’Istituto entro 48h dal decesso sia dal medico necroscopo, sia dai parenti del defunto . Ciò posto, la Suprema Corte rilevando che nel nostro ordinamento non è previsto uno specifico obbligo di comunicare all’INPS il decesso dell’assicurato in capo al soggetto cointestatario del conto corrente su cui appunto vengano accreditate le somme della pensione del defunto , afferma che per poter ritenere sussistente il fumus commissi delicti del reato ex art. 316- ter c.p., i Giudici della cautela avrebbero dovuto verificare se la ricorrente fosse o meno tenuta a comunicarne il decesso, in quanto rientrante in taluna delle categorie soggettive previste dall’art. 72 d.P.R. n. 396/2000, non potendo discendere tale obbligo – si ribadisce – dalla mera cointestazione del conto corrente . La Corte dunque annulla l’ordinanza con rinvio.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 30 gennaio – 4 aprile 2018, n. 14940 Presidente Rotundo – Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, il Tribunale di Cosenza ha rigettato il ricorso ai sensi dell’art. 324 cod. proc. pen. e, per l’effetto, ha confermato il provvedimento di sequestro preventivo disposto dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Castrovillari nei confronti di P.R.M. , per il reato di cui all’art. 316-ter cod. pen. In particolare, alla ricorrente è contestato di essersi ella indebitamente appropriata delle indennità pensionistiche di A.P., cointestatario del suo conto corrente, di cui aveva omesso di comunicare all’Ufficio di Stato civile del Comune ed all’INPS il decesso. 2. P.R.M. ricorre avverso il provvedimento a mezzo del difensore di fiducia Avv. A.G.F. e ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi 2.1. violazione del diritto di difesa, per avere la Procura della Repubblica omesso di rilasciare la copia del documento su cui si fonda il sequestro 2.2. violazione di legge penale in relazione all’art. 316-ter cod. pen., per avere il Tribunale errato nel ritenere integrato il reato in oggetto sul presupposto che la P. abbia omesso di comunicare all’INPS il decesso di A.P. cointestario del suo conto corrente, non essendo ella tenuta da alcun dovere giuridico a dare tale comunicazione, non essendo parente dell’A Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato per le ragioni di seguito esposte. 2. È inammissibile il motivo di ricorso col quale il ricorrente deduce la violazione del diritto di difesa, per omesso rilascio di copia del provvedimento di sequestro. Ed invero, la ricorrente si limita ad eccepire la lesione delle prerogative difensive, ma non documenta di avere richiesto il rilascio di copia dei documenti su cui si fonda il provvedimento né la mancata evasione della richiesta, di tal che il rilievo si appalesa generico. 3. Coglie, di contro, nel segno la seconda deduzione. 3.1. Mette conto di rilevare preliminarmente che l’art. 316-ter cod. pen. inserito dall’art. 4 della legge 29 settembre 2000, n. 300 sanziona, salvo che il fatto costituisca il reato di cui all’art. 640-bis , la condotta di chiunque mediante l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere, ovvero mediante l’omissione di informazioni dovute, consegue indebitamente, per sé o per altri erogazioni da parte dello Stato, enti pubblici o Unione Europea. Giusta l’espressa clausola di riserva, l’incriminazione è sussidiaria rispetto al reato di truffa aggravata artt. 640 commi primo e secondo n. 1, 640 bis cod. pen. e, dunque, colpisce quei comportamenti non integranti le condotte fraudolente contemplate da queste ultime disposizioni. Ne consegue che la semplice presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere non integra necessariamente il primo delitto, ma - quando abbia natura fraudolenta - può configurare gli artifici o raggiri descritti nel paradigma della truffa e, unitamente al requisito della induzione in errore , può comportare la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 640 o 640 bis cod. pen. Sez. 2, n. 23623 del 08/06/2006, Corsinovi, Rv. 234996 . Ancora, si è ribadito che integra il delitto di truffa aggravata e non quello di indebita percezione di erogazioni a danno dello Stato l’utilizzazione o la presentazione di dichiarazioni o documenti falsi o attestanti cose non vere, o l’omissione di informazioni dovute, quando hanno natura fraudolenta Sez. 2, n. 21609 del 18/02/2009, Danese, Rv. 244539 . Come si evince dalla lettura dei lavori parlamentari, con l’introduzione nel nostro sistema penale dell’art. 316-ter cod. pen., il legislatore della legge 29 settembre 2000, n. 300, ha invero inteso assicurare agli interessi da esso considerati una tutela aggiuntiva e complementare rispetto a quella già offerta dall’art. 640-bis cod. pen., garantendo la copertura sanzionatoria anche a quelle condotte non incluse dal perimetro punitivo della truffa. L’ipotesi di cui all’art. 316-bis è dunque applicabile in tutti i casi in cui difettino la natura fraudolenta della condotta e l’induzione in errore. Come ha bene chiarito questa Corte riunita nel suo più ampio consesso, l’ambito di applicabilità dell’art. 316-ter cod. pen. si riduce così a situazioni del tutto marginali, come quelle del mero silenzio antidoveroso o di una condotta che non induca effettivamente in errore l’autore della disposizione patrimoniale Sez. U, n. 16568 del 19/04/2007, Carchivi, massimata su altro Sez. 2, n. 49642 del 17/10/2014, Ragusa, Rv. 261000 . 3.2. Tracciato il discrimen fra il reato di truffa e quello di cui all’art. 316-ter cod. pen., occorre ancora porre in rilievo che tale ultima incriminazione - se pure deve essere esclusa allorquando siano ravvisabili i presupposti della fraudolenza dell’agire id est gli artifici e raggiri che appunto connotano la truffa presuppone che la percezione delle erogazioni pubbliche sia comunque avvenuta dietro la presentazione di documenti falsi condotta attiva ovvero, per quanto rileva ai fini della decisione del caso sub iudice, a cagione della omessa comunicazione di informazioni dovute condotta omissiva . L’inerzia o il silenzio possono integrare l’elemento oggettivo del reato de quo a condizione che siano antidoverosi , cioè che corrispondano all’omesso adempimento di un obbligo di comunicazione e che ad essi si correli l’erogazione non dovuta cioè sine titulo da parte dello Stato o dell’ente pubblico. 4. Tanto premesso in linea generale e passando al caso di specie, giova rilevare come il Tribunale di Cosenza abbia rigettato il ricorso per riesame avverso il provvedimento di sequestro disposto dal Gip del Tribunale di Castrovillari nei confronti della P. evidenziando come ella si appropriasse delle somme versate dall’INPS sul conto cointestato con A.P. pensionato INPS , di cui non aveva appunto comunicato a detto ente erogatore il decesso. Quanto alla doverosità di tale comunicazione, il Collegio della cautela ha rilevato che, come da circolare INPS n. 33/2015 a seguito della legge 23 dicembre 2014, n. 190, il decesso del pensionato deve essere comunicato all’INPS entro 48 ore dal decesso del pensionato sia dal medico necroscopo, sia dai parenti del defunto. 4.1. Prima di passare alla disamina del caso di specie, occorre fare chiarezza in ordine alla disciplina in tema di comunicazioni del decesso dell’assicurato INPS. L’art. 72 del d.P.R. 3 novembre 2000, n. 396, prevede l’obbligo di comunicare la morte di una qualunque persona, non oltre le ventiquattro ore dal decesso, all’ufficiale dello stato civile del luogo dove questa è avvenuta o, nel caso in cui tale luogo si ignori, del luogo dove il cadavere è stato deposto, a carico dei congiunti o della persona convivente con il defunto o di un loro delegato o - in mancanza - della persona informata del decesso ovvero, in caso di morte in ospedale, casa di cura o di riposo, collegio, istituto o qualsiasi altro stabilimento, in capo al direttore o a chi sia stato a ciò delegato. D’altra parte, l’art. 34 l. 21 luglio 1965, n. 903, e l’art. 31, comma 19, I. 27 dicembre 2002, n. 289, fanno obbligo al responsabile dell’Ufficio Anagrafe del Comune di comunicare all’ente di previdenza la morte dell’assicurato, obbligo punito con una sanzione amministrativa pecuniaria dall’art. 46 d.l. 30 settembre 2003, n. 269, convertito in legge 24 novembre 2003, n. 326. Con la legge 23 dicembre 2014, n. 190, un analogo obbligo di comunicazione è stato posto a carico anche del medico necroscopo, con la previsione della comminatoria - per il caso di inosservanza - di una sanzione amministrativa pecuniaria. In particolare, l’art. 1 della legge n. 190 del 23 dicembre 2014, prevede al comma 303 che A decorrere dal 1 gennaio 2015, il medico necroscopo trasmette all’Istituto nazionale della previdenza sociale, entro 48 ore dall’evento, il certificato di accertamento del decesso per via telematica on line secondo le specifiche tecniche e le modalità procedurali già utilizzate ai fini delle comunicazioni di cui ai commi precedenti. In caso di violazione dell’obbligo di cui al primo periodo si applicano le sanzioni di cui all’articolo 46 del decreto-legge 30 settembre 2003, n. 269, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 novembre 2003, n. 32 . Inoltre, al comma 304 dello stesso art. 1 il legislatore ha disciplinato la restituzione delle somme erogate successivamente al decesso dell’assicurato, disponendo che Le prestazioni in denaro versate dall’INPS per il periodo successivo alla morte dell’avente diritto su un conto corrente presso un istituto bancario o postale sono corrisposte con riserva. L’istituto bancario e la società Poste italiane Spa sono tenuti alla loro restituzione all’INPS qualora esse siano state corrisposte senza che il beneficiario ne avesse diritto. L’obbligo di restituzione sussiste nei limiti della disponibilità esistente sul conto corrente. L’istituto bancario o la società Poste italiane Spa non possono utilizzare detti importi per l’estinzione dei propri crediti. Nei casi di cui ai periodi precedenti i soggetti che hanno ricevuto direttamente le prestazioni in contanti per delega o che ne hanno avuto la disponibilità sul conto corrente bancario o postale, anche per ordine permanente di accredito sul proprio conto, o che hanno svolto o autorizzato un’operazione di pagamento a carico del conto disponente, sono obbligati al reintegro delle somme a favore dell’INPS. L’istituto bancario o la società Poste italiane Spa che rifiutino la richiesta per impossibilità sopravvenuta del relativo obbligo di restituzione o per qualunque altro motivo sono tenuti a comunicare all’INPS le generalità del destinatario o del disponente e l’eventuale nuovo titolare del conto corrente . 4.2. Tirando le fila di quanto testé delineato, nel nostro ordinamento, non è previsto uno specifico obbligo di comunicare all’INPS il decesso dell’assicurato in capo al soggetto cointestatario del conto corrente su cui appunto vengano accreditate le somme della pensione del defunto. Ciò salvo che il cointestatario del conto corrente su cui venga accreditata la pensione non rientri anche in taluna delle categorie previste dal citato art. 72 d.P.R. n. 396 del 2000 in quanto congiunto, persona convivente con il defunto o un delegato di questi, persona comunque informata del decesso ovvero direttore della struttura ove sia ospitato il pensionato all’atto della morte o persona delegata , nel qual caso, giusta il disposto della norma appena citata, sarà invece tenuto ad assolvere all’onere di comunicazione della morte all’ufficiale dello stato civile del luogo del decesso o di deposizione della salma. Ufficiale di stato civile a sua volta obbligato a comunicare all’INPS il decesso del pensionato in forza dei citati artt. 34 l. n. 903 del 1965 e 31, comma 19, l. n. 289 del 2002. 5. Tanto premesso e passando al caso di specie, rileva il Collegio che, per poter ritenere sussistente il fumus commissi delicti del reato ex art. 316-ter cod. pen., i Giudici della cautela avrebbero dovuto verificare se la P. - che beneficiava di erogazioni certamente non dovute, in quanto riferibili all’A., pensionato INPS medio tempore defunto - fosse o meno tenuta a comunicarne il decesso, in quanto rientrante in taluna delle categorie soggettive previste dall’art. 72, non potendo discendere tale obbligo - si ribadisce - dalla mera cointestazione del conto corrente. Di siffatto accertamento non v’è, tuttavia, traccia alcuna nel provvedimento emesso dal Tribunale, né nel provvedimento c.d. genetico di cui integra e completa l’apparato argomentativo , nei quali la P. non viene neanche indicata quale parente dell’A. , di tal che non è possibile affermare che le erogazioni da ella indebitamente percepite siano derivate da un suo comportamento omissivo antidoveroso . 5. Giova, sin d’ora, rimarcare che, anche qualora si accertasse l’assenza di un obbligo di comunicazione del decesso in capo alla P. terza beneficiaria di erogazioni pensionistiche, l’appropriazione delle somme del pensionato INPS, cointestario del conto corrente medio tempore defunto, risulterebbe certamente indebita, in quanto sine titulo. Con la conseguente integrazione della diversa fattispecie incriminatrice prevista all’art. 646 cod. pen 5.1. Giusta il potere del giudice della cautela come del merito , sia esso Gip, Tribunale in sede di riesame o Corte di cassaziongdi dare al fatto sottoposto al proprio vaglio la corretta veste giuridica, in ossequio al principio iura novit curia ex plurimis, Sez. U, n. 16 del 19/06/1996, Di Francesco, Rv. 205617 Sez. 2, n. 4638 del 20/10/1999 - dep. 2000, Schettino, Rv. 216348 e, dunque, ferma la possibilità di inquadrare il fatto de quo nel delitto di cui all’art. 646 cod. pen., resterebbe nondimeno da verificare se, trattandosi di reato procedibile a querela, essa sia stata ritualmente e tempestivamente presentata dall’INPS. 5.2. Va ancora notato che, qualora dagli atti risultasse invece che la percezione dei ratei pensionistici dell’A. da parte della P. è avvenuta in forza, non di un mero comportamento antidoveroso id est dell’omessa comunicazione del decesso , bensì di un comportamento attivo - segnatamente dietro la presentazione di documentazione falsa o di altra attestazione circa l’esistenza in vita del titolare della pensione così da incidere sull’attività accertativa e di controllo affidata all’Ente previdenziale, dunque in forza di una condotta fraudolenta idonea a determinare l’induzione in errore integrante il reato di truffa v. sub paragrafo 3.1 del considerato in diritto -, il Tribunale non potrebbe limitarsi a riqualificare la fattispecie concreta, trattandosi di fatto in senso materiale naturalistico diverso da quello risultante dagli atti, ma dovrebbe annullare il provvedimento per violazione del principio di necessaria correlazione tra imputazione provvisoria e provvedimento ablativo dovendo così declinarsi in fase cautelare il principio affermato nell’art. 521 cod. proc. pen. . Ed invero, in tema di misure cautelari reali, la funzione di controllo attribuita al giudice del riesame, se pure consente di confermare il provvedimento impositivo anche per ragioni diverse da quelle indicate nel provvedimento stesso, trova un limite nella correlazione ai fatti posti a fondamento della misura cautelare, che non possono essere sostituiti o integrati da ipotesi accusatorie autonomamente formulate dal tribunale, in base a dati di fatto del tutto diversi, spettando tale potere di impulso esclusivamente al pubblico ministero Sez. 2, n. 47443 del 17/10/2014, Crugliano, Rv. 260829 . In caso di annullamento, rimarrebbe comunque ferma la possibilità per il P.M. di richiedere al Gip l’emissione un nuovo provvedimento ablativo in relazione al diverso fatto reato ex art. 640-bis cod. pen P.Q.M. annulla l’ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di Cosenza.