Stalking aggravato dalla finalità di odio razziale: condannato minorenne

La circostanza aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso è configurabile non solo quando l’azione, per le sue intrinseche caratteristiche e per contesto in cui si colloca, risulti intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo, in futuro o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori, ma anche quando essa si rapporti, nell’accezione corrente, ad un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, non avendo rilievo la mozione soggettiva dell’agente.

La Suprema Corte sentenza n. 14200/18, depositata il 28 marzo , ponendosi nel solco della sua più recente giurisprudenza ritiene che l’aggravante in questione, introdotta dall’art. 3 d.l. n. 122/1993, convertito in l. n. 205/1993 c.d. Legge Mancino , è integrata quando - anche in base alla Convenzione di New York del 7 marzo 1966, resa esecutiva in Italia con la l. n. 654/1975 - l'azione si manifesti come consapevole esteriorizzazione di un sentimento di avversione o di discriminazione fondato sulla razza, l'origine etnica o il colore, non essendo comunque necessario che la condotta incriminata sia destinata o, quanto meno, potenzialmente idonea a rendere percepibile all'esterno - e, quindi, a suscitare - il riprovevole sentimento o, comunque, il pericolo di comportamenti discriminatori o di atti emulatori, anche perché ciò comporterebbe l'irragionevole conseguenza di escludere l'aggravante in questione in tutti i casi in cui l'azione lesiva si sia svolta in assenza di terze persone. Il caso concreto. In risposta alla denuncia subita, un minore quattordicenne poneva in essere condotte persecutorie, minacce e percosse, in danno di una donna e della figlia minore. Tali condotte vessatorie venivano reiterate in serrata sequenza temporale, indotte da fine ritorsivo aggravate anche dalla finalità di discriminazione di odio etnico e razziale e rafforzate dal coinvolgimento nella persecuzione di altri giovani, univocamente ispirati dal medesimo intento. Per tali fatti di reato l’imputato veniva condannato dal giudice di prime e seconde cure, avverso le quali veniva interposto ricorso per cassazione lamentando il travisamento della prova essendo mancata la verifica dell’ in attendibilità della persona offesa e l’insussistenza dell’aggravante speciale in quanto le espressioni censurate non erano riconducibili a manifestazioni di odio razziale. Nessun travisamento della prova. Nel dichiarare inammissibile il ricorso, la Suprema Corte non perde occasione di ricordare anche per avallare l’almeno 60% delle inammissibilità dei ricorsi per cassazione che in caso di doppia conforme che 1 le motivazioni dei giudici di merito si integrano e completano vicendevolmente in un unicum organico e inscindibile, laddove la sentenza di appello può rinviare per relationem sia nella ricostruzione del fatto che nelle parti non oggetto di specifiche censure 2 il travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione solo qualora il materiale probatorio travisato è stato introdotto per la prima volta nella motivazione del giudice di seconde cure in caso contrario esso doveva essere rilevato già in sede di motivi di appello . Inoltre, il ricorso un ulteriore duplice profilo di inammissibilità il ricorrente cerca di far rientrare nel travisamento quella che è in sostanza una rivalutazione dell’apparato probatorio importando nel giudizio di legittimità parte dell’istruttoria con una critica frammentaria e atomistica inoltre, poiché manca l’integrale trascrizione o allegazione degli atti specificamente indicati, il gravame proposto è ritenuto dagli ermellini generico e non autosufficiente. Discriminazione razziale il quadro normativo. Sul piano del diritto positivo italiano, le disposizioni penali che puniscono le manifestazioni di discriminazione razziale prendono le mosse dalla ratifica della Convenzione di New York del 7 marzo 1966, intervenuta con la legge 13 ottobre 1975, n. 654, il cui art. 3 puniva tra l’altro, la diffusione in qualsiasi modo di idee fondate sulla superiorità o sull’odio razziale o etnico, ovvero dell’incitamento a commettere o della commissione di atti di violenza o provocazione alla violenza per motivi razziali, etnici, nazionali o religiosi art. 3 . Così aderendo alla Convenzione internazionale sulla eliminazione di tutte le forme di discriminazione razziale, aperta alla firma a New York, infatti, gli Stati contraenti si erano impegnati art. 4 Conv. a dichiarare crimini punibili dalla legge, ogni diffusione di idee basate sulla superiorità o sull’odio razziale, ogni incitamento alla discriminazione razziale, nonché ogni atto di violenza, od incitamento a tali atti diretti contro ogni razza o gruppo di individui di colore diverso o di diversa origine etnica. L’accidentalia delicti dell’odio razziale. La legge Mancino del 1993 – nella dichiarata volontà di dare attuazione al menzionato art. 4 della Convenzione così testualmente all’art. 1, comma 1 – ha voluto ampliare la gamma delle condotte fino ad allora punibili e consistenti, tra l’altro – per quanto concerne le forme attinenti alla propaganda – nella diffusione o nell’incitamento a comportamenti fondati sull’odio razziale, creando la circostanza aggravante dell’art. 3 d.l. n. 122/1993, che è contestabile in relazione alla consumazione di qualsiasi reato commesso con la detta finalità diverso da quelli puniti con la pena dell’ergastolo e che sia ovviamente diverso da quelli specificamente previsti come reato in sé dalla stessa Legge Mancino. Si tratta di un caso di aggravante rinforzata” ossia non soggetta a giudizio di bilanciamento , ciò che rileva ai fini del riconoscimento della stessa è l’aver commesso il fatto costituente qualsivoglia reato, purché punito con pena diversa dall’ergastolo per finalità di discriminazione o odio etnico, nazionale, razziale o religioso , ovvero di agevolazione dell’attività di organizzazioni, associazioni, movimenti o gruppi che hanno tra i loro scopi le medesime finalità. E la sua interpretazione nel diritto vivente. Per tale ragione la giurisprudenza di legittimità più recente che ha analizzato la detta circostanza aggravante ha escluso che costituisca elemento caratterizzante quello della diffusione dell’odio o dell’incitamento ad esso, ossia della percepibilità all’esterno della manifestazione di odio razziale o etnico o religioso dovendosi considerare che una simile accezione del precetto – oltre ad essere superflua tutte le volte in cui la diffusione o l’incitamento costituirebbero in sé reato – lo renderebbe inapplicabile ad una serie cospicua di reati quelli cioè che si svolgono in assenza di persone diverse dall’agente e della persona offesa senza che una simile volontà legislativa sia desumibile dalla norma, invece di amplissimo respiro, e senza oltretutto che la differenziazione possa apparire ragionevole, tenuto conto che l’odio e la discriminazione razziale ben possono connotare azioni anche gravissime che però si svolgano in un contesto privato sez. V n. 43488/15 . Proprio in un caso di stalking, infatti, si è ritenuta sussistente l’aggravante in quanto l’odio razziale dell’imputata si era manifestata fin dal trasferimento nel condominio della vittima, appellandola come negra” e pretendendo che fosse allontanata Sezione V, n. 25756 del 2015 . Espressioni sintomatiche dell’orientamento discriminatorio della condotta. Aderendo a tale orientamento, la Suprema Corte dichiara manifestamente infondato il motivo proposto sul punto, ritenendo corretta l’applicazione dell’aggravante dei giudici di merito che avevano richiamato non solo l’inequivoco ed esplicito tenore delle espressioni ingiuriose, semanticamente rivolte a sottolineare in modo spregiativo la nazionalità della persona offesa, ed il significato irridente della mimica grottesca alla stessa rivolta, bensì il generale contesto persecutorio nel cui ambito le stesse manifestazioni di odio razziale sono state ripetutamente e consapevolmente rese.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 febbraio – 28 marzo 2018, numero 14200 Presidente Palla – Relatore Tudino Ritenuto in fatto 1.Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Messina ha confermato la sentenza del Tribunale per i Minorenni in sede del 16 giugno 2016, con la quale l’imputato è stato condannato alla pena di giustizia per i reati di atti persecutori, minaccia e percosse, aggravati anche dalla finalità di discriminazione e di odio etnico e razziale, in danno di B.L. e della figlia minore, Y.S. . 2. Avverso la sentenza, ha proposto ricorso l’imputato, per mezzo del difensore, articolando diversi ordini di censure. 2.1 Con il primo motivo, deduce violazione di legge e correlato vizio motivazionale. Il giudice di merito avrebbe errato nell’effettuare il giudizio prognostico di imputabilità, omettendo i necessari accertamenti sulla personalità e sulla capacità a delinquere dell’imputato, all’epoca appena quattordicenne, in riferimento alla concreta fattispecie ed ai fattori socio-ambientali di riferimento, che avrebbero dovuto condurre ad escluderne la capacità di discernimento. L’impossibilità di espletare l’accertamento in concreto a causa del tempo decorso e della maturità acquisita si risolve in mancato accertamento dell’imputabilità, non essendo ammesso a riguardo il ricorso a presunzioni. 2.2 Censura, con il secondo motivo, il travisamento della prova, non avendo il giudice di merito fatto corretta applicazione dei principi che governano la valutazione della prova indiziaria e delle dichiarazioni della persona offesa, di cui è stata omessa la necessaria verifica di attendibilità, soprattutto con riferimento alla ritenuta riconducibilità ai fatti per cui si Procede dell’insorgenza di un disturbo post traumatico da stress, rispetto al quale è stata omessa la valutazione di fattori causali alternativi. 2.3 Lamenta, con il terzo motivo, violazione degli artt. 187 e 192 cod. proc. penumero in riferimento alla aggravante di cui all’art. 3 d.l. 122/1993, ritenuta sussistente alla stregua delle sole dichiarazioni della persona offesa, senza operare una puntuale analisi differenziale tra percezione soggettiva della finalità di discriminazione e l’oggettiva portata delle espressioni censurate, non riconducibili a manifestazione di odio razziale. 2.4 Affida al quarto motivo di ricorso censure inerenti il trattamento sanzionatorio, avendo il giudice di merito disatteso la richiesta di applicazione delle attenuanti generiche con motivazione solo apparente e che non ha tenuto conto dei principi declinati a riguardo dalla giurisprudenza di legittimità. Considerato in diritto 1. Il ricorso presenta molteplici profili di inammissibilità. 2. Il secondo motivo di ricorso è inammissibile per avere ad oggetto una censura non consentita. 2.1 Devesi, innanzitutto, rilevare come la responsabilità dell’imputato sia stata affermata all’esito di un duplice conforme accertamento operato dal Tribunale e dalla Corte di Appello. Ed è noto come, in tal caso, la sentenza impugnata e quella di appello si integrino vicendevolmente in un unicum organico ed inscindibile, formando una sola entità logico - giuridica, alla quale occorre fare riferimento per valutare la congruità della motivazione, tanto che il giudice di appello, in caso di pronuncia conforme a quella appellata, può limitarsi a rinviare per relationem a quest’ultima sia nella ricostruzione del fatto sia nelle parti non oggetto di specifiche censure cfr., Sez. 2, 19.3.2013 numero 30.838 Sez. 2, 13.2.2014 numero 19.619, Bruno . Per altro verso, questa Corte ha più volte avuto modo di chiarire come, in ipotesi di cosiddetta doppia conforme , il vizio del travisamento della prova per utilizzazione di un’ informazione inesistente nel materiale processuale o per omessa valutazione di una prova invece decisiva può essere dedotto con il ricorso per cassazione, ai sensi dell’art. 606, comma primo, lett. e cod. proc. penumero , solo nel caso in cui il ricorrente rappresenti - con specifica deduzione che il dato probatorio asseritamente travisato è stato per la prima volta introdotto come oggetto di valutazione nella motivazione del provvedimento di secondo grado cfr., Sez. 5, 13.2.2017 numero 18.975, Cadore Sez. 2, 18.11.2016 numero 7.986, La Gumina Sez. 2, 24.1.2007 numero 5.223, Medina . Nel caso in esame, sia il Tribunale per i minorenni che la Corte di Appello hanno congruamente motivato con riguardo a tutte le condotte oggetto di contestazione, mentre le censure del ricorrente si limitano a ribadire la tesi difensiva già respinta nei due gradi di merito tornando, ancora in questa sede, a sottolineare la inadeguatezza della provvista probatoria. La motivazione della sentenza impugnata si confronta, invece, esplicitamente con le censure articolate nell’atto di gravame, operando la ragionevole valutazione di attendibilità della persona offesa, la coerente lettura degli ulteriori elementi di prova e la corretta qualificazione giuridica dei fatti. Di guisa che le censure sollevate esorbitano dal novero di quelle sottoponibili al sindacato di questa Corte di legittimità, attingendo questioni di merito affrontate nel giudizio di appello con argomentazioni complete e plausibili. 2.2 La censura relativa alla valutazione della prova ritenuta travisata si fonda, inoltre, sul richiamo di testimonianze del cui contenuto si assume il travisamento, sostanzialmente importando nel giudizio di legittimità parte dell’istruttoria di merito su cui si richiede impropriamente alla corte di esprimersi, con ciò evidenziando un ulteriore ed insuperabile profilo di inammissibilità della doglianza. A fronte delle argomentate considerazioni svolte nelle sentenze di merito, il ricorrente prospetta una critica frammentaria ed atomistica delle singole fonti di prova, formulando interrogativi alternativi su prospettate letture di diverso segno, senza che a ciò segua l’allegazione di specifici punti di contrasto e omettendo uno scrutinio serio e complessivo della tenuta logica della motivazione censurata. E siffatta modalità di formulazione della doglianza rende ex se inammissibili le censure con la stessa proposte, anche sotto il profilo della necessaria autosuffienza del ricorso, atteso che In tema di ricorso per cassazione, sono inammissibili, per violazione del principio di autosufficienza e per genericità, i motivi che deducano il vizio di manifesta illogicità o contraddittorietà della motivazione e, pur richiamando atti specificamente indicati, non contengano la loro integrale trascrizione o allegazione . Sez. 2, Sentenza numero 20677 del 11/04/2017 Ud. dep. 02/05/2017 Rv. 270071, N. 26725 del 2013 Rv. 256723, N. 43322 del 2014 Rv. 260994, N. 46979 del 2015 Rv. 265053 . Risulta, in particolare, che i giudici di merito abbiano fatto corretta applicazione dei principi che governano l’apprezzamento delle dichiarazioni della persona offesa, scrutinandone puntualmente l’attendibilità anche attraverso il richiamo alle ulteriori fonti dimostrative, con motivazione diffusa e persuasiva. 2.3 Ed anche in riferimento alla ricostruzione causale dell’evento del delitto di atti persecutori, la corte territoriale ha operato valutazioni razionalmente giustificate e giuridicamente corrette. Ed invero, in tema di atti persecutori, la prova dell’evento del delitto, in riferimento alla causazione nella persona offesa di un grave e perdurante stato di ansia o di paura, deve essere ancorata ad elementi sintomatici di tale turbamento psicologico, ricavabili dalle dichiarazioni della stessa vittima del reato, dai suoi comportamenti conseguenti alla condotta posta in essere dall’agente ed anche da quest’ultima, considerando tanto la sua astratta idoneità a causare l’evento, quanto il suo profilo concreto in riferimento alle effettive condizioni di luogo e di tempo in cui è stata consumata Sez. 5, Sentenza numero 17795 del 02/03/2017 Ud. dep. 07/04/2017 Rv. 269621, N. 14391 del 2012 Rv. 252314, N. 24135 del 2012 Rv. 253764, N. 20038 del 2014 Rv. 259458, N. 50746 del 2014 Rv. 261535 . 3. Il terzo motivo è manifestamente infondato. 3.1 Secondo il consolidato orientamento di legittimità la circostanza aggravante della finalità di discriminazione o di odio etnico, razziale o religioso è configurabile non solo quando l’azione, per le sue intrinseche caratteristiche e per il contesto in cui si colloca, risulta intenzionalmente diretta a rendere percepibile all’esterno e a suscitare in altri analogo sentimento di odio e comunque a dar luogo, in futuro o nell’immediato, al concreto pericolo di comportamenti discriminatori, ma anche quando essa si rapporti, nell’accezione corrente, ad un pregiudizio manifesto di inferiorità di una sola razza, non avendo rilievo la mozione soggettiva dell’agente Fattispecie in cui alla persona offesa è stata indirizzata l’espressione negra puttana Sez. 5, Sentenza numero 13530 del 08/02/2017 Ud. dep. 20/03/2017 Rv. 269712 N. 38591 del 2008 Rv. 242219, N. 38597 del 2009 Rv. 244822, N. 49694 del 2009 Rv. 245828, N. 22570 del 2010 Rv. 247495, N. 43488 del 2015 Rv. 264825 . Il tratto essenziale dell’aggravante risiede nella consapevole esteriorizzazione, immediatamente percepibile, di un sentimento connotato dalla volontà di escludere condizioni di parità per ragioni fondate sulla appartenenza della vittima ad una etnia, razza, nazionalità o religione Sez. F, Sentenza numero 38877 del 20/08/2015 Ud. dep. 24/09/2015 Rv. 264786 Sez. 5, Sentenza numero 43488 del 13/07/2015 Ud. dep. 28/10/2015 Rv. 264825 , che si manifesta attraverso espressioni che, al di là del loro intrinseco carattere ingiurioso, appaiano sintomatiche dell’orientamento discriminatorio della condotta Sez. 5, Sentenza numero 43488 del 13/07/2015 Ud. dep. 28/10/2015 Rv. 264825 . E siffatta finalità discriminatoria si apprezza non solo attraverso l’intrinseco tenore semantico delle espressioni utilizzate, ma anche con riferimento alle modalità della condotta e della dinamica dell’aggressione Sez. F, Sentenza numero 38877 del 20/08/2015 Ud. dep. 24/09/2015 Rv. 264786 , restando irrilevanti le ragioni, che possono essere anche di tutt’altra natura, alla base della condotta Sez. 5, Sentenza numero 30525 del 04/02/2013 Cc. dep. 15/07/2013 Rv. 255558 . 3.2 La corte territoriale ha fatto corretta applicazione dei principi citati, richiamando non solo l’inequivoco ed esplicito tenore delle espressioni ingiuriose, semanticamente rivolte a sottolineare, in senso fortemente dispregiativo, la nazionalità della persona offesa, ed il significato irridente della mimica grottesca alla stessa rivolta, bensì il generale contesto persecutorio nel cui ambito le stesse manifestazioni di odio razziale sono state ripetutamente e consapevolmente rese. Sul punto, il ricorrente non si confronta con le argomentazioni rassegnate nella sentenza impugnata, limitandosi ad invocare l’esclusione dell’aggravante omettendo l’analisi degli indicatori, puntualmente evidenziati nel percorso giustificativo del giudice di merito. 4. Del tutto generica si appalesa anche la censura che lamenta l’omesso accertamento dell’imputabilità. 4.1 Secondo il consolidato orientamento di legittimità, ai fini dell’accertamento della non imputabilità derivante da immaturità, l’indagine sulla personalità del minore non richiede necessariamente un accertamento di tipo psichiatrico, in quanto l’esame della maturità mentale del minore può legittimamente essere condotto attraverso la valutazione degli esperti o delle persone che abbiano avuto rapporti con l’imputato - attività indicate dall’art. 9, comma secondo, d.P.R. numero 448 del 1988 - ed in base a tutti gli elementi desumibili dagli atti e, tra questi, dalle modalità del fatto, esaminate anche in considerazione dell’età del minorenne, le quali dimostrino la sussistenza di detta imputabilità In motivazione la S.C. ha precisato che l’incapacità di intendere e di volere da immaturità ha carattere relativo nel senso che, trattandosi di qualificazione fondata su elementi non solo biopsichici ma anche socio - pedagogici, relativi all’età evolutiva va accertata con riferimento al reato commesso, sulla base degli elementi, offerti dalla realtà processuale Sez. 1, Sentenza numero 18345 del 21/12/2016 Ud. dep. 11/04/2017 Rv. 269815 N. 27243 del 2011 Rv. 250918, N. 27243 del 2011 Rv. 250918 . Ed a tale accertamento la corte non si è sottratta, enucleando la valenza senz’altro consapevole delle ripetute condotte vessatorie portate in danno della persona offesa e della figlioletta, reiterate in serrata sequenza temporale ed indotte da fine ritorsivo quale reazione a precedente denuncia , qualificate dall’esplicitazione di manifestazioni d’odio razziale e rafforzate dal coinvolgimento nella persecuzione di altri giovani, univocamente ispirati dal medesimo intento. Di guisa che non è stato, ragionevolmente, accreditato alcun dubbio sulla capacità di discernimento dell’imputato. Non risultano, peraltro, dedotte specifiche circostanze atte a contrastare la valutazione di imputabilità effettuata in primo grado, rispetto alle quali la corte territoriale abbia immotivatamente rigettato il relativo accertamento Sez. 2, Sentenza numero 19989 del 12/05/2005 Ud. dep. 27/05/2005 Rv. 231877 . 5. Analogamente inammissibile, per avere ad oggetto una censura non consentita, è il quarto motivo di ricorso, con cui il ricorrente lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche che, a fronte di specifica deduzione, la Corte territoriale ha escluso alla luce della personalità dell’imputato e della odiosità del fatto per cui si procede. Devesi, a riguardo, richiamare il consolidato orientamento di legittimità secondo cui, in tema di attenuanti generiche, il giudice del merito esprime un giudizio di fatto, la cui motivazione è insindacabile in sede di legittimità, purché sia non contraddittoria e dia conto, anche richiamandoli, degli elementi, tra quelli indicati nell’art. 133 cod. penumero , considerati preponderanti ai fini della concessione o dell’esclusione cfr., così, tra le tante, Cass. Penumero , 5, 13.4.2017 numero 43.952, Pettinelli , non essendo imposto l’esame di tutti i parametri di cui all’art. 133 cod. penumero cfr., in tal senso, Cass. Penumero , 2, 18.1.2011 numero 3.609, Sermone Cass. Penumero , 3, 19.3.2014 numero 28.535, Lule Cass. Penumero , 2, 20.1.2016 numero 3.896, De Cotiis . Ed anche sotto siffatto profilo, la sentenza impugnata appare immune da censure, avendo la corte territoriale puntualmente richiamato i parametri valutati, operandone una ponderazione ispirata a razionalità e coerenza, che si sottrae a censure in questa sede di legittimità. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso. Oscuramento dei dati.