Piccolo spaccio e lieve entità

Il vasto assortimento delle sostanze stupefacenti offerte al consumatore non è sufficiente ad escludere la lieve entità del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. n. 309/1990.

Così la Cassazione, Sesta Sezione Penale, n. 13982/2018, depositata il 26 marzo. La lieve entità” costituisce fattispecie autonoma di reato. Come noto, per espresso dato testuale – per l’inciso contenuto nella prima parte dell’art. 75, comma 5, cit. recitante salvo che il fatto costituisca più grave reato , come riformato dal d.l. n. 36/2014, poi convertito con modifiche – e a seguito dell’intervento demolitore della Corte Costituzionale – che con pronuncia n. 251/2012 ha dichiarato illegittima la norma ex art. 69 c.p. nella parte in cui impediva la prevalenza dell’attenuante della lieve entità ex art. 75 cit. sulla recidiva ex art. 99 c.p. – il fatto di lieve entità ai sensi del comma 5 cit. costituisce fattispecie autonoma di reato, dunque sottratta al bilanciamento delle circostanze. Il fatto di lieve entità” opera trasversalmente alle condotte punite dall’art. 73 del DPR n. 309 del 1990. L’autonomia del reato consente di estenderne ogni ambito applicativo ad ognuno delle condotte specificamente punite dall’art. 73 d.P.R. cit., anche a seguito della sentenza della Corte Costituzionale n. 32/2014 che ha ripristinato ai fini sanzionatori la netta divaricazione fra droghe leggere e droghe pesanti. La necessità di politica criminale della definizione della lieve entità. I giudici di legittimità fanno leva su ragioni di dosimetria della sanzione - appurato che le ipotesi di reato non lieve di cui ai restanti commi dell’art. 73 cit. involgono forbici edittali assai ampie, ai limiti della ragionevolezza e dell’equilibrio – per imporre la definizione quanto più compiuta del fatto lieve di reato ai sensi del comma 5. Il grimaldello ermeneutico sta nel principio di offensività. Dedotti i beni giuridici tutelati dal d.P.R. 309 cit. nella salute e nell’ordine pubblico, in particolare riferiti alle nuove generazioni, il perimetro del fatto lieve” va individuato nel grado di compressione degli interessi lesi secondo le coordinate positive tracciate dal quinto comma cit. di mezzi, modalità, circostanze del fatto nonché di qualità e quantità delle sostanze rinvenute. L’equilibrio fra siffatti criteri va integrato dal dato testuale contenuto nell’art. 76, comma 6, d.P.R. cit. che consente un trattamento sanzionatorio più mite nel caso in cui all’attività dell’organizzazione criminale dedita al traffico degli stupefacenti corrisponda ad un fatto lieve ai sensi del comma 5 dell’art. 73 cit Il piccolo spaccio può allora costituire condotta lieve, ai fini del comma 5 cit Il dato sistematico appena riferito nonché l’attenzione che l’interprete deve riporre alla valutazione dell’offensività globale del fatto, nelle sue articolazioni dinamiche e quali-quantitative delle sostanze stupefacenti in oggetto, impone di escludere che il piccolo spaccio di molteplici droghe - di diversa fattura, origine e di ampio assortimento qualitativo – escluda per ciò solo la configurazione di un fatto lieve, più blandamente punito delle altre ipotesi previste dall’art. 73 cit La Cassazione ha annullato sul punto la sentenza gravata. Nell’equilibrio dei fattori costituenti la lieve entità del fatto, la vasta campionatura delle sostanze poste in commercio può soccombere a fronte di circostanze di fatto comunque sintomatiche di un fatto lieve. La Cassazione, in breve, esclude ipotesi di automatismo fra il piccolo spaccio e condotte più gravi punite dall’art. 73 cit., ed impone valutazioni giudiziali quanto più accurate sull’ambiente di riferimento, sulla continuità delle condotte e sui principi attivi rinvenuti nelle sostanze, eventualmente anche minimi nonostante l’ampio assortimento di droghe oggetto di spaccio.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 20 febbraio – 26 marzo 2018, n. 13982 Presidente Paoloni – Relatore Ricciarelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 15/3/2017 la Corte di appello di Palermo, in parziale riforma di quella del G.U.P. del Tribunale di Palermo del 17/3/2016, ha ridotto la pena irrogata a L.A. per il reato di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del 1990, in relazione alla detenzione di quantitativi di cocaina, hashish e marijuana, confermando peraltro il giudizio di penale responsabilità e negando la riqualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990. 2. Ha proposto ricorso il L 2.1. Con il primo motivo deduce violazione di legge e vizio di motivazione in ordine al mancato riconoscimento dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990, in quanto la Corte non aveva valutato tutti i parametri indicati dalla norma, ma aveva dato rilievo indebitamente alla disponibilità di diverse tipologie di sostanza stupefacente, nonché al dato ponderale e quantitativo, in rapporto al quantitativo del principio attivo, omettendo di confrontarsi con la possibilità di inquadrare la fattispecie all’interno del piccolo spaccio, compatibile con la disponibilità di dosi conteggiate a decine e con una ridotta circolazione di merce e denaro. 2.2. Con il secondo motivo solleva questione di illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, d.P.R. 309 del 1990, nella parte in cui prevede una pena edittale minima di anni otto, per contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost Considerato in diritto 1. Con riguardo alla questione di legittimità costituzionale, è sufficiente richiamare le recenti sentenze n. 179 e n. 184 del 2017 della Corte costituzionale, che si è specificamente pronunciata sul punto, a fronte di identica questione, dichiarata inammissibile. 2. Il ricorso è tuttavia per il resto fondato. 2.1 Va in effetti osservato che la trasformazione dell’ipotesi di cui all’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990 in autonoma fattispecie di reato in ragione delle modifiche introdotte dal d.l. 36 del 2014, convertito con modificazioni dalla legge 79 del 2014 ha comportato di per sé una rivisitazione dei tradizionali orientamenti interpretativi, in modo da riconoscere a tale fattispecie un suo autonomo specifico grado di offensività, correlato ad un dato ontologico-strutturale. Ciò discende anche dal fatto che, a fronte del ripristino delle originarie fattispecie di cui al primo e al quarto comma dell’art. 73 d.P.R. 309 del 1990, conseguente alla sentenza n. 32 del 2014 della Corte costituzionale, la vigente formulazione dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990, che non distingue tra le diverse tipologie di sostanze stupefacenti, si pone come norma che ha un contenuto proprio, non corrispondente a quello delle ipotesi principali, aventi ad oggetto fatti non qualificabili come di lieve entità sul punto si rinvia alle sentenze n. 23 del 2016 e nn. 179 e 184 del 2017 della Corte costituzionale . In tale prospettiva dunque non si tratta solo di addivenire ad un’interpretazione per sottrazione rispetto alla fattispecie primaria, ma di individuare i dati distintivi dell’ipotesi di cui al quinto comma dell’art. 73 cit In ragione della clausola di sussidiarietà posta all’esordio del quinto comma non è dubbio che l’ipotesi della lieve entità debba essere comunque valutata in controluce rispetto alle fattispecie principali, attesa la potenziale sovrapponibilità delle condotte. Tuttavia la necessità di attribuire all’ipotesi minore un suo significato implica, come anticipato, che debba previamente definirsi un canone di apprezzamento compatibile con il grado di offensività proprio di tale fattispecie. 2.2. D’altro canto la rimodulazione dell’art. 73 d.P.R. ha finito per determinare un significativo squilibrio sanzionatorio, a fronte della rilevante divaricazione tra la pena base minima prevista dall’art. 73, comma 1, d.P.R. 309 del 1990, e la pena edittale massima dell’ipotesi minore, divaricazione che la stessa Corte costituzionale ha reputato anomala, tanto da formulare al legislatore un monito perché provveda al riguardo, pur avendo ritenuto la questione in sé inammissibile, in ragione della pluralità di opzioni legislative a tale fine utilizzabili Corte cost. n. 179 del 2017 . Sta di fatto che in tale prospettiva, a fronte di un regime sanzionatorio anomalo e foriero di potenziali squilibri, si impone un’adeguata valorizzazione della fattispecie minore, in modo che la fattispecie principale possa essere applicata nei casi in cui la condotta assuma connotati di offensività peculiari, fermo restando che la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 73, comma 5, d.P.R. non impedisce di riconoscere ad esso, anche in relazione alla personalità del colpevole, connotazioni tali da imporre l’irrogazione di una pena superiore al minimo o addirittura prossima al massimo per l’analisi di tali profili si rinvia a Cass. Sez. 6, n. 1428 del 19/12/2017, dep. nel 2018, Ferretti, non ancora massimata . 2.3. Tenendo conto che le fattispecie di cui all’art. 73 d.P.R. 309 del 1990 sono volte a colpire il mercato della droga, espellendolo dal circuito nazionale poiché, proprio attraverso la cessione al consumatore viene realizzata la circolazione della droga e viene alimentato il mercato di essa che mette in pericolo la salute pubblica, la sicurezza e l’ordine pubblico, nonché il normale sviluppo delle giovani generazioni Cass. Sez. U. n. 9973 del 24/6/1998, Kremi, rv. 211073 , le condotte rilevanti devono essere correlate a tale specie di offensività e dunque al grado della loro concreta idoneità a mettere a repentaglio il bene protetto. In tale ottica va dunque osservato come le condotte prese in considerazione dall’art. 73 cit. siano tutte in astratto predicabili di maggiore o minore offensività. Ciò significa che non può farsi riferimento allo schema astratto della condotta, che riconduce di per sé a profili di rilevanza penale, ma deve aversi riguardo alle connotazioni concrete di essa nei diversi contesti. Tale analisi deve essere sviluppata sia sul piano sistematico sia in rapporto ai parametri delineati dall’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990. 2.4. In tale quadro va rimarcato che la norma fa riferimento alla quantità e qualità dello stupefacente, nonché ai mezzi, alle modalità e circostanze dell’azione. Ma la concreta attribuzione di significato a tali parametri va raccordata alla potenzialità offensiva della condotta ed alle indicazioni che provengono da altri dati normativi sincronicamente valutabili. Così del tutto condivisibilmente è stato segnalato come un elemento di imprescindibile rilievo provenga dall’art. 74, comma 6, d.P.R. 309 del 1990, che contempla la fattispecie dell’associazione minore dedita al narcotraffico, avente ad oggetto il compimento di reati fine connotati dalla lieve entità. Da ciò è stato desunto che il riferimento alle modalità e circostanze dell’azione non possa in alcun modo implicare che siano ostativi alla configurazione dell’ipotesi minore la continuatività delle condotte o lo svolgimento di attività in qualche guisa organizzata, elementi altrimenti tali da impedire in limine la configurabilità dell’ipotesi associativa minore sul punto Cass. Sez. 6, n. 39374 del 3/7/2017, EI Batouchi, rv. 270849 Cass. Sez. 6, n. 48697 del 26/10/2016, Tropeano, rv. 268171 Cass. Sez. F., n. 39844 del 13/8/2015, Bannour, rv. 264678 . D’altro canto proprio la struttura dell’art. 73, comma 5, d.P.R. 309 del 1990, che non distingue a seconda delle specie di sostanze stupefacenti, oggi impedisce di attribuire rilievo dirimente alla disponibilità di tipologie diverse di droga, elemento che nella più recente giurisprudenza non viene più reputato dirimente al fine di escludere la lieve entità Cass. Sez. 6, n. 46495 del 19/9/2017, Rachadi, rv. 271338 Cass. Sez. 4, n. 22655 del 4/4/2017, Ben Ali, rv. 270013 Cass. Sez. 6, n. 14882 del 25/1/2017, Fonzo, rv. 269457 . 2.5. Tutto ciò impone di verificare tutti i parametri delineati dalla norma alla luce di tali linee guida, in modo che sulla base della concomitante valutazione degli stessi possa formularsi il giudizio sul grado di offensività della condotta, incompatibile con l’ipotesi della lieve entità Cass. Sez. 6, n. 29132 del 9/5/2017, Merli, rv. 270562 . In tale ottica ciascuno dei parametri e tutti nel loro complesso costituiscono l’oggetto della valutazione, fermo restando che possono ricorrere situazioni nelle quali uno dei parametri di per sé assuma una rilevanza che finisca per connotare in modo decisivo la condotta, così da renderla irriducibile alla qualificazione in termini di lieve entità in tal senso risultando ancora attuali le valutazioni espresse da Cass. Sez. U. n. 35737 del 24/6/2010, Rico, rv. 247911 . Ciò può valere soprattutto con riguardo al dato quali-quantitativo, in presenza di condotte aventi ad oggetto detenzione o cessione di quantitativi rilevanti, valutati anche alla luce del principio attivo, a prescindere dal riferimento a specifiche modalità o circostanze dell’azione. Vi sono tuttavia, con riguardo ad ogni specie di sostanze stupefacenti, ipotesi intermedie, nelle quali il dato quali-quantitativo non assume rilievo decisivo e ben può essere ulteriormente qualificato da profili collaterali, inerenti agli altri parametri, in modo da risultare per tale via compatibile o meno con l’ipotesi della lieve entità. In tale prospettiva si è cercato di risalire al dato ontologico del c.d. piccolo spaccio, quale forma socialmente tipica di attività illecita, di per sé tale da collocarsi sul gradino inferiore della scala dell’offensività e compatibile con la detenzione di dosi di droga conteggiabili a decine Cass. Sez. 6, n. 15642 del 27/1/2015, Driouech, rv. 263068 Cass. Sez. 6, n. 41090 del 18/7/2013, Airano, rv. 256609 . Si tratta di un approccio che utilmente mira a rendere a priori riconoscibile l’ipotesi della lieve entità sulla base di un parametro esperienziale e che considera altresì l’irrilevanza del mero profilo della continuatività della condotta, ove mantenuta a quel grado di offensività. Si tratta tuttavia di stabilire se anche quel tipo di attività, al di là del quantitativo contestualmente detenuto, sia suscettibile di diversa qualificazione, potendosi ipotizzare che il soggetto disponga di fonti di approvvigionamento certe e stabili o comunque sia in grado di rifornire un vasto mercato a tale riguardo è stato affermato che è legittimo il mancato riconoscimento della lieve entità qualora la singola cessione di una quantità modica, o non accertata, di droga costituisca manifestazione effettiva di una più ampia e comprovata capacità dell’autore di diffondere in modo non episodico, né occasionale, sostanza stupefacente, non potendo la valutazione della offensività della condotta essere ancorata al solo dato statico della quantità volta per volta ceduta, ma dovendo essere frutto di un giudizio più ampio che coinvolga ogni aspetto del fatto nella sua dimensione oggettiva Cass. Sez. 3, n. 6871 del 8/7/2016, Bandera, rv. 269149 . A ben guardare dunque in casi siffatti non può essere solo il dato del quantitativo singolarmente spacciato o complessivamente detenuto ad assumere rilievo, bensì il tipo di relazioni che si determinano tra il soggetto e il mercato di riferimento, nel senso che, in rapporto all’offensività della condotta, viene ad assumere specifico rilievo l’entità della droga movimentata in un determinato lasso di tempo e il numero di assuntori che sono stati riforniti, in quanto rientranti nella ordinaria capacità di azione del soggetto. Sotto altro profilo non può disconoscersi come l’offensività della condotta vada correlata anche alla concreta capacità di azione del soggetto agente in rapporto alla rete che opera alle sue spalle e/o in relazione alle modalità utilizzate per porre in essere le condotte illecite al riparo da controlli e azioni repressive delle forze dell’ordine. Ben possono così venire in rilievo la disponibilità di un assetto organizzativo complesso o l’utilizzo di peculiari e studiate modalità per agire sfuggendo all’ordinaria azione preventiva, soprattutto quando tali modalità coinvolgano il contributo di più soggetti o implichino il ricorso a strumenti particolari, per l’occultamento o la movimentazione della droga. In particolare non par dubbio che non possa ravvisarsi di lieve entità il fatto compiuto nel quadro della gestione di una c.d. piazza di spaccio, che fa leva su un’articolata organizzazione di supporto e difesa e assicura uno stabile commercio di sostanza stupefacente. 2.6. Ciò posto, si rileva che la Corte, così come il primo Giudice, ha fondato il proprio giudizio soprattutto sull’elemento rappresentato dalla diverse tipologie di sostanze stupefacente e solo genericamente sul dato quali/quantitativo in tal modo ha finito per valorizzare un elemento che di per sé risulta privo di significato, giacché, come si è osservato, l’ipotesi di cui al quinto comma dell’art. 73 d.P.R. 309 del 1990, avendo un contenuto diverso da quelle delle ipotesi di cui al primo e al quarto comma, è di per sé compatibile con la diversità delle specie di sostanze stupefacenti inoltre non ha sottoposto ad accurata analisi il dato quantitativo, letto alla luce del principio attivo, al fine di verificare se lo stesso potesse o meno dirsi compatibile, con riguardo alla cocaina e/o alle altre specie di sostanze stupefacenti, con l’ipotesi della lieve entità, quale fattispecie dotata di una propria offensività, ontologicamente riconoscibile. 3. La sentenza impugnata deve essere dunque annullata, con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Palermo.