Dubbi di costituzionalità sulla mancata previsione della detenzione domiciliare umanitaria nel caso di grave infermità psichica sopravvenuta

E’ rilevante e non manifestamente infondata, con riferimento agli artt. 2, 3, 27, 32 e 117 Cost., la questione di legittimità costituzionale dell’art. 47-ter, comma 1-ter, ord. penit., nella parte in cui non prevede l’applicazione della detenzione domiciliare anche nelle ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta durante l’esecuzione della pena.

La Suprema Corte rimette d’ufficio alla Corte Costituzionale il vaglio di possibile contrasto con la Costituzione della detenzione domiciliare c.d. umanitaria, dopo aver ricostruito l’attuale quadro normativo interno e quello di derivazione sovrannazionale relativo alla CEDU e all’interpretazione datane dalla Corte di Strasburgo all’art. 3 che vieta che al detenuto possano essere inflitti oltre che la tortura trattamenti inumani o degradanti. Infermità psichica del ricorrente. Il Tribunale di Roma rigettava l’istanza del detenuto di ottenere un differimento della pena per grave infermità, in quanto allo stesso – dovendo scontare una pena residua superiore a sei anni ed essendo affetto da disturbo di natura psichica” – non risultava applicabile l’art. 147 c.p. che prende in considerazione solo la condizione di infermità fisica”. In sede di ricorso per cassazione, il detenuto adduceva che il caso andava inquadrato nell’art. 148 c.p. trattandosi di infermità psichica sopravvenuta tale da impedire l’esecuzione della pena, posto che la gravità di tale patologia psichica induce a ritenere probabili le ricadute sul piano fisico e che, in ogni caso, la prosecuzione della detenzione sostanzi una condizione contraria al senso di umanità. Il quadro normativo vigente. La Prima Sezione di legittimità solleva la questione di legittimità costituzionale della norma dell’ordinamento penitenziario che disciplina la detenzione domiciliare umanitaria dopo aver ricordato che la costante giurisprudenza di Cassazione è ferma nel ritenere che l’insorgenza di patologia di tipo psichico non trovi spazio applicativo né all’interno delle ipotesi di rinvio obbligatorio o facoltativo della pena descritte dagli artt. 146 e 147 c.p. , né nella ipotesi di detenzione domiciliare in deroga ai limiti di pena e ostatività del titolo di reato posto che all’interno dell’art. 47- ter , comma 1- ter , ord. penit. vengono richiamate esclusivamente le condizioni di infermità degli artt. 146 e 147 c.p., e non anche quelle evocate nel testo dell’art. 148 c.p. relative all’infermità psichica sopravvenuta. Abrogazione implicita dell’art. 148 c.p Disposizione, quest’ultima, ormai abrogata peraltro dagli interventi legislativi intervenuti tra il 2012 e il 2014, con l’abolizione degli ospedali psichiatrici giudiziari e la loro sostituzione con le residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza. Né può ipotizzarsi il subingresso della REMS nelle precedenti funzioni accessorie svolte dagli OPG posto che le prima sono luoghi di esecuzione delle sole” misure di sicurezza. Ciò risulta confermato dalla realizzazione, all’interno degli istituti penitenziari di apposite sezioni denominate articolazioni per la tutela della salute mentale che sono dedicate all’accoglienza dei detenuti in precedenza ospitati negli OPG. Discriminazione terapeutica”. Il soggetto affetto da infermità psichica, al momento del fatto non imputabile e pericoloso, viene oggi sottoposto al trattamento riabilitativo presso le REMS, mentre il soggetto in esecuzione pena portatore di una patologia psichica sopravvenuta è quella di detenuto in una delle predette articolazioni poste all’interno del circuito penitenziario. Anche se le due categorie non sono pienamente sovrapponibili, le condizioni di salute dei secondi è del tutto assimilabile, quantomeno sul piano delle prevalenti necessità terapeutiche, a quelle dei non imputabili, tale da fondare l’incidente di costituzionalità. Posta l’assenza di alternativa carceraria per il soggetto in esecuzione pena con residuo pena superiore a quattro anni o con reato ostativo , la Suprema Corte sottolinea la regressione trattamentale del soggetto portatore di infermità psichica in quanto si è avuta la de-giurisdizionalizzazione di un segmento trattamentale di notevole rilievo in quanto a l’allocazione in articolazioni sanitarie interne al sistema penitenziario non è frutto di un provvedimento giurisdizionale ma dell’amministrazione b tale allocazione viene realizzata senza alcuna previa verifica giurisdizionale da parte della magistratura di sorveglianza. Il tutto in assenza di alternative praticabili non essendo prevista la possibilità di accedere alla detenzione domiciliare, né ai REMS. Contrasto con la Costituzione. Tale situazione determina per gli Ermellini il contrasto dell’art. 47- ter , comma 1- ter , ord. penit. per le ipotesi di infermità psichica sopravvenuta. Vengono in rilievo il fondamentale diritto di salute art. 32 Cost. , che deve prevalere, ove gravemente minacciato, rispetto alla tutela di esigenze di contenimento della pericolosità pena il rischio che il mantenimento di tale condizione detentivo possa comportare un trattamento contrario al senso di umanità art. 27, comma 3, Cost. o inumano e degradante, con potenziale violazione dell’art. 3 CEDU. Risultano violati anche gli artt. 2 e 3 Cost. per quanto attiene al bisogno di effettività dei diritti inviolabili della persona umana. I Giudici di legittimità sottolineano come le opportunità di contemperamento dei valori in gioco, e la stessa giurisdizionalità piena dell’intervento sono compromesse, nei confronti del soggetto affetto da infermità psichica sopravvenuta, in un assetto normativo che vede come unica risposta il mantenimento della condizione detentiva e l’affidamento esclusivo del soggetto al servizio sanitario reso in ambito penitenziario. La violazione della CEDU. Ampio il riferimento al possibile contrasto con l’art. 3 CEDU che vieta i trattamenti inumani e degradanti. All’uopo, si ricorda che, seguendo le orme della Corte costituzionale, nella sentenza n. 49/2015, che in presenza un contrasto tra norma interna e norma della Convenzione, il Giudice nazionale deve in prima battuta adottare un approccio ermeneutico in modo da interpretare la prima in senso conforme alla seconda. Ove, tuttavia, il conflitto tra norme risulti netto e la strada dell’interpretazione non percorribile, il Giudice non potrà disapplicare la norma interna, la quale è pur sempre cogente, ma dovrà sollevare questione di legittimità costituzionale per sospetta violazione dell’art. 117. In breve, tertium non datur o si risolve il contrasto in via interpretativa, o lo si affida alla Consulta. La giurisprudenza di Strasburgo. La Suprema Corte ricorda che l’obbligo di interruzione nelle forme del differimento della pena o della misura alternativa della detenzione non conforme ai contenuti dell’art. 3 CEDU è patrimonio giurisdizionale accresciuto dalle pronunce delle Corte EDU, più volte intervenuta, anche nei confronti dell’Italia come nel caso Contrada dell’11.2.2014 con decisioni che hanno accertato la violazione convenzionale proprio in ambito del diritto di salute del recluso e del correlato obbligo di valutare, a fronte di gravi patologie, l’opportunità di mantenere o meno lo stato detentivo carcerario Corte EDU, 13.12.2016, Yunzel contro Russia 6.9.2016, W.D. contro Belgio 9.6.2016, Mekras contro Grecia . In definitiva, per gli Ermellini, l’unica disposizione interna che potrebbe offrire, in caso di patologia psichica sopravvenuta, l’accesso alla composizione del conflitto in chiave di tutela delle garanzie fondamentali – per l’appunto l’art. 47- ter , comma 1- ter , ord. penit. non risulta interpretabile in senso costituzionalmente e convenzionalmente orientato. Pertanto, la palla passa alla Consulta.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, ordinanza 23 novembre 2017 – 22 marzo 2018, numero 13382 Presidente Bonito – Relatore Magi Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Sorveglianza di Roma con ordinanza emessa in data 20 ottobre 2016 ha respinto l’istanza proposta da M.N., tesa ad ottenere il differimento della pena, per grave infermità, ai sensi dell’articolo 147 cod.penumero . Premesso che l’istante risulta ristretto in forza di titolo divenuto definitivo il 12 aprile del 2016 sentenza di condanna per concorso in rapina aggravata e che la pena residua da espiare è pari ad anni sei, mesi quattro e giorni ventuno di reclusione, il Tribunale compie riferimento ai numerosi precedenti penali del M. e ne evidenzia il grado di pericolosità. Viene, in seguito, evidenziato che in data 4 luglio 2016 ed in data 30 settembre 2016 si sono verificati, in costanza di detenzione, due comportamenti autolesionistici taglio della gola posti in essere dal detenuto, che risulta seguito dal medico psichiatra del carcere. Nel valutare la attuale condizione del M., il Tribunale afferma che costui è affetto esclusivamente da un disturbo di natura psichica, inquadrato dal consulente di parte in termini di grave disturbo misto di personalità, con predominante organizzazione border line in fase di scompenso psicopatologico . Pur aderendo a siffatto inquadramento, il Tribunale rileva che la previsione di legge di cui all’articolo 147 cod.penumero non risulta applicabile, in quanto trattasi di normativa che prende in esame esclusivamente la condizione di infermità fisica e non quella di infermità psichica. Nel caso del M. non si evidenziano ricadute di tipo fisico della patologia psichica, il che esclude l’applicabilità della disposizione invocata. 2. Avverso detta ordinanza ha proposto ricorso per cassazione - a mezzo del difensore -M.N., deducendo erronea applicazione della disciplina regolatrice e vizio di motivazione. 2.1 La difesa evidenzia che la storia clinica del M., sotto il profilo della patologia psichiatrica, è radicata nel tempo, risalendo agli anni ‘70. Durante una precedente esecuzione si era accertata la particolare gravità della patologia psichiatrica dell’attuale ricorrente con applicazione di detenzione domiciliare in luogo di cura con allegazione di provvedimento con cui, in data 18 maggio 2001, il Tribunale di Sorveglianza di Roma applicava la detenzione domiciliare in luogo esterno di cura, con diagnosi di depressione maggiore, ai sensi dell’articolo 47 ter co.1 ord.penumero a dimostrazione della non episodicità degli atti autolesivi posti in essere nel 2016. 2.2 Si rappresenta, pertanto, che il caso andava inquadrato nella previsione di legge di cui all’articolo 148 cod.penumero , trattandosi di infermità psichica sopravvenuta tale da impedire l’esecuzione della pena. Era stato chiesto, in alternativa, il ricovero in luogo esterno di cura. Il ricorrente si duole della omessa esecuzione di una perizia, posto che il Tribunale, pur aderendo alla prospettazione del consulente di parte non ha ritenuto che il quadro patologico insorto potesse determinare la sospensione dell’esecuzione, ed evidenzia quanto al preteso vizio argomentativo - da un lato che l’inquadramento operato appare semplicistico, posto che la gravità della patologia psichica induce a ritenere probabili le ricadute sul piano fisico, dall’altro che - in ogni caso - la prosecuzione della detenzione finisce con il determinare una condizione contraria al senso di umanità. CONSIDERATO IN DIRITTO 1. Il Collegio ritiene di sollevare d’ufficio - ai sensi dell’articolo 23 comma 3 legge numero 87 del 11 marzo 1953 - questione di legittimità costituzionale dell’articolo 47 ter co.1 ter legge numero 354 del 26 luglio 1975 da ora in avanti ord.penumero , per le ragioni che seguono. 2. In via preliminare, va precisato che la fase del giudizio di legittimità risulta idonea alla proposizione dell’incidente di legittimità costituzionale, nella misura in cui la Corte di Cassazione - nell’esercizio delle funzioni decisorie sue proprie, perimetrate dai contenuti della decisione impugnata in quanto investiti dai motivi di ricorso articolo 609 cod.proc.pen - rilevi che a in sede di merito, su un punto oggetto di ricorso, è stata applicata una disposizione di legge i cui contenuti precettivi, pur esattamente ricostruiti dal giudice di merito, si pongano in contrasto con quelli desumibili da una o più norme della costituzione b in sede di merito, su un punto oggetto di ricorso, non è stata applicata una disposizione di legge il cui ambito regolativo avrebbe potuto, ove ritenuta applicabile, fornire alla parte ricorrente la tutela richiesta, lì dove la ragione della mancata applicazione risulti frutto - a sua volta - della violazione di norme costituzionali. In altre parole, va ritenuto che la cognizione tipica” della Corte di Cassazione, che non è giudice del fatto ma della corretta interpretazione delle norme giuridiche applicate in sede di merito al caso trattato, non possa impedire al giudice di legittimità di apprezzare non soltanto l’avvenuta applicazione di una disposizione di legge di sospetta incostituzionalità - lì dove il tema risulti rilevante al fine di decidere il ricorso - ma anche la mancata applicazione di una disposizione i cui contenuti, ove rimosso - in tesi - con decisione additiva da parte della Corte Costituzionale il limite reputato irragionevole o comunque contrastante con principi costituzionali avrebbero consentito di offrire al caso trattato una soluzione diversa ed aderente ai contenuti della Costituzione. Ciò che rileva è, infatti, che il dubbio di legittimità costituzionale - sia esso introdotto dalla parte o formulato di ufficio - rilevi sull’esercizio dei poteri giurisdizionali tipici della fase di legittimità e, dunque, sull’accoglimento o meno del ricorso v. Sez. I numero 409 del 10.12.2008, ric. Sardelli, rv 242456 in tema di riproponibilità di eccezione di legittimità costituzionale respinta in sede di merito quanto al potere di sollevare di ufficio la questione, v. Sez. VI numero 1523 del 9.12.1970, dep. 4.2.1971, Benassi, rv 116570 . È evidente, infatti, che la Corte di Cassazione - in quanto giurisdizione di controllo - è chiamata a compiere una applicazione sui generis delle disposizioni di legge rilevanti per la soluzione del caso trattato, ponendosi quale organo cui spetta la verifica della corretta applicazione della legge vigente avvenuta nei precedenti gradi di giudizio, ma ciò non ridimensiona in alcun modo il potere/dovere di attivazione del controllo di legittimità costituzionale lì dove la disposizione o il complesso di disposizioni incidenti sul tema determini un rilevante dubbio di legittimità costituzionale. 3. Ciò posto, il caso in esame si caratterizza per i seguenti aspetti, in fatto a risulta pacifica l’insorgenza a carico di M.N., in costanza di esecuzione della pena, di una patologia di tipo psichico anche i gravi disturbi di personalità rientrano nella nozione di infermità, v. Sez. Unumero 2005 ric. Raso , che lo stesso Tribunale di Sorveglianza procedente finisce per l’individuare, assumendo come fondato il contenuto della consulenza di parte, in un grave disturbo misto di personalità, con predominante organizzazione border line in fase di scompenso psicopatologico b risulta altresì pacifica la ricorrenza, in dipendenza di tali condizioni, di allarmanti gesti autolesivi posti in essere in costanza di detenzione carceraria da M.N. . 3.1 In diritto, il Tribunale di Sorveglianza riprende i contenuti della costante giurisprudenza di questa Corte, ferma nel ritenere che l’insorgenza di patologia di tipo psichico non incidente sulla imputabilità al momento del fatto non trovi regolamentazione nel contenuto dell’articolo 146 del codice penale ipotesi di rinvio obbligatorio della esecuzione della pena , ove al co. 1 numero 3 si prende in esame l’ipotesi della persona affetta da AIDS conclamata o da grave deficienza immunitaria ovvero da altra malattia particolarmente grave per effetto della quale le sue condizioni di salute risultano incompatibili con lo stato di detenzione , né tantomeno rientri nella ipotesi regolamentata nel corpo dell’articolo 147 co. 1 numero 2 del codice penale rinvio facoltativo dell’esecuzione della pena ove si prevede il caso di chi si trova in condizioni di grave infermità fisica . 4. Circa tale specifico aspetto, le doglianze esposte dal ricorrente sono da ritenersi infondate. La linea interpretativa seguita nel corso del tempo da questa Corte di legittimità si veda, di recente, Sez. I numero 37615 del 28.1.2015, Pileri, rv 264876, nonché tra i precedenti arresti Sez. I numero 11233 del 5.12.2000 è - per l’appunto - tesa a marcare una netta differenziazione tra l’ipotesi della infermità fisica e quella della infermità meramente” psichica che non determini una compromissione fisica , atteso che la sola ipotesi - nel caso in esame pacificamente non applicabile in virtù dell’entità della pena residua e della fattispecie di reato - che contempla in modo indifferenziato le condizioni di salute particolarmente gravi, che richiedono costanti contatti con i presidi territoriali risulta essere la disposizione di cui all’articolo 47 ter co.1 lett. cord.penumero ord. penumero , in tema di detenzione domiciliare. Il soggetto portatore di infermità esclusivamente di tipo psichico - sopravvenuta alla condanna - non può accedere, pertanto, secondo l’orientamento interpretativo costante di questa Corte, agli istituti del differimento obbligatorio o facoltativo della pena previsti dagli articoli 146 e 147 cod.penumero né alla particolare ipotesi di detenzione domiciliare in deroga” a limiti di pena ed ostatività del titolo di reato di cui all’articolo 47 ter co.1 ter ord.penumero disposizione introdotta dall’articolo 4 della legge numero 165 del 27.5.1998, sulle cui caratteristiche v. Sez. I numero 17208 del 19.2.2001, Mangino, rv 218762 Sez. I numero 8993 del 13.2.2008, Squeo, rv 238948 Sez. I numero 18439 del 5.4.2013 ric. Lo Bianco, rv 255851 , posto che nel corpo di tale disposizione vengono richiamate esclusivamente le condizioni di infermità di cui agli articoli 146 e 147 del codice penale infermità fisica e non anche quelle evocate nel testo dell’articolo 148 infermità psichica sopravvenuta . Pertanto, è affermazione ricorrente quella secondo cui solo in presenza di ricadute della patologia psichica sul complessivo assetto funzionale” dell’individuo risulta possibile attivare i presidi di cui agli artt. 146 e 147 cod. penumero , come affermato, tra le altre, da Sez. I numero 35826 del 11.5.2016, Di Silvio, iv 268004 Sez. I numero 22373 del 8.5.2009, Aquino, rv 244132 Sez. I numero 41452 del 10.11.2010, Giordano, rv 248470. 4.1 La doglianza del M. introduce - tuttavia - un tema di fondo su cui il Tribunale di Sorveglianza di Roma finisce con l’omettere di pronunziarsi in modo esplicito, rappresentata dalla applicabilità - o meno - della previsione di legge di cui all’articolo 148 cod.penumero o, in alternativa, di forme alternative di prosecuzione della detenzione in luogo esterno al carcere per finalità prevalentemente terapeutiche la misura alternativa della detenzione domiciliare in deroga . Tali aspetti, pertanto, vanno esaminati dal Collegio, posto che anche nella ipotesi di omessa statuizione espressa da parte del giudice del merito su un punto della decisione, lì dove la Corte di legittimità dovesse apprezzare l’esistenza di un limite insuperabile all’accoglimento della domanda, il ricorso non potrebbe trovare accoglimento. La considerazione appena esposta rende rilevante - anche in riferimento ai contenuti dell’articolo 23 co.2 legge numero 53 del 1987 - l’esame del reticolato normativo in tema di trattamento della infermità psichica sopravvenuta al condannato come recita la rubrica dell’articolo 148 cod.penumero al fine di comprendere se ed in quali termini a la disposizione di legge di cui all’articolo 148 cod.penumero possa o meno continuare a trovare applicazione, dato che alla sua apparente vigenza non vi è mai stata abrogazione espressa si contrappone l’esistenza di un ampio percorso legislativo che ha condotto al superamento degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari quali strutture storicamente deputate alla esecuzione delle misure di sicurezza personali b se, in caso di approdo alla ipotesi della inapplicabilità della disposizione in parola, esistano o meno nel sistema dell’esecuzione penale strumenti alternativi idonei ad assicurare la conformità del trattamento del soggetto - affetto da infermità psichica sopravvenuta - ai principi costituzionali ed a quelli contenuti nella Convenzione Europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, incidenti sul tema. 5. Al primo interrogativo va fornita risposta negativa. Nell’attuale momento storico è da ritenersi che la disposizione di legge di cui all’articolo 148 cod.penumero sia inapplicabile, per effetto di abrogazione implicita derivante dal contenuto degli interventi legislativi succedutisi tra il 2012 e il 2014. Il d.l. numero 211 del 22.12.2011, articolo 3ter, convertito dalla legge numero 9 del 7.2.2012 e successivamente integrato dal d.l. numero 52 del 31.3.2014 convertito dalla legge numero 81 del 30 maggio 2014 ha previsto la chiusura degli ospedali psichiatrici giudiziari dal 1975 istituti destinati alla esecuzione delle misure di sicurezza e, con estrema chiarezza, ha previsto che le misure di sicurezza del ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario e dell’assegnazione a casa di cura e custodia sono eseguite esclusivamente all’interno delle strutture sanitarie di cui al comma 2 rappresentate dalle Residenze per l’esecuzione delle misure di sicurezza, operanti su base regionale. La definitiva dismissione degli Ospedali Psichiatrici Giudiziari si è conclusa nel febbraio del 2017, il che esclude radicalmente la sopravvivenza di simili strutture per fini diversi. Al contempo, non può ipotizzarsi il subingresso delle REMS nelle precedenti funzioni accessorie articolo 148 cod.penumero svolte dagli OPG, posto che le vigenti disposizioni di legge indicano le Residenze come luoghi di esecuzione delle sole misure di sicurezza provvisorie o definitive . Non rileva, a tal fine, la previsione della legge numero 103 del 2017, in particolare il punto di delega contenuto nella lettera d dell’articolo 16 co.1 ove si prevede l’assegnazione alle REMS anche dei soggetti portatori di infermità psichica sopravvenuta durante l’esecuzione, in ipotesi di inadeguatezza dei trattamenti praticati in ambito penitenziario trattandosi, per l’appunto, di delega non ancora tradotta in una o più disposizioni concretamente applicabili . Ciò è, del resto, confermato dal fatto che il processo di superamento degli OPG è stato accompagnato dalla realizzazione, all’interno degli Istituti Penitenziari ordinari, di apposite Sezioni denominate Articolazioni per la tutela della Salute Mentale , che previste dall’Accordo del 13 ottobre 2011, sancito in Conferenza Unificata in attuazione del Decreto del Presidente del Consiglio dei ministri 1 ottobre 2008 - sono dedicate all’accoglienza dei detenuti appartenenti a specifiche categorie giuridiche in precedenza ospitati negli OPG per ricevere le necessarie cure ed assistenza psichiatriche. Risultano attivate, da dati del Dipartimento Amministrazione Penitenziaria, 38 Sezioni, per una capienza complessiva di circa 500 posti letto. La previsione di legge che ha consentito la realizzazione delle sezioni speciali è rappresentata dall’articolo 65 ord.penumero ove si prevede l’assegnazione dei soggetti affetti da infermità o minorazioni fisiche o psichiche devono essere assegnati ad istituti o sezioni speciali per idoneo trattamento. Può dirsi dunque realizzata, allo stato, una innovazione del quadro legislativo nel modo che segue - la condizione del soggetto portatore di infermità psichica tale da escludere la capacità di intendere o di volere al momento del fatto, lì dove si riscontri pericolosità sociale, è quella di sottoposizione al trattamento riabilitativo presso le REMS, strutture ad esclusiva gestione sanitaria - la condizione del soggetto in esecuzione pena portatore di patologia psichica sopravvenuta è quella di detenuto, ove possibile allocato presso una delle Articolazioni per la tutela della salute mentale” poste all’interno del circuito penitenziario. Si tratta di due categorie soggettive indubbiamente non pienamente assimilabili ove si consideri il rapporto tra patologia e imputabilità v. Corte Cost. numero 111 del 1996 , atteso che i primi sono i non-imputabili sottoposti a misura di sicurezza mentre i secondi sono condannati dunque hanno commesso consapevolmente l’azione illecita , ma sta di fatto che la condizione vissuta dai secondi è del tutto assimilabile, quantomeno sul piano delle prevalenti necessità terapeutiche, a quella dei non imputabili e pertanto - ove venisse confermata dall’analisi del quadro normativo l’assenza di alternative alla detenzione per i condannati affetti da grave patologia psichica - ne deriverebbe, a giudizio del Collegio la piena cittadinanza del dubbio di legittimità, sufficiente ad attivare l’incidente di costituzionalità. 6. Allo stato attuale della normativa, dunque, non paiono sussistere alternative alla detenzione carceraria, per il soggetto in esecuzione pena con residuo superiore ad anni quattro o per reato ricompreso nella elencazione di cui all’articolo 4 bis ord.penumero affetto da patologia psichica sopravvenuta - come nel caso del M. qui in trattazione -, stante da un lato la impossibilità di usufruire, per assenza dei presupposti di accessibilità, della detenzione domiciliare ordinaria articolo 47 ter co. 1 ord. penumero , dall’altro la già segnalata impossibilità di accedere, per il criterio della interpretazione letterale, alla detenzione domiciliare in deroga” di cui all’articolo 47 ter co.1 ter ord.penumero la disposizione testualmente recita quando potrebbe essere disposto il rinvio obbligatorio o facoltativo della esecuzione della pena ai sensi degli articoli 146 e 147 del codice penale . 6.1 Vero è che tale disposizione, da ultimo citata, nella sua dimensione testuale e nel suo profilo finalistico - di norma ispirata a realizzare una opportuna mediazione tra esigenze di umanizzazione della pena da un lato e di contenimento della residua pericolosità sociale dall’altro - si inserisce nel contesto sistematico previgente, che vedeva rifluire la infermità psichica del condannato nell’ambito applicativo dell’articolo 148 cod.penumero , il che potrebbe portare a ritenere la esclusione del rinvio” alla infermità psichica nel corpo del testo come frutto di una consapevole scelta di affidamento di compiti terapeutici agli OPG, oggi non più esistenti, con possibilità di una estensione meramente interpretativa venuti meno gli OPG - dell’ambito di applicazione della norma alle condizioni patologiche qui considerate. Ma, ad avviso del Collegio, non appare consentita simile operazione di rottura della tipicità tale da estendere, in virtù della chiusura di tali strutture, ai condannati affetti da grave patologia psichica sopravvenuta l’applicabilità dell’istituto della detenzione domiciliare in deroga”. Ostano a tale estensione interpretativa da un lato il criterio letterale, lì dove il testo della disposizione risulti inequivoco, dall’altro la constatazione di una assenza - nel percorso legislativo di chiusura degli OPG - di simile volontà, sinora non espressa dal legislatore. 6.2 Dunque l’esito che il Collegio ricava dal breve excursus sin qui compiuto è quello di convalidare l’ipotesi per cui il condannato affetto da infermità psichica sopravvenuta, lì dove il residuo pena sia superore a quattro anni o si trovi in espiazione per reato ostativo non può accedere - allo stato attuale della legislazione - né agli istituti del differimento della pena articolo 146 e 147 cod.penumero , né al ricovero in OPG di cui all’articolo 148 cod.penumero , né alla collocazione nelle REMS, né alla detenzione domiciliare in deroga” di cui all’articolo 47 ter co.1 ter ord.penumero . Dunque sarebbe inaccoglibile, a normazione invariata, il ricorso proposto dal M. . 7. Tale assetto, ad avviso del Collegio, in particolare per quanto riguarda la non accessibilità alla misura alternativa della detenzione domiciliare in deroga”, impone la rivalutazione dei contenuti di precedenti decisioni, sul tema, della stessa Corte Costituzionale sent. numero 111 del 1996 , ponendosi in contrasto - sotto il profilo della non manifesta infondatezza - con più parametri sia costituzionali che convenzionali norme interposte ai sensi dell’articolo 117 co.1 Cost., come più volte ribadito dallo stesso Giudice delle leggi . 7.1 Va anzitutto ricordato che la stessa previsione dell’articolo 148 cod.penumero era ispirata, specie a seguito della rilevante modifica della sua natura giuridica apportata dalla sentenza numero 146/1975 della Corte Costituzionale, alla realizzazione di un trattamento a prevalente vocazione sanitaria, correlato alla presa d’atto di una condizione patologica tale da impedire l’esecuzione. Il ricovero in OPG, disposto dal giudice, rappresenta va infatti una forma differenziata di esecuzione della pena, nel senso che, la condizione di infermità psichica sopravvenuta non dava luogo a mero differimento o sospensione della pena medesima quanto ad un mutamento di forma, posto che il periodo di ricovero in ospedale psichiatrico giudiziario o di detenzione domiciliare in luogo di cura andavano computati nella esecuzione in corso si veda, sul tema, Sez. I numero 26806 del 27.5.2008, rv 240864 . L’attuale condizione del soggetto portatore di tale tipologia di infermità è pertanto caratterizzata da aspetti di manifesto regresso trattamentale , atteso che a l’allocazione, da detenuto, presso una delle Articolazioni sanitarie interne al sistema penitenziario non è frutto di un provvedimento giurisdizionale come accadeva in precedenza per il collocamento in OPG quanto di una decisione dell’Amministrazione, la cui azione, pur non potendo ritenersi connotata da discrezionalità - in presenza dei presupposti obiettivi - potrebbe essere ostacolata da fattori non dominabili ad es. il sovraffollamento delle strutture b l’allocazione in tali Articolazioni viene di regola realizzata senza alcuna previa verifica giurisdizionale dell’idoneità del trattamento praticabile da parte della Magistratura di Sorveglianza, il che equivale a realizzare una complessiva degiurisdizionalizzazione di un segmento trattamentale di notevole rilievo, in assenza di alternative praticabili, per quanto detto in precedenza né REMS, né ammissione alla detenzione domiciliare . Ciò determina la ricorrenza di contrasto - sotto il profilo della non manifesta infondatezza del relativo dubbio - della disposizione dell’articolo 47ter comma 1 ter ord. penumero con i parametri costituzionali rappresentati dai contenuti degli articoli 2, 3, 27, 32 e 117 Cost., nella parte in cui detta disposizione non include tra i presupposti della detenzione domiciliare in deroga” l’ipotesi della infermità psichica sopravvenuta. 8. Le ragioni del contrasto sono molteplici e vanno esposte nel modo che segue. 8.1 La Corte Costituzionale ha in più occasioni ribadito come la tutela del bene primario della salute articolo 32 Cost. , impone la considerazione particolare della condizione vissuta da un soggetto privato della libertà personale, in un ambito in cui il bene primario in questione deve trovare adeguate garanzie v. sent. numero 70 del 1994 , sempre in rapporto alla valutazione in concreto dello stato patologico da parte del giudice v. sent. numero 438 del 1995 e deve essenzialmente rapportarsi alla preminente finalità rieducativa che la Carta assegna alla pena, ampiamente evidenziata nella decisione numero 313 del 1990, che appare utile riportare per stralcio incidendo la pena sui diritti di chi vi è sottoposto, non può negarsi che, indipendentemente da una considerazione retributiva, essa abbia necessariamente anche caratteri in qualche misura afflittivi. Così come è vero che alla sua natura ineriscano caratteri di difesa sociale, e anche di prevenzione generale per quella certa intimidazione che esercita sul calcolo utilitaristico di colui che delinque. Ma, per una parte afflittività, retributività , si tratta di profili che riflettono quelle condizioni minime, senza le quali la pena cesserebbe di essere tale. Per altra parte, poi reintegrazione, intimidazione, difesa sociale , si tratta bensì di valori che hanno un fondamento costituzionale, ma non tale da autorizzare il pregiudizio della finalità rieducativa espressamente consacrata dalla Costituzione nel contesto dell’istituto della pena. Se la finalizzazione venisse orientata verso quei diversi caratteri, anziché al principio rieducativo, si correrebbe il rischio di strumentalizzare l’individuo per fini generali di politica criminale prevenzione generale o di privilegiare la soddisfazione di bisogni collettivi di stabilità e sicurezza difesa sociale , sacrificando il singolo attraverso l’esemplarità della sanzione. È per questo che, in uno Stato evoluto, la finalità rieducativa non può essere ritenuta estranea alla legittimazione e alla funzione stesse della pena. L’esperienza successiva ha, infatti, dimostrato che la necessità costituzionale che la pena debba tendere” a rieducare, lungi dal rappresentare una mera generica tendenza riferita al solo trattamento, indica invece proprio una delle qualità essenziali e generali che caratterizzano la pena nel suo contenuto ontologico, e l’accompagnano da quando nasce, nell’astratta previsione normativa, fino a quando in concreto si estingue . Ciò che il verbo tendere” vuole significare è soltanto la presa d’atto della divaricazione che nella prassi può verificarsi tra quella finalità e l’adesione di fatto del destinatario al processo di rieducazione com’è dimostrato dall’istituto che fa corrispondere benefici di decurtazione della pena ogniqualvolta, e nei limiti temporali, in cui quell’adesione concretamente si manifesti liberazione anticipata . Se la finalità rieducativa venisse limitata alla fase esecutiva, rischierebbe grave compromissione ogniqualvolta specie e durata della sanzione non fossero state calibrate né in sede normativa né in quella applicativa alle necessità rieducative del soggetto. La Corte ha già avvertito tutto questo quando non ha esitato a valorizzare il principio addirittura sul piano della struttura del fatto di reato cfr. sentenza numero 364 del 1988 . Dev’essere, dunque, esplicitamente ribadito che il precetto di cui al terzo comma dell’articolo 27 della Costituzione vale tanto per il legislatore quanto per i giudici della cognizione, oltre che per quelli dell’esecuzione e della sorveglianza, nonché per le stesse autorità penitenziarie . . Da qui la considerazione, espressa nella decisione numero 70 del 1994 relativa al tema del differimento obbligatorio ex articolo 146 cod.penumero in punto di prevalenza della esigenza di tutela del bene primario della salute, ove gravemente minacciato, rispetto alla tutela di esigenze di contenimento della pericolosità Se, infatti, a fondamento della nuova ipotesi di differimento della esecuzione della pena sta, come si è detto, l’esigenza di assicurare il diritto alla salute nel particolare consorzio carcerario, la liberazione del condannato non può allora ritenersi frutto di una scelta arbitraria, così come neppure può dirsi che la liberazione stessa integri, sempre e comunque, un fattore di compromissione delle contrapposte esigenze di tutela collettiva non è la pena differita in quanto tale, infatti, a determinare una situazione di pericolo, ma, semmai, la carenza di adeguati strumenti preventivi volti ad impedire che il condannato, posto in libertà, commetta nuovi reati. Tuttavia, se a colmare una simile carenza può provvedere, ed è auspicabile che provveda, soltanto il legislatore, deve escludersi che la eventuale lacunosità dei presidi di sicurezza possa costituire, in sé e per sé, ragione sufficiente per incrinare, sull’opposto versante, la tutela dei valori primari che la norma impugnata ha inteso salvaguardare, giacché, ove così fosse, nel quadro del bilanciamento tra le esigenze contrapposte, solo una prevarrebbe a tutto scapito dell’altra. D’altra parte, occorre anche osservare che qualora la norma in esame fosse ritenuta non conforme ai principii costituzionali per il sol fatto che dalla sua applicazione possono in concreto scaturire situazioni di pericolosità per la sicurezza collettiva, ne conseguirebbe che alla esecuzione della pena verrebbe assegnata, in via esclusiva, una funzione di prevenzione generale e di difesa sociale, obliterandosi in tal modo quella eminente finalità rieducativa che questa Corte ha invece inteso riaffermare anche di recente v. sentenza numero 313 del 1990 , e che certo informa anche l’istituto del rinvio che viene qui in discorso . Si tratta di linee-guida che informano, doverosamente, l’intero sistema esecutivo penale che per essere costituzionalmente compatibile deve offrire a opportunità giurisdizionali di verifica in concreto della condizione patologica b strumenti giuridici di contemperamento dei valori coinvolti che siano tali da consentire la sospensione della esecuzione o la modifica migliorativa delle condizioni del singolo, lì dove le ricadute della patologia finiscano con l’esporre il bene primario della salute individuale a compromissione, sì da concretizzare - in ipotesi di mantenimento della condizione detentiva - un trattamento contrario al senso di umanità articolo 27 co.3 Cost. o inumano o degradante con potenziale violazione dell’articolo 3 Convenzione Edu . 8.2 Le opportunità di contemperamento dei valori in gioco, e la stessa giurisdizionalità piena dell’intervento, sono - nei confronti del soggetto affetto da infermità psichica sopravvenuta - come si è detto - compromesse, in un assetto normativo che vede come unica risposta il mantenimento della condizione detentiva e l’affidamento esclusivo del soggetto al servizio sanitario reso in ambito penitenziario. In particolare, anche a fronte della avvenuta constatazione di inadeguatezza di simile trattamento, non risulta consentita - allo stato - né la sospensione dell’esecuzione a meno di non ridiscutere, come pure parrebbe opportuno, il fondamento scientifico della rigida distinzione tra le due classi di patologia, ormai ampiamente posto in crisi da avanzati studi sul fenomeno della comorbilità né l’approdo alla detenzione domiciliare in deroga” articolo 47 ter co.1 ter , lì dove non risulti applicabile quella ordinaria articolo 47 ter co.1 . Assume, pertanto, nuovo significato - alla luce dei descritti mutamenti del quadro normativo - il monito rivolto dalla stessa Corte Costituzionale al legislatore nella decisione numero 111 del 28 marzo 1996. In tale arresto, posta di fronte al dubbio di legittimità costituzionale dell’articolo 148 cod.penumero la Corte - pur condividendo il non soddisfacente trattamento riservato all’infermità psichica grave, sopravvenuta, specie quando è incompatibile con l’unico tipo di struttura custodiale oggi prevista ritenne di spettanza del legislatore l’individuazione di una equilibrata soluzione tale da garantire anche a quei condannati la cura della salute mentale senza che sia eluso il trattamento penale. Negli anni successivi tale invito appare raccolto solo in minima parte v. articolo 47 ter comma 1 lett. c ord.penumero , disposizione che tuttavia incontra limiti di applicabilità correlati a natura del reato ed entità del residuo pena ed attualmente eluso in riferimento alla condizione di quei soggetti affetti da patologia psichica sopravvenuta, non ammissibili alla detenzione domiciliare ordinaria per i limiti di applicabilità della disposizione né a quella in deroga. Ciò determina il dubbio di legittimità costituzionale prima denunziato, in riferimento ai parametri di cui agli artt. 2, 3, 27 e 32 Cost. sia in virtù della indebita contrazione dei poteri giurisdizionali che per quanto attiene il bisogno di effettività dei diritti inviolabili della persona umana. 8.2 Ulteriore parametro è quello relativo alla disposizione costituzionale di cui all’articolo 117 co.1 Cost. in rapporto ai contenuti dell’articolo 3 Conv. Edu. Va ricordato, sul tema, che lì dove sia individuabile una potenziale tensione tra una o più norme di legge ordinaria e i principi della Convenzione Europea per come gli stessi vivono nella interpretazione loro data dalla Corte di Strasburgo, primo - anche se non unico - interprete di quel testo il giudice interno, prima di investire la Corte Costituzionale ha il preciso dovere - più volte sottolineato dal giudice delle leggi - di ricorrere allo strumento della interpretazione - costituzionalmente e convenzionalmente conforme delle disposizioni in rilievo, nel senso che la questione va sollevata solo nel caso in cui il testo della disposizione o delle disposizioni non sia interpretabile in modo tale da evitare ogni potenziale conflitto di significato precettivo. Si veda, in proposito, quanto di recente ribadito da Corte Cost. sent. numero 109 del 5 aprile 2017 nell’attività interpretativa che gli spetta ai sensi dell’articolo 101, secondo comma, Cost., il giudice comune ha il dovere di evitare violazioni della Convenzione Europea e di applicarne le disposizioni, sulla base dei principi di diritto espressi dalla Corte EDU, specie quando il caso sia riconducibile a precedenti di quest’ultima sentenze numero 68 del 2017, numero 276 e numero 36 del 2016 . In tale attività, egli incontra, tuttavia, il limite costituito dalla presenza di una legislazione interna di contenuto contrario alla CEDU in un caso del genere - verificata l’impraticabilità di una interpretazione in senso convenzionalmente conforme, e non potendo disapplicare la norma interna, né farne applicazione , avendola ritenuta in contrasto con la Convenzione e, pertanto, con la Costituzione, alla luce di quanto disposto dall’articolo 117, primo comma, Cost. - deve sollevare questione di legittimità costituzionale della norma interna, per violazione di tale parametro costituzionale ex plurimis, sentenze numero 150 del 2015, numero 264 del 2012, numero 113 del 2011, numero 93 del 2010, numero 311 e numero 239 del 2009 . Si è già spiegato come, ad avviso del Collegio, l’unica disposizione interna che potrebbe offrire - in caso di patologia psichica sopravvenuta - l’accesso alla composizione del conflitto in chiave di tutela delle garanzie fondamentali articolo 47 ter co.1 ter ord.penumero non risulta interpretabile in senso costituzionalmente e convenzionalmente orientato. La protrazione della detenzione del soggetto affetto da grave infermità psichica, pertanto, si espone - in aggiunta a quanto prima rilevato - a rischio concreto di violazione del divieto di trattamenti inumani o degradanti, in un contesto normativo come quello italiano che ha di recente elevato v. artt. 35 bis e 35 ter ord.penumero il divieto in questione a regola fondante del sistema di tutela dei diritti delle persone detenute. 8.3 Non appare dunque possibile prescindere dall’esame sia dell’articolo 3 Conv. Eur. secondo cui nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti disposizione che fornisce ulteriore protezione al diritto al trattamento non contrario” al senso di umanità, in piena assonanza con la disposizione di cui all’articolo 27 Cost Come è noto, nella giurisprudenza della Corte Edu il divieto di cui all’articolo 3 configura un obbligo positivo per lo Stato e non trova forma alcuna di bilanciamento in esigenze antagoniste. In tale ambito, ricorrente è infatti l’affermazione v. decisione Labita contro Italia del 2000 per cui anche nelle circostanze più difficili, quali la lotta contro il terrorismo e il crimine organizzato, la Convenzione vieta in termini assoluti la tortura e le pene o trattamenti disumani o degradanti. L’articolo 3 non prevede restrizioni, in contrasto con la maggior parte delle clausole normative della Convenzione e dei Protocolli nnumero 1 e 4, e secondo l’articolo 15 par. 2 non ammette alcuna deroga, anche in caso di pericolo pubblico che minaccia la vita della nazione sentenze Selmouni c/ Francia GC , numero 25803/94, par. 95, CEDU 1999-V Assenov e altri c/ Bulgaria del 28 ottobre 1998, par. 93 . Il divieto della tortura o delle pene o trattamenti disumani o degradanti è assoluto, quali che siano i comportamenti della vittima sentenza Chahal c/ Regno Unito del 15 novembre 1996, Raccolta 1996-V, p. 1855, par. 79 . La natura del reato ascritto al ricorrente non è pertanto pertinente per quanto riguarda l’esame sulla base dell’articolo 3 . Dunque, lì dove la protrazione del trattamento detentivo, per la particolare gravità della patologia riscontrata, per la inadeguatezza delle cure prestate, per la assenza delle condizioni materiali idonee, risulti contraria al senso di umanità e rischi di dar luogo ad un trattamento degradante, è preciso dovere della autorità giurisdizionale provvedere alla interruzione della carcerazione, mediante l’applicazione delle norme che - in attuazione dell’articolo 27 co. 3 cost. - prevedono tale eventualità. Non può, pertanto, in presenza di serietà di una qualsiasi condizione patologica, trasferirsi sul detenuto - sollecitando trattamenti individualizzati di cui non vi sia preventiva assicurazione e verifica della obiettiva adeguatezza - il disagio imputabile all’assenza di luoghi idonei alla realizzazione dei trattamenti sanitari necessari, posto che la esecuzione della pena inframuraria è recessiva rispetto all’obbligo dello Stato di garantire che le condizioni dei reclusi non si traducano in trattamenti inumani o degradanti. Ancora, appare opportuno ricordare che l’obbligo di interruzione nelle forme del differimento o della misura alternativa di cui all’articolo 47 ter co.1 ter della detenzione non conforme ai contenuti dell’articolo 3 della Convenzione Europea per la tutela dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali, è patrimonio giurisdizionale accresciuto dalle decisioni emesse dalla Corte di Strasburgo, più volte intervenuta anche nei confronti dell’Italia con decisioni accertative di violazione, proprio nel delicato settore del diritto alla salute del soggetto recluso e del correlato obbligo di valutare, a fronte di gravi patologie, la opportunità di mantenere o meno lo stato detentivo carcerario. Nella nota decisione Contrada contro Italia del 11.2.2014 in cui si è affermato che il mantenimento in stato detentivo di quest’ultimo era incompatibile con il divieto di trattamenti inumani e degradanti stabilito dall’articolo 3 la Corte Edu ha affermato, tra l’altro, quanto segue l’articolo 3 impone allo Stato l’obbligo positivo di assicurarsi che esse siano detenute in condizioni compatibili con il rispetto della dignità umana, che le modalità di esecuzione della misura non facciano piombare l’interessato in uno stato di sconforto né lo espongano ad una prova di intensità superiore all’inevitabile livello di sofferenza inerente alla detenzione e che, tenuto conto delle esigenze pratiche della carcerazione, la salute e il benessere del detenuto siano assicurati adeguatamente, in modo particolare attraverso la somministrazione delle necessarie cure mediche Kudla c. Polonia GC , numero 30210/96, § 94, CEDU 2000 XI, e Riviere c. Francia, numero 33834/03, § 62, 11 luglio 2006 . Così, la mancanza di cure mediche adeguate e, più in generale, la detenzione di una persona malata in condizioni non adeguate , può in linea di principio costituire un trattamento contrario all’articolo 3 si vedano, ad esempio, Ilhan c. Turchia GC , numero 22277/93, § 87, CEDU 2000-VII, e Gennadi Naumenko sopra citata, § 112 .La Corte deve tenere conto, in particolare, di tre elementi al fine di esaminare la compatibilità di uno stato di salute preoccupante con il mantenimento in stato detentivo del ricorrente, vale a dire a la condizione del detentuo, b la qualità delle cure dispensate e c l’opportunità di mantenere lo stato detentivo alla luce delle condizioni di salute del ricorrente si vedano Farbtuhs c. Lettonia, numero 4672/02, § 53, 2 dicembre 2004, e Sakkopoulos c. Grecia, numero 61828/00, § 39, 15 gennaio 2004 . Detti principi sono stati ribaditi in più occasioni, con accertamento di violazione del diritto fondamentale riconosciuto dall’articolo 3 della Convenzione arresto del 13 dicembre 2016 Yunzel contro Russia del 6 settembre 2016 W.D. contro Belgio soggetto affetto da disturbi mentali, su cui v. infra del 9 giugno 2016 Mekras contro Grecia del 10 maggio 2016 Topekhin contro Russia sulla necessaria adeguatezza del trattamento delle patologie del 22 marzo 2016 Butrin contro Russia avente ad oggetto il caso di un detenuto disabile perché affetto da grave disturbo della vista del 1 marzo 2016 Lavrov contro Russia detenuto malato di cancro non adeguatamente curato del 23 febbraio 2016 Mozer contro Moldavia del 12 gennaio 2016 Khayletdinov contro Russia, solo per citare le decisioni di maggior rilievo emesse di recente. In particolare la Corte Edu ha in più occasioni affermato la necessità di fornire adeguata tutela a soggetti reclusi portatori - in quanto affetti da patologia psichica - di accentuata vulnerabilità, affermando - nel caso W.D. c. Belgium deciso il 6 settembre 2016 numero 73548/2013 che anche l’allocazione in reparto psichiatrico carcerario può dar luogo a trattamento degradante quando le terapie non risultino appropriate without appropriate medical supervision e la detenzione si prolunghi per un periodo di tempo significativo . la Corte segnala che l’obbligazione derivante dalla Convenzione non si limita a proteggere la società contro i potenziali pericoli posti in essere da criminali affetti da disturbi psichici, ma esigeva altresì di fornire un trattamento idoneo a tali criminali per aiutarli al fine della loro reintegrazione all’interno della società nel modo migliore. Si affermava perciò che le autorità nazionali non si erano sufficientemente prese cura della salute di W.D. per garantirgli che non fosse posto in situazione tale da violare l’articolo 3 della Convenzione. Il fatto che questi fosse stato posto in un’ala di un carcere psichiatrico per un periodo significativo di tempo, senza reale speranza di cambiamento e senza appropriati controlli medici, ha assoggettato lo stesso a difficoltà particolarmente gravi, causandogli afflizione di intensità eccedente l’inevitabile livello di sofferenza intrinseco alla detenzione. La Corte considerava che qualsiasi ostacolo potesse aver creato W.D. col suo comportamento, questo non liberava lo Stato dalle sue obbligazioni nei suoi confronti. Si ripeteva che la posizione di inferiorità e di incapacità che erano tipiche di pazienti ristretti in ospedali psichiatrici esigevano un aumento di controllo nell’esaminare la conformità con la Convenzione che erano ancora maggiori i casi dove persone che soffrivano di disturbi della personalità erano detenuti in un ambiente carcerario. La Corte perciò concludeva affermando che vi era stato trattamento degradante a causa dell’ininterrotta detenzione di W.D. per più di nove anni in ambiente carcerario senza idoneo trattamento per la sua patologia mentale né prospettiva di reintegrazione sociale con violazione dell’articolo 3 della Convenzione . Analoghe affermazioni risultano operate in arresti precedenti, tra cui Claes v. Belgium del 10 gennaio 2013 e Bamouhammad v. Belgium del 17 novembre 2015, il che dimostra come la verifica della adeguatezza del trattamento sanitario praticato, in concreto e non in astratto, sia il parametro su cui occurre misurare la valutazione circa il mantenimento o meno della condizione detentiva , pena il rischio concreto di violazione del divieto di infliggere al detenuto un trattamento inumano o degradante. 9. Per tutte le ragioni sin qui esposte il Collegio ritiene di sollevare di ufficio la questione di legittimità costituzionale con riferimento agli artt. 2, 3, 27, 32 e 117 della Costituzione, dell’articolo 47 ter co.1ter della legge 26.07.1975 numero 354 e succ. mod., nella parte in cui detta previsione di legge non prevede la applicazione della detenzione domicilare anche nelle ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta durante l’esecuzione della pena. Va sospeso il procedimento, come da dispositivo. P.Q.M. Vista la I. 11 marzo 1953 numero 87 articolo 23 solleva, di ufficio, questione di legittimità costituzionale, con riferimento agli artt. 2, 3, 27, 32 e 117 della Costituzione, dell’articolo 47ter co.1ter della legge 26.07.1975 numero 354 e succ. mod., nella parte in cui detta previsione di legge non prevede la applicazione della detenzione domiciliare anche nelle ipotesi di grave infermità psichica sopravvenuta durante l’esecuzione della pena. Sospende il giudizio in corso e dispone l’immediata trasmissione degli atti alla Corte Costituzionale. Dispone altresì che a cura della Cancelleria la presente ordinanza sia notificata al ricorrente, al Procuratore Generale presso questa Corte, al Presidente del Consiglio dei Ministri nonché ai Presidenti delle due Camere del Parlamento.