Il denaro nella disponibilità dell’intermediario della corruzione è sempre oggetto di confisca diretta

Ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ma perde qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità.

Ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ma perde qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità. Ciò che rileva è che le disponibilità economiche del percipiente si siano accresciute di questa somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta” del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo. Ancora una volta la Cassazione sentenza n. 11375/18 depositata il 13 marzo interviene a delimitare i confini tra confisca diretta e confisca per equivalente a vantaggio della prima. Una complessa vicenda di corruzione internazionale. Alle origini della pronuncia in esame vi è una articolata vicenda di corruzione internazionale volta ad acquisire i favori dei vertici politici nigeriani da parte di società controllate da Eni e Shell per ottenere una licenza per lo sfruttamento di un importantissimo giacimento petrolifero sito in Nigeria. Nell’ambito di tale complessa attività di indagine la Procura Elvetica, in accoglimento di rogatoria avanzata dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, aveva sottoposto a sequestro una somma ingente presente su conti correnti svizzeri nella disponibilità del ricorrente ritenuto aver svolto il ruolo di intermediario fra le società facenti riferimento ad Eni e Shell e i funzionari del Governo nigeriano. In tale veste, l’odierno ricorrente avrebbe ricevuto su conti di cui aveva la disponibilità una ingente somma che, costituendo il prezzo del reato, sarebbe stata oggetto di confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 240 c.p Dopo una serie di pronunce di merito che avevano dichiarato inammissibile ogni istanza o impugnazione del ricorrente siccome proposte avverso provvedimento di sequestro emesso da autorità giurisdizionale straniera, la Cassazione, adita in una prima battuta, aveva chiarito che il sistema processuale italiano riconosce a chi vi abbia interesse la possibilità di contestare i presupposti sulla base dei quali la misura cautelare reale era stata richiesta dalla autorità giudiziaria italiana. Dopo il primo annullamento con rinvio da parte degli Ermellini, il Tribunale di Milano aveva rigettato nel merito la richiesta di revoca del sequestro finalizzato alla confisca evidenziando che, da un lato, si trattava di confisca obbligatoria ai sensi dell’art. 240 c.p. in quanto avente ad oggetto il prezzo del reato, rendendo dunque superflua la verifica della sussistenza del periculum in mora , mentre da altro lato gli elementi raccolti a carico dell’indagato andavano ben oltre il fumus commissi delicti , assurgendo al più elevato grado della gravità indiziaria. Avverso la suddetta ordinanza viene proposto ricorso per cassazione evidenziandosi come l’art. 322- ter c.p., comma 2, prevede solo la confisca del profitto del reato e non anche del prezzo. Né, osserva il ricorrente, era possibile invocare correttamente l’art. 240 c.p. che, configurando una misura di sicurezza patrimoniale, nulla ha a che vedere con la confisca per equivalente che, come noto, ha natura sanzionatoria. Con altro motivo veniva censurata la motivazione in punto di ritenuta sussistenza del fumus commissi delicti . In accoglimento della richiesta spiegata dal Procuratore Generale, il ricorso viene dichiarato inammissibile siccome manifestamente infondato. Come premessa, osservano i giudici della Sesta Sezione Penale che l’art. 240 c.p. prevede la confisca obbligatoria del prezzo del reato e, contrariamente a quanto sostiene il ricorrente, come noto l’introduzione della figura della confisca per equivalente non ha voluto limitare, bensì e per contro ampliare la portata della confisca obbligatoria, appunto introducendo anche quella per equivalente” o di valore , a fianco della previsione della confisca del profitto di alcuni delitti contro la pubblica amministrazione. È pacifico, ricorda la Cassazione, che le nuove forme di confisca abbiano ampliato i ristretti confini della confisca tracciati dal dettato dell’art. 240 c.p., con il preciso scopo di privare l’autore del reato dei vantaggi economici derivanti al medesimo dalla commissione dell’illecito. Pertanto – si prosegue nella motivazione – correttamente il Tribunale ha qualificato la somma sequestrata come prezzo del reato, in quanto compenso che il ricorrente avrebbe dovuto percepire per l’attività di intermediazione svolta. La confisca diretta del denaro prezzo” del reato. Il passaggio decisivo, nell’apparato motivazionale della sentenza in commento, si rinviene nel riconoscimento al sequestro operato in danno al ricorrente della natura di sequestro diretto del prezzo del reato e non di un sequestro finalizzato alla confisca per equivalente. Richiamando l’insegnamento delle Sezioni Unite Cass. SS.UU. n. 31617/2015, Lucci , osservano gli Ermellini che, ove il profitto o prezzo sia rappresentato da una somma di denaro, questa si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del reato, perdendo così ogni autonomia e fisica identificabilità. Non è dunque necessario verificare se la somma percepita del reo sia stata spesa, occultata o investita è sufficiente che le disponibilità economiche del reo si siano accresciute di detto importo per legittimare il sequestro di tale somma. Detto sequestro è dunque finalizzato alla confisca diretta e non a quella per equivalente o di valore. Solo nel caso in cui la confisca non possa aver ad oggetto somme di denaro si potrà configurare una confisca per equivalente. La confisca del denaro è sempre confisca diretta. Questa è la conclusione, invero tranchant , a cui giungono gli Ermellini. Trattasi di conclusione che, senza dubbio, aveva preso corpo e forma nella citata decisione a Sezioni Unite, ma che, tuttavia, non aveva assunto i caratteri così definitori di cui pare invero connotarsi nel caso in esame. È la natura del bene sottoposto a confisca a determinare il tipo di confisca. Laddove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro si tratterà sempre e comunque di una confisca diretta e mai di una confisca per equivalente. Una decisione che non mancherà di suscitare legittime perplessità in quanto amplia notevolmente il campo di applicazione della confisca diretta ex art. 240 c.p

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 12 gennaio – 13 marzo 2018, n. 11375 Presidente Mogini – Relatore Calvanese Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Milano, quale giudice del rinvio, a seguito di annullamento disposto dalla Corte di cassazione, con la ordinanza, indicata in epigrafe, rigettava l’appello cautelare proposto nell’interesse di D.N.G. avverso il provvedimento del Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, che aveva dichiarato inammissibile l’istanza di revoca del provvedimento di sequestro di una somma giacente in un conto corrente bancario svizzero riconducibile al suddetto. D.N. risultava indagato per i reati di cui agli artt. 110, 319, 319-bis, 321, 322-bis, secondo comma, n. 2, cod. pen., 3 e 4 L. n. 146 del 2006, per il concorso, quale intermediario, nella corruzione di pubblici funzionari nigeriani in relazione all’acquisizione da parte di società controllate dall’ENI e dalla Shell di una licenza per lo sfruttamento di un giacimento petrolifero denominato OPL 245. Secondo l’ipotesi accusatoria, il meccanismo corruttivo vedeva come contropartita il versamento di una somma pari a 1.092.040.000 ad una società, affinché la stessa salvo circa 300.000 incamerati dalla suddetta società fosse destinata, come accaduto, alla remunerazione sia dell’allora Presidente della Nigeria e di altri membri del governo, nonché di pubblici ufficiali nigeriani sia di intermediari e di amministratori delle suddette società, per determinare i citati pubblici soggetti nigeriani ad adottare un atto con il quale venivano attribuiti alle indicate società i diritti di esplorazione in violazione di legge e a condizioni stabilite da quest’ultime . In particolare, tra gli intermediari di questa operazione era stato individuato lo stesso D.N. , che aveva ricevuto, per il tramite di altro intermediario E.O. , titolare del conto della Energy Venture Partner, l’accredito di parte della suddetta somma, segnatamente di 21,185 milioni di franchi svizzeri. 2. Da quanto emerge dall’ordinanza impugnata, la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano, in relazione a tale procedimento, aveva chiesto con rogatoria alle autorità svizzere il sequestro della somma di 112.606.741,80, giacente sul conto bancario intestato a Energy Venture Partners Ltd, in quanto corpo del reato di corruzione internazionale, con estensione del sequestro ad altri conti sui quali, anche in modo frazionato, la predetta somma fosse stata trasferita che la Procura federale elvetica aveva accolto la domanda di assistenza giudiziaria, con blocco del suddetto conto con provvedimento del 28 maggio 2014 e, dopo averne esaminata la relativa movimentazione, aveva disposto in data 16 giugno 2014 anche il blocco del conto corrente intestato alla F.O.F. riconducibile al D.N. , verso il quale erano state trasferite importanti somme di danaro in data 4 settembre 2015 la difesa di quest’ultimo aveva presentato alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano istanza per la revoca del provvedimento di sequestro, sulla quale l’ufficio giudiziario aveva dichiarato non luogo a provvedere, trattandosi di provvedimento emesso dall’autorità straniera a seguito di rogatoria il Giudice per le indagini preliminari del medesimo Tribunale, adito dalla difesa affinché adottasse i provvedimenti ad hoc previsti dalla legislazione italiana, aveva dichiarato l’istanza inammissibile questa decisione, avverso la quale la difesa aveva proposto appello cautelare, era stata confermata dal Tribunale di Milano, in quanto non impugnabile l’atto di impulso con il quale la Procura della Repubblica presso il Tribunale di Milano aveva chiesto il sequestro all’estero la Corte di cassazione in data 19 ottobre 2016 aveva accolto il ricorso del D.N. , affermando che il sistema processuale riconosceva all’interessato la possibilità di contestare i presupposti sui quali la misura cautelare reale era stata chiesta dall’autorità giudiziaria italiana. 2. Pronunciandosi in sede di rinvio, il Tribunale riteneva infondata nel merito la richiesta di revoca del sequestro preventivo. Secondo il Tribunale, a fronte dei numerosi elementi raccolti, che andavano ben oltre il fumus commissi delicti , configurando addirittura nei confronti dell’appellante un grave quadro indiziario in relazione alla consumazione del reato di corruzione internazionale, dettagliatamente descritto nella commissione rogatoria, integrata anche dalla documentazione acquisita in sede di esecuzione delle rogatorie internazionali disposte, apparivano generiche le argomentazioni della difesa, tali da non smentire allo stato il relativo fumus della consumazione del delitto di concorso nella corruzione internazionale contestato al D.N. , in quanto limitate ad offrire soltanto una diversa interpretazione di fatti inequivocabili ed incontestati la intermediazione svolta dall’indagato, dietro la quale si celavano in realtà condotte di natura corruttiva . Quanto al periculum in mora , il Tribunale osservava che la confisca del prezzo del reato era obbligatoria ai sensi dell’art. 240 cod. pen., essendo irrilevante la tesi difensiva dell’impossibilità di disporre il sequestro del prezzo della corruzione ai sensi dell’at. 322-ter, secondo comma, cod. pen., trattandosi di sequestro diretto del bene. 2. Avverso la suddetta ordinanza, ricorre, ex art. 325 cod. proc. pen., il D.N. , a mezzo del suo difensore di fiducia, deducendo i seguenti motivi di annullamento come sintetizzati nei limiti di cui all’art. 173, disp. att. cod. proc. pen. violazione degli artt. 321, 322-bis cod. pen. in relazione agli artt. 319, 321, 322-bis, secondo comma, e 322-ter cod. pen 2.1. Per la profilata ipotesi di corruzione internazionale extra U.E. art. 322, secondo comma, n. 2, cod. pen. , l’art. 322-ter cod. pen. prevede unicamente al secondo comma la confisca del profitto del reato avendosi riguardo alla condotta del privato per la quale si ravvisa solo il profitto , a differenza del primo comma che per i pubblici ufficiali internazionali U.E. prevede anche la confisca del prezzo. Pertanto nel caso in esame non era possibile richiedere ed ottenere il sequestro probatorio ai fini di confisca del prezzo del reato. Né era possibile invocare l’art. 240 cod. pen., in quanto la confisca per equivalente prevista dall’art. 322-ter cod. pen. non ha la stessa natura della misura di sicurezza patrimoniale di cui all’art. 240 cod. pen. o di quella prevista dall’art. 12-sexies L. n. 356 del 1992. Con memoria depositata il 7 novembre 2017, il ricorrente ha evidenziato che neppure sarebbe invocabile l’art. 335-bis cod. pen., che fa salvo l’art. 322-ter cod. pen. e che la non confiscabilità del bene, come prezzo, si rifletterebbe anche sul periculum in mora . 2.2. Relativamente al fumus commissi delicti , il Tribunale sarebbe incorso in violazione di legge perché la motivazione sul punto sarebbe priva dei requisiti minimo di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidonea a far comprendere l’iter logico seguito. Non sarebbe sufficiente limitarsi a prospettare il fatto-reato con la sua enunciazione e descrizione. Apparente risulterebbe la motivazione in ordine alle censure difensive. Quanto alla mancata movimentazione delle somme, la risposta del Tribunale sarebbe congetturale relativamente alla coltivazione della causa inglese da parte dell’indagato, l’argomentazione del Tribunale risulterebbe incomprensibile, posto che il ricorrente non avrebbe mai smentito il suo ruolo di intermediario in ordine alla sentenza intervenuta nella causa civile tra la Evp e la Malabou ltd, la risposta non sarebbe corretta in quanto il giudice inglese era al corrente delle intercettazioni telefoniche , poco chiara posto che non si comprende perché le parti nel giudizio civile avrebbero dovuto dichiarare l’assunto accusatorio e il Tribunale avrebbe ricalcato pedissequamente le affermazioni de P.M. senza neppure vagliarle , e comunque destituita di fondamento quanto ai rapporti del ricorrente con S. in ordine al coinvolgimento del ricorrente nella trattativa per lo sfruttamento del giacimento petrolifero, le argomentazioni del Tribunale sarebbero apparenti, in quanto non vi sarebbe alcuna contraddizione con la tesi difensiva, posto che la causa civile era stata intentata dalla EVP e solo finanziata dal ricorrente ed era compatibile con il mandato ricevuto per l’intermediazione, mentre le conclusioni del Tribunale in relazione al finanziamento ad opera del ricorrente sarebbero del tutto prive di logica, essendo notorio che i contenziosi inglesi hanno costi elevatissimi e avendo il ricorrente documentato e giustificato il finanziamento effettuato a favore della EVP relativamente al tenore dei messaggi captati, la risposta del Tribunale sarebbe del tutto priva di logica, in quanto gli stessi non rivestivano carattere illecito e non erano collegati all’attività di endorsement quanto alle dichiarazioni di G.D. del coimputato A. , il Tribunale non avrebbe operato alcun tipo di valutazione delle allegazioni difensive. Con memoria depositata il 7 novembre 2017, la difesa ha ulteriormente illustrato i motivi proposti. Con atto del 3 gennaio 2018, il ricorrente ha depositato altra memoria in vista dell’udienza camerale, nella quale ha ribadito i vizi del provvedimento impugnato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile in ogni sua articolazione. 2. Il primo motivo, concernente la confiscabilità e quindi i presupposti del prodromico sequestro della somma, oggetto di rogatoria internazionale, è manifestamente infondato. Il prezzo del reato, in quanto tale, è assoggettato a confisca obbligatoria in base alla disposizione generale prevista dall’art. 240, secondo comma, n. 1 , cod. pen L’ambito di applicazione dell’art. 240 cod. pen. è stato ampliato dal legislatore prima con l’art. 322-ter cod. pen., introdotto dalla L. 29 settembre 2000, n. 300, e poi con l’art. 335-bis cod. pen., introdotto dalla L. 27 maggio 2001, n. 97. Va rilevato che l’art. 322-ter, oltre a rendere obbligatoria per taluni delitti con la pubblica amministrazione anche la confisca del profitto secondo una linea di rigore, che troverà il suo completamento nell’art. 335-bis cod. pen. , ha previsto anche, per gli stessi delitti, la confisca obbligatoria per equivalente o di valore . In tal senso si sono pronunciate tra l’altro anche più volte le Sezioni Unite, rilevando che con l’art. 322-ter cod. pen. il legislatore, lungi dal voler limitare la portata precettiva dell’art. 240 cod. pen., ha voluto, in ossequio a obblighi internazionali, potenziare il contrasto del fenomeno della corruzione e di altri reati contro la pubblica amministrazione, estendendo il carattere della obbligatorietà della confisca anche al profitto che l’art. 240 cod. pen. prevedeva solo come facoltativa ed introducendo altresì la possibilità di applicare la confisca per equivalente Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, in motivazione Sez. U, n. 38834 del 10/07/2008, De Maio, in motivazione Sez. 6, n. 24143 del 09/05/2001, Curtò, Rv. 221361 . Le nuove figure di confisca rappresentano quindi il superamento dei ristretti confini tracciati dalla norma generale di cui all’art. 240 cod. pen. al fine privare l’autore del reato dei vantaggi economici che da esso derivano Sez. U, n. 26654 del 27/03/2008, Fisia Italimpianti, in motivazione . Né la confiscabilità del prezzo del reato può risultare smentita dalla punibilità nel nostro ordinamento della sola condotta di chi corrompe o istiga alla corruzione le persone che esercitano funzioni o attività corrispondenti a quelle dei pubblici ufficiali e degli incaricati di un pubblico servizio nell’ambito di Stati esteri od organizzazioni pubbliche internazionali diversi da quelli Europei Sez. 6, n. 49532 del 05/11/2009, Badalamenti, Rv. 245338 . Nella specie, la somma oggetto della misura cautelare reale è stata correttamente qualificata come prezzo del reato, provvisoriamente contestato al D.N. , di concorso nella corruzione attiva, quale intermediario corruttore somma che, secondo l’accordo corruttivo, costituiva il compenso che il ricorrente doveva percepire dai corruttori a titolo di intermediazione attiva nel reato. Risponde infatti di corruzione colui che pone in essere un’attività di intermediazione finalizzata a realizzare il collegamento tra corruttore e corrotto Sez. 6, n. 3606 del 20/10/2016, Bonanno, 269348 Sez. 6, n. 24535 del 10/04/2015, Mogliani, Rv. 264124 Sez. 6, 33435 del 04/05/2006, Battistella, Rv. 234361 . Configurandosi la corruzione come reato a concorso necessario e a struttura bilaterale, è ben possibile il concorso nell’illecito di terze persone, sia nel caso in cui il contributo di queste si realizzi nella forma della determinazione o del suggerimento fornito al privato o al funzionario pubblico, sia nell’ipotesi in cui i concorrenti eventuali svolgano una funzione di intermediazione, per realizzare il collegamento tra gli autori necessari. Quanto infine all’evocazione nel ricorso della confisca per equivalente, deve osservarsi che le deduzioni sul punto si rivelano del tutto generiche rispetto all’ordinanza impugnata che ha ravvisato nel caso in esame l’ipotesi di sequestro diretto del prezzo del reato, sulla base delle risultanze investigative il bonifico ricevuto dal ricorrente in data 2 maggio 2014 , la cui oggettività non è stata neppure smentita dalla difesa che aveva giustificato la dazione in funzione di una lecita attività di intermediazione . Come hanno di recente affermato le Sezioni Unite, ove il profitto o il prezzo del reato sia rappresentato da una somma di denaro, questa, non soltanto si confonde automaticamente con le altre disponibilità economiche dell’autore del fatto, ma perde - per il fatto stesso di essere ormai divenuta una appartenenza del reo - qualsiasi connotato di autonomia quanto alla relativa identificabilità fisica. Non avrebbe, infatti, alcuna ragion d’essere - né sul piano economico né su quello giuridico - la necessità di accertare se la massa monetaria percepita quale profitto o prezzo dell’illecito sia stata spesa, occultata o investita ciò che rileva è che le disponibilità monetarie del percipiente si siano accresciute di quella somma, legittimando, dunque, la confisca in forma diretta del relativo importo, ovunque o presso chiunque custodito nell’interesse del reo. Soltanto, quindi, nella ipotesi in cui sia impossibile la confisca di denaro sorge la eventualità di far luogo ad una confisca per equivalente degli altri beni di cui disponga l’imputato e per un valore corrispondente a quello del prezzo o profitto del reato, giacché, in tal caso, si avrebbe quella necessaria novazione oggettiva che costituisce il naturale presupposto per poter procedere alla confisca di valore l’oggetto della confisca diretta non può essere appreso e si legittima, cosi, l’ablazione di altro bene di pari valore Sez. U, n. 31617 del 26/06/2015, Lucci, Rv. 264437 . 3. Relativamente alle questioni sollevate dal ricorrente in ordine al fumus commissi delicti , deve rilevarsi come le stesse si risolvano in deduzioni non consentite in questa sede. Va rammentato che il ricorso per cassazione contro ordinanze emesse in materia di sequestro preventivo o probatorio è ammesso solo per violazione di legge, in tale nozione dovendosi comprendere sia gli errores in iudicando o in procedendo , sia quei vizi della motivazione così radicali da rendere l’apparato argomentativo posto a sostegno del provvedimento o del tutto mancante o privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e ragionevolezza e quindi inidoneo a rendere comprensibile l’itinerario logico seguito dal giudice Sez. U, n. 25932 del 29/05/2008, Ivanov, Rv. 239692 . Né può essere proposta come vizio di motivazione mancante o apparente la deduzione di sottovalutazione di argomenti difensivi che, in realtà, siano stati presi in considerazione dal giudice o comunque risultino assorbiti dalle argomentazioni poste a fondamento del provvedimento impugnato Sez. U, n. 33451 del 29/05/2014, Repaci, Rv. 260246 . A ciò deve aggiungersi che il fumus commissi delicti , che costituisce una delle condizioni necessarie e sufficienti per disporre il sequestro preventivo di beni confiscabili, consiste nell’astratta configurabilità, nel fatto attribuito all’indagato e in relazione alle concrete circostanze indicate dal P.M., di una ipotesi criminosa, senza che rilevino né la sussistenza degli indizi di colpevolezza, né la loro gravità Sez. U, n. 920 del 17/12/2003, dep. 2004, Montella, Rv. 226492 Sez. U, n. 4 del 25/03/1993, Gifuni, Rv. 193118 . La verifica delle condizioni di legittimità della misura cautelare da parte del tribunale del riesame e della corte di cassazione non può tradursi infatti in un’anticipata decisione della questione di merito concernente la responsabilità della persona sottoposta ad indagini in ordine al reato oggetto di investigazione ovvero in ordine alla sussistenza di quest’ultimo, ma deve limitarsi al controllo di compatibilità tra la fattispecie concreta e quella legale, rimanendo preclusa ogni valutazione riguardo alla sussistenza degli indizi di colpevolezza ed alla gravità degli stessi Sez. U, n. 7 del 23/02/2000, Mariano, Rv. 215840 . Orbene, il ricorso in esame denuncia invece, sotto la veste di violazione di legge, vizi che non solo attengono in modo palese alla tenuta logica della motivazione, ma che vengono viepiù ad investire la concreta fondatezza della pretesa punitiva. La richiesta valutazione della compatibilità della ipotesi di reato oggetto di indagine con le risultanze delle investigazioni risulta regolarmente effettuata dai giudici del riesame, anche alla luce delle deduzioni difensive degli indagati, con motivazione tutt’altro che apparente. In particolare, il Tribunale ha evidenziato i numerosi elementi che venivano a confortare l’ipotesi accusatoria, secondo cui, dietro la formale attività di intermediazione svolta dal ricorrente, si veniva in realtà a celare una condotta corruttiva, a fronte dei quali quelli dedotti dalla difesa, puntualmente esaminati, risultavano non scalfire il quadro indiziario, in quanto irrilevanti, generici o contraddittori. 4. Alla declaratoria di inammissibilità segue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento ed al versamento a favore della cassa delle ammende della somma a titolo di sanzione pecuniaria, che, in ragione delle questioni dedotte, si stima equo quantificare nella misura di Euro 2.000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000 in favore della cassa delle ammende.