La buona fede è irrilevante se manca il permesso di costruire

In tema di elemento psicologico nei reati edilizi, a seguito della sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte Costituzionale, secondo la quale l'ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilità, scusa l'autore dell'illecito, vanno stabiliti i limiti di tale inevitabilità.

Per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogniqualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosiddetto dovere di informazione , attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell'illecito anche in virtù di una culpa levis ” nello svolgimento dell'indagine giuridica. Per l'affermazione della scusabilità dell'ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto. Lo ha ribadito la Terza Sezione della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 10797/2017, depositata il 12 marzo 2018. La buona fede nei confronti della Pubblica Amministrazione La decisione in commento richiama la nota sentenza n. 364/1988 della Corte Costituzionale, la quale ha elencato una serie di criteri di valutazione della colpevolezza, in relazione alla non scusabilità dell’ error iuris ai sensi dell’art. 5 c.p Essi possono essere divisi tra criteri soggettivi intelligenza, maturazione, scolarizzazione, provenienza, ecc., che vanno valutati solo quando consistono in difetti evidenti della personalità dell’agente criteri oggettivi incomprensibilità assoluta della legge, interpretazioni contrastanti della giurisprudenza, indicazioni fuorvianti dell’Amministrazione, ecc. criteri misti valutazione delle circostanze di fatto che hanno condotto alla deliberazione criminosa, verificando il rispetto dell’obbligo d’informazione giuridica da parte dell’agente, nonché della presenza, in quest’ultimo, di eventuali abilità utili per comprendere il contenuto del precetto penale . La suindicata sentenza della Consulta ritiene scusabile l’errore, derivante da ignorantia legis ”, quando sia stato assolto al massimo il dovere civico di informazione giuridica e, a causa di un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e conseguentemente della liceità del comportamento tenuto. In generale, è illegittima costituzionalmente la punizione di fatti che non risultano essere espressione di consapevole, rimproverabile contrasto con i od indifferenza ai valori della convivenza, espressi dalle norme penali. Deve perciò essere esclusa la punibilità ove sia stato impossibile, per fatto non ascrivibile alla volontà dell'interessato, conoscere il precetto penale. È quindi costituzionalmente illegittimo l'art. 5 c.p. nella parte in cui impedisce ogni esame della rimproverabilità e, pertanto, scusabilità dell'ignoranza della od errore sulla legge penale. Inoltre, il principio di colpevolezza implica che la persona è penalmente responsabile solo per azioni da lei controllabili e mai per comportamenti che solo fortuitamente producano conseguenze parzialmente vietate e comunque mai per comportamenti realizzati nella inevitabile ignoranza del precetto. La Consulta ha – come detto – sancito l’incostituzionalità dell’art. 5 c.p., nella parte in cui non esclude dall'inescusabilità dell'ignoranza della legge penale l'ignoranza inevitabile, atteso il combinato disposto del comma 1 e 3 dell'art. 27 Cost., nel quadro delle fondamentali direttive del sistema costituzionale desunte soprattutto dagli art. 2, 3, 25 comma 2, 73, comma 3, Cost., le quali pongono l'effettiva possibilità di conoscere la legge penale quale ulteriore requisito minimo d'imputazione, che viene ad integrare e completare quelli attinenti alle relazioni psichiche tra soggetto e fatto, consentendo la valutazione e, pertanto, la rimproverabilità del fatto complessivamente considerato. ed il caso di specie. La sentenza in commento ribadisce un consolidato orientamento della giurisprudenza costituzionale e di legittimità, secondo cui, in tema di reati urbanistici, non ricorrono gli estremi della buona fede, idonea ad integrare la condizione soggettiva d'ignoranza inevitabile della legge penale Corte Cost. n. 364/1988 , quando l'imputato abbia eseguito un intervento edilizio in assenza del necessario permesso di costruire in conseguenza di un'erronea interpretazione di una pur chiara disposizione di legge ed omettendo di consultare il competente ufficio, formando il suo convincimento personale sull'insussistenza dell'obbligo di munirsi di apposito titolo abilitativo sulla base di un provvedimento della p.a. riguardante un diverso manufatto rispetto a quello abusivamente realizzato.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 7 febbraio – 12 marzo 2018, n. 10797 Presidente Sarno – Relatore Semeraro Ritenuto in fatto 1. Il p.m. della Procura della Repubblica di Asti ha proposto ricorso avverso la sentenza del 1 giugno 2017 del Tribunale di Asti, con la quale P.I. è stato assolto dai reati di cui agli artt. 44 lett. b D.P.R. 380/01, 93 e 95 d.p.r. 6 giugno 2001 n. 380 perché il fatto non costituisce reato. Rileva il ricorrente che il Tribunale di Asti ha ritenuto sussistente l’elemento oggettivo del reato, consistito nell’aver l’imputato fatto realizzare una tensostruttura senza il rilascio di un permesso di costruire e per le opere in cemento armato, senza la presentazione di un progetto e la relativa denuncia di realizzazione il Tribunale ha però poi assolto l’imputato, ai sensi dell’art. 530 comma 2 cod. proc. pen., perché il fatto non costituisce reato. Il p.m. ha riportato la motivazione della sentenza che ricollega l’assoluzione al fatto che l’imputato ha agito in qualità di Presidente Pro-tempore di una associazione senza scopo di lucro, ed ha agito nella piena convinzione della legittimità del proprio operato, in quanto la tendostruttura è stata realizzata su suolo comunale e con fondi in parte erogati dallo stesso Ente alla cerimonia di inaugurazione della struttura era presente anche un esponente della giunta comunale, in rappresentanza del Comune di Carmagnola. Secondo il Tribunale di Asti, la mancanza di dolo e della colpa deriva dal fatto che l’imputato è soggetto privo di specifiche competenze in materia, ha agito in buona fede, nella convinzione che il montaggio della tendostruttura in oggetto fosse regolare, e ciò in forza del comportamento affidante posto in essere dalla pubblica amministrazione, che ha in parte finanziato l’opera, costruita su suolo di sua proprietà, partecipando anche all’inaugurazione della stessa. Il p.m. ricorrente ha però richiamato gli orientamenti della Corte di Cassazione sulla cd. buona fede nelle contravvenzioni v. da ultimo, sul tema dell’errore nelle contravvenzioni ambientali, la sentenza 7 gennaio 2016, n. 4931 secondo cui La complessità della normativa settoriale non può rappresentare di per sé elemento scusante, sussistendo un dovere di informazione fondato sugli obblighi solidaristici affermati dall’art. 2 Cost., che esclude. l’inevitabilità dell’errore di diritto. Pur ammettendo la notevole complessità della disciplina di settore, non viene meno il dovere strumentale di informazione, il cui adempimento avrebbe impedito la asserita, ma non provata ignoranza della legge penale né, del resto, tale obbligo viene meno in caso di non professionalità dell’attività a maggior ragione trattandosi di persona priva di specifiche competenze settoriali, incombe sull’agente il dovere di informarsi sulla disciplina di settore dell’attività che si intende porre in essere, assolvendo agli obblighi del C.d. homo eiusdem professionis et condicionis. L’ignoranza della normativa settoriale è insufficiente a fondare una valutazione di inevitabilità/scusabilità dell’errore nel senso che nelle fattispecie contravvenzionali, la buona fede può acquistare giuridica rilevanza solo a condizione che si traduca in mancanza di coscienza dell’illiceità del fatto commissivo od omissivo e derivi da un elemento positivo estraneo all’agente, consistente in una circostanza che induca alla convinzione della liceità del comportamento tenuto . Il ricorrente ha richiamato Cass. 7/2/2017, n. 24585, Masoero, che ha affermato la consolidata produzione giurisdizionale di questa Corte è ormai pervenuta ad affermare, sulla scia della fondamentale sentenza n. 368/88 della Corte costituzionale, che nelle fattispecie contravvenzionali la buona fede può acquistare rilevanza giuridica solo a condizione che essa si traduca nella mancanza di consapevolezza dell’illiceità del fatto e che derivi da un elemento positivo estraneo all’agente, consistente in una circostanza che induca alla convinzione della liceità del comportamento tenuto, la prova della sussistenza del quale deve essere fornita dall’imputato, unitamente alla dimostrazione di avere compiuto tutto quanto poteva per osservare la norma violata Sez. 3, n. 35314 del 20/05/2016, dep. 23/08/2016, P.M. in proc. Oggero, Rv. 268000 Sez. 4, n. 9165 del 5/02/2015, dep. 2/03/2015, Felli, Rv. 262443 Sez. 3, n. 42021 del 18/07/2014, dep. 9/10/2014, Paris, Rv. 260657 Sez. 3, n. 49910 del 4/11/2009, dep. 30/12/2009, Cangialosi e altri, Rv. 245863 Sez. 3, n. 46671 del 5/10/2004, dep. 1/12/2004, Sferlazzo, Rv. 230889 Sez. 3, n. 12710 del 29/11/1994, dep. 21/12/1994, D’Alessandro, Rv. 200950 . Rileva quindi il ricorrente che nessuna delle circostanze valorizzate dal Tribunale poteva avere rilevanza sotto il profilo scusante a questo esito si sarebbe potuto giungere soltanto alle seguenti condizioni se l’imputato avesse dimostrato di essersi rivolto agli organi competenti, di aver prospettato ai medesimi correttamente l’intervento da eseguire, di aver ricevuto ampie, precise e inequivoche rassicurazioni, ancorché erronee, circa la non necessità del titolo abilitativo, di aver perciò commesso il fatto in seguito e in conseguenza di quanto appreso dai tecnici comunali. Conclude il ricorrente che soltanto se la condotta incriminata fosse stata posta in essere nella assoluta convinzione della liceità della stessa non bastando l’ignoranza che la stessa fosse proibita causata da un comportamento positivo della P.A. inducente lo stato di errore incolpevole sul precetto penale art. 5 cod. pen. come riletto dalla Corte Costituzionale con la sentenza n. 364/88 , la decisione del Tribunale sarebbe stata legittima. Poiché nulla di tutto questo risulta al processo, si deve ritenere che l’imputato non abbia agito nella condizione suddetta. Rileva il ricorrente che le circostanze addotte in sede dibattimentale, tutte però riferibili al momento successivo alla realizzazione dell’opera, possono aver alimentato la convinzione in capo all’imputato di non aver fatto nulla di illecito, ma non hanno alcun decisivo valore scusante. Il ricorrente ha dunque chiesto l’annullamento della sentenza perché affetta da violazione di legge. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato avendo il giudice erroneamente applicato gli artt. 5 e 43 cod. pen Va ricordato che la Corte Costituzionale, con la sentenza 364 del 1998, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 5 cod. pen. nella parte in cui non esclude dall’inescusabilità dell’ignoranza della legge penale l’ignoranza inevitabile. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 8154 del 10/06/1994 Rv. 197885, Calzetta hanno affermato il seguente principio di diritto A seguito della sentenza 23 marzo 1988 n. 364 della Corte Costituzionale, secondo la quale l’ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilità, scusa l’autore dell’illecito, vanno stabiliti i limiti di tale inevitabilità. Per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell’ordinaria diligenza, al cosiddetto dovere di informazione , attraverso l’espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica. Per l’affermazione della scusabilità dell’ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l’agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell’interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto . Il caso esaminato dalle Sezioni Unite della Corte di Cassazione riguardava proprio i reati urbanistici le Sezioni Unite della Corte di Cassazione confermarono l’assoluzione pronunciata dal giudice di merito per mancanza dell’elemento soggettivo del reato, motivata dalla convinzione degli imputati dell’assenza del vincolo di inedificabilità, più volte affermata in provvedimenti del giudice amministrativo, nonché in specifici atti ufficiali del Ministero dei beni culturali e ambientali e del Comune interessato. Il principio è stato ribadito e precisato successivamente. La Corte di Cassazione ha affermato, infatti, sempre in tema di reati urbanistici, che per trovare applicazione il principio enunciato dalla Corte costituzionale con la sentenza n. 364 del 24 marzo 1988 è necessario che dagli atti del processo risulti che l’agente abbia fatto tutto il possibile per uniformarsi alla legge, sicché nessun rimprovero, neppure di semplice leggerezza, gli possa essere mosso, e che, pertanto, la violazione della norma sia avvenuta per cause del tutto indipendenti dalla sua volontà cfr. sul punto Cass. Sez. 3, n. 2698 del 18/01/1991 - dep. 01/03/1991, Sina, Rv. 186513 . Di conseguenza è stato affermato Cass. Sez. 3, n. 36852 del 10/06/2014, Rv. 259950, Messina che nei reati urbanistici non ricorrono gli estremi della buona fede, idonea ad integrare la condizione soggettiva dell’ignoranza inevitabile della legge penale Corte cost. n. 364 del 1988 , quando l’imputato abbia eseguito un intervento edilizio in assenza del necessario permesso di costruire in conseguenza di una erronea interpretazione di una pur chiara disposizione di legge ed omettendo di consultare il competente ufficio, formando il suo convincimento personale sull’insussistenza dell’obbligo di munirsi di apposito titolo abilitativo sulla base di un provvedimento della P.A. riguardante un diverso manufatto rispetto a quello abusivamente realizzato fattispecie in cui l’imputato aveva costruito un piazzale su una porzione di fondo agricolo ritenendo superfluo il rilascio del permesso di costruire perché il Comune aveva comunicato che non era necessario alcun titolo abilitativo per la realizzazione di una recinzione sul medesimo terreno . 2. Orbene, nel caso in esame le norme sono state erroneamente applicate in quanto l’imputato non è un cittadino comune, ma il presidente di un’associazione, per quanto senza scopo di lucro, ed ha specifici obblighi e responsabilità quanto allo svolgimento delle attività dell’associazione l’opera realizzata è consistita in una nuova volumetria, ancorata al suolo con pilastri, anche di grandi dimensioni, sicché non solo vi è una normativa chiara ma non sfugge neanche al senso comune che la sua realizzazione generi una nuova costruzione rilevante dal punto di vista edilizio non è stato in alcun modo tenuto conto il dovere di informazione dell’imputato, anche rispetto alla sua specifica qualifica non hanno rilevanza alcuna le circostanze di fatto successive alla condotta, come l’erogazione dei fondi da parte del comune e la presenza di esponenti dell’amministrazione pubblica alla inaugurazione della tendostruttura. 3. Pertanto, il ricorso per cassazione deve essere accolto la sentenza impugnata deve essere annullata con rinvio alla Corte di appello di Torino per un nuovo giudizio in base ai principi di diritto sopra espressi. P.Q.M. Annulla con rinvio la sentenza impugnata alla Corte di appello di Torino.