La Corte d’Appello non può sospendere l’esecuzione della sorveglianza speciale

Qualora il decreto applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale sia stato impugnato innanzi alla Corte d’Appello, tale Corte non ha il potere di disporne la sospensione.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 10520, depositata l’8 marzo. Il caso. La Corte d’Appello di Brescia dichiarava con ordinanza l’inammissibilità della richiesta volta ad ottenere, nelle more del giudizio d’impugnazione, la sospensione della misura di prevenzione della sorveglianza speciale emessa dal Tribunale di Bergamo nei confronti dell’imputato. Avverso l’ordinanza della Corte distrettuale l’imputato ricorre per cassazione denunciando come l’art. 10 d.lgs. n. 159/2011 Codice delle leggi antimafia e delle misure di prevenzione , pur non prevedendo la disposizione della richiesta sospensione, di fatto, non la esclude espressamente. Inoltre, il ricorrente sottolinea l’esistenza di precedenti all’interno della giurisprudenza della CEDU a conferma della possibilità di disporre tale sospensione. Impugnazione ed effetto sospensivo. Il Supremo Collegio conferma quanto stabilito dal Giudice d’Appello, poiché l’art. 10 d.lgs. n. 159/2011, prevede testualmente che l’impugnazione non ha effetto sospensivo, né è prevista la possibilità che la Corte di merito disponga, su richiesta del proposto, una sospensione . Parimenti, deve escludersi la rilevanza della giurisprudenza della CEDU invocata dal ricorrente, la quale attiene a tutt’altro aspetto del sistema delle misure di prevenzione . Il principio sulla sospensione delle misure di prevenzione. Ciò posto, la Suprema Corte, nel dichiarare il ricorso inammissibile e nel condannare il ricorrente al pagamento delle spese processuali, fissa il seguente principio di diritto. La Corte di Appello dinanzi alla quale sia proposto appello avverso il decreto applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale non ha il potere di disporre la sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 febbraio – 8 marzo 2018, n. 10520 Presidente Palla – Relatore Borrelli Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza emessa il 27 marzo 2017, la Corte di appello di Brescia ha dichiarato inammissibile la richiesta avanzata dalla difesa di O.G. , tesa ad ottenere, nelle more della celebrazione del giudizio di impugnazione dinanzi a quella Corte avverso il decreto applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale emesso dal Tribunale di Bergamo, la sospensione di quest’ultimo. 2. Avverso detta ordinanza propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia del proposto, Avv. Giuseppe Pierfrancesco Mussumeci, deducendo violazione di legge con riferimento all’interpretazione dell’art. 10 d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159. Il suo assistito aveva richiesto la sospensione sulla scorta del fatto che il procedimento concernente i reati per cui era stata affermata la pericolosità generica era stato archiviato, ma la Corte di appello lo aveva negato perché la relativa possibilità non è prevista dalla legge. Il ricorrente menziona - a sostegno della sua tesi - gli artt. 13, 24 e 111 Cost. e l’art. 2 prot. 4 CEDU, citando altresì la sentenza della Corte EDU De Tommaso contro Italia. Afferma, inoltre, che il termine di trenta giorni per la fissazione del giudizio di appello è ordinatorio e non perentorio sicché era da quattro mesi che si attendeva la fissazione del giudizio di appello. A dire del ricorrente, l’art. 10 cit. non prevede, ma neanche preclude la possibilità di disporre l’invocata sospensione, peraltro a seguito di un procedimento in contraddittorio con il Procuratore generale. 3. Il Sost. Procuratore generale Mariella De Masellis ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità del ricorso, rimarcando il contenuto dell’art. 10 d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, l’impossibilità di applicare l’art. 680 cod. proc. pen., la giurisprudenza formatasi nella vigenza dell’art. 4 I. 27 dicembre 1956 n. 1423 ed il meccanismo di tutela di cui all’art. 11 d.lgs. 159 cit., evidenziando, infine, la non pertinenza della sentenza Corte EDU De Tommaso contro Italia. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile in quanto manifestamente infondato. Come sostenuto dalla Corte di appello, la norma di riferimento, l’art. 10 d.lgs. 6 settembre 2011 n. 159, prevede testualmente che l’impugnazione non ha effetto sospensivo, né è prevista la possibilità che la Corte di merito disponga, su richiesta del proposto, una sospensione. Il precedente citato dal Procuratore generale Sez. 1, n. 26639 del 10/06/2008, Buono, Rv. 240871 è perfettamente calzante giacché, rispetto alla norma speculare a quella oggi vigente, l’art. 4 L. 27 dicembre 1956 n. 1423, ha sancito la rilevanza del silenzio normativo e la limitata applicabilità - peraltro neanche invocata dal ricorrente - dell’art. 680 cod. proc. pen., richiamato solo per quanto concerne la proposizione e la decisione dei ricorsi e fatte salve le disposizioni del decreto 159 il precedente in discorso, inoltre, ha valorizzato le caratteristiche di rapidità che il legislatore ha assicurato allo specifico sistema impugnatorio in materia di prevenzione quale contraltare rispetto alla mancata previsione di una sospensiva. D’altra parte la disciplina delle misure di prevenzione prevede la possibilità di richiedere la revoca o la modifica del provvedimento all’autorità che l’ha disposto, quando sia cessata o mutata la causa che l’ha determinato, sicché esiste un meccanismo di tutela del proposto rispetto alle modifiche della situazione che ha giustificato il provvedimento. Deve, infine, essere esclusa la pertinenza della sentenza Corte EDU De Tommaso contro Italia, che attiene a tutt’altro aspetto del sistema delle misure di prevenzione. Va, pertanto, affermato il principio secondo cui, la Corte di appello dinanzi alla quale sia proposto appello avverso il decreto applicativo della misura di prevenzione della sorveglianza speciale non ha il potere di disporre la sospensione dell’esecuzione del provvedimento impugnato. 2. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della delle ammende. Motivazione semplificata.