Fermo sul pianerottolo dello studio del suo ex avvocato: condannato

Tardivo l’allontanamento dell’uomo, che ha temporeggiato troppo. Esclusa la contestualità rispetto alla richiesta del suo vecchio avvocato di andare via. I Giudici della Corte di legittimità confermano la condanna per violazione di domicilio.

Addio complicato tra avvocato e cliente. Quest’ultimo, in particolare, deve contenere il proprio pressing nei confronti del professionista. Soprattutto perché anche solo restare fermo sul pianerottolo dello studio legale può costare una condanna Cassazione, sentenza n. 10508/18, sez. V Penale, depositata oggi . Volontà. Ricostruita la vicenda, viene contestato il reato di violazione di domicilio . In sostanza, all’uomo sotto accusa viene addebitato di essersi intrattenuta sul pianerottolo dello studio professionale del proprio ex legale . Decisiva è la constatazione della volontà manifestata dall’avvocato, che aveva chiesto all’uomo di andare via. Questi elementi sono ritenuti sufficienti per una condanna prima in Tribunale, poi in Corte d’appello e ora in Cassazione. Per i Giudici del Palazzaccio, difatti, non ci sono punti critici nella decisione d’Appello, ove si è fatto riferimento anche alle parole del custode dello stabile e di un maresciallo dei Carabinieri, concordi nello smentire la contestualità tra la richiesta del legale e l’allontanamento dell’ex cliente.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 14 febbraio – 8 marzo 2018, n. 10508 Presidente Palla – Relatore Borrelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa il 28 novembre 2016, la Corte di appello di Milano ha confermato la condanna di Cl. Gi. per il reato di violazione di domicilio inflittagli dal Giudice monocratico del Tribunale della stessa città il 17 giugno 2016, avendolo riconosciuto responsabile di essersi intrattenuto, contro la volontà manifesta della persona offesa, sul pianerottolo dello studio professionale del proprio ex legale, l'Avv. Ma. El. Va 2. Avverso detta sentenza propone ricorso per cassazione il difensore di fiducia dell'imputato, Avv. Andrea Donde, articolando un unico motivo con il quale lamenta l'insufficienza degli elementi a sostegno della pronunzia di penale responsabilità con riferimento all'elemento psicologico del reato, agganciando la sua tesi ad uno specifico aspetto. Non vi sarebbe, infatti, sostiene il ricorrente, la prova che egli, dopo aver percepito il dissenso della persona offesa rispetto alla sua presenza, si sia trattenuto consapevolmente ed ulteriormente sul pianerottolo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile in quanto non articola - neppure formalmente - un motivo di ricorso consentito ex art. 606 cod. proc. pen., limitandosi a richiedere una nuova valutazione del merito della vicenda, che non può trovare sede dinanzi a questa Corte. Solo per completezza va rappresentato che la Corte di merito ha fornito una motivazione logica e completa in ordine alla ricostruzione della dinamica degli eventi, facendo riferimento a dati in particolare la narrazione della persona offesa, nonché quella della custode dello stabile e del Maresciallo Ca. che smentiscono l'assunto del ricorrente circa la contestualità tra manifestazione del dissenso della persona offesa ed allontanamento dal luogo dei fatti da parte del Gi 2. Alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento alla Cassa delle ammende della somma, che si stima equa, di Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2000,00 a favore della Cassa delle ammende. Motivazione semplificata.