Configurabile il furto consumato se l’agente viene fermato dopo aver nascosto la refurtiva

Il furto consumato è configurabile nell’ipotesi in cui l’agente abbia sottratto dei beni e li abbia nascosti all’interno del condominio della parte offesa, a nulla rilevando che questi sia stato fermato dalle forze dell’ordine all’interno dello stabile videosorvegliato senza il possesso materiale della refurtiva.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 10394/18, depositata il 7 marzo. Il caso. La Corte d’Appello di Bari confermava la sentenza emessa dal Tribunale della medesima città con la quale l’imputato era stato condannato per furto in abitazione, nonostante questi fosse stato fermato dagli agenti della Polizia di Stato all’interno dello stabile ove la parte offesa dimorava, luogo in cui gli agenti trovarono anche la refurtiva nascosta tra il settimo e l’ottavo piano. Avverso la sentenza della Corte distrettuale l’imputato ricorre per cassazione denunciando come la fattispecie dovesse essere ricondotta al tentativo e non già al furto consumato, posto che il ricorrente non avesse mai acquisito né l’impossessamento della refurtiva né l’effettiva ed autonoma disponibilità né tantomeno la refurtiva era mai uscita dalla sfera di vigilanza dell’offesa. Inoltre, l’imputato si duole del vizio di motivazione in ordine alla mancata concessione delle attenuanti generiche. La sfera di vigilanza e la disponibilità della refurtiva. Il Supremo Collegio, preliminarmente, premette che non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza la decisione di condanna per furto consumato a fronte della contestazione di furto tentato quando, come nel caso di specie, non ci sia modifica del fatto penalmente rilevante contestato. Ciò posto, la Suprema Corte rileva che dalla mera presenza di un sistema di videosorveglianza all’interno dello stabile non possa desumersi che la refurtiva fosse rimasta nella sfera di vigilanza della persona offesa , poiché nel caso in esame, a differenza dell’ipotesi di furto avvenuto all’interno di un supermercato, l’azione furtiva non può essere interrotta in qualsiasi momento. Le condotte furtive poste in essere all’interno di supermercati, infatti, hanno caratteristiche fattuali del tutto diverse dalla condotta furtiva posta in essere all’interno di un condominio, come nel caso di specie . Relativamente, invece, alla disponibilità della refurtiva da parte dell’agente, la Suprema Corte evidenzia che la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare che risponde di delitto consumato e non tentato colui che, pur non essendosi allontanato dal luogo di commissione del reato, abbia ivi occultato la refurtiva, così sottraendola al controllo della persona offesa e acquisendone il possesso . Le attenuanti. Infine, la Corte sottolinea che il Giudice di merito può prendere in considerazione, per la concessione o il diniego delle attenuanti, elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, potendo egli fare riferimento a quelli ritenuti decisivi o rilevanti, ma dovendo indicare le specifiche ragioni a sostegno del diniego o della concessione delle attenuanti medesime, nonché l’indicazione degli elementi considerati. La valutazione effettuata dal Giudice di merito appare, secondo la Corte, corretta in quanto logica, motivata ed esaustiva. Pertanto la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 30 gennaio – 7 marzo 2018, n. 10394 Presidente Blaiotta – Relatore Pavich Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di Bari, in data 15 marzo 2017, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Bari, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato P.E. per il reato di furto nell’abitazione di L.T. , commesso in concorso con ignoti ed aggravato dall’uso di mezzo fraudolento così era stato riqualificata, già nella sentenza di primo grado, l’originaria imputazione ex artt. 56, 110 e 624-bis cod.pen., imputazione che peraltro, per come descritta in fatto, veniva ritenuta dai giudici di merito come corrispondente a una fattispecie di furto consumato. Il P. , nell’immediatezza dell’azione furtiva, era stato fermato nell’atto di simulare un’attività di trasporto dagli agenti della Polizia di Stato all’interno dello stabile ove, al primo piano, abitava la L. subito dopo gli agenti rinvenivano, in un vaso posizionato tra il sesto e il settimo piano dello stabile, una busta di plastica contenente un borsello all’interno del quale vi erano dei gioielli che la L. riconosceva come propri ed asportati dalla sua abitazione. 2. Avverso la prefata sentenza ricorre il P. , per il tramite del suo difensore di fiducia. Il ricorso consta di due motivi. 2.1. Con il primo motivo l’esponente deduce violazione di legge in relazione alla mancata qualificazione della condotta come tentativo, anziché come furto consumato ciò in quanto, deduce l’esponente richiamando la recente giurisprudenza a Sezioni Unite in tema di taccheggio, la refurtiva non era mai uscita dalla sfera di vigilanza della persona offesa e manca altresì il requisito dell’impossessamento della refurtiva da parte dei P. , il quale non acquisì la piena, effettiva ed autonoma disponibilità di quanto rubato. 2.2. Con il secondo motivo il deducente denuncia vizio di motivazione in relazione al diniego delle attenuanti generiche e, in generale, al trattamento sanzionatorio. Considerato in diritto 1. Si premette che, sulla base di quanto affermato dalla giurisprudenza di legittimità, non viola il principio di correlazione tra accusa e sentenza la decisione di condanna per il reato di furto consumato a fronte della contestazione di furto tentato, quando non vi è modifica del fatto penalmente rilevante indicato in contestazione e l’imputato è stato in condizione di difendersi su tutti gli elementi oggetto dell’addebito, trattandosi in tal caso solo di una riqualificazione giuridica dello stesso fatto Sez. 5, Sentenza n. 44862 del 06/10/2014, Moldovan, Rv. 261286 . Perciò, poiché nella specie la riqualificazione del delitto contestato da tentato a consumato è avvenuta sulla base della stessa contestazione in fatto, dalla quale quindi l’imputato è stato pienamente in grado di difendersi, non si pone alcun problema di violazione del principio di cui all’art. 521 cod.proc.pen 2. Tanto premesso, il primo motivo di ricorso è manifestamente infondato. Non vi è infatti – né viene illustrato nello stesso motivo di doglianza in esame - alcun tipo di elemento che consenta di sostenere che la refurtiva, in seguito all’azione delittuosa, fosse rimasta nella sfera di vigilanza della persona offesa la mera presenza di un sistema di videosorveglianza non viene chiarito nel ricorso se tale sistema rientrasse o meno nella disponibilità della L. , oppure di terzi soggetti incaricati non è certo bastevole a far ritenere che attraverso tale sistema l’azione furtiva potesse essere interrotta in qualsiasi momento, come di regola accade nell’esempio menzionato dal ricorrente - quello del furto all’interno di supermercato -, avente caratteristiche fattuali del tutto diverse dalla condotta furtiva posta in essere all’interno di un condominio, come nel caso di specie. Quanto poi al fatto che il P. non avrebbe conseguito la piena ed esclusiva disponibilità della res furtiva, ciò collide con quanto affermato in analoghe fattispecie dalla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale risponde del delitto di furto consumato e non tentato colui che, pur non essendosi allontanato dal luogo di commissione del reato, abbia ivi occultato a refurtiva, così sottraendola al controllo della persona offesa e acquisendone il possesso cfr. Sez. 5, Sentenza n. 2726 del 24/10/2016, dep. 2017, Pavone, Rv. 269088 e, ancor più pertinente, Sez. 5, Sentenza n. 26749 del 11/04/2016, Ouerghi, Rv. 267266, in cui la S.C. ha precisato che l’osservazione a distanza da parte degli agenti non aveva rilevanza ai fini della configurabilità del reato nella forma tentata, in quanto tale studio non solo non era avvenuto ad opera della persona offesa, ma neppure gli aveva impedito di far sua la borsa della vittima, prima di essere arrestato . 2.1. È del pari manifestamente infondato i secondo motivo di ricorso. È noto che, sotto il profilo della concessione o del diniego delle attenuanti generiche, è pacifico in giurisprudenza che non è necessario che il giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione Sez. 3, n. 28535 del 19/03/2014, Lule, Rv. 259899 Sez. 1, n. 33506 del 07/07/2010, Biancofiore, Rv. 247959 . Analogamente si è affermato in giurisprudenza che, nel concedere o negare le attenuanti generiche, il giudice di merito è investito di un ampio potere discrezionale, che non è sottratto al controllo di legittimità, dovendo il giudice medesimo dare conto delle precise ragioni e dei criteri utilizzati per la concessione o il rifiuto di concessione, con l’indicazione degli elementi reputati decisivi nella scelta compiuta, senza che sia, peraltro, necessario valutare analiticamente tutte le circostanze rilevanti, in positivo o in negativo ex multis Sez. 1, n. 12496 del 21/09/1999, Guglielmi e altri, Rv. 214570 . In termini più generali, poi, la graduazione della pena rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli artt. 132 e 133 cod. pen. non è perciò consentita la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico e sia sorretta da sufficiente motivazione. Ciò vale sia in termini generali Sez. 5, n. 5582 del 30/09/2013 - dep. 2014, Ferrario, Rv. 259142 , sia in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti Sez. U, Sentenza n. 10713 del 25/02/2010, Contaldo, Rv. 245931 . Nella specie la motivazione resa dalla Corte di merito in ordine al diniego delle attenuanti generiche e al trattamento sanzionatorio appare, affatto esaustiva, in quanto riferita sia alla pericolosità del soggetto gravato da plurimi precedenti e già sottoposto a misura di prevenzione più volte violata , sia alla gravità del fatto per le modalità di esecuzione, per il disvalore giuridico della condotta e per il rilevante danno patrimoniale che il mancato recupero della refurtiva avrebbe cagionato alla persona offesa . 3. Alla declaratoria d’inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.