Legittima difesa domiciliare: rientra nella nozione di appartenenza alla privata dimora anche la soglia dell’abitazione

In tema di legittima difesa domiciliare rientra nella nozione di appartenenza alla privata dimora anche la soglia dell’abitazione con la conseguenza che, sussistendo gli altri requisiti della necessità di difendere un diritto proprio o altrui contro il pericolo attuale di un’offesa ingiusta, la proporzionalità tra offesa e difesa è presunta.

E’ quanto emerso dalla sentenza n. 8090/2018 della Corte di Cassazione, depositata lo scorso 20 febbraio. Il caso. L’imputato era stato condannato per omicidio volontario. La condanna pronunciata dalla Corte di Assise era stata parzialmente riformata dalla Corte di Assise di Appello che aveva riconosciuto l’attenuante dell’aver agito in stato di ira, determinato da un fatto ingiusto altrui e, conseguentemente aveva rideterminato la pena. In particolare l’uomo era accusato di aver colpito al petto la vittima, ex partner della figlia, con un colpo di pistola regolarmente detenuta dopo un alterco dovuto ai maltrattamenti cui la vittima aveva sottoposto la figlia dell’imputato. L’autopsia aveva dimostrato che il colpo era stato esploso a brevissima distanza dalla vittima il proiettile era fuoriuscito dalla schiena della vittima e rinvenuto sotto il suo corpo. Dalle indagini preliminari risultava che la figlia dell’imputato era tornata a casa dai genitori dopo un’ennesima lite con il compagno e che questo aveva continuato ad ingiuriarla e a minacciarla per telefono per poi giungere presso l’abitazione dei genitori della giovane. Nel corso della lite che si era estesa anche ad altri componenti della famiglia la vittima avrebbe sottratto con violenza le chiavi dell’auto della ex compagna e avrebbe brandito un ombrello contro la moglie dell’imputato e poi verso di esso, per poi essere colpito improvvisamente da un colpo di pistola esploso dal padre della ex compagna e, quindi, cadere a terra di schianto. Legittimo il diniego di rito abbreviato condizionato. Mediante l’atto di appello si era censurato il rigetto, da parte del Giudice dell’Udienza Preliminare, della richiesta di rito abbreviato condizionata all’escussione di 3 testimoni – moglie e figlie dell’imputato – e all’esecuzione di perizia sui liquidi biologici prelevati dalla salma della vittima. Nel caso in esame la difesa dell’imputato chiedeva di escutere tutte le testimoni presenti al fatto senonché una simile richiesta si scontrava con la minuziosità delle indagini e dei rilievi compiuti dai Carabinieri nonché con l’esito della perizia autoptica risolvendosi, in definitiva, in una richiesta di rinnovo per intero dell’istruttoria sul nucleo centrale del processo, esito incompatibile con gli obiettivi di speditezza e semplificazione perseguiti dal rito alternativo. I presupposti per l’integrazione probatoria nel rito abbreviato. Il codice di rito dispone che il Giudice dell’Udienza Preliminare dispone il giudizio abbreviato condizionato se l’integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzati. Nel caso in cui oggetto dell’integrazione probatoria sia, come nella fattispecie in scrutinio, la reiterazione dell’esame di una persona che ha già reso dichiarazioni in fase di indagini, la richiesta di rito abbreviato deve anche indicare, a pena di improponibilità, i temi da integrare e specificare i fatti e le circostanze, diversi da quelli già oggetto di dichiarazioni, che necessitano di approfondimento. Presupposti dell’integrazione probatoria nel rito abbreviato sono l’incompletezza di un’informazione probatoria in atti e una prognosi di positivo completamento del materiale a disposizione per il tramite dell’attività integrativa. Diniego di rinnovazione dell’istruttoria con riferimento a una perizia deve essere assolutamente necessario. Il ricorrente chiedeva di rinnovare l’istruttoria in appello mediante espletamento di una perizia relativa alla sensibilità del grilletto della pistola utilizzata per l’omicidio, al fine di sostenere la tesi, emersa in sede di interrogatorio di garanzia dell’imputato, del colpo partito accidentalmente dalla pistola carica. Secondo tale versione, l’imputato avrebbe prelevato la pistola esclusivamente allo scopo di minacciare la vittima ma non di ucciderlo. Entrambi i giudici di merito evidenziavano che nessuno dei presenti si era accorto che l’imputato si era munito dell’arma e che il colpo coglieva tutti di sorpresa. Nel censurare tale asserita violazione di legge, l’imputato parla di non inutilità” degli sviluppi istruttori tuttavia, come evidenzia la Suprema corte, il criterio per il rinnovo dell’istruttoria dibattimentale è ben più restrittivo ed è quello della assoluta necessità. Dubbi sulla sussistenza della legittima difesa domiciliare”. La Corte territoriale escludeva la possibilità di applicare la norma sulla legittima difesa domiciliare poiché la vittima restava sulla soglia della porta di ingresso dell’appartamento dell’imputato, l’omicidio non sarebbe avvenuto nei casi previsti dall’art. 614, comma 1, c.p. e nei luoghi indicati. La sentenza d’appello, al riguardo, smentiva la conclusione del primo giudice secondo cui ricorreva il presupposto della violazione di domicilio da parte della vittima. La privata dimora e le sue appartenenze. La giurisprudenza ha affermato che in tema di violazione di domicilio, rientra nella nozione di appartenenza” di privata dimora il pianerottolo condominiale antistante la porta di un’abitazione. È consumato, dunque, il reato di violazione di domicilio da parte di chi si introduca, invito domino, all’interno di un edificio condominiale sul pianerottolo e avanti la soglia dell’abitazione di uno dei condomini anche l’androne di uno stabile integra il concetto di appartenenza così come la soglia dell’abitazione altrui . Nel caso in esame, la vittima si era introdotta nell’edificio condominiale contro la esplicita volontà della figlia dell’imputato. Pur richiesto di non salire, la vittima aveva preso l’ascensore salendo al piano occupato dall’imputato e dalla sua famiglia la quale aveva chiesto ripetutamente alla vittima di allontanarsi dall’abitazione. La difesa della propria o altrui incolumità e il pericolo di aggressione. La sentenza impugnata ammette la possibile degenerazione della condotta prepotente e rabbiosa dell’imputato escludendo, però, l’attualità del pericolo e la necessità di una reazione. I giudici hanno pertanto ritenuto censurabile la condotta dell’imputato per l’assenza della necessità di contrastare un pericolo concreto e attuale. Nondimeno, nella sentenza di primo grado si osservava che la vittima aveva spinto violentemente la ex convivente dentro l’appartamento e aveva dato una o più testate contro l’imputato e aveva altresì minacciato i genitori della ex compagna con un ombrello con la punta metallica. Sul punto, la Corte di Cassazione rileva come il provvedimento della Corte territoriale eviti l’analisi minuziosa e attenta svolta dalla Corte di primo grado né confermandone né smentendone espressamente le conclusioni e fornendo una motivazione nettamente insufficiente che rende verosimile un travisamento del dato probatorio con riferimento al ruolo e alla condotta dell’imputato e al motivo per cui aveva sparato. Da approfondire anche il profilo della condotta alternativa a quella violenta. Secondo la Corte di legittimità, il provvedimento impugnato non esamina il profilo della sostituzione della condotta con altra meno dannosa. Considerato che la vittima era entrata abusivamente nell’immobile e che aveva minacciato e insultato i presenti, strappando di mano alla ex compagna le chiavi dell’autovettura ed esercitando, di fatto, una violenza, rifiutandosi, altresì di allontanarsi dall’abitazione nonostante i numerosi inviti, il giudice di merito ha omesso di interrogarsi – e di darne atto in motivazione – circa il modo con cui l’imputato avrebbe potuto sostituire la propria condotta con altra meno dannosa egualmente idonea alla tutela del diritto, limitandosi ad affermare che avrebbe potuto chiedere l’intervento dei Carabinieri. Secondo la giurisprudenza di legittimità la valutazione in merito alla possibilità di una reazione diversa o di un commodus discessus deve essere apprezzata ex ante . È vero, osserva la Corte, che l’imputato avrebbe potuto chiamare i Carabinieri per fronteggiare la condotta minacciosa e la violazione di domicilio ma occorre che la necessità della reazione sia valutata nel momento dell’aggressione pertanto, anche il dato – incerto – della durata della lite che avrebbe consentito l’intervento dei Carabinieri non costituisce garanzia del pronto intervento degli stessi né che non vi sarebbe stata un’aggressione fisica. Sussiste, pertanto, ad avviso della Suprema Corte un vizio motivazionale, anche sotto il profilo del travisamento delle prove, nel provvedimento impugnato, come si ricava dal confronto con la ricostruzione operata dai giudici di primo grado e dalla documentazione processuale prodotta a sostegno del ricorso. La sentenza impugnata va quindi annullata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’assise d’appello che dovrà motivare adeguatamente per nuovo giudizio.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 8 novembre 2017 – 20 febbraio 2018, n. 8090 Presidente Novik – Relatore Rocchi Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe, la Corte di assise di appello di Roma, in riforma di quella della Corte di assise di Frosinone di condanna di M.E. alla pena di anni quindici di reclusione per il delitto di omicidio volontario di Mo.Ma. , riconosciuta l’attenuante di cui all’art. 62, n. 2 cod. pen., riduceva la pena ad anni dieci di reclusione, confermando nel resto la sentenza impugnata. Secondo l’imputazione, M. aveva colpito al petto Mo.Ma. con un colpo di pistola cal. 38 speciale, regolarmente detenuta, dopo che tra i due uomini si era verificato un alterco dovuto ai maltrattamenti cui Mo. sottoponeva la figlia di M. , con lui convivente. La Corte di assise di Frosinone aveva già concesso all’imputato le attenuanti generiche. L’autopsia aveva dimostrato che il colpo era stato esploso a brevissima distanza dalla vittima il proiettile era fuoriuscito dalla schiena della vittima ed era stato rinvenuto sotto il suo corpo si trattava di proiettile della stessa specie di quelli contenuti nel caricatore della pistola Arminius cal. 38 special rinvenuta nel garage dell’abitazione dell’imputato, completa di sei bossoli di cui uno esploso. Secondo il racconto delle testimoni, dopo che la figlia dell’imputato, M.F. , era tornata a casa dei genitori riferendo di un’ennesima lite con il compagno, questi aveva continuato ad ingiuriarla e a minacciarla per telefono e poi era giunto presso l’abitazione dei genitori della giovane. Nel corso della lite davanti alla porta dell’abitazione erano intervenuti anche il padre Enrico, la madre e la sorella in una fase concitata, Mo. aveva brandito l’ombrello contro la madre e poi verso il padre della convivente ma, in quel momento, si era sentito lo sparo e Mo. era caduto a terra di schianto. Secondo l’atto di appello, M. aveva esploso involontariamente il colpo, essendosi armato della pistola solo per spaventare Mo. e non per ucciderlo mancava, quindi, l’elemento psicologico del reato sussisteva, inoltre, la legittima difesa domiciliare , quanto meno putativa, essendosi Mo. introdotto nell’abitazione del M. senza il suo consenso, avendo inveito contro la convivente e i suoi congiunti, essendosi impossessato delle chiavi dell’autovettura di proprietà di M.F. , strappandogliele di mano, avendo minacciato la madre della giovane con l’ombrello e cercato di colpire M.E. con una testata. I difensori chiedevano, in via subordinata, l’attenuante per il rito abbreviato e il riconoscimento dell’attenuante della provocazione come si è anticipato, riconosciuta dalla Corte territoriale avanzavano richiesta di riapertura dell’istruttoria mediante perizia balistica e sui liquidi biologici prelevati in sede di autopsia nonché l’audizione del soggetto che aveva accompagnato Mo. all’abitazione dei M. . La Corte rigettava la richiesta relativa al rito abbreviato le testi C.R. , M.P. e M.F. , alla cui escussione la richiesta di rito abbreviato era stata condizionata, erano già state sentite nel corso delle indagini preliminari, cosicché l’atto sarebbe stato un’inutile ripetizione le perizie richieste avrebbero potuto provocare una sospensione del giudizio superiore a sessanta giorni e non erano rilevanti. Non sussistevano le condizioni per il riconoscimento della legittima difesa durante tutto lo svolgimento della discussione e fino al suo epilogo finale, Mo. si era mantenuto sulla soglia della porta di ingresso perché validamente fronteggiato da M. , le sue figlie e la moglie non aveva danneggiato alcun bene della famiglia, ad eccezione dell’ombrello, né era venuto alle mani con un componente della famiglia M. , limitandosi a reclamare la consegna delle chiavi dell’autovettura di proprietà di M.F. , in un secondo momento strappandogliele di mani nell’alterco, egli si era proteso verso M.E. più per intimorirlo che per colpirlo. Da parte sua l’imputato aveva avuto il tempo di abbandonare momentaneamente i presenti e di recarsi alla propria camera da letto e prendere la pistola non aveva invece avvisato i carabinieri. In definitiva, da una parte non si applicava la presunzione di proporzionalità tra offesa e difesa di cui all’art. 52, comma 2, cod. pen., dall’altra non sussisteva la necessità di contrastare un pericolo attuale e concreto per le stesse ragioni non ricorrevano né la legittima difesa putativa nè l’ipotesi di eccesso colposo di legittima difesa. La Corte disattendeva la versione dell’imputato di essersi munito della pistola solo per intimorire Mo. e di avere esploso il colpo accidentalmente, perché urtato tutto indicava che, al contrario, lo sparo fosse stato volontario, mentre non emergeva affatto che M. fosse stato urtato. La perizia balistica richiesta dalla difesa dell’imputato per verificare la sensibilità del grilletto della pistola era superflua anche la perizia sui liquidi biologici repertati nel corso dell’autopsia non era necessaria per verificare le condizioni psicofisiche di Mo. al momento dell’alterco quali che fossero le condizioni della vittima, la sua condotta, fino al momento dell’uccisione, non aveva raggiunto i requisiti della pericolosità grave, concreta ed attuale prevista dalla legge. La Corte, oltre a ridurre le pena, confermava le statuizioni civili e, in particolare, la disposta provvisionale a favore delle parti civili. 2. Ricorre per cassazione il difensore di M.E. deducendo, con un primo motivo, la violazione degli artt. 43 e 52, comma 2 cod. pen. e il vizio di motivazione anche sotto il profilo del travisamento della prova. Fin dalle prime dichiarazioni al Comandante della Stazione Carabinieri di , M. aveva sostenuto di essersi munito della pistola dopo avere visto Mo. che minacciava la moglie con l’ombrello e di non avere avuto intenzione di uccidere, ma solo di intimorire Mo. , riferendo che il colpo era partito solo per la pressione del grilletto, accidentalmente, non richiedendo quella pistola l’armamento del cane. La versione era attendibile, perché l’arma aveva esploso un solo colpo in uno spazio ristretto, con il rischio di colpire le figlie e la moglie dell’imputato e nel momento in cui Mo. , impugnando l’ombrello con la punta verso l’esterno, tentava di scagliarsi contro M. e la C. . M. non aveva nessun motivo per uccidere Mo. , convivente della figlia e padre del nipote G. lo sparo era stato causato da una contrazione della mano sul grilletto. Le sentenze di merito non avevano considerato l’uso dell’ombrello, con punta metallica, che pure era stato rinvenuto dalla polizia giudiziaria e di cui avevano riferito i testimoni la C. , moglie dell’imputato, aveva riferito che Mo. la voleva infilare con l’ombrello e, nello stesso momento, l’aggressore si era proteso verso l’imputato in quel momento era stato esploso il colpo mortale. Sussistevano tutti i presupposti per il riconoscimento della legittima difesa Mo. si era introdotto nell’appartamento della famiglia M. , non ottemperando ai ripetuti inviti a lui rivolti dall’imputato e dalla moglie di allontanarsi contrariamente a quanto sostenuto dalla sentenza impugnata, la vittima non era rimasta sulla soglia dell’ingresso dell’abitazione, ma era entrata nell’anticamera, come dimostravano i due ombrelli sul pavimento inoltre, sussisteva un pericolo attuale per l’incolumità delle persone presenti, poiché Mo. brandiva un ombrello con una punta metallica, potenzialmente un mezzo letale. Inoltre Mo. aveva compiuto la rapina delle chiavi dell’autovettura di proprietà di M.F. e si era rifiutato di restituirle, così avviandosi ad impossessarsi dell’autovettura stessa non vi era stata desistenza ed era in corso un pericolo di aggressione. In un secondo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento al mancato riconoscimento della scriminante putativa o dell’eccesso colposo di legittima difesa. M.E. , nel corso della giornata, aveva avuto piena conoscenza delle violenze messe in atto da Mo. nei confronti della figlia, che si era rifugiata a casa dei genitori inoltre Mo. , prima di giungere all’abitazione dell’imputato, aveva ripetutamente telefonato con ingiurie e minacce anche nei confronti dei genitori della convivente infine il giovane aveva tenuto un atteggiamento aggressivo, anche con l’uso dell’ombrello a mò di arma l’imputato nutriva, quindi, la ragionevole persuasione di un effettivo, imminente pericolo per l’incolumità propria e delle tre donne presenti. Sotto un altro profilo era ragionevole pensare ad un eccesso colposo nella difesa messa in atto. In un terzo motivo il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione con riferimento all’ingiustificato rigetto di giudizio abbreviato condizionato e quanto al diniego da parte della Corte territoriale di rinnovazione dell’istruttoria. Il difensore dell’imputato, a sostegno del ricorso e per ottemperare la principio di autosufficienza del ricorso, ha depositato memoria con allegati documentali. Il ricorrente ribadisce che, al momento dello sparo, Mo. stava mettendo in atto un tentativo di rapina dell’autovettura di M.F. e stava muovendo l’ombrello con punta metallica contro la moglie dell’imputato, che aveva ragione di temere per l’incolumità del coniuge. Secondo il difensore, le prove che vengono allegate dimostrano l’introduzione di Mo.Ma. nell’abitazione di M. , contro la volontà di chi aveva diritto a vietarne la presenza, i pregressi maltrattamenti ai danni della convivente, la violenta sottrazione delle chiavi dell’autovettura di M.F. , la legittima detenzione delle armi e delle munizioni da parte dell’imputato, il requisito dell’attualità del pericolo e della necessità di difesa. 3. Il difensore delle parti civili O.O. , Mo.An. e Mo.Da. ha depositato memoria con cui argomenta in ordine alla manifesta infondatezza del ricorso. Considerato in diritto 1. Benché proposto per ultimo, il terzo motivo di ricorso, di carattere processuale, deve essere affrontato per primo. Il motivo è infondato. 1.1. La sentenza impugnata fornisce una sintetica ma adeguata motivazione in ordine alla fondatezza del rigetto da parte del G.U.P. della richiesta di rito abbreviato condizionata all’escussione di C.R. , M.P. e M.F. e all’esecuzione di perizia sui liquidi biologici prelevati dalla salma della vittima. L’art. 438, comma 5 cod. proc. pen. prevede che il Giudice dell’udienza preliminare dispone il giudizio abbreviato se l’integrazione probatoria richiesta risulta necessaria ai fini della decisione e compatibile con le finalità di economia processuale proprie del procedimento, tenuto conto degli atti già acquisiti ed utilizzabili. Nel caso in esame, la difesa dell’imputato chiedeva di escutere le due figlie e la moglie dell’imputato, vale a dire tutte le testimoni presenti al fatto quindi tenuto conto della minuziosità delle indagini e dei rilievi compiuti dai carabinieri nonché dell’esito della perizia autoptica - in sostanza chiedeva di rinnovare per intero l’istruttoria sul nucleo centrale del processo. Si aggiunga che il ricorrente non chiarisce nemmeno sotto quale profilo i verbali di sommarie informazioni delle tre testimoni fossero incompleti, nel senso di non avere toccato specifici punti della vicenda importanti per la decisione si limita, infatti, a segnalare che le tre donne erano state escusse a sommarie informazioni subito dopo il fatto e, quindi, si trovavano in stato di agitazione e a suggerire che la loro escussione da parte del G.U.P. avrebbe fornito elementi ben più significativi . Questa Corte ha affermato che la richiesta di giudizio abbreviato condizionata ad un’integrazione probatoria, il cui oggetto sia la reiterazione dell’esame di una persona che ha già reso dichiarazioni, deve indicare, a pena di improponibilità, i temi da integrare e specificare i fatti e le circostanze, diversi da quelli già oggetto di dichiarazioni, che necessitano di approfondimento Sez. 1, n. 29669 del 25/03/2010 - dep. 28/07/2010, Cat Berro e altri, Rv. 248185 del resto, l’integrazione probatoria nel rito abbreviato presuppone, da un lato, l’incompletezza di un’informazione probatoria in atti, dall’altro, una prognosi di positivo completamento del materiale a disposizione per il tramite dell’attività integrativa, valutazione insindacabile in sede di legittimità se congruamente e logicamente motivata Sez. 2, n. 5229 del 14/01/2009 - dep. 05/02/2009, Massaroni Gabrieli, Rv. 243282 , cosicché è legittimo il provvedimento di rigetto della richiesta di giudizio abbreviato, subordinata ad una integrazione probatoria, quando detta integrazione non sia finalizzata al necessario ed oggettivo completamento degli elementi informativi in atti, insufficienti per la decisione, ma miri esclusivamente alla sostituzione del materiale già raccolto ed utilizzabile, così da ottenere un vero e proprio dibattimento dinnanzi al G.U.P., in contrasto con gli obiettivi di speditezza e semplificazione perseguito dal rito alternativo Sez. 6, n. 8738 del 29/01/2009 - dep. 26/02/2009, Sarno e altri, Rv. 243067 . Quanto alla perizia sui liquidi biologici prelevati dal corpo della vittima, la motivazione della sentenza impugnata è logica nel sotttolinearne l’irrilevanza, tenuto conto che, per valutare la condotta dell’imputato, occorreva aver presente non l’eventuale stato di alterazione di M. , ma la concreta condotta da lui posta in essere nelle fasi immediatamente precedenti alla sua uccisione. 1.2. Infine, il motivo di ricorso risulta generico con riferimento alla dedotta illogicità della sentenza impugnata con riferimento al diniego di rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello mediante espletamento di una perizia relativa alla sensibilità del grilletto della pistola usata per l’omicidio. Il ricorrente parla di sviluppi istruttori non inutili , ma il criterio pone il criterio dell’assoluta necessità ai fini della decisione. Entrambi i giudici di merito hanno ampiamente e logicamente escluso l’attendibilità della versione resa dall’imputato in sede di interrogatorio di garanzia di un colpo partito accidentalmente dalla pistola, versione correlata a quella di essersi recato a prelevare la pistola carica con la esclusiva intenzione di minacciare Mo. , e non di ucciderlo viene evidenziato che tale minaccia non era stata affatto posta in essere, tenuto conto che nessuno dei presenti si era accorto che M. si era munito dell’arma e che il colpo colse tutti di sorpresa le testimonianze delle figlie e della moglie dell’imputato sono unanimi su questo punto inoltre, che - dal racconto delle tre testimoni e dalla versione dello stesso imputato - non emergeva alcun urto al corpo di M. che potesse avergli fatto muovere il dito che teneva sul grilletto ancora, che il corpo dell’imputato e della vittima erano distanti almeno un metro al momento dello sparo il dato è dedotto dai risultati dell’autopsia che nell’interrogatorio, l’imputato non aveva affatto spiegato in quale contesto il colpo fosse partito accidentalmente che l’imputato è persona esperta delle armi che, infine il colpo era stato preciso, diretto ad una parte del corpo sede di organi vitali ed esploso senza porre in pericolo le persone delle tre congiunte presenti nell’ingresso dell’abitazione. 2. Il primo motivo di ricorso è fondato. In effetti, la ricostruzione della precisa dinamica dei fatti, ai fini della valutazione della sussistenza della scriminante della legittima difesa ai sensi dell’art. 52, comma 2 cod. pen., non appare accurata né convincente e fa intravedere travisamenti della prova. 2.1. In primo luogo, non si può non rilevare che la Corte territoriale esclude in radice la possibilità di applicazione della legittima difesa domiciliare con l’affermazione che durante tutto lo svolgimento della discussione, fino al suo epilogo fatale, Mo. si mantenne sulla soglia della porta di ingresso perché validamente fronteggiato da M. , dalle sue figlie e da sua moglie di conseguenza, l’omicidio non sarebbe avvenuto nei casi previsti dall’art. 614, comma 1 e 2 cod. pen. e nei luoghi ivi indicati . Sul punto, la sentenza impugnata smentisce quella di primo grado che, al contrario, con ampia motivazione - del tutto tralasciata dal giudice di appello giungeva alla conclusione secondo cui ricorre sicuramente il presupposto della violazione di domicilio da parte del Mo. , sulla base della posizione del corpo rinvenuto dalla polizia giudiziaria e dal medico legale che era stato accertato non essere stato spostato e delle testimonianze delle figlie e della moglie dell’imputato pag. 31 sentenza di primo grado . Il ricorrente, con la documentazione e la documentazione prodotta, non fa che evidenziare il travisamento del dato da parte della Corte territoriale. 2.2. Si deve aggiungere, per di più, un ulteriore dato anche gli spazi condominiali rientrano nelle appartenenze dell’abitazione, ai sensi dell’art. 614 comma 1, cod. pen Questa Corte, non a caso, ha affermato, in tema di violazione di domicilio, che rientra nella nozione di appartenenza di privata dimora il pianerottolo condominiale antistante la porta di un’abitazione, ritenendo, quindi, consumato e non solo tentato il reato da parte di chi si introduca, invito domino, all’interno di un edificio condominiale sul pianerottolo e avanti alla soglia dell’abitazione di uno dei condomini, avente, come gli altri, diritto di escludere l’intruso Sez. 5, n. 12751 del 20/10/1998 - dep. 03/12/1998, Palmieri, Rv. 213418 in precedenza era stato ritenuto che anche l’androne di uno stabile integra il concetto di appartenenza, ad esso si estendendosi la tutela prevista dalla legge per la violazione di domicilio Sez. 2, n. 6962 del 20/03/1987 - dep. 27/05/1987, Marocchi, Rv. 176081 una più risalente sentenza aveva specificamente ritenuto sussistente il reato di chi si introduce o si trattiene sulla soglia dell’abitazione altrui, contro la volontà di chi abbia il diritto di escluderlo Sez. 5, n. 1067 del 10/12/1981 - dep. 04/02/1982, De Sena, Rv. 151989 . Dalla sentenza di primo grado, del resto, emerge che Mo. si era introdotto nell’edificio condominiale contro la esplicita volontà di M.F. la teste pag. 19 sentenza di primo grado aveva infatti risposto al citofono, al compagno che le diceva che sarebbe venuto su cioè al terzo piano, dove si trova l’appartamento e avrebbe fatto confusione , di non salire, perché lei sarebbe scesa per parlare con lui ma M. era ugualmente entrato e aveva preso l’ascensore salendo al terzo piano, sorprendendo la giovane proprio mentre stava per prendere l’ascensore per scendere al piano terreno. Che, poi l’imputato e i suoi familiari avessero ripetutamente chiesto a Mo. di allontanarsi dall’abitazione risulta dalle testimonianze prodotte la sentenza impugnata, in un passaggio equivoco, sottolinea che Mo. aveva dimestichezza sia con i familiari della ragazza sia con la loro abitazione nella quale, fino a quel momento, era stato ammesso , aggiungendo subito dopo che, in quell’occasione, era rimasto sulla soglia dell’appartamento perché validamente fronteggiato da M. , dalle sue figlie e da sua moglie , in sostanza rappresentando quello di Mo. come di un tentativo di entrare nell’appartamento, per di più compiuto in buona fede perché in occasioni precedenti vi era entrato ma le testimonianze, riportate nella sentenza di primo grado e nella documentazione prodotta dal ricorrente, riferiscono un evento differente, cioè di un ingresso di Mo. nell’appartamento cui era seguito un reiterato e inutile invito che la C. aveva addirittura accompagnato usando l’ombrello da parte di tutti i M. ad allontanarsi. 2.3. La sentenza impugnata non affronta adeguatamente nemmeno la questione del furto o rapina delle chiavi dell’autovettura di proprietà di M.F. . In effetti, il provvedimento dà atto che la vittima . si era limitata a reclamare, con arroganza, la consegna delle chiavi dell’autovettura intestata a F. M. , strappandogliele di mano dopo che questa si era rifiutata , ma non valuta tale condotta dal punto di vista giuridico, vale a dire per verificare se ricorre l’ipotesi di cui all’art. 52, comma 2, lett. b cod. pen., se cioè vi fosse necessità di difendere beni altrui, quando non vi è desistenza e vi è pericolo di aggressione. Ciò è comprensibile, in quanto la Corte territoriale aveva escluso in radice la violazione del domicilio, come si è detto dall’esposizione della sentenza di primo grado, comunque, risulta con certezza che l’autovettura era di proprietà di M.F. e che l’obiettivo di Mo. nel giungere in piena notte a casa dei genitori della compagna oltre a quello di fare confusione era proprio l’impossessamento dell’autovettura, come aveva dimostrato con le parole e con la condotta. Un elemento secondario l’esito dell’ispezione nell’abitazione della vittima da parte dei Carabinieri sembrava infatti dimostrare che Mo. considerasse chiusa la relazione con M.F. , tanto che aveva messo tutti i vestiti e gli oggetti di proprietà della compagna in sacchi per rifiuti riposti fuori dall’appartamento cosicché non è emerso che Mo. fosse giunto in piena notte per riallacciare i rapporti con la giovane. L’impossessamento con violenza delle chiavi e il rifiuto di restituirle erano ovviamente finalizzati a sottrarre il veicolo. Non si coglie la rilevanza dell’osservazione presente in sentenza secondo cui non consta che, durante lo svolgimento dell’alterco, il Mo. danneggiasse i beni dell’imputato, ad eccezione dell’ombrello pag. 5 , tenuto conto che la norma sopra richiamata si riferisce anche alla difesa di beni altrui quindi anche dell’autovettura di proprietà della figlia. 2.4. Occorre ora affrontare il tema della difesa della propria o altrui incolumità e al pericolo di aggressione . La sentenza ammette la possibilità di una degenerazione della condotta prepotente e rabbiosa del Mo. , ma esclude l’attualità del pericolo e la necessità della reazione, osservando che il M. , per tutta la durata, non breve, dell’alterco, aveva avuto la possibilità di sollecitare, telefonicamente i Carabinieri, al contrario ha preferito abbandonare momentaneamente i presenti, recarsi nella propria camera da letto, scegliere tra la pistola Glock e la pistola Armenius quella più appropriata alla circostanza, ritornare all’ingresso della sua abitazione e sparare di conseguenza, la condotta dell’imputato . è censurabile . sotto il profilo dell’assenza della necessità di contrastare un pericolo concreto ed attuale . Anche in questo caso, si nota una ricostruzione assolutamente sintetica della condotta dell’imputato che contrasta decisamente con quanto in dettaglio ripercorso nella sentenza di primo grado, senza smentirla espressamente, e che pare cancellare alcuni aspetti della vicenda. Secondo la Corte territoriale, mentre le altre persone presenti litigavano, l’imputato si sarebbe sostanzialmente disinteressato di quanto avveniva e avrebbe deciso prima ancora di allontanarsi dall’ingresso dell’appartamento per recarsi nella stanza di uccidere Mo. o quanto meno di sparargli avrebbe infatti scelto l’arma più adatta espressione che la sentenza non spiega, non confrontando le prestazioni delle due pistole detenute legalmente dall’imputato e, appena tornato nell’ingresso, avrebbe sparato. Come si è detto, tale ricostruzione elide condotte che la sentenza di primo grado riteneva sussistenti la sentenza, infatti, si limita ad osservare che non consta nemmeno che Mo. fosse venuto alle mani con alcuno del nucleo familiare dell’imputato o con il M. medesimo , ma dalle testimonianze emergeva che la vittima aveva spinto violentemente la ex convivente dentro l’appartamento, aveva dato o tentato di dare una o più testate proprio contro M.E. , tanto che la C. aveva tentato di separarli e, infine, aveva minacciato sia M. che la C. con l’ombrello che, in un primo momento, la donna aveva cercato di usare per allontanarlo dall’abitazione. Non si vuole affermare che sicuramente tali condotte erano state poste in essere e avevano determinato - o almeno influenzato - M. a sparare si vuole solo sottolineare che la Corte territoriale, evitando l’analisi minuziosa ed attenta svolta dalla Corte di primo grado pagg. 15 - 26 sentenza di primo grado , né espressamente confermandone o smentendone le conclusioni, ha fornito una motivazione nettamente insufficiente che legittima le censure del ricorrente e rende quanto meno verosimile un travisamento del dato probatorio complessivo proprio con riferimento al ruolo e alla condotta dell’imputato e al motivo per cui egli, ad un certo momento della lite, aveva sparato. La Corte territoriale non poteva evitare di rispondere al quesito decisivo M. aveva sparato perché Mo. , dopo avere urlato, insultato e minacciato i presenti, stava puntando l’ombrello con la punta metallica contro di lui e/o contro la moglie? 2.5. L’argomentazione surriportata presenta anche una debolezza logica. A parte il fatto che la sentenza non chiarisce quale sia il dato processuale che indichi che la lite nell’ingresso del suo appartamento aveva già avuto una durata non breve , il riferimento alla possibilità di telefonare ai Carabinieri sembra sovrapporsi ad un dato non esaminato quello dell’impossibilità di un commodus discessus per l’imputato e la sua famiglia. In effetti, Mo. era entrato abusivamente nell’immobile e nell’appartamento, minacciava ed insultava i presenti, aveva strappato di mano a M.F. le chiavi dell’autovettura, esercitava in qualche modo una violenza e, contestualmente, rifiutava di allontanarsi dall’abitazione, nonostante i ripetuti inviti. Il Giudice del merito avrebbe dovuto, quindi, chiedersi in che modo M. avrebbe potuto sostituire la condotta con altra meno dannosa egualmente idonea alla tutela del diritto. In effetti, non sussiste il requisito della necessità della reazione armata tutte le volte in cui l’aggredito possa, senza alcuna difficoltà, rifugiarsi nella propria abitazione dalla quale invocare soccorso o comunque allontanarsi dal luogo della aggressione armata Sez. 1, n. 4890 del 10/12/2008 - dep. 04/02/2009, P.G. in proc. Bazzu, Rv. 243369 ma, appunto, la situazione appariva opposta. La valutazione della possibilità di una reazione diversa, o di un commodus discessus, deve essere apprezzata ex ante. La necessità di un più approfondito esame della fattispecie concreta venne rilevata da questa Corte in una fattispecie simile alla presente, di un soggetto ricacciato nella propria abitazione dal suo dirimpettaio e ivi colpito insieme alla figlia con un bastone, non avendo il giudice del merito spiegato adeguatamente in che modo la dinamica degli eventi e la loro progressione concreta consentissero o meno all’imputato, che a quel punto dell’aggressione si era procurato un coltello con il quale aveva ferito il vicino di casa, di porre in essere senza pericolo per sé e per la figlia, una iniziativa qualificabile come commodus discessus Sez. 5, n. 25653 del 14/05/2008 - dep. 24/06/2008, Diop e altro, Rv. 240447 . In effetti, il riferimento alla possibile telefonata ai Carabinieri - senza dubbio esatto, ben avendo potuto M. chiamarli - sembra soffrire di astrattezza la necessità della reazione deve essere valutata nel momento dell’aggressione quindi, di per sé, il dato come si è detto, di origine incerta che il litigio nell’ingresso dell’abitazione durasse da un pò di tempo non costituiva, di per sé, garanzia che, nel tempo in cui i carabinieri potevano intervenire, non vi sarebbe stata aggressione fisica come - secondo la difesa del ricorrente e le testimonianze riprodotte nella sentenza di primo grado - invece vi fu . 2.6. Le considerazioni fin qui espresse impongono l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata. Benché la motivazione fin qui esposta abbia inevitabilmente affrontato il merito della vicenda, ciò è stato fatto esclusivamente per segnalare l’evidente vizio motivazionale, anche sotto il profilo del travisamento delle prove, ricavabile dal confronto con la ricostruzione operata dal giudice di primo grado e dalla documentazione processuale prodotta a sostegno del ricorso. L’unica indicazione vincolante in linea di diritto è la qualificazione degli spazi condominiali e, quindi, del pianerottolo antistante l’appartamento , come facenti parte dei luoghi indicati dall’art. 614, comma 1, cod. pen., ciò rendendo irrilevante - ai fini dell’astratta applicazione della legittima difesa domiciliare il dato discusso se Mo. si fosse o meno fermato sulla soglia o fosse entrato nell’ingresso dell’appartamento. Il giudice del rinvio, pertanto, riesaminerà liberamente, ma approfonditamente, la vicenda in concreto al fine di pervenire ad una decisione relativa all’applicabilità della scriminante adeguatamente motivata. 3. Anche il secondo motivo di ricorso è fondato limitatamente alla questione della scriminante putativa . In effetti, l’ipotesi di eccesso colposo di legittima difesa non sembra avere spazio nel caso di specie in cui la legittima difesa - se sussistente - fu domiciliare ai sensi dell’art. 52, comma 2, cod. pen. poiché la norma stabilisce preventivamente la sussistenza della proporzione tra l’aggressione e la difesa, non vi può essere eccesso colposo ai sensi dell’art. 55 cod. pen Con riferimento alla circostanza erroneamente supposta, si colgono due passaggi apparentemente illogici della motivazione della sentenza. In primo luogo la fin troppo sintetica, come si è visto narrazione del fatto riferisce pag. 5 che Mo. si era proteso, in due diversi momenti, verso il M. , più per intimorirlo che per colpirlo . Si è già visto che le testimoni sembrano non concordare su questa ricostruzione in realtà, non viene indicato alcun elemento sulla base del quale la Corte territoriale ha individuato l’effettiva intenzione di Mo. di soltanto intimidire, e non colpire, il padre della compagna. A prescindere da tali considerazioni, nell’ottica della scriminante putativa il giudice del merito avrebbe dovuto chiedersi in che modo M. avrebbe potuto comprendere, quando Mo. aveva apparentemente tentato di colpirlo con una testata, che si trattava di un atto esclusivamente intimidatorio e che egli non correva il rischio di essere colpito. La motivazione con cui la Corte territoriale ha concesso l’attenuante della provocazione negata dal Giudice di primo grado pag. 6 sentenza di appello , inoltre, non può non rilevare in una nuova analisi in concreto della sussistenza della scriminante putativa. Si legge, infatti, che l’imputato che già aveva visto sua figlia ritornare più volte a casa dei genitori e, quindi, sapeva che la relazione con Mo. non stava procedendo felicemente aveva appreso che la figlia era in fuga dal proprio compagno , che Mo. la picchiava, che aveva devastato la casa nella quale vivevano insieme e che tale situazione durava ormai da un anno nelle ore successive M. aveva certamente assistito all’agitazione e al malessere della figlia, tempestata, dal Mo. , di telefonate minacciose e ingiuriose infine, quando il predetto era giunto a casa sua, urlando e minacciando , si era mostrato sordo ad ogni invito alla calma . Dalla sentenza di primo grado si evince che le minacce erano rivolte anche contro i genitori della compagna. Esatta o meno questa rappresentazione di Mo. M.F. aveva confermato agli inquirenti la sua condotta violenta e l’ispezione dell’abitazione del defunto aveva mostrato una furia incontrollata dell’uomo , il Giudice del merito non poteva non chiedersi se la violenza esercitata prima con le testate verso l’imputato e poi agitando l’ombrello con il puntale metallico verso di lui e la moglie avessero fatto ritenere erroneamente o meno a M. che sussistesse un effettivo pericolo per l’incolumità sua, del coniuge o delle figlie, tanto da essere costretto a difendere da un pericolo attuale. Anche questa valutazione è stata omessa dalla Corte territoriale e dovrà essere effettuata dal giudice del rinvio, la cui decisione sarà supportata da adeguata motivazione. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo giudizio ad altra Sezione della Corte di assise di appello di Roma.