La temporaneità dell’opera non può essere valutata soggettivamente

In materia edilizia, al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio della concessione edilizia ora permesso di costruire con l'entrata in vigore del d.P.R. 6 giugno 2001 n. 380 la realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria, la stessa non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale dell'opera ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo.

Lo ha ribadito la Terza Sezione penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 7275/18, depositata il 15 febbraio. Le opere edilizie precarie L'art. 3, comma 1, lett. e , T.U. edilizia annovera tra gli interventi di nuova costruzione - come tali soggetti al permesso di costruire - tra gli altri, l'installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati ed in genere l'installazione di strutture di qualsiasi tipologia, quali roulotte, camper, case mobili, imbarcazioni, a condizione che siano utilizzate come abitazioni, ambienti di lavoro, depositi, magazzini, ecc. e siano tese a soddisfare esigenze durevoli nel tempo in definitiva il concetto di costruzione non postula necessariamente l'ancoraggio al suolo del fabbricato, ove sussistano le condizioni dianzi evidenziate. Ad esempio, nel caso di struttura adibita a campeggio, sussiste il fumus del reato di lottizzazione abusiva laddove essa, sia pure debitamente autorizzata, venga radicalmente mutata per effetto di opere edilizie non autorizzate e di roulotte posizionate stabilmente a terra e, pertanto, non più agevolmente trasportabili, dando luogo ad uno stabile insediamento abitativo di rilevante impatto negativo sull'assetto territoriale. Sempre in tema di attività di campeggio, la Suprema Corte ha altresì stabilito che integra il reato di lottizzazione abusiva la realizzazione, all'interno di una area adibita a campeggio, di una struttura ricettiva che presenta le caratteristiche di uno stabile insediamento residenziale, posto che il campeggio” presuppone allestimenti e servizi finalizzati ad un soggiorno occasionale e limitato nel tempo in quanto previsto dalla legge in funzione di turisti in prevalenza provvisti di propri mezzi mobili di pernottamento. e i manufatti stagionali. La sentenza in commento appare particolarmente interessante anche con riguardo all’incidenza dei manufatti ad uso stagionale sui reati edilizi. Sul punto, la Suprema Corte ha recentemente stabilito che, in materia edilizia, al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto, l'asserita precarietà dello stesso non può essere desunta dal suo carattere stagionale, ma deve ricollegarsi - a mente di quanto previsto dall'art. 6, comma 2, lett. b , d.P.R. n. 380/2001, come emendato dall'art. 5, comma 1, d.l. 25 marzo 2010, n. 40 convertito, con modificazioni, nella l. n. 73/2010 - alla circostanza che l'opera sia intrinsecamente destinata a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee, e ad essere immediatamente rimossa al venir meno di tale funzione. In altre parole, costituisce oramai orientamento consolidato quello per cui il carattere stagionale del manufatto realizzato non implica precarietà dell'opera, potendo essere la stessa destinata a soddisfare un bisogno non provvisorio attraverso la perpetuità della funzione, con la conseguenza che rimane necessario il rilascio della concessione edilizia. Peraltro, in materia edilizia, ai fini del riscontro del connotato della precarietà e della relativa esclusione della modifica dell'assetto del territorio, non sono rilevanti le caratteristiche costruttive, i materiali impiegati e l'agevole rimovibilità, ma le esigenze temporanee alle quali l'opera eventualmente assolva. Del resto, la natura precaria di un manufatto, ai fini della sua non sottoposizione al preventivo rilascio del permesso di costruire, non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all'opera dall'utilizzatore, né dal dato che si tratti di un manufatto smontabile e non infisso al suolo, ma deve riconnettersi ad una intrinseca destinazione materiale dell'opera stessa ad un uso realmente precario per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con la conseguente e sollecita eliminazione del manufatto alla cessazione dell'uso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 9 gennaio – 15 febbraio 2018, n. 7275 Presidente Ramacci – Relatore Mengoni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 12/12/2016, la Corte di appello di Lecce confermava la pronuncia emessa il 22/10/2015 dal Tribunale di Brindisi, con la quale V.I. ed L.A. erano state giudicate colpevoli della contravvenzione di cui agli artt. 81 cpv., 110 cod. pen., 44, comma 1, lett. b , d.P.R. 6 giugno 2001, n. 380, e condannate alla pena di cui al dispositivo alle stesse era contestato di aver realizzato opere edilizie in assenza di permesso di costruire e, in particolare, le due unità abitative compiutamente descritte in rubrica. 2. Propone diffuso ricorso per cassazione la V. , a mezzo del proprio difensore, deducendo i seguenti motivi - nullità della sentenza con riguardo agli artt. 546, comma 3, cod. proc. pen., 6 CEDU. Il dispositivo della pronuncia richiamerebbe una sentenza quella di primo grado priva di indicazione del relativo numero e, soprattutto, errata nel riferimento cronologico ancora, nello stesso dispositivo sarebbe prevista la sola condanna al pagamento delle spese del grado, senza alcun riferimento alla sanzione penale detentiva e pecuniaria irrogata dal Tribunale. Della quale, pertanto, non sarebbe certa l’effettiva conferma con palese violazione, dunque, di ogni diritto di difesa - contraddittorietà e manifesta illogicità della motivazione. La sentenza - pur a ciò sollecitata con l’atto di appello - non avrebbe valutato adeguatamente la deposizione G. , teste del pubblico ministero, che avrebbe escluso il carattere stabile delle opere in esame, ribadendone, per contro, la temporaneità e l’utilizzo nel solo periodo estivo. Deposizione di particolare rilievo, dunque, ma del tutto obliterata dalla Corte di merito. Analoga censura motivo lett. c concerne poi le dichiarazioni rese dai testi indotti dalla difesa P. , E. e D.C. , in parte riportate nel gravame, che avrebbero ulteriormente confermato il carattere precario e stagionale delle opere, in uno con il mero appoggio al suolo delle stesse su ruote. A tale riguardo, peraltro, si censura - a più riprese - che nessun testimone avrebbe sostenuto che i manufatti non venissero rimossi nel periodo invernale, e la diversa circostanza negativa sarebbe stata affermata dal Collegio in termini apodittici e non dimostrati - erronea applicazione dell’art. 3, lett. e.5, d.P.R. n. 380 del 2001. Contrariamente alla lettera della legge, nessun teste avrebbe confermato la collocazione stabile delle strutture in esame, invero utilizzate dalla ricorrente soltanto nel periodo estivo e nella mera qualità di turista sì da trovare piena applicazione l’art. 3, lett. e.5 citata, pur alla luce delle novelle succedutesi al riguardo, con conseguente irrilevanza penale della condotta. La medesima doglianza è poi proposta anche con il motivo lett. e , concernente l’erronea applicazione dell’art. 6, comma 2, d.P.R. n. 380 del 2001 al riguardo, in particolare, si assume che nessun teste avrebbe visto la ricorrente utilizzare le strutture durante i mesi invernali, emergendo dall’istruttoria - piuttosto, come già rilevato - la palese temporaneità delle stesse e la loro amovibilità. Nessuna stabile destinazione abitativa, dunque, nessun riferimento dibattimentale in tal senso. Come ulteriormente confermato, di seguito, ancora dal teste G. , autore di un sopralluogo alla sola data del 27/4/2012 sì da non potersi ritenere provato che le strutture insistessero sul terreno anche nel corso dei mesi invernali - violazioni di legge e vizi motivazionali, da ultimo, sono dedotti con riguardo al trattamento sanzionatorio. In primo luogo, si denuncia la sproporzione della pena, ritenuta evidente alla luce della modestia dell’opera, specie in zona ad alto indice di abusivismo ancora, si censura l’inosservanza dell’art. 44 in rubrica, attesa la sperequazione tra la sanzione inflitta alla ricorrente e quella irrogata alla correa L. , priva di effettiva motivazione non potendosi distinguere, come invece si legge in sentenza, tra mera esecuzione ed utilizzazione dell’abuso . Infine, si lamenta il mancato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, invero dovute alla luce dell’incensuratezza della ricorrente, del modesto carattere delle opere e del buon comportamento processuale tenuto. Si chiede, pertanto, l’annullamento della sentenza. Considerato in diritto 3. Il ricorso risulta manifestamente infondato. Con riguardo alla prima doglianza, di carattere processuale, rileva la Corte che il dispositivo della sentenza di appello recita Letti gli artt. 605 e 592 c.p.p., CONFERMA la sentenza del Tribunale di Brindisi, in data 22.10.2012, appellata da V.I. e L.A. , che condanna al pagamento delle spese di questo grado di giudizio . Segue il termine per il deposito della motivazione. Orbene, al di là del mero errore materiale relativo all’anno della pronuncia di primo grado 2012 anziché 2015 , in sé evidente ed irrilevante, osserva il Collegio che il dispositivo citato contiene ogni elemento necessario per la comprensione della sentenza 1 l’ufficio che aveva emesso la pronuncia impugnata della quale non occorreva riportare il numero, attesi i diversi elementi identificativi comunque richiamati 2 l’indicazione dei soggetti appellanti 3 il tenore della decisione 4 la condanna al pagamento delle spese del grado. Ciò, con la precisazione che - con l’espressione conferma - la Corte di appello ha inteso ribadire la pronuncia del Tribunale nella sua totalità, a muover, quindi, dal trattamento sanzionatorio irrogato che in questi casi - come noto a qualsiasi operatore del diritto - non viene mai ripetuto nel dispositivo di appello . Un dispositivo, quindi, completo e ben comprensibile, a fronte del quale appare palesemente inammissibile - al limite della pretestuosità - la doglianza proposta. 4. Alle medesime conclusioni, poi, perviene la Corte con riguardo alle censure in punto di responsabilità, tutte suscettibili di congiunto esame, attesane l’identità di ratio e la reiterazione degli argomenti. Al riguardo, occorre innanzitutto ribadire che il controllo del Giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione di cui si saggia l’oggettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando preclusa la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione e l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti tra le varie, Sez. 6, n. 47204 del 7/10/2015, Musso, Rv. 265482 Sez. 3, n. 12110 del 19/3/2009, Campanella, n. 12110, Rv. 243247 . Si richiama, sul punto, il costante indirizzo di questa Corte in forza del quale l’illogicità della motivazione, censurabile a norma dell’art. 606, comma 1, lett e , cod. proc. pen., è soltanto quella evidente, cioè di spessore tale da risultare percepibile ictu oculi ciò in quanto l’indagine di legittimità sul discorso giustificativo della decisione ha un orizzonte circoscritto, dovendo il sindacato demandato alla Corte di cassazione limitarsi, per espressa volontà del legislatore, a riscontrare l’esistenza di un logico apparato argomentativo Sez. U., n. 47289 del 24/9/2003, Petrella, Rv. 226074 . In altri termini, il controllo di legittimità sulla motivazione non attiene alla ricostruzione dei fatti né all’apprezzamento del Giudice di merito, ma è limitato alla verifica della rispondenza dell’atto impugnato a due requisiti, che lo rendono insindacabile a l’esposizione delle ragioni giuridicamente significative che lo hanno determinato b l’assenza di difetto o contraddittorietà della motivazione o di illogicità evidenti, ossia la congruenza delle argomentazioni rispetto al fine giustificativo del provvedimento. Sez. 2, n. 21644 del 13/2/2013, Badagliacca e altri, Rv. 255542 Sez. 2, n. 56 del 7/12/2011, dep. 4/1/2012, Siciliano, Rv, 251760 . 5. In tal modo individuato il perimetro di giudizio proprio della Suprema Corte, osserva allora il Collegio che le censure mosse dalla ricorrente al provvedimento impugnato si evidenziano come inammissibili ed invero, dietro la parvenza di plurime violazioni di legge e di vizi motivazionali, la stessa di fatto tende - reiteratamente - ad ottenere in questa sede una nuova e diversa valutazione delle medesime emergenze istruttorie specie testimoniali già esaminate dai Giudici del merito, più volte ed a stralci riportate, invocandone una lettura alternativa e più favorevole. Il che, come appena richiamato, non è consentito. A ciò si aggiunga che la Corte di appello - pronunciandosi proprio sulla medesima questione oggetto delle varie doglianze qui riproposte ossia il carattere temporaneo o stabile dei manufatti - ha steso una motivazione del tutto adeguata, fondata su oggettivi elementi istruttori e priva di qualsivoglia illogicità manifesta o violazione di legge come tale, dunque, non censurabile, anche alla luce del collegamento con la prima decisione, alla quale l’altra si lega in un continuum argomentativo, attesa la cd. doppia conforme. 6. Sul punto, osserva innanzitutto la Corte che l’art. 3, comma 1, lett. e.5 , d.P.R. n. 380 del 2001, in materia di interventi di nuova costruzione , è stato fatto oggetto, nel recente periodo, di numerosi interventi manipolativi, che debbono esser sinteticamente richiamati - l’art. 41, comma 4, d.l. 21 giugno 2013, n. 69 Disposizioni urgenti per il rilancio dell’economia , convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, l. 9 agosto 2013, n. 98, ha novellato la norma nel senso di includere tra gli interventi in oggetto - per i quali è richiesto il permesso di costruire - l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee , ancorché siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno dei turisti - la Corte costituzionale, con sentenza n. 189 del 9 giugno 2015, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 41, comma 4, appena citato. In particolare, con tale pronuncia si è affermato che la novella in oggetto individua specifiche tipologie di interventi edilizi, realizzati nell’ambito delle strutture turistico-ricettive all’aperto, molto peculiari, che peraltro contraddicono i criteri generali della trasformazione permanente del territorio e della precarietà strutturale e funzionale degli interventi forniti, dallo stesso legislatore statale, ai fini dell’identificazione della necessità o meno del titolo abilitativo. In tal modo, la norma impugnata sottrae al legislatore regionale ogni spazio di intervento, determinando la compressione della sua competenza concorrente in materia di governo del territorio, nonché la lesione della competenza residuale del medesimo in materia di turismo, strettamente connessa, nel caso di specie, alla prima - nel frattempo, peraltro, la norma in esame era stata ulteriormente modificata dall’art. 10-ter, d.l. 28 marzo 2014, n. 47 Misure urgenti per l’emergenza abitativa, per il mercato delle costruzioni e per Expo 2015 , convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, l. 23 maggio 2014, n. 80, che aveva sostituito, all’interno della disposizione, la parola ancorché con le parole e salvo che . Ne era derivato, pertanto, il seguente testo della norma sono da considerare interventi di nuova costruzione, tra gli altri, l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, e che non siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee e salvo che siano installati, con temporaneo ancoraggio al suolo, all’interno di strutture ricettive all’aperto, in conformità alla normativa regionale di settore, per la sosta ed il soggiorno di turisti - la l. 28 dicembre 2015, n. 221 Disposizioni in materia ambientale per promuovere misure di green economy e per il contenimento dell’uso eccessivo di risorse naturali ha da ultimo novellato il testo in esame nel senso che costituiscono nuove costruzioni - tra le altre - l’installazione di manufatti leggeri, anche prefabbricati, e di strutture di qualsiasi genere, quali roulottes, campers, case mobili, imbarcazioni, che siano utilizzati come abitazioni, ambienti di lavoro, oppure come depositi, magazzini e simili, ad eccezione di quelli che siano diretti a soddisfare esigenze meramente temporanee o siano ricompresi in strutture ricettive all’aperto per la sosta e il soggiorno dei turisti, previamente autorizzate sotto il profilo urbanistico, edilizio e, ove previsto, paesaggistico, in conformità alle normative regionali di settore . 7. Tanto riportato, ritiene il Collegio che la Corte di appello abbia fatto corretta applicazione della stessa disciplina, riconoscendo la natura abusiva dei manufatti in esame alla luce del loro carattere non meramente temporaneo tale, dunque, da imporne la qualifica nei termini della nuova costruzione, rilevante nell’ottica dell’art. 44 contestato. In particolare, la sentenza in esame - al pari della precedente - ha sottolineato che i due manufatti venivano utilizzati dalla ricorrente tanto nel periodo estivo con riguardo ad esigenze abitative , quanto in quello invernale allorquando gli immobili venivano utilizzati come depositi , come confermato non solo dalle fotografie scattate in occasione del sopralluogo 27/4/2012 , ma anche dalle dichiarazioni rese dalla teste P. , richiamate alla pag. 2 della pronuncia del Tribunale. In forza di quest’ultima circostanza, poi, già il primo Giudice aveva osservato che, qualora davvero destinati a soddisfare esigenze soltanto temporanee, i manufatti non sarebbero rimasti assemblati anche nel periodo invernale oltre a rilevare che il carattere della amovibilità risultava comunque di assai dubbia individuazione, attesi i caratteri strutturali dei beni - adeguatamente evidenziati dai materiali usati legno e mattoni in cemento , dagli infissi sull’una , dall’impianto elettrico sull’altra , dal collegamento ad una fossa Imhoff, con massetto in cemento a servizio - tali da far ipotizzare, con ragionevole certezza, una stabile collocazione in quel luogo ed un uso non temporaneo. Elementi oggettivi e tratti dall’istruttoria eseguita, quindi, ed a fronte dei quali il gravame non oppone argomenti significativi le varie censure, infatti, si limitano a ribadire che i Giudici non avrebbero valutato numerose testimonianze G. , P. , D.C. , E. , che, però, per come sommariamente riportate in termini, quindi, già ex se inammissibili , avrebbero solo confermato che i manufatti non avevano fondazioni, erano muniti di ruote ed erano stati lì trasportati con un camion. Considerazioni meramente fattuali e, comunque, inidonee ad incidere sulla qualificazione giuridica dei beni in oggetto, che spetta soltanto al giudice non certo ai testimoni ed è stata compiuta alla luce degli elementi strutturali già sopra riportati. In uno, peraltro, con gli altri - sopra menzionati e che il ricorso neppure cita - che ben confermano, con argomento più che adeguato, il carattere stabile delle strutture. 8. Con la motivazione in esame, dunque, la Corte di appello, al pari del primo Giudice, ha fatto buon governo del principio - di costante affermazione in questa sede - in forza del quale in materia edilizia, al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto per la sua asserita natura precaria, la stessa non può essere desunta dalla temporaneità della destinazione soggettivamente data all’opera dal costruttore, ma deve ricollegarsi alla intrinseca destinazione materiale ad un uso realmente precario e temporaneo per fini specifici, contingenti e limitati nel tempo, con conseguente possibilità di successiva e sollecita eliminazione, non risultando, peraltro, sufficiente la sua rimovibilità o il mancato ancoraggio al suolo tra le molte, Sez. 3, n. 966 del 26/11/2014, Manfredini, Rv. 261636 Sez. 3, n. 22054 del 25/2/2009, Frank, Rv. 243710 Sez. 3, n. 20189 del 21/3/2006, Cavallini, Rv. 234325 . E senza che si possa confondere, al riguardo, un uso temporaneo del bene con quello stagionale, ripetutamente richiamato dalla ricorrente come elemento idoneo ad escludere la rilevanza penale della condotta per orientamento ancora costante e qui da ribadire, infatti, al fine di ritenere sottratta al preventivo rilascio del permesso di costruire la realizzazione di un manufatto, l’asserita precarietà dello stesso non può essere desunta dal suo carattere stagionale, ma deve ricollegarsi alla circostanza che l’opera sia intrinsecamente destinata a soddisfare obiettive esigenze contingenti e temporanee, e ad essere immediatamente rimossa al venir meno di tale funzione tra le molte, Sez. 3, n. 36107 del 30/6/2016, Arrigoni, Rv. 267759 . Circostanza - quest’ultima - che entrambe le sentenze hanno escluso, con affermazione non censurabile, alla luce delle risultanze testimoniali P. e documentali. E senza che si possa accogliere, al riguardo, l’inversione probatoria invocata con il gravame, secondo la quale l’istruttoria non avrebbe dimostrato che i manufatti non venivano rimossi durante i mesi invernali a fronte dei dati positivi offerti dal dibattimento proprio in tal senso, infatti, avrebbe costituito onere della difesa dimostrate che, diversamente, tale rimozione avveniva, con successiva ricollocazione dei beni per l’estate successiva. Tutte le doglianze in punto di responsabilità, pertanto, risultano manifestamente infondate. 9. Alle medesime conclusioni, infine, perviene la Corte anche quanto alle censure relative al trattamento sanzionatorio. Con riguardo, innanzitutto, al carattere eccessivo della sanzione, non merita accoglimento la dedotta carenza motivazionale la Corte di appello, infatti, ha inteso confermare la misura già fissata dal primo Giudice, poiché proporzionata alla gravità dell’abuso, ai sensi dell’art. 133 cod. pen. E con la precisazione che la pena applicata risulta di molto inferiore alla media edittale, anzi, prossima ai minimi, sì da non imporsi - per costante indirizzo - un particolare onere motivazionale per tutte, Sez. 1, n. 16691 del 22/1/2009, Santaiti, Rv. 243168 . Quanto, poi, al difforme e meno severo trattamento irrogato alla coimputata L. , rileva il Collegio che nessuna ingiustificata disparità di trattamento risulta ravvisabile come già indicato dal primo Giudice, ed implicitamente ripreso dalla Corte di merito con la conferma edittale, tale difformità derivava dal fatto che la V. aveva non solo concorso alla realizzazione dell’abuso, ma anche poi utilizzato gli immobili stessi, a differenza dell’altra. Un argomento, quindi, non manifestamente illogico e non censurabile. Da ultimo, in punto di circostanze attenuanti generiche, occorre premettere che, per costante e condiviso indirizzo, nel motivarne il diniego non è necessario che il Giudice prenda in considerazione tutti gli elementi favorevoli o sfavorevoli dedotti dalle parti o rilevabili dagli atti, ma è sufficiente che egli faccia riferimento a quelli ritenuti decisivi o comunque rilevanti, rimanendo tutti gli altri disattesi o superati da tale valutazione per tutte, Sez. 3, n. 28535 del 19/3/2014, Lule, Rv. 259899 orbene, la Corte di appello ha fatto buon governo di questo principio, negando tali circostanze alla luce della scarsa incidenza degli elementi valorizzati dalla difesa, soccombenti rispetto alle modalità del fatto, e dell’assenza di ulteriori elementi favorevoli in capo all’imputata. Con motivazione, dunque, ancora del tutto congrua. 10. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile. Alla luce della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen. ed a carico di ciascun ricorrente, l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.