Non punibile per omesso versamento delle ritenute l’imprenditrice che ha preferito pagare gli stipendi dei dipendenti

In tema di omesso versamento di ritenute fiscali, non può essere ritenuto sussistente l’elemento soggettivo del reato – o, almeno, il giudice di merito deve adeguatamente motivarne la sussistenza – nel momento in cui a fronte di una crisi di liquidità l’agente abbia consapevolmente scelto di far fronte ad altri improcrastinabili adempimenti verso altri creditori, quali i lavoratori dipendenti, tutelati dalla Costituzione.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 6737/18, depositata il 12 febbraio. La vicenda. La Corte d’Appello di Brescia riduceva la pena inflitta in primo grado all’imputata alla quale veniva contestato di aver omesso, quale legale rappresentante di una s.p.a., il versamento delle ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituti entro il termine annuale. La pronuncia viene impugnata per cassazione. Il ricorso lamenta la violazione dell’art. 10- bis d.lgs. n. 74/2000 ed, in particolare, la ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del rato. La ricorrente afferma di non aver potuto accantonare mensilmente le somme necessarie per gli importi da versare a causa della crisi di liquidità che aveva colpito la società a fronte della quale aveva preferito” far fronte al pagamento dei lavoratori dipendenti, situazione dedotta quale causa di forza maggiore o comunque stato di necessità che avrebbe evidenziato la carenza dell’elemento soggettivo. Elemento soggettivo del reato. La Suprema Corte ha già avuto modo di esprimersi sull’omesso versamento del debito d’imposta da parte di imprenditori in difficoltà economica ed ha affermato che in tali situazioni il reato può non essere integrato sotto il profilo dell’elemento soggettivo oppure sotto il profilo dell’esimente della forza maggiore. La giurisprudenza ha così mitigato l’originario rigore dell’epoca in cui il cattivo andamento dell’attività era riconducibile alla mala gestio dell’imprenditore, lasciando così maggior spazio a situazioni eterogenee in cui la crisi economica colpisce le attività produttive. Nel caso di specie, rileva la carenza dell’elemento soggettivo del reato proprio perché si configurerebbe un contrasto costituzionale laddove fosse punito l’imprenditore che omette il versamento delle ritenute fiscali, a causa di una crisi finanziaria e per far fronte ad improcrastinabili adempimenti verso altri creditori, quali i lavoratori dipendenti, pure tutelati dalla Costituzione, con particolare riferimento al diritto al lavoro e alla conseguente retribuzione . Fermo restando che il reato in parola è un reato a dolo generico, la Corte sottolinea la carenza motivazionale del provvedimento impugnato che non ha adeguatamente motivato in ordine all’elemento soggettivo non potendo a priori escludere che la convinzione che i dipendenti necessitassero l’immediata corresponsione non di somme di denaro di per sé, bensì di mezzi di sostentamento necessari” per loro e per le loro famiglie, se realmente fosse stata propria dell’imputata e se realmente l’avesse indotta a pagarli a costo di omettere il versamento delle ritenute, fosse stata nel caso concreto compatibile con il dolo del reato in questione, ovvero con una contestuale consapevolezza di illiceità . In conclusione, la corte accoglie il ricorso e rinvia alla Corte d’Appello di Brescia.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 23 novembre 2017 – 12 febbraio 2018, numero 6737 Presidente Savani – Relatore Graziosi Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 31 gennaio 2017 la Corte d’appello di Brescia, a seguito di appello proposto da Z.V. avverso sentenza del 23 giugno 2015 con cui il gip del Tribunale d Bergamo l’aveva condannata alla pena di un anno e sei mesi di reclusione per il reato di cui all’articolo 10 bis d.lgs. 74/2000 - per avere omesso, quale legale rappresentante di Lupini Targhe S.p.A., di versare le ritenute risultanti dalle certificazioni rilasciate ai sostituiti entro il termine per presentare la dichiarazione annuale di sostituto d’imposta per il periodo di imposta 2009, per un totale di Euro 873.371,95 -, in parziale riforma, riduceva la pena a un anno di reclusione e revocava la sospensione condizionale della pena. 2. Ha presentato ricorso il difensore, sulla base di due motivi, il primo denunciante violazione d legge e vizio motivazionale e il secondo violazione di legge. Considerato in diritto 3. Il ricorso è parzialmente fondato. 3.1 Il primo motivo del ricorso denuncia, in riferimento all’articolo 606, primo comma, lettere b c.p.p., violazione dell’articolo 10 bis d.lgs. 74/2000 e mancanza, contraddittorietà e manifesta illogicità motivazionale. E adduce che nell’atto d’appello era stata lamentata l’assenza di ogni accertamento sull’effettivo rilascio delle certificazioni di ritenute fiscali ai sostituiti per il periodo 2009, per cui ex articolo 603 c.p.p., la corte territoriale aveva disposto l’acquisizione delle certificazioni sii ridette. La ricorrente sostiene che gli esiti di tale acquisizione sono riportati nell’annotazione del Nucleo di Polizia Tributaria della Guardia di Finanza di Bergamo del 21 dicembre 2016 e nella successiva annotazione del 10 gennaio 2017 , a quest’ultima essendo allegate 214 copie del CUD dei dipendenti della società, come constatato nella sentenza impugnata. La sentenza, peraltro, avrebbe poi fornito considerazioni manifestamente erronee sugli esiti della rinnovazione istruttoria, e ciò alla luce del contenuto delle citate annotazioni della Guardia di Finanza , da cui risulterebbero erogati redditi a favore di 247 persone, di cui 214 dipendenti e assimilati nonché 33 lavoratori autonomi, laddove la corte si sarebbe limitata a rilevare che erano state allegate 214 copie del CUD dei dipendenti senza considerare la mancata acquisizione di 33 certificazioni di ritenute relative a redditi di lavoro autonomo e di provvigioni, che avrebbero dovuto essere detratte dall’importo complessivo di Euro 873.371,95 andavano altresì detratte le ritenute per 16 percettori di redditi di lavoro dipendente ed assimilati per cui le certificazioni non erano state rilasciate dal sostituto d’imposta . Quindi non si sarebbe correttamente verificata l’eventualità del non superamento della soglia di punibilità di Euro 150.000 per anno d’imposta e comunque, anche se tale soglia non fosse stata oltrepassata, il trattamento sanzionatorio avrebbe potuto essere ridimensionato . Da quanto si è appena riassunto, emerge chiaramente che il motivo richiede una verifica sugli essi fattuali dell’acquisizione disposta ai sensi dell’articolo 603 c.p.p. dal giudice d’appello, così perseguendo una revisione da parte del giudice di legittimità di quanto il giudice di merito ne ha tratto. Non viene realmente denunciata, pertanto, una violazione di legge, né la censura permane entro i confini del vizio motivazionale, bensì entra nella inammissibilità. Meramente ad abundantiam, allora, si rileva che il giudice d’appello motivazione, pagina 7 ha chiaramente precisato che la Guardia di Finanza aveva dato atto che le certificazioni acquisite corrispondono ai soggetti percettori di reddito riportati nella dichiarazione del sostituto d’imposta predisposta dalla Società per l’anno di imposta 2009 . 3.2.1. Il secondo motivo denuncia, ex articolo 606, primo comma, lettera b , c.p.p., violazione degli articoli 10 bis d.lgs. 74/2000, 45 e 54 c.p. Il centro del motivo viene ad imperniars sull’attribuzione al giudice d’appello di errore di diritto escludendo che potesse mancare nel caso in esame l’elemento soggettivo necessario ad integrare la fattispecie dell’articolo 10 bis, sia sotto il profilo del non avere potuto l’imputata accantonare mensilmente gli importi delle ritenute dovute per il periodo di imposta 2009, essendo ella divenuta amministratrice il 25 febbraio 2010, sia perché, in sostanza, non poteva non incidere la crisi di liquidità in cui ella, divenuta amministratrice, aveva trovato la società, in quanto sarebbe incostituzionale ritenere punibile l’imprenditore che omette il versamento delle ritenute fiscali, a causa di una crisi finanziaria e per far fronte ad improcrastinabili adempimenti verso altri creditori, quali i lavoratori dipendenti, pure tutelati dalla Costituzione, con particolare riferimento al diritto al lavoro e alla conseguente retribuzione . Nel caso in esame, quindi, mancherebbe l’elemento soggettivo e comunque l’antigiuridicità per impossibilità di diversa condotta, nell’omissione compiuta dall’imputata Z.V. , per indisponibilità della somma necessaria, quale causa di forza maggiore o comunque causa di stato di necessità in considerazione della necessità di assicurare ai dipendenti e alle loro famiglie la prosecuzione dell’attività lavorativa e il loro sostentamento che effettivamente è stato garantito sino alla dichiarazione di fallimento, del 10.10.2013, richiesta in proprio . Quindi la corte territoriale avrebbe dovuto assolvere l’imputata per carenza di elemento soggettivo, considerato altresì che l’imputata non aveva alcuna disponibilità di patrimonio personale per adempiere all’obbligo tributario della società. Premesse che, pur dopo avere percorso un iter in cui sono stati inseriti altri argomenti, come il mancato accantonamento, la forza maggiore e lo stato di necessità, il motivo sfocia - comunque - e quindi in essa si circoscrive - nella questione della asserita carenza di elemento soggettivo, deve darsi atto che ciò trova ad abundantiam conferma, per così dire, esterna nell’identico nucleo del corrispondente motivo introdotto con il gravame di merito. A proposito di quest’ultimo, la corte territoriale non aveva ritenuto configurabile la mancanza di dolo dall’imputata, limitandosi peraltro ad una generica invocazione di quella che definisce ormai costante giurisprudenza di legittimità sul punto, che esclude la responsabilità dell’imprenditore solo in presenza di una crisi economica a lui non imputabile, e solo quando siano state adottate tutte le misure idonee a fronteggiare la crisi , e aggiungendo peraltro il seguente rilievo Il fatto che la Z. abbia ammesso di avere avuto una alternativa e di avere scelto di pagare gli stipendi e le mensilità in corso al fine di assicurare la continuità aziendale, anziché provvedere al pagamento delle ritenute operate nel precedente anno d’imposta, esclude che la stessa si sia trovata in una situazione di assoluta impossibilità di adempiere al debito d’imposta . Non si può anzitutto non osservare che tale rilievo altera l’effettivo contenuto della difesa della imputata, così come poche righe prima sintetizzato proprio nella stessa motivazione pagina 8 l’imputata, infatti, non aveva affermato di avere scelto di pagare , bensì che le era parsa sinceramente obbligata , tra le due opzioni - pagamento dei dipendenti e delle ritenute fiscali -, alla prima e affermare di essersi ritenuti obbligati a fare una determinata cosa non equivale, logicamente, ad ammettere di avere scelto di non fare una cosa diversa, perché l’adempimento di un dovere non coincide con una scelta, neppure se questa ha un oggetto diverso. E una ulteriore deformazione si rinviene, subito dopo, laddove la corte territoriale asserisce che la Z. aveva scelto di pagare gli stipendi per le mensilità in corso al fine di assicurare la continuità aziendale , mentre, ancora come riportato nella stessa pagina della motivazione, era emersa una sua dichiarazione nel senso di essersi ella sentita obbligata ad assicurare ad oltre 200 persone e relative famiglie, ovvero ai dipendenti della Lupini Targhe, i mezzi di sostentamento necessari, derivanti dalla loro attività lavorativa . 3.2.2 La corte territoriale, comunque, dopo una semplice menzione dell’insegnamento di questa Suprema Corte, opera una ricostruzione della fattispecie penale non giuridicamente completa. Sorvolando la questione della sussistenza o meno, in concreto, di una crisi economica non imputabile e non affrontabile con misure idonee sul punto, infatti, la corte esterna soltanto un rapido rilievo, senza indicare da che cosa risultasse che la Z. avesse mancato di provvedere quanto alla crisi della società, che peraltro dalla stessa motivazione dalla sentenza impugnata risulta essere stata avviata al concordato preventivo e nonostante questo non aver potuto sfuggire al fallimento per argomentare, in realtà, soltanto tramite l’asserto come si è appena visto, non del tutto congruo che il denaro per versare le ritenute era disponibile in quanto la Z. aveva ammesso di avere scelto di utilizzarlo per pagare i dipendenti della società. Da ciò, appunto, la corte territoriale desume che la Z. poteva materialmente adempiere al debito d’imposta, senza peraltro esaminare se una siffatta scelta , a suo avviso in sostanza confessata dalla Z. , fosse realmente compatibile con il dolo della fattispecie criminosa. La giurisprudenza di questa Suprema Corte, dall’epoca in cui ha dovuto esaminare vari episodi di omesso versamento del debito d’imposta da parte di imprenditori la cui impresa veniva a trovarsi in una gravissima crisi di liquidità, e sovente persino sull’orlo del fallimento, ha riconosciuto che l’omesso versamento in una situazione di crisi simile può non integrare il reato, o sotto un profilo dell’elemento soggettivo o sotto il profilo della esimente rappresentata dalla forza maggiore il problema, insorto da una globale situazione economica, era stato d’altronde ben percepito dalla dottrina, anche sulla scorta, ovviamente, delle prime pronunce della giurisprudenza di merito al riguardo. Prendendo le mosse, dunque, da un rigore, per così dire, di sistema che si era conformato in un’epoca economicamente opposta, in cui la sopravvenuta crisi di liquidità dell’impresa derivava ordinariamente dalla mala gestio del singolo imprenditore e del quale gli ultimi fuochi, tra gli arresti massimati, sono ravvisabili in Cass. sez. 3, 12 giugno 2013 numero 37528, Corlianò, che espressamente esclude che la difficoltà finanziaria possa costituire forza maggiore in riferimento alla responsabilità per il reato di cui all’articolo 10 bis d.lgs. 74/2000 , questa Suprema Corte, alla luce di spiragli già creati da S.U. 23 marzo 2013 numero 37425, ric. Favellato, ha successivamente aperto spazi di manovra, oscillando appunto, vista anche l’eterogeneità dei concreti casi esaminati, tra la soluzione rinvenibile nell’esimente e quella riconducibile, invece, all’elemento soggettivo cfr., ex multis, Cass. sez. 3, 9 ottobre 2013-7 febbraio 2014 numero 5905, ric. Maffei, non massimata, cui fa riferimento anche il ricorso Cass. sez. 3, 6 novembre 2013 numero 2614, ric. Saibene Cass. sez. 3, 5 dicembre 2013-4 febbraio 2014 numero 5467, ric. Mercutello Cass. sez. 3, 8 gennaio 2014 numero 15416, ric Tonti Sauro, non massimata Cass. sez. 3, 11 dicembre 2014 numero 51436, ric. PM Sassari, non massimata Cass. sez. 3, 21 gennaio 2015 numero 7429, ric. PM Potenza Cass. sez. 3, 24 giugno 2014-25 febbraio 2015 numero 8352, ric. Schirosi, Cass. sez. 3, ric. Olivetto, 29 marzo 2017 numero 46459 . 3.2.3 Non è il caso, peraltro, di approfondire giuridicamente al riguardo di entrambi i profili. Quel che qui rileva infatti è, indubbiamente, l’elemento soggettivo, poiché, come si è visto, il ricorso raggiunge l’acme delle sue argomentazioni nell’affermare e a ciò implicitamente sottende anche la denuncia di un profilo di illegittimità costituzionale qualora non sia accolto quanto viene addotto che il dolo non può sussistere in quanto, altrimenti, non potrebbe che configurarsi un contrasto con la carta costituzionale laddove dovesse ritenersi la punibilità del soggetto imprenditore che omette il versamento delle ritenute fiscali, a causa di una crisi finanziaria e per far fronte ad improcrastinabili adempimenti verso altri creditori, quali i lavoratori dipendenti, pure tutelati dalla Costituzione, con particolare riferimento al diritto al lavoro e ala conseguente retribuzione . Questione che - come già sopra si è constatato - la corte territoriale non affronta a proposito dell’analogo motivo d’appello, effettuando anzi, con una sorta di scorciatoia logica, una sua trasformazione se l’imputata, quale legale rappresentante della società loro datrice di lavoro, aveva pagato gli stipendi ai lavoratori si ricordi che l’argomento difensivo era stato addotto come pagamento di mezzi di sostentamento necessari ai dipendenti e alle loro famiglie, ma, dopo averlo riportato, la corte territoriale lo ha modificato, affermando che l’imputata aveva ammesso di aver pagato gli stipendi al fine di assicurare la continuità aziendale in motivazione, pagina 8 , si deve escludere che la stessa si sia trovata in una situazione di assoluta impossibilità di adempiere al debito d’imposta . Se così fosse stato, la questione allora si sarebbe incentrata sulla forza maggiore, che veniva così fattualmente esclusa dalla corte territoriale ma la difesa veicolata nel motivo d’appello riguardava l’elemento psicologico, come d’altronde la stessa corte poco prima aveva esposto motivo con il quale si afferma la mancanza di dolo da parte della Z. motivazione, pagina 8 . Non può non ricordarsi che per integrare il reato in questione è sufficiente il dolo generico S.U. 28 marzo 2013 numero 37425, ric. Favellato, cit., in motivazione Cass. sez. III, 26 maggio 2010 numero 25875, ric. Olivieri quest’ultimo, tuttavia, proprio in quanto dolo non può essere scisso dalla consapevolezza della illiceità della condotta che viene investita dalla volontà. Nella motivazione, la recente Cass. sez. 3, 24 giugno 2014-25 febbraio 2015 numero 8352, ric. Schirosi, citata, ha ben focalizzato questo profilo, oltrepassando la restrittività di Cass. sez. III, 26 maggio 2010 numero 25875, ric. Olivieri, appena citata - per cui il dolo sarebbe stato integrato dalla mera consapevolezza della condotta omissiva - tramite l’osservazione che nel reato de quo il dolo è integrato dalla condotta omissiva attuata nella consapevolezza della sua illiceità, non richiedendo la norma anche un atteggiamento antidoveroso di volontario contrasto con il precetto violato . La piena consapevolezza della illiceità della condotta che si pone in essere non può, in effetti, mancare nei dolo in un reato come quello in esame, fattispecie propria di chi assume ex lege la funzione di sostituto d’imposta, funzione di assoluto rilievo nel sistema fiscale e non a caso la sentenza Schirosi rafforza tale constatazione, a ben guardare, laddove poi osserva che la scelta di non pagare prova il dolo il che significa che il dolo non viene integrato dall’omesso pagamento di per sé, ma da una scelta consapevole, appunto, della illiceità della condotta rappresentata dall’omesso pagamento. La corte territoriale, invece, non ha considerato tale profilo, attestandosi su una porzione al negativo dell’elemento oggettivo del reato - la carenza di forza maggiore impeditiva della condotta - ovvero sulla prova, che ha reputato raggiunta nelle modalità sopra evidenziate, che sussisteva la liquidità per effettuare il versamento. Avrebbe, invece, dovuto accertare in modo completo la fattispecie criminosa, ovvero anche in relazione all’elemento soggettivo, non potendo a priori escludere che la convinzione che i dipendenti necessitassero l’immediata corresponsione non di somme di denaro di per sé, bensì di mezzi di sostentamento necessari per loro e per le loro famiglie, se realmente fosse stata propria della imputata e se realmente l’avesse indotta a pagarli a costo di omettere il versamento delle ritenute, fosse stata nel caso concreto compatibile con il dolo del reato in questione, ovvero con una contestuale consapevolezza di illiceità. In conclusione, il motivo deve essere accolto in quanto la corte territoriale non ha correttamente applicato l’articolo 10 bis d.lgs. 74/2000 in relazione al necessario completo accertamento della fattispecie criminosa come disegnata dalla suddetta norma pertanto deve essere annullata la sentenza con rinvio ad altra sezione della stessa corte territoriale. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte d’appello di Brescia, altra sezione, per nuovo esame.