Lo studio legale è equiparabile a privata dimora

La violazione di domicilio di cui all’art. 614 c.p. e la violenza privata di cui all’art. 610 c.p. sono configurabili nell’ipotesi in cui l'agente si intrattenga, con minacce ed atteggiamenti intimidatori, all’interno di uno studio legale.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 5797/18, depositata il 7 febbraio. Il caso. La Corte d’Appello di Roma, in conferma della sentenza del Tribunale della medesima città, confermava la condanna a cinque mesi di reclusione nei confronti di un avvocato, per essersi questi intrattenuto all’interno dello studio legale sede di un consorzio e per aver minacciato una dipendente di non andare via dallo studio finché la stessa non avesse apposto una firma per il rilascio di alcuni documenti nell’interesse di un consorziato da questi patrocinato. Avverso la sentenza della Corte distrettuale l’avvocato ricorre per cassazione denunciando, tra i vari motivi di ricorso, la configurabilità della violenza privata ex art. 610 c.p. e della violazione di domicilio ex art. 614 c.p., in ragione dell’assenza di uno ius excludendi in capo alla dipendente, nonché dell’assenza di un danno cagionato alla stessa, non essendo il ricorrente riuscito nel proprio intento. La violenza privata. Il Supremo Collegio, in considerazione di un recente orientamento della medesima Corte, afferma che lo studio professionale è equiparabile ad una privata dimora, stante la mancata apertura indiscriminata al pubblico . Secondo la Suprema Corte, i Giudici di merito hanno correttamente riconosciuto la responsabilità penale del ricorrente per quanto attiene ai reati contestatigli e ciò in considerazione non solo delle modalità di induzione ma anche del lasso di tempo all’interno del quale la condotta intimidatoria si era protratta. Ne consegue la correttezza della motivazione, svolta dai Giudici di merito, nel caso di specie, ancorché connotato dall’ubicazione, presso lo studio legale in questione, della sede di un consorzio . Nonostante il riconoscimento della sussistenza dei reati contestati al ricorrente, la Corte rileva l’intervenuta prescrizione degli stessi nelle more del giudizio, dunque annulla la sentenza impugnata senza rinvio.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 15 settembre 2017 – 7 febbraio 2018, n. 5797 Presidente Vessichelli – Relatore Mazzitelli Ritenuto in fatto 1. Con sentenza, emessa in data 9/06/2015, la Corte d’Appello di Roma confermava la sentenza del Tribunale di Roma, emessa in data 24/06/2013, con cui l’avv. S.W.M.N. era stato condannato, previa concessione delle attenuanti generiche, alla pena di mesi cinque di reclusione, oltre alle spese e ad una provvisionale di Euro 2.000,00, a titolo di danno, in favore della parte civile, pena sospesa, per i reati, uniti dal vincolo della continuazione, di cui agli art. 614, commi 1 e 2, e 56, 610, cod. pen., per essersi intrattenuto all’interno dello studio legale, ubicato in via omissis , contro la volontà espressa da R.L. , e per aver compiuto atti idonei in modo non equivoco a costringere la R. a ricevere una missiva e ad apporvi la firma per ricevuta, minacciando di non andar via dallo studio, sino all’avvenuto adempimento, e non riuscendo nel proprio intento, per cause indipendenti dalla sua volontà, fatti commessi, in omissis . 2. La Corte rigettava le censure, avanzate in sede d’appello, dalla difesa dell’imputato, circa la nullità della notifica dell’avviso ex art. 415 bis cod. proc. pen. e del decreto di citazione a giudizio, con conseguente nullità della sentenza, assumendo la regolarità della notifica eseguita a mani di un dipendente del difensore domiciliatario. La Corte riteneva, altresì, fondata l’affermazione di responsabilità dell’imputato, sussistendo i presupposti di entrambi i reati contestati, in considerazione dell’inclusione dello studio legale nella nozione di domicilio e della riconducibilità al delitto di violenza privata degli atti posti in essere al fine di coartare la volontà della parte lesa. 3. S.W.M.N. ha proposto ricorso per cassazione avverso tale sentenza, lamentando 3.1 violazione dell’art. 606, comma 1, lett. c , cod. proc. pen., in relazione agli art. 177, 178, 179 e agli art. 161 e 162 cod. proc. pen., per nullità del decreto di citazione a giudizio, avanti alla Corte d’Appello. Il decreto di citazione a giudizio era stato notificato, presso lo studio del difensore domiciliatario, dopo la revoca personale di tale elezione di domicilio, con contestuale indicazione del nuovo domicilio in via OMISSIS , indirizzo presso il quale, in effetti, era poi stato notificato l’estratto contumaciale. Da ciò deriverebbe l’invalidità della notifica. 3.2 violazione dell’art. 606, primo comma, lett. c , cod. proc. pen., per inosservanza degli art. 157, 161, 163, 168, 171, cod. proc. pen., anche in relazione all’art. 148, terzo comma, cod. proc. pen., per nullità della notificazione dell’avviso, ex art. 415 bis codice di rito, e del decreto di citazione a giudizio del primo grado, tempestivamente eccepita nel primo grado di giudizio, in considerazione della mancata identificazione delle generalità della persona, che in assenza del difensore di fiducia, aveva ricevuto l’atto, operazione da ritenersi essenziale, quale unico mezzo di conoscenza per il notificante. 3.3 violazione dell’art. 606, primo comma, lett. e , cod. proc. pen., per la ricorrenza di un’apparente motivazione, in relazione agli art. 546 e 125 cod. proc. pen., con conseguente nullità della sentenza. Secondo parte ricorrente, i giudici sarebbero incorsi nell’inosservanza delle disposizioni penali, di cui agli art. 614 e 610 cod. pen., oltre che in profili di illogicità della motivazione, con contestuale violazione dell’art. 192, codice di rito. Nel caso in esame, non ricorrerebbe, in capo al titolare, un legittimo ius escludendi , indispensabile per la ravvisabilità della violazione dell’art. 614 cod. pen., posto che l’odierno ricorrente doveva ritirare dei documenti consortili ed il luogo in questione era, per l’appunto, un ufficio dell’amministrazione del consorzio, individuato quale luogo di custodia e di ritiro dei documenti in questione, così come emergente dalla documentazione in atti e specificamente indicata nel ricorso. Ciò, tanto più considerata la mancanza di un danno effettivo, avvertito dalla R. , a causa della condotta del S. , determinata dal rifiuto arbitrario opposto dalla prima ad una richiesta di rilascio copie di documentazione, avanzata dal secondo, nell’interesse di un consorziato. Inoltre, non erano state considerate le innumerevoli contraddizioni, rinvenibili nei costituti testimoniali, tra cui le dichiarazioni, rese dalla R. , imprecise, in relazione all’orario di arrivo delle testi, P. e Pa. , anch’esse cadute in contraddizione. Con riferimento, invece, alla sussistenza del reato di violenza privata, contrariamente a quanto sostenuto nel provvedimento impugnato, l’elemento soggettivo era insussistente, non avendo la R. subito alcuna turbativa e non essendo l’azione dell’imputato idonea a coartare psicologicamente la volontà della prevenuta. 3.4 Violazione dell’art. 606, primo comma, lett. b , cod. proc. pen., per intervenuta prescrizione, ai sensi dell’art. 157 cod. proc. pen., essendo i reati, commessi in data 8/04/2008, estinti per intervenuta prescrizione, ancor prima della notifica dell’estratto contumaciale. Considerato in diritto 1. Va detto, innanzitutto, che il motivo, afferente la nullità del decreto di citazione a giudizio avanti alla Corte d’Appello, si palesa inammissibile, perché palesemente infondato. La revoca di elezione di domicilio, asseritamente avvenuta in data 19/09/2014, non è stata rinvenuta in atti né, tanto meno, è stato allegata al ricorso, a riprova di tale asserto, alcuna documentazione. Per di più, siffatto assunto risulta smentito dalla constatazione del mantenimento del domicilio, da parte dell’odierno ricorrente, anche in grado d’appello, presso il difensore. Ciò, tanto più, se si considera che l’eccezione di nullità, relativa alla notifica del decreto di citazione a giudizio, avrebbe dovuto essere tempestivamente avanzata, trattandosi di eccezione di natura intermedia, soggetta a sanatoria, in caso inverso Cass. Sez. 5, n. 2314 del 16/10/2015 - dep. 20/01/2016, Moscatiello, Rv. 26571001 . 2. Analogamente, va disattesa l’ulteriore eccezione, tempestivamente avanzata in primo grado, in relazione alla notifica dell’avviso, ex art. 415 bis cod. proc. pen., circa la mancata identificazione della persona, dipendente dello studio professionale, che materialmente ritirò l’atto. Al riguardo, a fronte della motivazione della Corte, incentrata sulla sufficienza dei dati, emergenti dalla relata di notifica, va osservato che l’imputato non ha né dedotto né provato la loro falsità, adempimento, questo, reso possibile dalla formulazione dell’art. 168, cod. proc. pen., dalla quale è stata espunta l’attestazione dell’efficacia probatoria della notifica fino a querela di falso Cass. n. 10113/2007, RV n. 236108, 44687/2004, RV n. 230315, 17737/2008, RV n. 239785 . 3. Le ulteriori motivazioni attengono, in parte, al giudizio di merito, quali, per l’appunto, le censure, pertinenti alla valutazione dei costituti testimoniali, assunti nel corso del procedimento, e, in parte, alla configurabilità o meno delle ipotesi criminose, relative alla violazione di domicilio, inclusiva di uno ius escludendi, ed al tentativo di violenza privata, considerati l’elemento oggettivo e soggettivo delle fattispecie criminose. Quest’ultime censure, pur non potendosi ritenere manifestamente infondate e, in quanto tali qualificabili come ammissibili, non sono accoglibili. Al riguardo, va considerato l’orientamento giurisprudenziale di legittimità, secondo il quale lo studio professionale è equiparabile ad una privata dimora, stante la mancata apertura indiscriminata al pubblico Sez. U, n. 31345 del 23/03/2017 - dep. 22/06/2017, D’Amico, Rv. 27007601 Sez. 5, n. 879 del 27/11/1996 - dep. 05/02/1997, Lo Cicero, Rv. 20690501 . Ne consegue la correttezza della motivazione, svolta dai giudici di merito, nel caso di specie, ancorché connotato dall’ubicazione, presso lo studio legale in questione, della sede di un consorzio. Parimenti, va posta in evidenza la congruità e completezza della motivazione, contenuta nel provvedimento impugnato, circa la ricorrenza dei reati, sopra indicati, con riferimento al lasso di tempo, nel quale si protrasse l’azione del S. , ed alle modalità di induzione, poste in essere da quest’ultimo. 3.4 Cionondimeno, tenuto conto del lasso tempo massimo prescrizionale, pari a sette anni e mesi sei, e del periodo di sospensione equivalente a giorni 84, va rimarcato che nelle more del giudizio i reati si sono estinti per intervenuta prescrizione, in data 1/01/2016, ragion per cui occorre procedere all’annullamento della sentenza impugnata, per essere i reati estinti per intervenuta prescrizione. Per le motivazioni esposte, il ricorso va rigettato agli effetti civili, con contestuale condanna del ricorrente alla rifusione delle spese, sostenute nel grado dalla parte civile, che si liquidano in complessivi Euro 2.500,00, oltre accessori ex lege. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata senza rinvio per essere il reato estinto per prescrizione. Rigetta il ricorso agli effetti civili. Condanna il ricorrente alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile liquidate in Euro 2.500,00, oltre accessori di legge.