Il lavoro all’esterno del detenuto è un diritto soggettivo reclamabile?

E’ inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza in tema di ammissione al lavoro all’esterno, in quanto esso ha natura amministrativa, e non può rientrare nell’ambito degli atti che incidono comunque sulla libertà personale, ricorribili ex art. 111 Cost

Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza n. 4979/18, depositata il 1° febbraio. Il caso. Il ricorrente, detenuto, veniva ammesso al lavoro all’esterno del carcere. Tuttavia, non facendo immediato rientro al carcere alla chiusura anticipata del corso cui partecipava, gli veniva revocata l’ammissione per aver violato le prescrizioni impostegli. Il magistrato di sorveglianza approvava il provvedimento reso dal direttore del carcere, dichiarando altresì inammissibile il reclamo del detenuto avverso il predetto provvedimento, sul presupposto che non fosse suscettibile di impugnazione. Per tale ragione, gli atti venivano, su richiesta del detenuto, trasmessi al Tribunale di Sorveglianza che, con il decreto oggi censurato dichiarava l’inammissibilità del reclamo non essendo prevista la possibilità di impugnare nei confronti del Tribunale un provvedimento amministrativo emesso ai sensi dell’art. 21 ord. pen Il detenuto proponeva ricorso per cassazione, lamentando violazione dell’art. 35- bis ord. pen., osservando che i provvedimenti di ammissione e revoca del lavoro all’esterno, incidendo su un diritto fondamentale diritto al lavoro , non possono che essere impugnabili. Incompetenza funzionale. Preliminarmente, la Corte, sul punto, rileva l’incompetenza funzionale del giudice che ha emesso il provvedimento di inammissibilità. Rilevano, infatti, i Giudici di legittimità che la procedura che ha portato all’emissione da parte del Presidente del collegio, del decreto di inammissibilità suddetto, ai sensi dell’art. 666, comma 2, c.p.p., non è applicabile ai giudizi di impugnazione, genus cui è riconducibile il reclamo al Tribunale di Sorveglianza. Per tale ragione, il decreto così emesso viene annullato senza rinvio dalla Corte che, ai sensi del combinato disposto delle norme di cui all’art. 591, comma 1, lett. b , e comma 4 c.p.p., può rilevare officiosamente l’inammissibilità occorsa già nel corso del giudizio, trattandosi di provvedimento inoppugnabile. D’altra parte, non va disposta la trasmissione al Tribunale di Sorveglianza perché tale impugnazione avverso il provvedimento di ratifica della revoca disposta dalla direzione dell’istituto non è prevista dall’art. 35- bis ord. pen., prevedendo tale norma unicamente il reclamo avverso i provvedimento dell’Amministrazione di cui all’art. 69, comma 6, tra cui non rientra, certamente, quello in esame. Il lavoro all’esterno e la sua applicabilità. Ed infatti, come si precisa nel prosieguo della sentenza in commento con riguardo al diritto al lavoro del detenuto e alla possibilità che esso si svolga anche all’esterno del carcere ai sensi dell’art. 21 ord. pen., tale attività costituisce modalità trattamentale, la cui concessione è subordinata a determinate condizioni, quali l’affidabilità del soggetto, la carenza di attività lavorative all’interno della struttura, le caratteristiche del posto di lavoro. Pertanto, il potere di scelta e/o ammissione al lavoro esterno è affidato, ai sensi dell’art. 48 reg. esec., al direttore del carcere, il quale può, altresì, revocare tale ammissione, la quale diviene esecutiva a seguito di approvazione del Magistrato di sorveglianza. Natura del lavoro all’esterno di cui all’art. 21 ord. pen In conclusione, dunque, il lavoro all’esterno è una specifica modalità trattamentale, per la cui applicazione è necessario un particolare programma rieducativo predisposto all’esito dell’osservazione del detenuto, programma che può essere modificato in base alle esigenze che si prospettano nel corso dell’esecuzione. Non è, pertanto, configurabile un diritto soggettivo né all’ammissione né alla stabilità e prosecuzione dello stesso.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 10 gennaio 2017 – 1 febbraio 2018, n. 4979 Presidente Vecchio – Relatore Saraceno Ritenuto in fatto 1. Con il decreto in epigrafe, adottato de plano ai sensi degli artt. 666, comma 2, e 678 cod. proc. pen., il Presidente del Tribunale di sorveglianza di Torino dichiarava inammissibile il reclamo proposto da C.R. avverso l’approvazione della revoca dell’ammissione al lavoro esterno, non risultando esperibile il reclamo-impugnazione avverso il provvedimento di natura amministrativa del Magistrato di sorveglianza emesso ai sensi dell’art. 21 ord. pen 2. Ricorre il C. , a mezzo del difensore avvocato Guido Cardello, denunziando violazione di legge in relazione agli artt. 21, 35 bis, 69, comma 6, ord. pen e art. 111 Cost. e vizio della motivazione. Osserva il ricorrente che i provvedimenti di ammissione o di revoca del lavoro all’esterno incidono sul fondamentale diritto al lavoro spettante al detenuto al pari di ogni altro cittadino e che peraltro costituisce una componente essenziale del trattamento rieducativo rammenta che non può mai mancare una tutela giurisdizionale nei confronti di atti lesivi di posizioni giuridiche protette, secondo il principio già somministrato da Corte cost. n. 26 del 1999 e che, pertanto, anche i provvedimenti che incidono sul titolo, consentendo o revocando l’ammissione al lavoro, non possono essere sottratti ad un controllo giurisdizionale effettivo lamenta l’assoluta carenza di motivazione dell’impugnato provvedimento sulla dedotta, incorsa violazione del diritto soggettivo e sulla praticabilità del rimedio apprestato dall’art. 35 bis ord. pen Considerato in diritto 1. La ricostruzione degli accadimenti processuali può essere sintetizzata nei termini che seguono. C.R., detenuto in espiazione pena presso la Casa circondariale di , era stato ammesso al lavoro esterno per lo svolgimento di un tirocinio, come da programma di trattamento, con provvedimento 9.12.2013 della Direzione del carcere, approvato dal Magistrato di sorveglianza l’11.12.2013. In data 27.4.2015 il detenuto era stato sanzionato con esclusione dalle attività in comune per giorni otto, per aver violato le prescrizioni, non facendo immediato rientro in Istituto alla chiusura anticipata del corso serale e la Direzione aveva revocato l’ammissione al lavoro esterno con provvedimento approvato dal Magistrato di sorveglianza in data 28 aprile 2015. In data 22 settembre 2015 il Magistrato di sorveglianza dichiarava inammissibile il reclamo proposto dal C. avverso la ratificata revoca di ammissione al lavoro esterno sul presupposto che il provvedimento non fosse suscettibile di impugnazione e, su richiesta dell’interessato, trasmetteva gli atti al Tribunale di sorveglianza di Torino. Seguiva, infine, il decreto, qui impugnato, di declaratoria di inammissibilità del reclamo, non essendo data impugnazione collegiale avverso provvedimento di natura amministrativa del Magistrato di sorveglianza emesso ai sensi dell’art. 21 O.P. . 2. Il ricorrente censura la ratio decidendi dell’intervenuta declaratoria di inammissibilità, segnatamente l’affermata inoppugnabilità dei provvedimenti, ratificati dal Magistrato di sorveglianza, di ammissione e revoca al lavoro esterno. Denunzia, in particolare, violazione degli artt. 21, 35 bis e 69 comma 6 ord. pen., osservando che alla lamentata lesione del suo diritto al lavoro non avrebbe dovuto essere apoditticamente negata, prima dal Magistrato di sorveglianza e poi dal Tribunale di sorveglianza, la tutela giurisdizionale appositamente apprestata dal combinato disposto degli artt. 35 bis e 69, comma 6 ord. pen 3. La Corte rileva, in limine ed ex officio, l’incompetenza funzionale del giudice a quo. La declaratoria di inammissibilità del reclamo risulta irritualmente emessa con le forme del decreto adottato de plano dal Presidente del Collegio ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen., comma 2. Tale norma non è applicabile nei giudizi d’impugnazione - al cui genus è pacificamente riconducibile il gravame costituito dal reclamo al Tribunale di sorveglianza -, per i quali vige, invece, il principio che l’inammissibilità, per le tassative ragioni di cui all’art. 591, comma 1, cod. proc. pen., è dichiarata con ordinanza dal giudice dell’impugnazione dunque nel caso in cui esso sia un organo collegiale, dal Collegio. 4. Il provvedimento deve, pertanto, essere annullato senza rinvio, ma non va disposta la trasmissione degli atti al Tribunale di sorveglianza. L’originaria impugnazione non è, difatti, qualificabile alla stregua di reclamo al Tribunale di sorveglianza ai sensi dell’art. 35 bis, comma 4, poiché detta forma di impugnazione è chiaramente riferita ai provvedimenti del Magistrato di sorveglianza emessi ai sensi del medesimo art. 35 bis, comma 1, ovverosia assunti a seguito di reclamo avverso i provvedimenti dell’Amministrazione di cui all’art. 69 ord. pen, comma 6, tra i quali non rientra quello in esame, enumerato invece nel medesimo articolo 69, comma 5. 4.1 Orbene, l’inammissibilità del reclamo, ex art. 591 cod. proc. pen., comma 1, lett. b , va immediatamente dichiarata ai sensi del comma 4 della stessa disposizione, che prevede il rilievo officioso da parte del giudice ad quem dell’inammissibilità occorsa nel precedente grado del procedimento, quando, come nella specie, non sia stata rilevata e dichiarata dal competente giudice dell’impugnazione, affatto inutile essendo l’innesco di un’ulteriore sequela procedimentale con l’ineluttabile epilogo della già rilevata inammissibilità. 5. Manifesta risulta, infine, l’infondatezza delle ulteriori doglianze articolate con l’interposto ricorso. 5.1. Il nuovo sistema di tutela contemplato dall’art. 35 bis ord. pen. non ha eliminato il potere del detenuto di rivolgere al magistrato dí sorveglianza il reclamo c.d. generico, come confermato dal testo dell’attuale art. 35 ord. pen Il reclamo giurisdizionale, con l’espresso richiamo all’art. 69, comma 6, postula l’inosservanza delle disposizioni previste dalla legge penitenziaria e dal relativo regolamento, dalla quale derivi al detenuto o all’internato un attuale e grave pregiudizio all’esercizio di diritti soggettivi . Sicché, lì dove la prospettazione dell’istante non involga prima facie violazioni della sfera soggettiva della persona detenuta provocate da atti o comportamenti dell’Amministrazione e, dunque, la domanda non sia inquadrabile ai sensi dell’art. 69, comma 6, il magistrato di sorveglianza non è vincolato alla procedura dell’art. 35 bis e decide de plano con provvedimento deformalizzato, senza fissazione dell’udienza camerale. 5.2. Il diritto di cui il ricorrente lamenta la lesione è il suo diritto al lavoro. S’impone, dunque, una sintetica ricognizione del dato normativo e dei principi affermati in materia. 5.2.1. L’art. 15 ord. pen. stabilisce che il lavoro è uno dei principali elementi del trattamento penitenziario e che, proprio ai fini del trattamento rieducativo, esso è assicurato salvo casi di impossibilità. La valenza rieducativa del lavoro è ribadita dall’art. 20 ord. pen., ove è precisato che negli istituti penitenziari devono essere favorite in ogni modo la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro e la loro partecipazione ai corsi di formazione professionale comma 1 e che il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato comma 2 . 5.2.2. Anche il lavoro all’esterno è modalità trattamentale art. 21 ord. pen., comma 1, I detenuti e gli internati possono essere assegnati al lavoro esterno in condizioni idonee a garantire l’attuazione positiva degli scopi dell’art. 15 , come espressamente ribadito anche dall’art. 48, comma 1, reg. esec., che ne subordina l’ammissione alla sua indefettibile previsione nel programma di trattamento. 5.2.3. L’ordinamento non riconosce al Magistrato di sorveglianza né il potere di concedere né quello di revocare, in autonomia, il provvedimento di ammissione al lavoro esterno del detenuto. Tale facoltà è, invece, espressamente rimessa dall’art. 48 reg. esec. all’Amministrazione, e l’intervento del Magistrato di sorveglianza è previsto in funzione di mera approvazione dell’iniziativa di quella. L’applicazione della specifica modalità trattamentale del lavoro esterno non dipende esclusivamente dalla discrezionalità del direttore dell’istituto, ma presuppone, all’esito di un’osservazione scientifica della personalità del detenuto, la formulazione di un programma di interventi, tra i quali sia espressamente prevista l’ammissione al lavoro esterno. Compete, invece, all’Amministrazione, che è tenuta ad indicare i posti di lavoro disponibili in apposita tabella distinta tra lavorazioni interne, lavorazioni esterne e servizi di istituto art. 47, comma 10, reg. esec. , la verifica di ulteriori condizioni, quali l’affidabilità del soggetto, la carenza di attività lavorative interne, le caratteristiche del posto di lavoro all’esterno, ossia di tutti quegli elementi che potrebbero negativamente incidere sulle finalità dell’istituto e che ne rappresentano altrettante condizioni di ammissibilità nel provvedimento devono essere, poi, indicate le prescrizioni che il detenuto o internato deve impegnarsi per iscritto a rispettare durante il tempo da trascorrere fuori dall’istituto, nonché quelle relative agli orari di uscita e di rientro art. 48, comma 13 . La Direzione dell’istituto è tenuta a motivare art. 48, comma 3, reg. esec., deve motivare la richiesta di approvazione del provvedimento, con la specificazione dei concreti elementi in base ai quali è stato esercitato il potere discrezionale e con la valutazione delle indagini svolte nell’istruzione della pratica. 5.2.4. Se, dunque, il potere di iniziativa e di scelta dei soggetti da ammettere al lavoro esterno è affidato dalla legge all’autorità amministrativa, il provvedimento di ammissione per diventare esecutivo necessita dell’approvazione del Magistrato di sorveglianza, cui spetta un esame circa le modalità di ammissione e di svolgimento dell’attività prevista, potendo dissentire dalla decisione del direttore dell’istituto e restituire il provvedimento con le osservazioni ritenute necessarie al fine di una nuova formulazione, e dovendo altresì necessariamente tenere conto nella sua approvazione, resa con decreto non motivato art. 69 bis, comma 5 , del tipo di reato, della durata della pena, dell’esigenza di prevenire il pericolo che l’ammesso al lavoro esterno commetta altri reati art. 48, comma 4, reg. esec. . Anche l’iniziativa della revoca del provvedimento di ammissione compete al Direttore dell’istituto e diviene esecutiva dopo l’approvazione del Magistrato di sorveglianza, pur essendo riconosciuta al primo la possibilità di disporre, con provvedimento motivato, la sospensione dell’efficacia dell’ammissione del lavoro all’esterno, nelle more dell’approvazione del provvedimento di revoca art. 48, comma 15 . 6. Tanto precisato, non v’è dubbio che il lavoro dei detenuti costituisca una delle principali componenti del trattamento rieducativo, tant’è che lo stesso carattere obbligatorio del lavoro penitenziario dei condannati e degli internati si pone come uno dei mezzi al fine del recupero della persona, valore centrale per il . sistema penitenziario non solo sotto il profilo della dignità individuale ma anche sotto quello della valorizzazione delle attitudini e delle specifiche capacità lavorative del singolo Corte cost. n. 158 del 2001 . Ciò che la legge prevede art. 20, comma 1, ord. pen. Negli istituti penitenziari devono essere favorite in ogni modo la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro . art. 15 Ai fini del trattamento rieducativo, salvo caso di impossibilità, al condannato .è assicurato il lavoro è, per l’appunto, che al condannato sia, salvo caso di impossibilità, assicurato un lavoro, nella forma consentita più idonea, all’interno o all’esterno dell’istituto e, se è vero, che il lavoro del detenuto, intramurario o esterno, presenta le peculiarità derivanti dalla inevitabile connessione tra profili del rapporto di lavoro e profili organizzativi, disciplinari e di sicurezza . per cui è ben possibile che la regolamentazione di tale rapporto conosca delle varianti o delle deroghe rispetto a quella del rapporto di lavoro in generale . Tuttavia, nè tale specificità, nè la circostanza che il datore di lavoro possa coincidere con il soggetto che sovrintende alla esecuzione della pena, valgono ad affievolire il contenuto minimo di tutela che, secondo la Costituzione, deve assistere ogni rapporto di lavoro subordinato Corte cost. n. 158 del 2001 Il lavoro dei detenuti, sia che venga svolto in favore dell’amministrazione penitenziaria, sia che venga effettuato alle dipendenze di terzi, implica una serie di diritti e di obblighi delle parti, modulati sulla base contrattuale dei singoli rapporti instaurati. . La configurazione sostanziale e la tutela giurisdizionale dei diritti nascenti dai rapporti di lavoro dei detenuti possono . non coincidere con quelle che contrassegnano il lavoro libero, se ciò risulta necessario per mantenere integre le modalità essenziali di esecuzione della pena , è comunque illegittima ogni irrazionale ingiustificata discriminazione, con riguardo ai diritti inerenti alle prestazioni lavorative, tra i detenuti e gli altri cittadini Corte cost. n. 341 del 2006 . 7. Sicché, alla luce del chiaro dato normativo e, massimamente, dei principi più volte ribaditi dal giudice delle leggi, discende che solo nello svolgimento del rapporto di lavoro o dell’attività lavorativa si è in presenza di diritti soggettivi perfetti, che non si esauriscono in quelli riconosciuti e garantiti dall’art. 36 Cost Ad esempio l’art. 48, comma 11, reg. esec., stabilisce che í detenuti e gli internati ammessi al lavoro esterno esercitano i diritti riconosciuti ai lavoratori liberi, con le sole limitazioni che conseguono agli obblighi inerenti all’esecuzione della misura privativa della libertà pertanto, è stato ritenuto che ai medesimi siano riconosciuti il diritto di sciopero, lo svolgimento di attività sindacali, la partecipazione ad assemblee sindacali sui luoghi di lavoro, quando si svolgano nel periodo nel quale possono rimanere all’esterno. E, viceversa, essendo anche il lavoro esterno una specifica modalità trattamentale, per la cui applicazione è necessaria a monte, la sua previsione nello specifico programma rieducativo, predisposto all’esito dell’osservazione e della valutazione della personalità e degli specifici bisogni del singolo detenuto, approvato dal Magistrato di sorveglianza ed integrato o modificato secondo le esigenze che si prospettano nel corso dell’esecuzione, non è configurabile un diritto soggettivo né all’ammissione, né, correlativamente, un diritto alla stabilità e prosecuzione dello stesso, ché la revoca dell’ammissione al lavoro non si atteggia alla stregua di un licenziamento, ma rientra anch’essa nell’attività trattamentale e nelle previste e consentite modifiche del programma rieducativo individuale. In tal senso deve, pertanto, essere ribadito il principio di diritto secondo il quale è inammissibile il ricorso per cassazione avverso il provvedimento del magistrato di sorveglianza in tema di ammissione al lavoro all’esterno, in quanto esso ha natura amministrativa, né può farsi rientrare nell’ambito degli atti che incidono comunque sulla libertà personale, ricorribili ex art. 111 Cost. Sez. 1, n. 3063 del 19/05/1995 - dep. 04/07/1995, Nistri, Rv. 20208301 cui adde Sez. 1, n. 33579 del 03/04/2002, Montrucchio, Rv. 22222401 . 8. Alla declaratoria di inammissibilità del ricorso consegue, ai sensi dell’art. 616, comma 1, cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte cost., sent. n. 186 del 2000 , anche la condanna al versamento a favore della cassa delle ammende di una sanzione pecuniaria che si stima equo determinare nella somma di Euro 1.500. P.Q.M. Annulla, senza rinvio, il decreto impugnato e dichiara inammissibile il reclamo. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di 1.500 millecinquecento Euro alla cassa delle ammende.