Bloccata la corrispondenza scritta dal detenuto in lingua straniera

La traduzione della corrispondenza redatta in lingua inglese da un detenuto in regime differenziato 41-bis ord. pen. non costituisce attività pacificamente realizzabile in via routinaria ne consegue che è legittimo il provvedimento di blocco di una missiva redatta in lingua straniera fondato sul predetto rilievo.

Così ha stabilito la Corte Suprema di Cassazione, Sezione Prima Penale, con la sentenza n. 4994/18 depositata il 1° febbraio. Al 41-bis la censura aguzza gli occhi. In un carcere di massima sicurezza un detenuto sottoposto al regime del 41- bis ” ha l'idea di scrivere a sua nipote, che ha nome e cognome italiano ma – da quanto apprendiamo leggendo la sentenza in commento – comprende soltanto l'inglese. Presa carta e penna, il detenuto si cimenta a scriverle la busta non varcherà mai le mura del carcere, perchè il magistrato di sorveglianza – su segnalazione dell'ufficio censura del penitenziario - ne dispone il blocco. Il detenuto propone reclamo niente da fare, il Tribunale di Sorveglianza lo rigetta. Non resta, allora, che il ricorso per cassazione. Il diritto di esprimere il pensiero anche da dietro le sbarre. Il tentativo di ottenere un ribaltamento della decisione di blocco della missiva in sede di legittimità non ha migliore fortuna gli Ermellini rigettano un ricorso strutturato su molteplici motivi – per lo più incentrati sulla violazione dei principi costituzionali in materia di libera espressione del pensiero – andando contro il parere del Procuratore Generale, che invece invocava l'annullamento con rinvio, giudicando carente la motivazione del giudice di merito in punto di non comprensibilità dello scritto censurato. La tesi sostenuta nel ricorso per cassazione è tutt'altro che banale da un lato si evidenziava che l'ordinamento penitenziario non impone l'uso obbligatorio della lingua italiana per la corrispondenza dei detenuti, dall'altro lato si rilevava che l'impedire ad un detenuto di servirsi della lingua inglese mortificherebbe il diritto alla manifestazione del pensiero. Nel provvedimento di blocco della corrispondenza, fra l'altro, non si ravvisavano motivazioni particolarmente pregnanti esso, infatti, si fondava esclusivamente sul fatto che il personale che aveva operato la censura della lettera non fosse in grado di tradurla ed, in ogni caso, non potesse cogliere le sue sfumature tali da celarne il reale contenuto a discapito del regime differenziato . Fatta questa premessa, si ribadiva il pericolo che la lettera incriminata” fosse, in realtà, uno strumento per veicolare messaggi occulti non essendo lo scritto comprensibile, andava senza dubbio bloccato. Una decisione che soddisfa soltanto a metà. Le articolate censure mosse dal ricorrente vengono riunite e rigettate dopo un breve preambolo sulle particolari cautele che caratterizzano il regime differenziato dell'arcinoto 41- bis ” evitare pericoli per l'ordine e la sicurezza pubblica e impedire contatti con l'esterno ritenuti pericolosi giustificano le misure di maggior rigore che scandiscono la vita dei detenuti sottoposti al regime del carcere duro”. Dunque, il punto di equilibrio tra il diritto del detenuto a manifestare con lo scritto il proprio pensiero e le esigenze di sicurezza va trovato nell'esigenza di bilanciare il primo con le seconde se la corrispondenza non è immediatamente comprensibile e decifrabile, quindi, può tranquillamente essere soggetta al blocco. Il principio, in linea di massima, non è criticabile immaginiamoci uno scritto redatto in una lingua inusuale, ovvero in un dialetto. Ma lo stesso principio diventa – ci permettiamo di osservare – niente affatto granitico se la corrispondenza è redatta nella lingua straniera più conosciuta al mondo, l'inglese. Passi che, in quello specifico contesto nessuno degli addetti alla censura fosse un anglofono provetto, ma come può seccamente escludersi che vi fossero supporti adeguati ad attivare le operazioni necessarie per addivenire al controllo in senso favorevole al mittente ? Oggi, è noto, basta un dizionario online - vi sono programmi che traducono anche testi complessi, oltre le singole parole – per comprendere il senso di uno scritto. Purtroppo, questi rilievi attengono però alla valutazione di merito del caso concreto, su cui – come tutti sappiamo – la Cassazione non può intervenire.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 20 luglio 2017 – 1 febbraio 2018, n. 4994 Presidente Cortese – Relatore Siani Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, reso il 3 - 7 novembre 2016, il Tribunale di sorveglianza di Sassari ha rigettato il reclamo proposto da A.A. , detenuto in regime particolare ex art. 41-bis Ord. pen. nel carcere di omissis , avverso il provvedimento emesso in data 19 agosto 2016 dal Magistrato di sorveglianza di Sassari con cui era stato disposto il blocco di una missiva dal detenuto a destinataria indicata come la nipote del detenuto, di nome I. , per il fatto che la lettera risultava redatta in lingua inglese. 2. Avverso l’ordinanza sopra individuata ha interposto ricorso l’A. chiedendone l’annullamento e prospettando a sostegno i seguenti motivi. 2.1. L’ordinanza impugnata era affetta da violazione di legge, con riferimento all’art. 18-ter Ord. pen., norma che non prevedeva affatto l’uso obbligatorio della lingua italiana della corrispondenza. 2.2. Erano stati, con l’interpretazione censurata, violati anche gli artt. 15 e 21 Cost., poiché ne usciva impedito il diritto ad inoltrare la corrispondenza ed alla manifestazione del pensiero, peraltro essendo la libertà di informazione non assoggettata limiti di frontiera, come stabiliva l’art. 11, comma 1, della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea. 2.3. Sussisteva violazione dell’art. 3 Cost., non emergendo decisive differenze tra la sua posizione, che doveva comunicare con persona, la nipote I. , conoscitrice della sola lingua inglese, e la posizione dello straniero detenuto in Italia che non conosceva la lingua italiana, entrambi avendo diritto di redigere la loro corrispondenza in lingua straniera, l’inglese, ormai generalmente conosciuta. 2.4. Era stato violato pure l’art. 34 Cost. nella parte in cui si era negato il diritto del detenuto all’approfondimento delle lingue straniere. 2.5. Si rilevava mancanza di motivazione in ordine all’omessa valutazione della documentazione prodotta in udienza dal suo difensore, ossia il certificato attestante l’invio di altre quattro missive in lingua inglese alla nipote A.I. e quattro ordinanze emesse in sede di merito concernenti l’autorizzazione all’inoltro di missive in lingua inglese, francese e spagnola, del cui contenuto era stata ritenuta la necessità di concreta verifica omessa valutazione che aveva leso il diritto d’intervento ed assistenza difensiva del ricorrente, oltre a viziare la motivazione del provvedimento in modo decisivo. 3. Il Procuratore generale ha prospettato l’annullamento del provvedimento impugnato con rinvio, in quanto - assodato che la decisione di non inoltro della corrispondenza poteva avere ad oggetto comunicazioni non comprensibili - nel caso concreto la non comprensibilità non avrebbe dovuto essere ritenuta in modo aprioristico, ma avrebbe dovuto formare oggetto di vaglio da parte del giudice del merito, in relazione ad una bilanciata valutazione che tenesse conto anche della lingua utilizzata e della struttura del discorso articolato. Considerato in diritto 1 La Corte ritiene che l’impugnazione non sia fondata e vada, pertanto, rigettata. 2. Si osserva che il provvedimento del Magistrato di sorveglianza aveva rilevato che l’ufficio censura del carcere aveva segnalato come rispetto alla missiva in questione, per la parte redatta in lingua inglese, esso non fosse in grado di tradurla ed, in ogni caso, non potesse cogliere le sue sfumature tali da celarne il reale contenuto a discapito del regime differenziato, sicché sussisteva, in rapporto al disposto di cui all’art. 18-ter Ord. pen., il concreto ed attuale pericolo che la lettera costituisse veicolo di messaggi occulti, senza che il personale dell’Amministrazione e l’Autorità giudiziaria dovessero necessariamente conoscere le lingue straniere con cui i detenuti decidevano di svolgere la loro corrispondenza, tanto più quando il detenuto mittente conosceva, come era nel caso dell’A. , la lingua italiana con cui comunicare con i destinatari. Il Tribunale ha considerato, a fronte del reclamo dell’A. , che la doglianza del detenuto - secondo cui la destinataria conosceva soltanto la lingua inglese, quella più usata al mondo, e che egli aveva utilizzato tale idioma in forma semplice per esercitare il suo diritto alla manifestazione del pensiero, in mancanza di alternative - non era giuridicamente fondata, in quanto la sua libertà di espressione avrebbe dovuto essere veicolata nei limiti dei provvedimenti legittimamente assunti nei suoi confronti e la sua pretesa di scrivere in lingua straniera esorbitava in quel caso da tali limiti. Punto nodale ineludibile, nella prospettiva indicata dal Tribunale, è quello per cui il procedimento consistente nel visto di censura presuppone la comprensibilità dello scritto per il personale addetto e per il Magistrato preposto alla corrispondente verifica nel caso di specie, la redazione dello scritto in lingua inglese aveva in concreto pregiudicato tale comprensibilità, come risultava chiarito dal primo provvedimento, non potendo i controllori addetti al relativo vaglio sondarne il contenuto in modo effettivo e adeguato, lì dove essi erano necessariamente tenuti alla verifica della corrispondenza, considerato il regime differenziato, ex art. 41-bis cit., a cui era sottoposto l’A D’altro canto, per i giudici di merito, sul detenuto, che non aveva, nelle condizioni date, un diritto assoluto ad approfondire le lingue straniere, incombeva l’onere di collaborare affinché gli scritti da inviare potessero essere agevolmente controllati in sede di procedimento di censura per essere inoltrati al destinatario e, nella situazione data, avrebbe dovuto essere la destinataria, ovvero la nipote I. , figlia del fratello del detenuto - ove mai ella effettivamente non avesse posseduto i rudimenti della lingua italiana fatto non provato, né credibile - ad attivarsi per farsi tradurre la missiva che l’A. avrebbe potuto inviarle in lingua italiana. 3. La conclusione raggiunta dal provvedimento impugnato resiste alle censure mosse dal ricorrente, le quali, per la loro evidente interconnessione, devono essere trattate in modo congiunto. In ordine alla tematica del trattenimento di corrispondenza di detenuto sottoposto a regime di detenzione particolare, occorre muovere dal principio secondo cui il potere del magistrato di sorveglianza di disporre il trattenimento della corrispondenza indirizzata al detenuto sottoposto al regime speciale di cui all’art. 41-bis legge n. 354 del 1975, è finalizzato ad evitare pericoli per l’ordine e la sicurezza pubblica, oltre che ad impedire contatti con l’esterno ritenuti pericolosi perché attinenti a finalità di terrorismo o di eversione dell’ordine democratico, indipendentemente dalla commissione di fatti integranti reato, ben potendo il pericolo derivare anche da condotte che non hanno raggiunto la soglia della punibilità o che non sono specificamente previste come reato dalla legge penale v., fra le altre, Sez. 1, n. 1054 del 04/12/2008, dep. 2009, Lioce, Rv. 242810 . Del pari la corrispondenza che il detenuto invia viene sottoposta a similare controllo per l’equiparabilità delle finalità, stante peraltro il generale disposto di cui all’art. 18-ter legge n. 354 del 1975, salva la specificazione che si farà nel prosieguo per un approfondimento in tema di differenziazione fra libri e riviste, da un lato, e corrispondenza, dall’altro, sempre in relazione al biunivoco senso dell’invio e della ricezione, cfr. Sez. 1, n. 1774 del 29/09/2014, dep. 2015, Tarallo, Rv. 261858, la quale ha considerato illegittima l’ordinanza con cui il magistrato di sorveglianza disapplica la circolare ministeriale del DAP del 16 novembre 2011, con cui si prevedono limitazioni relative all’invio e alla ricezione di libri, riviste o scritti nei confronti del detenuto sottoposto al regime differenziato di cui all’art. 41-bis Ord. pen., trattandosi di forme particolari di comunicazione che non rientrano nella disciplina dei controlli sulla corrispondenza ai sensi dell’art. 18-ter Ord. pen., né rinvenendosi, nelle disposizioni della normativa secondaria in questione, un’eccessiva ed ingiustificata limitazione del diritto di informazione e di studio per una trattazione generale della questione della questione relativa alla possibilità o meno dell’Amministrazione di vietare l’invio di missive in lingua straniera, sfociata peraltro in pronuncia di inammissibilità, cfr. Sez. 1, n. 37233 del 09/05/2014, Guarino, n.m. . Si è, in questa materia, sedimentato il principio secondo cui le censure e i controlli della corrispondenza, incidendo su diritto fondamentale le cui limitazioni sono, ai sensi dell’art. 15 Cost., sono soggetti a riserva di legge rinforzata dalla garanzia giurisdizionale e possono essere attuati, anche nei confronti dei detenuti e degli internati, soltanto con provvedimento dell’autorità giudiziaria e nei soli casi previsti. La relativa disciplina, avente effetto nei confronti di persone soggette a restrizione della libertà personale, è regolata dall’art. 18-ter Ord. pen., il quale stabilisce come regola generale che le limitazioni e le censure nonché i provvedimenti di trattenimento vanno adottati esclusivamente per esigente attinenti le indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza e di ordine dell’istituto. Appare conseguente ritenere che sia necessario, nelle determinazioni sa assumersi in tema di controllo della corrispondenza, rinvenire, in concreto, un punto di equilibrio per garantire i diritti del detenuto e, con essi, quelli del suo interlocutore costituzionalmente presidiati, da un lato, e le ragioni preventive e di sicurezza richiamate dalle norme citate artt. 41-bis e 18-ter Ord. pen. , dall’altro, di guisa che il visto di controllo e, se del caso, il trattenimento della corrispondenza possono dirsi conformi a legge, in funzione del risultato perseguito, allorché il provvedimento incidente sull’esercizio del diritto alla corrispondenza sia fondato su elementi di valutazione che, pur in chiave indiziaria, siano idonei ad enucleare concretamente le oggettive esigenze stabilite dall’ordinamento per legittimare in modo ragionevole la limitazione del suddetto diritto cfr. sul tema Sez. 1, n. 31276 del 14/02/2014, Iamonte, n. m. . In linea con tale indirizzo, si è ribadito, ad esempio, che la sottoposizione a visto di controllo della corrispondenza del detenuto e il trattenimento del contenuto di plichi allo stesso diretti possono essere disposti soltanto per esigenze attinenti alle indagini o investigative o di prevenzione dei reati, ovvero per ragioni di sicurezza e di ordine dell’istituto, mentre non possono trovare giustificazione esclusivamente nella rilevazione di infrazioni regolamentari estranee a tali esigenze e ragioni, quali quelle relative alle disposizioni sul passaggio di beni tra detenuti arg. ex Sez. 1, n. 16926 del 22/04/2010, A. , Rv. 247662 . Sotto connesso aspetto, poi, il provvedimento dell’autorità giudiziaria limitativo del diritto di corrispondenza deve connotarsi per una motivazione diversamente modulata a seconda che la corrispondenza sia in uscita o in entrata invero, nel primo caso, il soggetto che subisce il controllo, ossia il detenuto, è lo stesso autore della corrispondenza ed è pertanto sufficiente rappresentare le esigenze che giustificano la limitazione in concreto nel secondo caso, invece, il detenuto è il destinatario della corrispondenza per cui, pur non dovendo il contenuto di questa essere analiticamente esplicitato, occorre comunque che esso sia richiamato con modalità idonee ad assicurare il prudente bilanciamento tra il diritto del detenuto a conoscere le ragioni della limitazione e le finalità di pubblico interesse su tale aspetto v. Sez. 1, n. 43522 del 20/06/2014, Gionta, Rv. 260692 . 4. Nella cornice così disegnata, occorre prendere atto che il Magistrato di sorveglianza e, poi, anche il Tribunale di sorveglianza, che ha sostanzialmente richiamato il primo provvedimento, hanno evidenziato come, nella situazione data, con riguardo allo scritto in lingua inglese che l’A. ha inteso spedire all’esterno alla sua nipote I. , esso non era, nemmeno alla loro percezione, immediatamente comprensibile e decrittabile, posto che la struttura organizzativa dell’ufficio preposto al controllo non era stata in condizioni di poter tradurre in lingua italiana il documento e, soprattutto, di verificarne il linguaggio occulto. La carenza di immediata comprensibilità e la suscettibilità comunicativa per sottotesto criptico del contenuto del documento di corrispondenza - come motivata essenzialmente dal primo provvedimento, confermato dal secondo - si profilano, in concreto, adeguatamente evidenziate. Esse non sono state confutate in modo concludente dal ricorrente, in quanto la traduzione e, se del caso, la conveniente decrittazione della corrispondenza dalla lingua straniera, nel caso di specie dalla lingua inglese, non costituiscono attività, allo stato dell’organizzazione della struttura penitenziaria, pacificamente realizzabili in via routinaria, dovendo invece ritenersi che tali operazioni possano, in ragione dei mezzi e del personale concretamente a disposizione di singoli plessi penitenziari, anche integrare ostacolo non ordinariamente superabile. E, nelle condizioni date, i giudici specializzati di Sassari hanno, con valutazione compiuta in punto di fatto, accertato la carenza, nell’istituto di riferimento, di supporti adeguati ad attivare le operazioni necessarie per addivenire al controllo in senso favorevole al mittente del documento di corrispondenza in questione inviato da detenuto assoggettato a regime differenziato, essendo risultata tale missiva, all’esito dell’esame possibile, concretamente non comprensibile nei suoi snodi essenziali e tale da costituire un pericolo attuale e concreto della trasmissione di messaggi occulti, dunque da trattenere per tutelare le esigenze di prevenzione dei reati, di sicurezza e di ordine dell’istituto. Questo approdo non è stato revocato in contestazione dal ricorrente con riferimento alla specifica situazione di fatto, ma lo è stato soltanto con affermazioni generalizzanti, come tali inidonee a confutare l’assunto del provvedimento impugnato. Assodata, pertanto, la carenza in concreto di comprensibilità e la potenzialità trasmissiva di messaggi occulti del documento di corrispondenza oggetto di verifica, il bilanciamento compiuto dal Magistrato di sorveglianza e confermato dal Tribunale - in una condizione in cui la possibilità di redigere da parte dell’A. la lettera in lingua italiana, agevolmente controllabile, era parimenti garantita come quella della destinataria, ove mai effettivamente non dotata di conoscenza della lingua italiana, di farsi tradurre a sua volta lo scritto - costituisce il frutto di un apprezzamento di merito che, non profilandosi immotivato o irragionevole, appare incensurabile in questa sede. Non sussiste, nell’indicata prospettiva, contraddizione fra il diniego di inoltro della missiva deciso dai giudici di merito in questo procedimento e l’inoltro di altra corrispondenza, pure connotata da idioma straniero, autorizzato da altri giudici, poiché esso, negli altri casi, ha avuto ad oggetto documenti aventi un contenuto diverso, vagliati in contesti ispettivi differenti anche con dotazioni strutturali e personali più attrezzate , con riferimento ai quali il controllo della corrispondenza ha verificato contenuti considerati completamente comprensibili e, volta a volta, ha fornito - nella valutazione di merito in quei casi rispettivamente compiuta - un esito favorevole al detenuto, avendo escluso l’evenienza delle esigenze di tutela legittimanti il suo trattenimento. Essendo, quindi, incensurabile l’evidenziata ratio decidendi , per il resto appaiono ultronee le considerazioni svolte dai giudici di merito sul tema dell’estensione del diritto allo studio del detenuto in relazione alla latitudine degli approfondimenti culturali che, ex art. 34 Cost. e, più specificamente, artt. 19 Ord. pen. e 41 e ss. d.P.R. n. 230 del 2000, il detenuto, pur con le cautele stabilite per il fatto di essere assoggettato al regime particolare di cui all’art. 41-bis Ord. pen., ha diritto di compiere . 4. Deve, di conseguenza, pervenirsi al rigetto dell’impugnazione. Segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.