Perquisizione presso lo studio legale e sequestro di dati informatici: i limiti dell'interesse ad impugnare

Il Tribunale rigettava la richiesta di dissequestro di alcuni dati informatici duplicati a seguito della perquisizione presso uno studio legale. La decisione è confermata anche dai Giudici di Cassazione che approfittano della controversia per ribadire quando sia configurabile l’interesse ad impugnare in relazione al vincolo di indisponibilità dei beni sequestrati.

Sul punto la Cassazione con sentenza n. 4112/18, depositata il 29 gennaio. Il fatto. Il PM disponeva la perquisizione informatica presso lo studio legale di un avvocato, con il conseguente sequestro del contenuto del suo computer. In particolare veniva ipotizzato che presso lo studio poteva rinvenirsi la c.d. copia forense di documenti utili volti a provare l’ipotizzata falsità del verbale di sommarie informazioni testimoniali redatto da un magistrato che frequentava lo studio legale oggetto di perquisizione. Il Tribunale, adito dall’avvocato per ottenere il dissequestro, dichiarava inammissibile il ricorso. Avverso quest’ultima decisione ricorre per cassazione il soccombente, il quale chiede l’annullamento dell’ordinanza rilevando che sussiste un apprezzabile interesse all’esclusiva disponibilità dei dati informatici copiati dopo il sequestro. Vincolo di indisponibilità. La Cassazione ha osservato che il Tribunale correttamente precisava che non risulta realizzato in relazione agli apparati informativi uno spossamento coattivo con l’apposizione di un vincolo di indisponibilità , in quanto dai computer sono solo state estratte le memorie di massa che dopo essere state duplicate sono state riposte nel pc. Questa è la valutazione che è portato il Tribunale ad escludere l’interesse all’impugnazione perché l’interesse alla restituzione deve sussistere al momento della richiesta di riesame e della decisione . Interesse ad impugnare. Ciò premesso la Suprema Corte ha ricordato che dopo la restituzione della cosa sequestrata la richiesta di riesame del sequestro o l’eventuale ricorso per cassazione contro la decisione del tribunale del riesame è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, perché l’interesse non è configurabile neanche se l’autorità giudiziaria dispone, all’atto della restituzione, l’estrazione di copia degli atti sequestrati, essendo tale provvedimento autonomo rispetto al decreto di sequestro e non impugnabile, per il principio di tassatività delle impugnazioni . Tuttavia, aggiunge la Corte, l’interesse al ricorso non può essere escluso a priori nel caso in cui viene dedotto uno specifico interesse, concreto e attuale , alla esclusiva disponibilità dei dati o perché si dimostra che rileva l’esclusiva disponibilità dell’informazione contenuta così da far ritenere l’operazione di copia un effettivo sequestro di informazione autonomamente apprezzabile . Le ipotesi prospettate dalla Cassazione non sono, però, configurabili nel caso di specie. Infatti il ricorrente si è limitato a dedurre di non aver potuto verificare il contenuto delle tracce duplicate senza illustrare ulteriori profili di interesse. Da ciò deriva un mancato interesse a ricorrere e la conseguente dichiarazione di inammissibilità del ricorso, con la condanna del ricorrente al pagamento delle spese.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 7 novembre 2017 – 29 gennaio 2018, n. 4112 Presidente Paolini – Relatore Costanzo Ritenuto in fatto 1. Il Pubblico ministero presso il Tribunale di Messina ha disposto una perquisizione informatica presso lo studio legale dell’avvocato C.G. , indagato ex artt. 416, 110-326 e 110-56-319 quater cod. pen. e 167 legge 30 giugno 2003, con sequestro del contenuto del computer e dei supporti informatici in suo uso, mediante estrazione della cosiddetta copia forense, presupponendo la falsità del verbale di sommarie informazione testimoniali di P.S.M. redatto il omissis da L.G. quale Sostituto procuratore presso la Procura della Repubblica di Siracusa, non rinvenuto nel computer d’ufficio del magistrato, e ipotizzando che presso lo studio di C. potessero rinvenirsi documenti utili a acclarare la ipotizzata falsità in considerazione dei rapporti di assidua frequentazione fra L. e C. e fra questi e F.C. persona interessata al contenuto del verbale per le ragioni esposte nel provvedimento . Con ordinanza del 24/04/2017, il Tribunale di Messina ha dichiarato inammissibile il ricorso di C. volto a ottenere il dissequestro di quanto suindicato, disponendo soltanto la restituzione della pen drive Kingston rinvenuta nella stanza adibita ad archivio legale. 2. Nel ricorso di C. si chiede annullarsi l’ordinanza rilevando che sussiste un apprezzabile interesse del ricorrente alla esclusiva disponibilità dei dati informatici copiati, contenenti peraltro informazioni non pertinenti alla ipotesi di reato e deducendo a violazione degli artt. 253 e 103 cod. proc. pen. perché il verbale di sequestro non è stato sottoscritto dal Pubblico ministero né dal delegato del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati pur presenti alla perquisizione b motivazione solo apparente e violazione del diritto di difesa perché non sono stati messi a disposizione del ricorrente gli atti, richiamati nel provvedimento, che proverebbero i rapporti di frequentazione fra l’avvocato C. e il magistrato indagato L.G. c violazione dell’art. 253 cod. proc. pen. perché la difesa del ricorrente non ha avuto la possibilità di esaminare il corpo di reato e il contenuto delle cose inerenti allo stesso pagg. 810 del ricorso d vizio di motivazione, perché l’ordinanza impugnata non spiega l’esclusione dell’interesse del ricorrente a impugnare un provvedimento costituente un atto di indagine palesemente solo esplorativo e violazione del diritto di difesa e vizio di motivazione perché il provvedimento impugnato si limita a indicare le norme incriminatici violate ma non descrive, almeno in termini essenziali, la condotta incriminata. Considerato in diritto 1. I motivi di ricorso possono essere trattati unitariamente e sono manifestamente infondati. 1.1. Il Tribunale ha precisato che non risulta che, relativamente ai suindicati apparati informatici, tranne che per la pen drive, si sia realizzato uno spossessamento coattivo con l’apposizione di un vincolo di indisponibilità, perché dagli apparecchi sono soltanto state estratte le memorie di massa che, dopo essere state duplicate, sono state riposte all’interno del computer. Su questa base, ha escluso la attualità di un interesse alla impugnazione perché l’interesse alla restituzione deve sussistere al momento della richiesta di riesame e della decisione. 1.2. Ordinariamente, dopo che la cosa sequestrata è stata restituita, la richiesta di riesame del sequestro, o l’eventuale ricorso per cassazione contro la decisione del tribunale del riesame è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, perché l’interesse non è configurabile neanche se l’autorità giudiziaria dispone, all’atto della restituzione, l’estrazione di copia degli atti sequestrati, essendo tale provvedimento autonomo rispetto al decreto di sequestro e non impugnabile, per il principio di tassatività delle impugnazioni Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008, Rv. 239397 Sez. 6, n. 29846 del 24/04/2012, Rv. 253251 Sez. 3, n. 27503 del 30/05/2014, Rv. 259197 . Tuttavia, il permanere di un interesse a ricorrere non è escludibile a priori se viene dedotto uno specifico interesse, concreto e attuale, alla esclusiva disponibilità dei dati S.U. n. 40963 del 20/07/2017, Rv. 270497 per esempio, perché si chiede - ex art. 254, comma 3, cod. proc. pen. - la distruzione delle copie di informazioni irrilevanti estratte Sez. 5, n. 25527 del 27/10/2016, dep. 2017, Rv. 269811 o perché si dimostra che rileva l’esclusiva disponibilità dell’informazione contenuta così da fare ritenere l’operazione di copia un effettivo sequestro di informazione autonomamente apprezzabile Sez. 2, n. 40831 del 09/09/2016, Rv. 267610 . Nell’ordinanza impugnata viene evidenziato pag. 3 che il ricorrente ha soltanto dedotto di non avere potuto verificare il contenuto delle tracce duplicate e nel ricorso in esame non sono illustrati ulteriori profili di concreto interesse. Ne deriva che manca un concreto interesse a ricorrere. 1.3. Dalla rilevata mancanza di un interesse concreto e attuale a ricorrere deriva l’irrilevanza degli altri motivi di ricorso. 2. Dalla dichiarazione di inammissibilità del ricorso deriva, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché al pagamento a favore della cassa delle ammende della somma che risulta congruo determinare in Euro 2000. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000 in favore della cassa delle ammende.