L’imputato per violenza sessuale non può invocare l’esimente del consenso putativo della persona offesa

Nell’ambito di una complessa vicenda che vede l’imputato accusato di maltrattamenti in famiglia e violenza sessuale, gli Ermellini escludono la configurabilità dell’esimente putativa del consenso dell’avente diritto in tema di reati sessuali.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 2400/18, depositata il 22 gennaio, concludendo la vicenda giudiziaria che vedeva un padre di famiglia accusato di reiterati maltrattamenti ai danni dei figli, atti persecutori anche contro la moglie e violenza sessuale. La Corte di legittimità era stata adita dalla difesa dopo la conferma in sede di appello della condanna già sancita in prime cure. Consenso putativo. Oltre a diverse censure dichiarate inammissibili dal Collegio, il ricorrente invoca l’esimente putativa del consenso dell’avente diritto in relazione all’imputazione per violenza sessuale ai danni della moglie. Sostiene infatti che la sua volontà di far ritorno nella casa coniugale, dopo un iniziale allontanamento, manifestava la sua intenzione di riappacificarsi. La Corte ricorda che l’esimente putativa del consenso dell’avente diritto può trovare applicazione solo in quelle situazioni in cui obiettivamente e ragionevolmente ci possa essere un’induzione in errore dell’agente sull’esistenza delle condizioni fattuali necessarie per la configurazione della scriminante. Inoltre il consenso deve riguardare in modo specifico una condotta che sarebbe altrimenti illecita, non potendo riconoscersi - nel caso di specie - un consenso della moglie agli atti sessuali sulla base della mera volontà di tornare nella casa coniugale. In conclusione la Corte afferma che, in tema di reati sessuali, l’esimente putativa del consenso dell’avente diritto presuppone che il presunto consenso della vittima riguardi specificamente la condotta che, in assenza del consenso sia esso o meno presunto , rivestirebbe carattere di illiceità, non potendosi attribuire ad una condotta polisenso [], non avente una sicura ed inequivoca diretta relazione causale rispetto al fatto potenzialmente illecito se posto in essere senza il consenso di quest’ultima [], una valenza giustificativa” di natura onnicomprensiva, ossia rivolta in generale a tutti i comportamenti invasivi della libertà sessuale del coniuge, il quale potrebbe opporsi ad uno o più di essi e consentire” volontariamente ad altri, non potendo certo il dubbio sull’esistenza del consenso tradursi nel riconoscimento, in ogni caso, dell’esimente putativa . Il ricorso viene dunque dichiarato inammissibile e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 ottobre 2017 – 22 gennaio 2018, n. 2400 Presidente Savani – Relatore Scarcella Rritenuto in fatto 1. Con sentenza del 5.10.2016, depositata in data 20.01.2017, la Corte d’appello di Lecce confermava la sentenza del tribunale della stessa città dell’11.04.2011, appellata dallo S. , che lo aveva riconosciuto colpevole del reato continuato sub a per i reiterati maltrattamenti compiuti ai danni dei figli consumati entro il omissis , nonché del reato di atti persecutori commesso ai danni della moglie e dei figli commesso dal omissis al omissis , e dei reati di tentata violenza sessuale quanto all’episodio del omissis e di violenza sessuale consumata nel resto, così riqualificati i fatti contestati al capo c , commessi dal dicembre 2008 al omissis , condannandolo alla pena di 8 anni di reclusione, oltre alle pene accessorie di legge ed al risarcimento danni ed alle spese in favore della parte civile costituita, in relazione a fatti contestati come consumati secondo le modalità esecutive e spazio - temporali meglio descritte nei singoli capi di imputazione. 2. Contro la predetta sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, iscritto all’albo speciale ex art. 613 cod. proc. pen., deducendo sei motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen 2.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b , c , d ed e , c.p.p., sotto il profilo della violazione di legge in relazione agli artt. 178, lett. c , 190, 495 e 603, commi 1 e 2, c.p.p., atteso il mancato esame ed il difetto assoluto di motivazione rispetto alla richiesta di rinnovazione parziale del dibattimento nonché per la mancata assunzione di prova nuova o scoperta successivamente. In sintesi, sostiene il ricorrente che ai motivi nuovi in appello sarebbero state allegate le dichiarazioni rese in sede di indagini difensive da alcuni testi il figlio dell’imputato G. e la compagna di quest’ultimo , scoperte successivamente al giudizio di primo grado, deposizioni conferenti e rilevanti attenendo ad aspetti fondamentali della vicenda ossia, da un lato, la causa prevalente del contrasto tra i coniugi e del risentimento della moglie nonché il comportamento provocatorio di quest’ultima nel periodo in cui, a suo dire, avrebbe vissuto barricata in casa per timore di incontrare il marito detti motivi sarebbero stati del tutto ignorati dalla Corte territoriale non rinvenendosi alcun riferimento nella motivazione della sentenza alla questioni ivi prospettate analoga sorte sarebbe toccata alla richiesta di perizia medico - legale sugli esiti di una ferita che sarebbe stata inferta all’ex moglie dall’imputato qualche anno prima poiché la sorella della p.o. sarebbe stata testimone di un atto di autolesionismo posto in essere dalla moglie dell’imputato con un rasoio e considerato che la tipologia della ferita sarebbe riferibile a tale strumento anziché ad un coltello con lama seghettata, come invece affermato dalla ex moglie del ricorrente, sarebbe stato necessario dar seguito alla richiesta di perizia medico - legale, diversamente respinta dal tribunale e non presa in esame dalla Corte d’appello detta omessa valutazione inficerebbe la sentenza con conseguente nullità della stessa. 2.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b ed e , c.p.p., sotto il profilo della violazione di legge e correlato vizio di difetto e manifesta illogicità della motivazione. In sintesi, sostiene il ricorrente che la sentenza d’appello, richiamando quella di primo grado attesa la reciproca integrazione motivazionale, si sarebbe limitata a riproporre quanto affermato dal primo giudice, ribadendo frettolosamente l’attendibilità della p.c., affermando che, anche se su talune circostanze la p.o. non era credibile coinvolgimento di uno dei figli nei reati in materia di stupefacenti reale entità della dedizione al gioco della p.o. presso la sala Bingo , la stessa sarebbe comunque dotata di generalizzata attendibilità sul presupposto che il mendacio riguardi fatti estranei alla causa e le accuse della p.o. sarebbero state, seppure in parte, confermate da altri soggetti in sostanza, i giudici avrebbero aderito al principio della c.d. valutazione frazionata delle dichiarazioni che avrebbe consentito di espungere le dichiarazioni false o reticenti la difesa del ricorrente, premesso di non aver reperito precedenti giurisprudenziali che consentano di estendere detto criterio anche alle dichiarazioni della p.c., sostiene peraltro che, proprio la particolare veste della parte civile, avrebbe imposto ai giudici di merito l’obbligo di ricercare seri elementi di riscontro al narrato, attribuendo particolare attenzione proprio a quelle parti delle dichiarazioni espressione di mendacio non vi sarebbe quindi rispetto dei canoni della logica, ritenere del tutto inconferenti le circostanze rispetto alle quali la donna avrebbe reso dichiarazioni false o reticenti, trattandosi di eventi tossicodipendenza di un figlio ludopatia della p.o. che sovente condizionano l’esistenza dell’intero nucleo familiare non rileverebbe il tentativo della p.c. e dei due figli, presunte vittime dei maltrattamenti, di minimizzare la passione per il gioco della madre, alla luce del fatto che tali affermazioni sarebbero state smentite da concordi testimonianze provenienti da soggetti terzi tra cui anche un ispettore di polizia analogamente avrebbe dovuto destare sospetto il tentativo della p.c. di negare l’esistenza dello strettissimo legame con la sorella, laddove diversamente quest’ultima rappresentava una importante fonte di finanziamento, e, soprattutto, laddove si consideri che proprio la frequente presenza della sorella costituiva il motivo prevalente dei litigi tra il ricorrente e la ex moglie, insospettitasi dell’esistenza di una relazione amorosa tra la sorella e l’ex marito, circostanza su cui la p.o. avrebbe reso dichiarazioni illogiche, altalenanti, incoerenti e contraddittorie i giudici avrebbero inoltre trascurato la circostanza che i figli vittima dei presunti maltrattamenti erano in realtà in contrasto con il padre, non solo il figlio M. che si sarebbe reso protagonista anche di un’aggressione con un paio di forbici ai danni del padre, non denunciato da quest’ultimo per non danneggiare il figlio, ma anche la figlia R. si sarebbe trovata in pessimi rapporti con il padre che la rimproverava per la sua abitudine, dopo la rottura del fidanzamento, di intrecciare relazioni sentimentali di brevissima durata considerate frivole e superficiali ciò giustificherebbe la versione compiacente dei due figli a vantaggio della madre, sicché i rilievi critici mossi alla deposizione di quest’ultima, in ordine alla sua attendibilità, si estenderebbero anche ai figli, non essendo risolutive le argomentazioni dei giudici di merito per giustificare la reazione dei due figli come legittima rispetto all’aggressività paterna ancora, si osserva, tanto sui rapporti tra l’ex moglie ed i due figli e il ricorrente quanto sulle lesioni asseritamente patite ad opera dell’ex marito, i giudici di appello avrebbero tacciato come inattendibili le dichiarazioni dei testi a discarico il riferimento è alle deposizioni delle sorelle della p.c. nonché del teste L. , ispettore di polizia, della teste C. e di altri testi a discarico , ma in maniera illogica, evocando il concetto di pregiudizio di favore riferito alle loro deposizioni, da intendersi come una sorta di testimonianza compiacente in quanto resa a favore dell’imputato per i rapporti di conoscenza pre-gressa e per la frequentazione con il nucleo familiare vi sarebbe stato, dunque, un preconcetto ed evidente ripudio della attendibilità delle dichiarazioni dei testi a discarico, contrariamente a quanto invece imporrebbe l’ordinario canone valutativo di una deposizione, che non può ritenersi inattendibile a priori ma solo dopo una attenta valutazione con gli elementi contrastanti. 2.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b , d ed e , c.p.p., sotto il profilo della violazione di legge in relazione all’art. 572 c.p., e correlato vizio di difetto ed illogicità della motivazione. In sintesi, sostiene il ricorrente che l’accusa di aver maltrattato la ex moglie e due dei figli sarebbe priva di riscontri oggettivi e certi non sarebbe emersa, quanto agli episodi di cui sarebbe vittima la ex moglie ed i due figli, quella molteplicità di comportamenti ed episodi vessatori caratterizzati da sistematica abitualità idonei ad indurre nella donna e nei figli quello stato di soggezione e timore, emergendo anzi dalle deposizioni dei richiamati testi a discarico una sostanziale succubanza dell’imputato rispetto alla moglie ed ai figli sarebbero emersi, tutt’al più, episodi da stigmatizzare, peraltro dall’incerta dinamica e assai risalenti nel tempo, peraltro valorizzando le deposizioni rese da due sorelle della p.o. che avrebbero reso dichiarazioni non utilizzabili quali riscontri al narrato della ex moglie e dei due figli sarebbe poi stata sostanzialmente pretermessa la deposizione di uno dei figli, Gi. , che avrebbe reso dichiarazioni di segno opposto a quelle della madre e dei fratelli presunte vittime dei maltrattamenti, di cui vengono riportati alcuni stralci in ricorso sarebbe in particolare emersa l’immagine di un padre impulsivo, ma animato da forte senso di responsabilità, preoccupato di garantire ai figli l’educazione e la sana crescita quanto ai figli, si ribadisce quanto già esposto nel precedente motivo, evidenziando anzitutto l’esistenza di ragioni di contrasto con il figlio M. , che era in ritardo ingiustificato negli studi e che per questo veniva ripreso dal padre, peraltro sottolineando come anche alcune circostanze il riferimento è all’episodio in cui il padre avrebbe dato uno schiaffo alla sorella R. , sarebbero state smentite anche dal fratello M. , a conferma di come la tesi dei presunti maltrattamenti sarebbe priva di riscontri, tutt’al più potendo emergere solo episodi occasionali ma privi di quell’abitualità richiesta dalla disciplina in materia sul punto, si ribadisce come censurabile sarebbe la motivazione laddove ritiene inaffidabili i testi a discarico, senza invece tener conto che dalle loro deposizioni sarebbe emerso l’astio da cui l’ex moglie ed i due figli erano animati, soprattutto da parte della ex moglie che nutriva rancore verso l’ex marito sospettato di aver intrecciato una relazione sentimentale con la sorella della p.o., Ro. a ciò andrebbe aggiunto come circa i plurimi episodi di violenza di cui la madre sarebbe rimasta vittima, non solo i due figli avrebbero riferito essersi verificati in epoca remota e comunque asserendo di non avervi assistito, ma sarebbe altresì emerso dalle deposizioni dei testi a discarico il riferimento è alle dichiarazioni del teste isp. L. , nonché dei testi D.S. e C. , di cui viene sintetizzato il contenuto che fosse proprio l’ex moglie avvezza a perdere la pazienza ed aggredire l’ex marito, lanciandogli contro numerosi oggetti la giustificazione offerta sul punto dal tribunale secondo cui la p.c. approfittasse della presenza degli amici per imporre il proprio punto di vista, sarebbe stata smentita dalle dichiarazioni del figlio Gi. , che descriveva il padre come avvezzo, in quei contesti, ad allontanarsi da casa per evitare il peggio non sarebbe, poi, quanto agli atteggiamenti assunti verso i figli, emersa la prova che il presunto rigore educativo del padre sia mai sfociato in comportamenti abitualmente vessatori e violenti, essendo anzi emerso il contrario, ossia che fossero i due figli a mal sopportare i metodi educativi del padre, che, tuttavia, pur rimanendo vittima di aggressioni fisiche e verbali dei figli non li avrebbe mai denunciati per tutelarli viene, infine, richiamato l’episodio accaduto il omissis nell’abitazione di una parente in fin di vita, alla presenza di un teste terzo quale l’infermiere intervenuto al capezzale della donna tale A. che avrebbe reso una versione dei fatti diametralmente opposta a quella dell’ex moglie e dei due figli, sostenendo la tesi difensiva secondo cui era da escludersi che il ricorrente li avesse aggrediti, tanto da presentarsi lui sanguinante e con gli occhiali rotti, segno che era stato lui ad essere aggredito e non già la ex moglie o di due figli censurabile sarebbe la affermazione contenuta nella sentenza impugnata che ha escluso rilevanza alle dichiarazioni dell’infermiere in considerazione del fatto che questi si sarebbe trovato in una stanza diversa da quella ove sarebbero avvenuti i fatti violenti, dovendosi invece ipotizzare che le cose fossero andate come sostenuto dall’imputato, ovvero che fosse stato lui la vittima e non l’aggressore, ciò che avrebbe integrato un travisamento probatorio della sua deposizione. 2.4. Deduce, con il quarto motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b , d ed e , c.p.p., sotto il profilo della violazione di legge in relazione all’art. 612 bis c.p., e correlato vizio di difetto ed illogicità della motivazione. In sintesi, sostiene il ricorrente che anche con riferimento al reato di atti persecutori gli elementi acquisiti escluderebbero che la donna fosse stata perseguitata dall’ex marito con minacce telefoniche e continui appostamenti, vivendo in uno stato di disagio psichico e terrore, come dalla stessa affermato fatta eccezione per una telefonata in cui l’uomo avrebbe preteso dalla moglie la restituzione di auto e bancomat, i successivi SMS inviati alla moglie conterrebbero solo qualche rimprovero ma non minacce, e, inoltre, alcuni testi a discarico avrebbero anche riferito che l’ex moglie, dopo i fatti, avrebbe frequentato i luoghi in cui si trovava l’ex marito, così sconfessando la tesi accusatoria si censura poi l’aver i giudici di appello attribuito la valenza di riscontri al narrato della p.o. alle dichiarazioni della figlia, del genero e della teste T. i quali avevano riferito dello stato di terrore in cui viveva la donna , senza tuttavia considerare che si sarebbe trattato di soggetti sprovvisti di qualsivoglia competenza professionale specifica per diagnosticare le condizioni psicologiche della stessa, dovendo ipotizzarsi solo che gli stessi si siano fidati di quanto loro riferito dalla p.o. nessuna delle condizioni richiesta dall’art. 612 bis c.p., in termini di evento di danno, si sarebbe mai verificata, anzi emergendo il contrario, ossia che fosse stata la stessa p.o. quasi provocatoriamente a frequentare i luoghi in cui si trovava il marito analoga critica riguarda i presunti atti persecutori di cui sarebbero vittima i due figli, richiamando alcuni episodi in ricorso che dimostrerebbero il contrario, donde l’esistenza di plurimi, incerti e contraddittori elementi che non consentirebbero di pervenire a giudizio di condanna, non essendo integrato il delitto in esame. 2.5. Deduce, con il quinto motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b , d ed e , c.p.p., sotto il profilo della violazione di legge in relazione all’art. 605 c.p. e correlato vizio di difetto ed illogicità della motivazione. In sintesi, sostiene il ricorrente che l’inaffidabilità della p.o. non consentirebbe di ritenere raggiunta la prova del sequestro di persona, difettando anche l’indicazione della data in cui il fatto si sarebbe verificato l’incertezza assoluta sull’an, sul quo-modo, sul quando e sul quantum caratterizzerebbe la vicenda in oggetto cui dovrebbe credersi fideisticamente. 2.6. Deduce, con il sesto motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b , d ed e , c.p.p., sotto il profilo della violazione di legge in relazione agli artt. 81, 609 bis e 56, 609 bis c.p. e correlato vizio di difetto ed illogicità della motivazione. In sintesi, sostiene il ricorrente che i giudici avrebbero ritenuto la colpevolezza del ricorrente in quanto la p.o. aveva affermato di essersi limitata ad una passiva adesione alle richieste sessuali dell’ex coniuge la sentenza di condanna sarebbe censurabile per aver erroneamente risolto il tema della riconoscibilità del dissenso della presunta vittima della violenza sessuale, atteso che la p.o., per quanto emerso, risultava cooperativa alle istanze sessuali dell’ex coniuge, il quale versava nella inconsa. volezza del dissenso all’atto sessuale da parte dell’ex moglie, in quanto non esteriorizzato, attesa l’assenza di qualsiasi reazione dell’ex moglie che, del resto, si trattasse di un dubbio legittimo, discenderebbe dallo stesso comportamento della moglie che era rientrata volontariamente presso l’abitazione coniugale dopo aver deciso di riappacificarsi, sicché il presunto dissenso all’atto sessuale non era percepibile dal ricorrente, con possibile configurabilità della scrimi-nante putativa presumendo un consenso tacito dell’ex moglie a ciò, peraltro, si aggiunge la questione della credibilità della p.o. in relazione alle accuse relative ai fatti di violenza sessuale, non essendo riuscita la donna nemmeno ad indicare il contesto di alcun rapporto sessuale preteso dal coniuge, cui si sarebbe opposta inutilmente. 3. Con memoria depositata presso la cancelleria di questa Corte in data 21.09.2017, la difesa della parte civile, nel dedurre in relazione ai motivi di ricorso, ha chiesto confermarsi la sentenza impugnata. Considerato in diritto 4. Il ricorso è inammissibile. 5. Seguendo l’ordine sistematico suggerito dalla struttura dell’impugnazione proposta in questa sede - premessa la tardività della memoria della parte civile atteso che il termine di quindici giorni per il deposito delle memorie difensive, previsto dall’art. 611, cod.proc. pen. relativamente al procedimento in camera di consiglio, è applicabile anche ai procedimenti in udienza pubblica e la sua inosservanza esime la Corte di Cassazione dall’obbligo di prendere in esame le stesse Sez. 1, n. 19925 del 04/04/2014 - dep. 14/05/2014, Cutrì e altro, Rv. 259618 devono essere esaminati per primi i motivi di censura con cui vengono evocati vizi afferenti alla violazione della legge processuale. In relazione a tale tipologia di vizi, infatti, questo giudice di legittimità è anche giudice del fatto processuale Sez. U, n. 42792 del 31/10/2001 - dep. 28/11/2001, Policastro e altri, Rv. 220092 , e, per risolvere la relativa questione, può accedere all’esame diretto degli atti processuali. 6. Orbene, quanto al primo motivo afferente al mancato esame di testi assunti in sede di indagini difensive e al correlato silenzio della Corte d’appello sulla richiesta di rinnovazione istruttoria, anche per quanto concerne la perizia medico - legale, osserva il Collegio come la censura presti il fianco ad un triplice profilo di inammissibilità. Anzitutto, perché il silenzio della Corte d’appello in realtà non rispondente al vero, per come si dirà oltre non può ritenersi omesso esame della richiesta ex art. 603 cod. proc. pen., ma rientra nei casi di silenzio significativo . Si è infatti reiteratamente affermato da parte di questa Corte che il giudice d’appello ha l’obbligo di motivare espressamente sulla richiesta di rinnovazione del dibattimento solo nel caso di suo accoglimento, laddove, ove ritenga di respingerla, può anche motivarne implicitamente il rigetto, evidenziando la sussistenza di elementi sufficienti ad affermare o negare la responsabilità del reo Sez. 6, n. 11907 del 13/12/2013 - dep. 12/03/2014, Coppola, Rv. 259893 . In secondo luogo, perché, versandosi nell’ipotesi del comma primo dell’art. 603 cod. proc. pen., nulla è stata dedotto dalla parte al fine di dimostrare la decisività dell’incombente processuale richiesto. Ed è pacifico che in tema di rinnovazione dell’istruzione dibattimentale, nell’ipotesi di cui all’art. 603, comma primo, cod. proc. pen. la riassunzione di prove già acquisite o l’assunzione di quelle nuove è subordinata alla condizione che i dati probatori raccolti in precedenza siano incerti e che l’incombente processuale richiesto rivesta carattere di decisività, mentre, nel caso previsto dal secondo comma, il giudice è tenuto a disporre l’ammissione delle prove sopravvenute o scoperte dopo il giudizio di primo grado negli stessi termini di cui all’art. 495, cod. proc. pen., con il solo limite costituito dalle richieste concernenti prove vietate dalla legge o manifestamente superflue o irrilevanti In motivazione la Corte ha affermato che, nella prima ipotesi, le ragioni di rigetto possono essere anche implicite nell’apparato motivazionale della decisione adottata, mentre, nel secondo caso, la giustificazione del rigetto deve risultare in modo espresso e compiuto Sez. 3, n. 47963 del 13/09/2016 - dep. 14/11/2016, F, Rv. 268657 . In terzo luogo, e soprattutto, è inammissibile perché non risponde al vero quanto eccepito dalla difesa del ricorrente. Ed infatti, a seguito dell’accesso agli atti doverosamente eseguito da questo Collegio quale giudice del fatto processuale , deve darsi atto che al verbale dell’ud. 2.10.2013 davanti alla Corte d’appello risulta allegata l’ordinanza con cui la Corte territoriale ha rigettato la richiesta di rinnovazione istruttoria ex art. 603 cod. proc. pen., evidenziando, quanto ai due soggetti sentiti in sede di indagini difensive, che non poteva parlarsi di prove nuove atteso che i loro nominativi erano già noti prima della sentenza di primo grado quanto alla deposizione St. , poi, che avrebbe dovuto essere sentita sul contenuto della relazione tecnica 29.10.2012 riguardante il messaggio inviato dal cellulare in uso a tale D. , il rigetto è motivato con la irrilevanza del richiesto incombente ai fini della decisione, quanto, infine, alla perizia medico - legale, la stessa non risulta facente parte dei motivi nuovi depositati in data 29.10.2012, donde la relativa censura è del tutto priva di pregio in quanto non investita la Corte d’appello della richiesta. In base al principio desunto dall’art. 606 cod. proc. pen. non sono infatti proponibili, quali motivi di ricorso per Cassazione, questioni che esorbitano dai limiti entro i quali il procedimento è stato devoluto al giudice d’appello, poiché sui punti che potevano essere, ma non sono stati investiti con la proposizione del gravame, la sentenza del primo giudice acquista autorità di cosa giudicata né il giudice di appello ha, pertanto, l’obbligo di motivare in ordine ad essi la sua decisione, a meno che si tratti di questioni che possono essere rilevate d’ufficio in ogni stato e grado del procedimento o di errori di giudizio riflettenti punti di diritto sostanziale deducibili per la prima volta nel giudizio di Cassazione, senza che occorra svolgere accertamenti di fatto, di cui non sia stato provocato ritualmente l’esame o il riesame in sede di appello. Circostanza, quest’ultima, che non ricorre nel caso di specie. 7. Prima di procedere, peraltro, nell’esame dei motivi di ricorso con cui vengono sollevate censura di violazione di legge e di asserito vizio motivazionale, preme osservare al Collegio come tutti i predetti motivi di ricorso prestano il fianco al medesimo giudizio di inammissibilità in quanto generici per aspecificità, non confrontandosi - come si vedrà - il ricorrente con le argomentazioni sintetiche ma puntuali svolte dalle sentenze di primo grado e di appello che, com’è noto si integrano reciprocamente Sez. 3, n. 44418 del 16/07/2013 - dep. 04/11/2013, Argentieri, Rv. 257595 , senza prospettare reali elementi di novità critica rispetto alle doglianze già esposte davanti ai giudici del merito, le quali vengono ad essere sostanzialmente replicate nel ricorso. Tutti i motivi, dunque, sono destinati ad essere dichiarati inammissibili, ciò in base al principio più volte affermato da questa Corte secondo cui è inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi non specifici, ossia generici ed indeterminati, che ripropongono le stesse ragioni già esaminate e ritenute infondate dal giudice del gravame o che risultano carenti della necessaria correlazione tra le argomentazioni riportate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’impugnazione v., tra le tante Sez. 4, n. 18826 del 09/02/2012 - dep. 16/05/2012, Pezzo, Rv. 253849 . 8. Può quindi procedersi all’esame del secondo motivo, con cui vengono svolte censure contro la sentenza per presunto vizio motivazionale per non aver correttamente valutato l’attendibilità della persona offesa e dei due figli del ricorrente e per non aver adeguatamente valorizzato la questione della tossicodipendenza del figlio e della ludopatia della ex moglie, come, ancora, la questione della esistenza di asserite ragioni di contrasto tra le vittime ed il ricorrente, oltre che la presunta svalorizzazione dei testi a discarico. Trattasi, in toto, di censure anzitutto generiche per aspecificità, avendo le stesse ricevuto adeguata confutazione, anche per implicito non essendo invero censurabile in questa sede di legittimità la sentenza, per il suo silenzio su una specifica deduzione prospettata col gravame, quando questa risulta disattesa dalla motivazione complessivamente considerata, essendo sufficiente, per escludere la ricorrenza del vizio previsto dall’art. 606, comma primo, lett. e , cod. proc. pen., che la sentenza evidenzi una ricostruzione dei fatti che conduca alla reiezione della prospettazione difensiva implicitamente e senza lasciare spazio ad una valida alternativa Sez. 2, n. 1405 del 10/12/2013 - dep. 15/01/2014, Cento e altri, Rv. 259643 , ed affrontate dalla Corte territoriale che si sofferma, infatti, sia sul tema dell’attendibilità individuando gli elementi di riscontro al narrato delle pp.00., sia sul tema della valutazione del contesto familiare dando atto dell’elevata conflittualità coniugale e dell’esistenza di motivi di contrasto tra la p.o. e l’ex coniuge , sia sulla particolare valenza attribuita alla deposizione del figlio Gi. che aveva confermato le razioni violente del padre in occasione dei litigi con la madre, testimoniando anche sullo stato di paura di quest’ultima , sia, ancora, sui rapporti dell’imputato con i figli illustrando segnatamente la sua particolare modalità educativa fatta anche di violenze nei loro confronti , sia sull’abitualità di tali comportamenti violenti e minacciosi valorizzando a tal fine le dichiarazioni del figlio M. , come, inoltre, sulla tesi del risentimento della p.o. per vendetta a seguito del sospetto della tresca tra l’ex marito e la sorella Ro. tesi che risulta, peraltro, smentita dai concordanti riscontri costituiti dalle deposizioni di diversi testimoni, tra cui anche i figli . Nulla, pertanto, viene tralasciato nell’analisi dei fatti da parte dei giudici della Corte d’appello, la cui disamina della vicenda processuale è tutt’altro che superficiale. 9. I giudici di appello si preoccupano, poi così affrontando questa Corte le do-glianze sviluppate anche nel residui motivi di ricorso, che per l’intima connessione delle censure svolte meritano congiunto esame , di approfondire la genesi ed i tempi delle denunce, traendo da tali argomenti un motivo di conferma dell’attendibilità, individuando quali elementi di riscontro anche le dichiarazioni della teste T. responsabile del Centro antiviolenza che aveva descritto lo stato di timore della p.o., confermato anche dalle dichiarazioni della figlia R. , che, per tranquillizzarla, aveva dovuto predisporre un sistema di difesa passiva al proprio appartamento, rinforzando la struttura della porta di ingresso, e ricavando altresì dei bastoni dalle gambe di una sedia quale strumento di difesa attiva. Significativo, poi, il richiamo alla richiesta di aiuto rivolta dalla p.o. proprio alla sorella Ro. pag. 4 , ciò che contrasta con la tesi sostenuta dal ricorrente. Analoga attenzione, inoltre, è dedicata dalla Corte d’appello al tema delle percosse e delle lesioni di cui sarebbe rimasta vittima la p.o., le quali risultano corroborate anche da elementi esterni di riscontro, come, allo stesso modo, puntuale è l’attenzione che i giudici territoriali dedicano alla deposizione dell’infermiere A. circa l’episodio avvenuto in data omissis , la cui deposizione viene considerata dalla Corte d’appello non determinante con una motivazione certamente non attinta dal vizio di illogicità manifesta pag. 5, osservando in particolare i giudici di appello che poiché l’infermiere stava assistendo la madre moribonda di M. Sa. , trovandosi in una stanza diversa da quella in cui si svolgeva l’azione ed essendo intento a prestare la sua attività in un momento particolarmente delicato, non era stato nelle condizioni di riferire con precisione quanto accaduto . La sentenza, poi, si sofferma sia sull’episodio del sequestro di persona avvenuto in data omissis , i cui riscontri sono rappresentati dalle dichiarazioni dei figli della p.o. pag. 5 , sia con riferimento al reato di atti persecutori, valorizzando con attenzione non solo gli elementi di riscontro pag. 5, testi T. ed Ac. confermativi dei plurimi appostamenti e pedinamenti oltre che dei messaggi diretti a segnalarle la presenza dell’ex coniuge ed il suo costante controllo, ma anche delle conseguenze derivanti da tale condotta, in quanto - come si legge in sentenza pag. 59, il grave stato di paura della p.o. risultava palesemente dimostrato dalle misure di difesa sbarra di sicurezza alla porta d’ingresso e bastoni predisposte presso l’abitazione della figlia R. , dove la donna si era rifugiata dopo l’allontanamento dalla casa coniugale. I giudici di appello individuano, inoltre, gli elementi che confortano anche il rivolgersi degli atti persecutori nei confronti dei figli, sia verso M. che nei confronti di R. , avendo in particolare quest’ultima subito simili atteggiamenti persecutori per mano del padre anche sul posto di lavoro, come confermato dalla deposizione di un collega di lavoro della ragazza Giordano , da un’amica della stessa b. e da un teste qualificato, appartenente alla polizia giudiziaria P. . Infine, con riferimento al reato di violenza sessuale, la Corte d’appello confuta la tesi difensiva della riconoscibilità del dissenso della p.o. sottolineando come anche le aggressioni fisiche e verbali, proseguite anche successivamente al ritorno della p.o. nella casa coniugale, avrebbero dovuto rendere evidente in capo all’imputato la consapevolezza del dissenso, posto che dalla donna tali violente attenzioni sessuali venivano sostanzialmente subite in un contesto di sopraffazione ed umiliazione esteso ad ogni aspetto della vita matrimoniale. 10. Al cospetto di tale apparato argomentativo, le doglianze dell’imputato espresse nel motivo in esame che, peraltro, come detto, riguardano anche tutti i successivi motivi con cui si deducono asserite violazioni della legge penale e presunti vizi motivazionali di mancanza ed illogicità della motivazione i quali, - attesa l’omogeneità dei profili di doglianza ad essi sottesa meritano congiunta trattazione , si risolvono in evidenti tentativi di rilettura del materiale probatorio oltre che nelle consuete espressioni di dissenso rispetto alla ricostruzione dei fatti ed alla valutazione delle prove operate dai giudici di merito. Deve, a tal proposito, essere ricordato che gli accertamenti giudizio ricostruttivo dei fatti e gli apprezzamenti giudizio valutativo dei fatti cui il giudice del merito sia pervenuto attraverso l’esame delle prove, sorretto da adeguata motivazione esente da errori logici e giuridici, sono sottratti al sindacato di legittimità e non possono essere investiti dalla censura di difetto o contraddittorietà della motivazione solo perché contrari agli assunti del ricorrente ne consegue che tra le do-glianze proponibili quali mezzi di ricorso, ai sensi dell’art. 606 cod. proc. pen., non rientrano quelle relative alla valutazione delle prove, specie se implicanti la soluzione di contrasti testimoniali, la scelta tra divergenti versioni ed interpretazioni, l’indagine sull’attendibilità dei testimoni e sulle risultanze peritali, salvo il controllo estrinseco della congruità e logicità della motivazione v., tra le tante Sez. 4, n. 87 del 27/09/1989 - dep. 11/01/1990, Bianchesi, Rv. 182961 . Il controllo di legittimità sulla motivazione è, infatti, diretto ad accertare se a base della pronuncia del giudice di merito esista un concreto apprezzamento del materiale probatorio e/o indiziario e se la motivazione non sia puramente assertiva o palesemente affetta da vizi logici. Restano escluse da tale controllo sia l’interpretazione e la consistenza degli indizi e delle prove sia le eventuali incongruenze logiche che non siano manifeste, ossia macroscopiche, eclatanti, assolutamente incompatibili con altri passaggi argomentativi risultanti dal testo del provvedimento impugnato ne consegue che non possono trovare ingresso in sede di legittimità i motivi di ricorso fondati su una diversa prospettazione dei fatti né su altre spiegazioni, per quanto plausibili o logicamente sostenibili, formulate dal ricorrente Sez. 6, n. 1762 del 15/05/1998 - dep. 01/06/1998, Albano L, Rv. 210923 . La sentenza impugnata non merita dunque censura sotto tale profilo. 11. La manifesta infondatezza delle doglianze, invero, oltre a connotare le censure svolte a proposito dei maltrattamenti subiti provati indiscutibilmente sulla scorta degli elementi richiamati nelle sentenze di merito , riguarda anche il presunto travisamento probatorio della deposizione del teste A. . Quest’ultimo è, in realtà, inesistente. L’apprezzamento della prova è infatti affidato in via esclusiva al giudice di merito, il quale è libero di valutare le prove raccolte nella istruzione e nel dibattimento, organizzandole e dando a ciascuna di esse, come al loro complesso, il peso ed il significato che ritiene più opportuno, mentre il controllo della Corte di Cassazione è limitato alla congruità della motivazione, nel senso che tale operazione intellettuale deve rispettare le regole della logica. Il giudice di merito non ha, peraltro, l’obbligo di analizzare singolarmente tutte le deposizioni testimoniali, tutte le risultanze in atti e tutte le deduzioni ed allegazioni difensive, essendo sufficiente che egli dimostri, con un giudizio sia pure complessivo, di averle tenute tutte presenti nella formazione del suo convincimento e, in caso di diverse contrastanti versioni del fatto, che dia congrua giustificazione delle tesi prescelte. In applicazione di tale principio non può parlarsi di vizio della motivazione qualora il giudice prenda in esame soltanto le risultanze processuali che ritiene rilevanti ai fini del decidere e le valuti nel loro complesso in relazione agli elementi difensivi, indicando le ragioni del proprio convincimento. Né è lecito censurare le scelte operate dai giudici di merito adducendo un preteso omesso esame di circostanze rilevanti perché la decisione non ha seguito la impostazione difensiva. Il giudizio di manifesta infondatezza si estende, poi, anche al delitto di atti persecutori provato indiscutibilmente sulla scorta degli elementi richiamati nelle sentenze di merito nonché per il reato di sequestro di persona rispetto al quale le censure difensive sono connotate da assoluta genericità, in quanto aventi natura e tenore puramente contestativo nonché, infine, quanto al delitto di violenza sessuale anch’esso provato indiscutibilmente sulla scorta degli elementi richiamati nelle sentenze di merito , in relazione al quale, al fine di evidenziare la infondatezza della tesi del consenso presunto all’atto sessuale desumibile dal comportamento della ex moglie, è sufficiente in questa sede ribadire che ai fini della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato di violenza sessuale, è sufficiente che l’agente abbia la consapevolezza del fatto che non sia stato chiaramente manifestato il consenso da parte del soggetto passivo al compimento degli atti sessuali a suo carico. Ne consegue che è irrilevante l’eventuale errore sull’espressione del dissenso anche ove questo non sia stato esplicitato, potendo semmai fondarsi il dubbio sulla ricorrenza di un valido elemento soggettivo solamente nel caso in cui l’errore si fondi sul contenuto espressivo, in ipotesi equivoco, di precise e positive manifestazioni di volontà promananti dalla parte offesa Sez. 3, n. 49597 del 09/03/2016 - dep. 22/11/2016, S, Rv. 268186 . 12. E, su tale ultimo aspetto - quand’anche non si voglia aderire alla tesi rigorosa sostenuta da questa stessa Sezione secondo cui l’esimente putativa del consenso dell’avente diritto non è configurabile nel delitto di violenza sessuale, in quanto la mancanza del consenso costituisce requisito esplicito della fattispecie e l’errore sul dissenso si sostanzia pertanto in un in errore inescusabile sulla legge penale Sez. 3, n. 17210 del 10/03/2011 - dep. 03/05/2011, P.M. in proc. I., Rv. 250141 -, osserva comunque il Collegio come non potrebbe certo attribuirsi valenza significativa alla generica circostanza rappresentata dall’aver la ex moglie del ricorrente manifestato la volontà di fare ritorno nella casa coniugale, quale espressione della sua intenzione di riappacificarsi. L’esimente putativa nella specie consenso dell’a-vente diritto può infatti trovare applicazione solo quando sussista un’obiettiva situazione - non creata dallo stesso soggetto attivo del reato - che possa ragionevolmente indurre in errore tale soggetto sull’esistenza delle condizioni fattuali corrispondenti alla configurazione della scriminante v., tra le tante Sez. 3, n. 7186 del 20/04/1990 - dep. 24/05/1990, Colantonio, Rv. 184366 . Detta esimente putativa, in ogni caso, presuppone che il presunto consenso della vittima riguardi specificamente la condotta che, in assenza del consenso sia esso o meno presunto , rivestirebbe carattere di illiceità, non potendosi attribuire ad una condotta polisenso quale è, nel caso di specie, la volontà della ex moglie di far ritorno nella casa coniugale nel tentativo di riappacificarsi con l’imputato , non avente una sicura ed inequivoca diretta relazione causale rispetto al fatto potenzialmente illecito se posto in essere senza il consenso di quest’ultima ossia al compimento di quello specifico atto sessuale , una valenza giustificativa di natura onnicomprensiva, ossia rivolta in generale a tutti i comportamenti invasivi della libertà sessuale del coniuge, il quale potrebbe opporsi ad uno o più di essi e consentire volontariamente ad altri, non potendo certo il dubbio sull’esistenza del consenso tradursi nel riconoscimento, in ogni caso, dell’esimente putativa per le ragioni esplicitate. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto In tema di reati sessuali, l’esimente putativa del consenso dell’avente diritto presuppone che il presunto consenso della vittima riguardi specificamente la condotta che, in assenza del consenso sia esso o meno presunto , rivestirebbe carattere di illiceità, non potendosi attribuire ad una condotta polisenso nella specie, il comportamento del coniuge di far ritorno nella casa coniugale nel tentativo di riappa-cificarsi con l’altro coniuge , non avente una sicura ed inequivoca diretta relazione causale rispetto al fatto potenzialmente illecito se posto in essere senza il consenso di quest’ultima ossia al compimento di quello specifico atto sessuale , una valenza giustificativa di natura onnicomprensiva, ossia rivolta in generale a tutti i comportamenti invasivi della libertà sessuale del coniuge, il quale potrebbe opporsi ad uno o più di essi e consentire volontariamente ad altri, non potendo certo il dubbio sull’esistenza del consenso tradursi nel riconoscimento, in ogni caso, dell’esimente putativa . 13. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in mancanza di elementi atti ad escludere la colpa nella determinazione della causa di inammissibilità, al versamento della somma, ritenuta adeguata, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. Segue, infine, la condanna del ricorrente al pagamento delle spese relative all’azione civile, liquidate come da richiesta in base ai criteri di cui al D.M. n. 55/2014 nell’ammontare in dispositivo indicato, con distrazione in favore dell’Erario, trattandosi di parte civile ammessa al patrocinio a spese dello Stato. 14. In applicazione del decreto del Primo Presidente della S.C. di Cassazione n. 178 del 2016, si provvede all’oscuramento dati, in ragione dei reati contestati. P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende nonché alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla parte civile Si.Ma.Sa. che si liquidano in complessivi Euro 2.010,00, oltre accessori di legge, disponendone il pagamento in favore dello Stato.