Messa alla prova la buona fede dell’ex moglie che sottrae la corrispondenza bancaria dell’ex marito

Il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza ex art. 616 c.p. può essere integrato anche dalla condotta di colui che sottragga la corrispondenza bancaria inviata al coniuge per produrla in giudizio civile di separazione.

Lo ha ribadito la Suprema Corte con sentenza n. 952/18, depositata il 12 gennaio. La vicenda. La Corte d’Appello di Ancona, confermando la decisione di prime cure, aveva assolto l’imputata perché il fatto non costituisce reato. Nel merito l’imputata era stata accusata di sottrazione e rivelazione indebita della corrispondenza bancaria dell’ex marito, mediante produzione documentale nel giudizio civile di separazione. L’appello proposto dalla parte civile, l’ex marito, veniva rigettato in quanto, secondo i Giudici, l’imputata aveva agito in buona fede aprendo la posta indirizzata all’ex coniuge nella convinzione che si trattasse di questioni bancarie relative anche ai suoi investimenti. Inoltre, secondo la Corte territoriale, vi era buona fede anche in relazione alla produzione in giudizio civile della corrispondenza in quanto l’ex moglie vantava pretese di natura economica provata dagli investimenti bancari di cui alla comunicazione contenuta nella corrispondenza. Avverso la decisione di merito propone ricorso per cassazione l’ex marito in qualità di parte civile. Dubbi legittimi e non Con il primo motivo di ricorso il ricorrente censura la sentenza impugnata lamentando che, contrariamente alla decisione di merito, non sussiste la giusta causa che, ai sensi dell’art. 616, comma 2, c.p. Violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza scriminerebbe la rivelazione della corrispondenza. Secondo la Cassazione la motivazione dei Giudici di merito, volta ad affermare che non vi fosse colpevolezza in capo all’imputata, è carente e contradditoria. Infatti, osserva la Corte, se può essere legittimo dubitare della consapevolezza dell’imputata del contenuto della lettera prima di aprirla, tale da giustificare la sua buona fede, al contrario, al momento della divulgazione della corrispondenza non può servi nessun dubbio circa la buona fede della divulgatrice, in relazione al fatto che si rendeva noto a terzi un contenuto privato e indirizzato all’ex marito. La giusta causa come scriminante. Inoltre, secondo la Cassazione, non può sussistere nella fattispecie la causa di non punibilità c.d. giusta causa della rilevazione”. Infatti, secondo consolidato orientamento giurisprudenziale, il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza ex art. 616 c.p. può essere integrato anche dalla condotta di colui che sottragga la corrispondenza bancaria inviata al coniuge per produrla in giudizio civile di separazione . Ciò in quanto si è ritenuto che in tal caso non sussista la giusta causa prevista dalla contestata norma la quale presupporrebbe che la produzione in giudizio della documentazione bancaria costituisca l’unico mezzo a disposizione per contestare le richiesta del coniuge-controparte Cass. Civ. n. 35383/11 , situazione che non ricorre se può essere utilizzato lo strumento di cui all’art. 210 c.p.c. Ordine di esibizione alla parte o al terzo . In conclusione la S.C. ha ritenuto che, nel caso di specie, l’imputata non ha dimostrato nessun impedimento all’utilizzo dello strumento dell’ordine di esibizione e per questo la motivazione dei Giudici di merito risulta manifestamente illogica sul punto. Per queste ragione la Corte ha annullato la sentenza impugnata ai soli effetti civili con rinvio al giudice civile competente.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 28 novembre 2017 – 12 gennaio 2018, n. 952 Presidente Davigo – Relatore Filippini Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 10.12.2015 la Corte di appello di Ancona confermava la sentenza del Tribunale di Macerata datata 24.2.2014 che, nei confronti dell’imputata P.L. , aveva dichiarato il non luogo a procedere per intervenuta prescrizione rispetto alla accusa di essersi appropriata indebitamente di corrispondenza chiusa una lettera contenente comunicazioni bancarie e indirizzata, nel 2005, al solo coniuge separato B.M. capo A , mentre aveva assolto la medesima, ai sensi dell’art. 530 comma 2 cod.proc.pen., perché il fatto non costituisce reato, in relazione alle ulteriori accuse capo B di sottrazione e rivelazione indebita della stessa corrispondenza mediante produzione documentale, avvenuta nel 2009 ad opera della P. nell’ambito di un giudizio civile. 1.1. La Corte territoriale respingeva l’appello proposto dalla parte civile B.M. , essenzialmente incentrato sul capo B, a proposito del quale si eccepiva l’assenza di quella giusta causa che sola poteva scriminare la rivelazione del contenuto della corrispondenza utilizzata a fini processuali in data 15.10.2009 nell’ambito di una controversia civile tra la P. ed il B. l’appellante aveva anche contestato che si potesse ipotizzare la buona fede in capo all’imputata e dunque dubitarsi circa la presenza del necessario elemento soggettivo del reato , trattandosi di corrispondenza relativa a rapporto bancario intestato esclusivamente al B. . Non si formulavano invece specifiche doglianze a proposito degli argomenti relativi alla dichiarazione di prescrizione del reato sub A, fondata dal primo giudice sul rilievo che il reato si era consumato nel 2005, epoca alla quale risaliva la corrispondenza bancaria di causa. La Corte territoriale, confermando la decisione del primo grado, respingeva l’appello sul rilievo che, in base alla istruttoria documentale e testimoniale, poteva ravvisarsi la carenza dell’elemento soggettivo in capo all’imputata, avendo la stessa verosimilmente agito in buona fede allorché ebbe ad aprire la corrispondenza indirizzata all’ex coniuge nella convinzione peraltro plausibile, ad avviso della Corte d’appello che si trattasse di questioni bancarie relative ad investimenti che anche suoi. E, quanto alla condotta di divulgazione della corrispondenza art. 616 comma 2 cod.pen. , integrata tramite la produzione in giudizio, il giudice di secondo grado ha parimenti escluso la sussistenza di prova adeguata del dolo, potendo ravvisarsi la buona fede in capo alla P. che vantava pretese sulla provvista economica con la quale sono stati effettuati gli investimenti bancari di cui alla comunicazione bancaria in questione. 2. Contro la sentenza di secondo grado ha proposto ricorso per Cassazione, tramite difensore munito di procura speciale, la parte civile B.M. , articolando due motivi. 2.1. Con il primo censura la sentenza per violazione di legge e vizio della motivazione, in considerazione della ravvisata presenza della giusta causa che, ai sensi dell’art. 616 comma 2 cod.pen., scrimina la rivelazione della corrispondenza. Il ricorrente ribadisce in questa sede che, come affermato da giurisprudenza di legittimità Sez. 5, n. 585/2014 , la giusta causa capace di rendere legittima la produzione in giudizio del contenuto della corrispondenza di cui la P. si era appropriata avrebbe potuto ravvisarsi solo in caso di dimostrazione della stringente necessità di quella produzione, di inevitabilità della stessa, aspetto nella specie non ricorrente poiché i medesimi risultati difensivi potevano essere ugualmente ottenuti dalla P. con la richiesta, nella sede civile, dell’ordine di esibizione ex art. 210 cod.proc.civ Inoltre, quanto alla ritenuta carenza dell’elemento soggettivo in capo all’imputata, il ricorrente lamenta che tale affermazione si fonda sulla errata ricostruzione fattuale della vicenda, avendo la Corte territoriale omesso di rilevare che il denaro personale che la P. vorrebbe porre all’origine degli investimenti cui si riferiva la corrispondenza di causa, in realtà era già stato dalla stessa recuperato tramite prelevamenti già effettuati altra provvista giacente presso la OMISSIS . 2.2. Con il secondo motivo lamenta violazione di legge e vizio della motivazione in relazione alla declaratoria di prescrizione del capo A, affermando che la data di consumazione della appropriazione indebita dovrebbe individuarsi nel momento in cui il documento è stato prodotto in sede civile dunque nel 2009 , non già nel 2005, epoca nella quale la Banca mittente ebbe a spedire la corrispondenza indirizzata al B. presso l’indirizzo della ex casa coniugale, quando era oramai occupata solo dalla ex moglie. Infatti, la data di consumazione deve individuarsi nel momento in cui l’agente compie un atto di disposizione uti dominus sul bene, ravvisabile nella fattispecie non quando l’imputata ha ricevuto la corrispondenza, bensì solamente allorché l’ha prodotta in giudizio. 3. Con memoria pervenuta in data 7.11.2017 il difensore dell’imputata ha chiesto dichiararsi inammissibile o comunque infondato il ricorso. Considerato in diritto Il ricorso appare fondato nei limiti sotto indicati. 1. Quanto al secondo motivo, relativo alla dichiarazione di prescrizione del capo A, intervenuta già in primo grado, va rilevata l’inammissibilità. Invero, dalla disamina dell’atto di appello e dal riepilogo dei motivi di gravame riportato nella sentenza impugnata, non risultano dedotti argomenti né in merito alla ricostruzione del fatto, operata in primo grado, circa la data di appropriazione della corrispondenza collocata dal primo giudice nel 2005 né in merito ai criteri giuridici che presidiano la individuazione della data di consumazione del reato di appropriazione indebita la doglianza dunque non risulta conforme a quanto prescritto a pena di inammissibilità dall’art. 606 comma 3 cod. proc. pen 1.1. Pertanto, come già correttamente rilevato dal giudice di appello, la parte civile, che non abbia contestato con i motivi di appello la prescrizione del reato dichiarata con la sentenza di primo grado del 24.2.2014 relativamente al capo A, non è legittimata a impugnare l’omessa pronuncia sulle relative statuizioni civili. E comunque, anche ove la parte civile avesse contestato la già intervenuta prescrizione, difetterebbe comunque l’interesse ad impugnare, trattandosi di deliberazione che, ai sensi dell’art. 652 cod. proc. pen., non pregiudica l’esercizio dell’azione civile nella sede propria Sez. 4, n. 3789 del 19/01/2016, Rv. 265741 . 2. Quanto al primo motivo, invece, occorre in primo luogo distinguere tra le due differenti condotte che parimenti possono integrare il reato di cui all’art. 616 cod.pen 2.1. Invero, come parimenti rilevato in appello, la condotta sanzionata dal primo comma della norma in questione e cioè il prendere cognizione del contenuto di una corrispondenza chiusa, a lui non diretta, ovvero sottrarla o distrarla , deve considerarsi, al pari dell’appropriazione indebita, già prescritta anteriormente alla sentenza di primo grado per le stesse ragioni ravvisate dai giudici del merito a proposito del capo A dell’imputazione, trattandosi di azioni risalenti al 2005. 2.2. A proposito invece della condotta di cui al comma 2 della norma in parola, e cioè il rivelare, senza giusta causa, in tutto o in parte, il contenuto della corrispondenza, il motivo di ricorso, ad avviso del Collegio, merita accoglimento. Invero, i giudici di appello hanno posto a base della decisione impugnata una ritenuta carenza di prova circa la sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, posto che, sulla base della ricostruzione del fatto recepita in sentenza si vedano infatti le affermazioni relative all’oggetto della corrispondenza in questione contenute nelle pagg. 9 e 10 della sentenza impugnata , hanno considerato che l’imputata potesse versare nella ragionevole convinzione che la documentazione bancaria in questione riguardasse prodotti finanziari acquistati in tutto o in parte con suo denaro, seppure formalmente intestati al coniuge. Da ciò i giudici dell’appello, conformemente al primo grado, hanno tratto la convinzione che non potesse sussistere dimostrazione adeguata della consapevolezza, in capo all’imputata, di violare e divulgare corrispondenza destinata esclusivamente ad altri soggetti. 2.3. Tuttavia, tale argomentazione appare del tutto carente ed apodittica, poiché trasferisce alla condotta di rivelazione della corrispondenza gli stessi argomenti utilizzati a proposito della condotta di cui al primo comma dell’art. 616 cod.pen. senza avvedersi che, come contestato con l’atto di appello, trattasi di condotte completamente diverse. Ed infatti, se al momento della apertura della corrispondenza indirizzata all’ex coniuge può anche ritenersi ipotizzabile un qualche legittimo dubbio dell’imputata sull’effettivo contenuto della lettera e dunque in merito alla possibile inerenza degli investimenti ivi descritti rispetto a denaro in tutto o in parte proprio in ciò fondandosi l’incertezza sulla presenza del dolo di reato , non altrettanto può automaticamente dirsi per la condotta di divulgazione di un contenuto oramai conosciuto come relativo a conti intestati esclusivamente al marito. In sostanza, al momento della divulgazione della corrispondenza di causa, nessun legittimo dubbio poteva più sussistere in relazione al fatto che si stesse rendendo noto a terzi il contenuto di una corrispondenza bancaria contenuta in busta chiusa e indirizzata esclusivamente al B. , così integrandosi con evidenza la fattispecie ascritta. È ben vero che in sede dibattimentale la difesa dell’imputata ha insistito sulla tesi della appartenenza alla P. in tutto o in parte dei fondi che hanno costituito la provvista degli investimenti decritti nella corrispondenza in questione tesi giudicata non implausibile dalla Corte territoriale , ma è anche vero che la prova adeguata di tale circostanza non è stata certo raggiunta, essendosi solo ravvisato, dai giudici del merito, un legittimo dubbio al riguardo. Tuttavia, a ben vedere, tale dubbio non coglie l’aspetto della condotta materiale integrativa del reato rivelazione di corrispondenza chiusa indirizzata ad altri , bensì esclusivamente l’esistenza di un diritto su diverso bene il denaro impiegato per l’acquisto di strumenti finanziari che solo indirettamente viene in questione. Il dubbio dunque non riguarda un elemento costitutivo della fattispecie addebitata, ma aspetti esterni alla stessa, e dunque non rileva rispetto alla divulgazione. 2.4. Né può ritenersi sussistere, ad avviso del Collegio, la speciale causa di non punibilità contenuta nella previsione normativa in esame la giusta causa della rivelazione . Infatti, secondo il condiviso orientamento di legittimità cfr. Sez. 5, n. 35383 del 29/03/2011, Rv. 250925, relativa a fattispecie analoga alla presente, nonché Sez. 5, n. 585 del 2014, non massimata il reato di violazione, sottrazione e soppressione di corrispondenza art. 616 cod. pen. può essere integrato anche dalla condotta di colui che sottragga la corrispondenza bancaria inviata al coniuge per produrla nel giudizio civile di separazione e ciò in quanto si è ritenuto che in tal caso non sussista la giusta causa di cui all’art. 616, comma secondo, cod. pen., la quale presupporrebbe che la produzione in giudizio della documentazione bancaria costituisca l’unico mezzo a disposizione per contestare le richieste del coniuge-controparte, evenienza che non ricorre allorché possa essere utilizzato lo strumento di cui all’art. 210 cod. proc. civ Ciò si è affermato, come si legge nella motivazione della richiamata sentenza, in primo luogo sulla base di alcune considerazioni evidenziate dalla dottrina giuridica secondo la quale è sicuramente aperta la questione riguardante la legittimità della produzione processuale di documenti ottenuti illecitamente, tramite la lesione di un diritto fondamentale e, secondariamente, sull’affermazione secondo cui la giusta causa presuppone che la produzione in giudizio della documentazione bancaria sia l’unico mezzo a disposizione per contestare le richieste del coniuge controparte . Nel caso oggetto di esame, l’imputata non ha dedotto elementi di sorta in tal senso, e dunque ben può affermarsi che avrebbe dovuto esplicare la propria difesa a norma dell’art. 210 cod.proc.civ 2.5. Di conseguenza, la motivazione della sentenza impugnata risulta manifestamente illogica sul punto e deve essere annullata. 3. Naturalmente, attesa l’intervenuta definitività delle statuizioni penali, gli argomenti sopra indicati hanno valore ai soli fini civili. 3.1. Ai sensi dell’art. 622 cod.proc.pen., trattandosi di annullamento di disposizioni che riguardano la sola azione civile, occorre rinviare al giudice civile competente per valore in grado di appello, anche in relazione alla liquidazione delle spese della parte civile per la fase di giudizio dinanzi a questa Corte. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata ai soli effetti civili con rinvio al giudice civile competente per valore in grado di appello.