... anche Lupin potrebbe essere “non abbiente”

Ai sensi dell'art. 96, comma 2, d. P.R. n. 15/2002, per determinare se l'interessato versi in una condizione economica difficile, devono considerarsi numerosi elementi il casellario giudiziale, il tenore di vita, le condizioni familiari e personali e le attività economiche dello stesso. Devono essere esaminati anche i redditi provenienti da fonte illecita, ma queste valutazioni non possono fondarsi su meri automatismi.

E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 836/18, depositata l'11 gennaio. Il caso. Il Tribunale competente rigettava il ricorso, presentato ex art. 99 d. P.R. n. 115/2002, da un imputato, avverso il diniego di ammissione al gratuito patrocinio. L'interessato ricorreva per cassazione, lamentando violazione di legge e vizio motivazionale infatti, eccepiva come il Giudice non avesse basato la propria statuizione sui parametri delineati dall'art. 96, comma 2, d. P.R. n. 115/2002, ignorando le sue condizioni personali e familiari. Stato di non abbienza. La Corte ha ritenuto fondato il ricorso. Gli Ermellini hanno sottolineato come il Giudice abbia fondato la propria decisione di diniego sull'assunto per cui l'imputato si era reso colpevole di numerosi delitti contro il patrimonio, costituenti una fonte di reddito costante. Sulla base di questo, era stata ritenuta superabile la dichiarazione di non abbienza. Il Collegio ha, poi, ricordato che, ai sensi dell'art. 96, comma 2, d. P.R. n. 15/2002, per determinare se l'interessato versi in una condizione economica difficile, devono considerarsi numerosi elementi il casellario giudiziale, il tenore di vita, le condizioni familiari e personali e le attività economiche dello stesso. Certamente devono essere presi in esame anche i redditi provenienti da fonte illecita, ma queste valutazioni non possono fondarsi su meri automatismi. In sostanza, occorre sempre una disamina del caso concreto. I Giudici del Palazzaccio hanno precisato che la sussistenza di redditi di provenienza illecita deve essere provata anche con il ricorso a presunzioni semplici, ma devono essere indicati gli elementi fondanti tale giudizio. Massime d'esperienza vs congetture. Mentre il Giudice di merito ha sottolineato il modus vivendi del ricorrente, dedito al furto e a reati simili, nulla ha provveduto a spiegare in relazione all'entità dei suoi redditi. Compito del Magistrato è scegliere liberamente i criteri da porre alla base delle proprie statuizioni, ma lo stesso deve offrire una giustificazione della propria scelta, discernendo tra massime d'esperienza e congetture. Le prime sono giudizi ipotetici, con contenuto generale si tratta di generalizzazioni empiriche basate sull'esperienza comune, su una pluralità di casi ricorrenti. Diversamente una congettura non si fonda sulla verifica dell'id quod plerumque accidit , quindi non suscettibile di una verifica empirica. Alla congettura manca il grado di corroborazione di cui gode la massima d'esperienza. Nel caso di specie, la valutazione per cui il fatto che il ricorrente abbia compiuto sempre delitti contro il patrimonio lo collochi al di sopra della soglia residuale necessaria per usufruire del beneficio appare di carattere congetturale, in quanto non supportata da alcun riscontro concreto. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha annullato, con rinvio, il provvedimento impugnato.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 5 ottobre 2017 – 11 gennaio 2018, n. 836 Presidente Ciampi – Relatore Di Salvo Ritenuto in fatto 1. P.L. ricorre per cassazione avverso il provvedimento in epigrafe indicato, con cui è stato rigettato il ricorso da lui presentato, ex art. 99 d. P. R. n. 115 del 2002, avverso il provvedimento di diniego di ammissione al patrocinio a spese dello Stato. 2. Il ricorrente deduce violazione di legge e vizio di motivazione, poiché il giudice a quo non ha basato la propria decisione sui parametri indicati dall’art. 96, comma 2, d. P. R. n. 115 del 2002, non considerando le condizioni personali e familiari nonché il tenore di vita del ricorrente, che è stato detenuto dal giugno 2011 fino a qualche mese fa e versa in uno stato di totale indigenza, sopravvivendo soltanto grazie a lavori saltuari e all’aiuto della madre, la quale si prende cura anche della figlia del P. , che è un soggetto ammalato, con limitate capacità intellettive, come documentato con una perizia di parte, immotivatamente disattesa dal giudice, senza alcuna verifica. 3. Con requisitoria depositata il 7-6-2017, il Procuratore generale presso questa Corte ha chiesto rigetto del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. L’apparato argomentativo della pronuncia impugnata si fonda, infatti, sull’accertamento di una pluralità di fatti delittuosi, posti in essere con modalità costanti, che hanno visto il P. coinvolto nella sottrazione, quasi sempre, di portafogli, con appropriazione delle somme di denaro contenute. Di qui la conclusione secondo cui la commissione di delitti contro il patrimonio costituiva, per il ricorrente, fonte stabile di reddito, sì da indurre a ritenere superata la dichiarazione di non abbienza . Orbene, a norma dell’art. 96, comma 2, d. P. R. n. 15 del 2002, il magistrato, nell’ottica delle valutazioni preordinate a stabilire se l’interessato versi o meno nelle condizioni di cui agli artt. 76 e 92, deve tener conto delle risultanze del casellario giudiziale, del tenore di vita, delle condizioni personali e familiari e delle attività economiche, eventualmente svolte. In quest’ottica, il giudice è tenuto a prendere in considerazione anche i redditi di fonte illecita, in quanto, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, tra i redditi valutabili rientrano anche quelli provenienti da attività criminosa, come si desume dal riferimento alle risultanze del casellario giudiziale Cass., Sez. 4, n. 6880 del 15-12-2011, Rv. 252726 Sez. 4, n. 5513 del 12-12-2012, Rv. 254663 . Tuttavia l’analisi che il giudice è chiamato ad effettuare non può avvalersi di automatismi e deve addentrarsi nella disamina della fattispecie concreta Cass., Sez. 4, n. 18591 del 20-2-2013, Rv. 255228 . Se, infatti, l’esistenza di redditi di provenienza illecita può essere provata anche ricorrendo a presunzioni semplici, il giudice deve però indicare gli elementi sulla base dei quali operare tale giudizio presuntivo Cass., Sez. 4, n. 53387 del 22-11-2016, Rv. 268688 . In questa prospettiva, il giudice a quo avrebbe dovuto spiegare le ragioni per le quali ha ritenuto che i redditi derivanti dai furti dei portafogli - pur se questi ultimi erano perpetrati in via sistematica fossero di entità tale da determinare il superamento della soglia stabilita dalla legge, per l’accesso al beneficio. Viceversa, la tematizzazione di tale profilo è del tutto estranea al tessuto argomentativo del provvedimento impugnato, essendosi il giudicante limitato a illustrare gli argomenti a fondamento dell’asserto secondo cui andavano superati i dubbi circa la sussistenza dell’ipotesi di furto patologico , prospettata dalla difesa o a supporto dell’affermazione secondo la quale, in considerazione delle dinamiche similari, costanti e ripetute di commissione dei delitti, era da ritenersi che questi ultimi costituissero estrinsecazione di un modus vivendi. Ma sull’entità dei redditi derivanti da tale illecita attività il discorso motivazionale tace. È dunque riscontrabile, al riguardo, una totale assenza di motivazione, rilevante anche laddove, come nel caso in esame, il ricorso sia ammesso soltanto per violazione di legge, non essendo le ragioni a fondamento del decisum neanche implicitamente desumibili dal contesto argomentativo a sostegno della deliberazione adottata Sez. U., n. 25080 del 28-5-2003, Pellegrino, Rv. 224611 , che si esaurisce nella mera formulazione, in termini meramente assertivi, dell’anzidetto giudizio di superamento della dichiarazione di non abbienza , determinando così il venir meno di qualunque supporto giustificativo a sostegno del decisum Sez. U., n. 3287 del 27-11-2008 .Tanto più che, nell’impianto argomentativo del provvedimento impugnato, non si fa alcun riferimento alla massima di esperienza utilizzata dal giudicante per addivenire alla conclusione secondo la quale un’attività di furto di portafogli sia talmente lucrosa da procurare redditi senz’altro superiori alla soglia indicata dalla normativa in tema di gratuito patrocinio. Tale conclusione si configura dunque come una mera congettura. Come è noto, infatti, il giudice è libero di scegliere i criteri di inferenza destinati a garantire le proprie argomentazioni probatorie e le conseguenti conclusioni sui fatti rilevanti ma deve offrire idonea giustificazione di tale scelta, tenendo ben presente la distinzione fra massime di esperienza e mere congetture Cass., Sez. 2, n. 39985 del 16-9-2003, Rv. 227200 . Una massima di esperienza è un giudizio ipotetico a contenuto generale, indipendente dal caso concreto, fondato su ripetute esperienze ma autonomo da esse e valevole per nuovi casi Cass., Sez. 6, n. 31706 del 7-3-2003, Abbate, Rv. 228401 . Si tratta dunque di generalizzazioni empiriche, tratte, con procedimento induttivo, dall’esperienza comune, che forniscono al giudice informazioni su ciò che normalmente accade, secondo orientamenti largamente diffusi nella cultura e nel contesto spazio-temporale in cui matura la decisione. Dunque, nozioni di senso comune common sense presumptions , enucleate da una pluralità di casi particolari ma regolari e ricorrenti e di cui si assume perciò la valenza generale, che il giudice in tanto può utilizzare in quanto non si risolvano in semplici illazioni o in criteri meramente intuitivi o addirittura contrastanti con conoscenze e parametri riconosciuti e non controversi. Una congettura è invece un’ipotesi non fondata sull’id quod plerumque accidit e insuscettibile di verifica empirica Cass., Sez. 6,n. 31706 del 7-3-2003, Rv. 228401 . Nella massima d’esperienza, il dato è connotato da un elevato grado di corroborazione, correlato all’esito positivo delle verifiche empiriche cui è stato sottoposto, e quindi la massima può essere formulata sulla base dell’id quod plerumque accidit. La congettura invece si iscrive nell’orizzonte della mera possibilità, senza alcuna possibilità di riscontro empirico e, quindi, di dimostrazione. Pertanto, nella concatenazione logica di vari sillogismi, in cui si sostanzia la motivazione, possono trovare ingresso soltanto le massime di esperienza, ad esclusione di ogni congettura Cass., 22-10-1990, Grilli e la Corte di cassazione deve accertare che la decisione non sia fondata su mere illazioni Cass., Sez. 2,5-7-1995, Buletto, Rv. 202368 . 2.1. Nel caso in disamina, il ragionamento del giudice di merito non si fonda su massime di esperienza, secondo la nozione poc’anzi precisata, ma valorizza piuttosto una congettura, quella secondo la quale il ricorrente, compiendo sistematicamente furti di portafogli, abbia superato la soglia reddituale prevista dalla legge per l’ammissione al beneficio, senza che tale asserto sia supportato dalla benché minima indicazione circa il numero dei furti commessi, l’arco temporale di perpetrazione degli illeciti e l’ammontare delle somme sottratte. Ricorre dunque il vizio di mancanza di motivazione, rilevante anche nell’ottica della violazione di legge e ravvisabile non solo allorquando la motivazione venga completamente omessa ma anche qualora l’apparato argomentativo sia privo di singoli momenti esplicativi in ordine ai temi sui quali deve vertere il giudizio Cass., Sez. 6, n. 27151 del 27-6-2011 Sez. 6, n. 35918 del 17-6-2009, Rv. 244763 . Si impone, pertanto, nel caso di specie, un pronunciamento rescindente. 3. Il provvedimento impugnato va dunque annullato, con rinvio, per nuovo esame, al Presidente del Tribunale di Catanzaro. P.Q.M. Annulla il provvedimento impugnato e rinvia, per nuovo esame, al Presidente del Tribunale di Catanzaro.