Sì al braccialetto elettronico anche se non richiesto dal PM

In tema di arresti domiciliari controllati a mezzo di strumento elettronico, non è necessaria una specifica richiesta in tal senso da parte del PM in quanto l’applicazione del braccialetto elettronico non costituisce una diversa ed autonoma misura cautelare rispetto agli arresti domiciliari.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 172/18, depositata l’8 gennaio. Il caso. A seguito dell’applicazione degli arresti domiciliari controllati a mezzo di strumento elettronico, l’indagato, al quale venivano contestati diversi reati in tema di stupefacenti, ricorre in Cassazione dolendosi per la mancata revoca della misura in assenza di una legittima domanda del PM in ordine all’utilizzo del c.d. braccialetto elettronico. Braccialetto elettronico. Il ricorso viene dichiarato inammissibile in quanto privo dei requisiti di specificità. La Suprema Corte coglie comunque l’occasione per sottolineare che l’ordinanza impugnata si è correttamente conformata al consolidato indirizzo giurisprudenziale secondo cui gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico non costituiscono un’autonoma misura cautelare, ma configurano semplicemente un mezzo tecnico di controllo applicabile nei casi previsti dal legislatore alle misure cautelari già esistenti. Inoltre, tale modalità non impone al giudice un onere di motivazione aggiuntiva in quanto non si frappone, nella scala della gravità, tra l’arresto domiciliare semplice” e la custodia in carcere . Non sussiste dunque il prospettato vizio nella motivazione del provvedimento impugnato in ordine all’applicazione di una misura cautelare più gravosa rispetto a quella richiesta dal PM, trattandosi appunto di una mera specificazione della modalità di esecuzione degli arresti domiciliari, rispetto alla quale non è necessaria un’apposita richiesta da parte dell’accusa.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 dicembre 2017 – 8 gennaio 2018, n. 172 Presidente Fiale – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. Il Tribunale di Palermo, con ordinanza del 2/8/2017 ha rigettato la richiesta di riesame proposta nell’interesse di P.T. avverso l’ordinanza in data 19/7/2017 con la quale il Tribunale di quella città, in composizione monocratica, gli aveva applicato la misura degli arresti domiciliari controllati a mezzo strumento elettronico, stante la ritenuta sussistenza di gravi indizi di colpevolezza per il reato di cui all’art. 73 d.RR. 309/90, concretatosi nella illecita detenzione e cessione a terzi di sostanze stupefacenti del tipo marijuana ed hashish. Avverso tale pronuncia il predetto propone ricorso per cassazione tramite il proprio difensore di fiducia, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, ai sensi dell’art. 173 disp. att. cod. proc. pen 2. Con un unico motivo di ricorso deduce il vizio di motivazione, lamentando che il Tribunale non avrebbe revocato la misura cautelare applicata nonostante l’assenza di una legittima domanda da parte del Pubblico Ministero di utilizzazione di una misura di controllo più gravosa, quale quella del c.d. braccialetto elettronico, nell’esecuzione della misura cautelare da lui richiesta ed ottenuta. Insiste, pertanto, per l’accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il ricorso è inammissibile. 2. Va in primo luogo rilevato che l’impugnazione è palesemente caratterizzata dalla mancanza del necessario requisito della specificità dei motivi. Occorre a tale proposito ricordare che il ricorso per cassazione è inammissibile quando manchi l’indicazione della correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento dell’atto d’impugnazione, atteso che quest’ultimo non può ignorare le affermazioni del provvedimento censurato Sez. 2, n. 11951 del 29/1/2014, Lavorato, Rv. 259425 Sez. 5, n. 28011 del 15/2/2013, Sammarco, Rv. 255568 Sez. 6, n. 20377 del 11/3/2009, Arnone e altri, Rv. 243838 ed altre prec. conf. . Nella fattispecie, il ricorrente si è limitato a sostenere che la misura di controllo sarebbe stata applicata senza una valida richiesta da parte del Pubblico Ministero, così reiterando le censure già prospettate ai giudici del riesame, senza, tuttavia, minimamente confrontarsi con quanto chiarito nella motivazione del provvedimento impugnato. 3. L’ordinanza del Tribunale, infatti, nel rispondere alle doglianze difensive, ha opportunamente richiamato quanto affermato dalle Sezioni Unite di questa Corte e, cioè, che gli arresti domiciliari con braccialetto elettronico non costituiscono una nuova ed autonoma misura cautelare, configurando tale mezzo tecnico, previsto dall’art. 275 bis cod. proc. pen., un nuovo strumento di controllo applicabile, nei casi previsti dal legislatore, alle misure cautelari esistenti Sez. U, n. 20769 del 28/4/2016, Lovisi, Rv. 266652 . Si è ulteriormente specificato che la misura cautelare in esame non si frappone, nella scala della gravità, tra l’arresto domiciliare semplice e la custodia in carcere e non genera nessun onere di motivazione aggiuntiva se il giudice ritiene che la restrizione domiciliare sia inidonea a contenere le esigenze cautelari rilevate così, in motivazione, Sez. 2, n. 6505 del 20/1/2015 Fiorillo e altri, Rv. 262600 . 4. Diversamente da quanto genericamente prospettato in ricorso, dunque, non si verte in tema di non motivata ed ingiustificata applicazione di una misura cautelare più gravosa non richiesta dal Pubblico Ministero, bensì nella individuazione, da parte del giudice, di una mera modalità di esecuzione degli arresti domiciliari applicabile, peraltro, nei casi previsti dalla legge, anche con riferimento ad altre misure coercitive e rispetto alla quale non è necessaria una specifica richiesta da parte del Pubblico Ministero. 5. Il provvedimento impugnato, dunque, risulta del tutto immune da censure. Il ricorso, conseguentemente, deve essere dichiarato inammissibile e alla declaratoria di inammissibilità consegue l’onere delle spese del procedimento, nonché quello del versamento, in favore della Cassa delle ammende, della somma, equitativamente fissata, di Euro 2.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e della somma di Euro 2.000,00 duemila in favore della Cassa delle ammende.