Nessuna “chance” per l’imputato di nuovo dietro le sbarre: carcere confermato

Per il ripristino delle custodia cautelare nei confronti dell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini, è richiesta la sussistenza del pericolo di fuga, da valutarsi non sulla base della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, ma, in concreto, sulla base di elementi e circostanze attinenti al soggetto e idonei a definire almeno la probabilità che lo stesso faccia perdere le sue tracce.

Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con sentenza n. 115/18, depositata il 5 gennaio. La vicenda. Il caso prospettato davanti alla Suprema Corte trae origine da una precedente pronuncia dei Giudici di legittimità con la quale veniva rinviata al Tribunale del riesame la questione relativa al ripristino della custodia cautelare in carcere nei confronti dell’imputato, scarcerato per decorrenza dei termini, disposta per il reato di concorso esterno nell’associazione di cui all’art. 416- bis c.p La precedente Cassazione, sostenendo lacune motivazionali della decisione, aveva annullato il provvedimento del Tribunale di riesame, con il quale veniva rigettato l’appello dell’interessato avverso il ripristino della carcerazione. Il Tribunale di riesame provvedendo sul rinvio aveva nuovamente rigettato l’appello confermando il ripristino della carcerazione. Avverso questa decisione l’imputato ricorre per la seconda volta in Cassazione. Il pericolo di fuga. Secondo il ricorrente la decisione di merito non avrebbe correttamente preso in considerazione gli aspetti soggettivi sui quali la Cassazione aveva sollecitato l’approfondimento da parte dei Giudici di merito, in particolare con riferimento alla condizione di pericolo di fuga e alla possibilità di misure meno afflittive. La Suprema Corte ha ribadito che, come affermato dalle Sezioni Unite con precedente pronuncia n. 34537/2001 , per il ripristino delle custodia cautelare nei confronti dell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini, è richiesta la sussistenza del pericolo di fuga, da valutarsi non sulla base della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari, ma, in concreto, sulla base di elementi e circostanze attinenti al soggetto e idonei a definire almeno la probabilità che lo stesso faccia perdere le sue tracce. La valutazione del Tribunale di riesame. Ciò premesso, la Corte ha osservato che in virtù di questo principio, con la precedente pronuncia di rinvio, veniva chiesto al Giudice del riesame di valutare il pericolo di fuga sulla base di una serie di elementi concreti, tra i quali il comportamento dell’imputato, l’assenza di condotte penalmente rilevanti, la natura episodica dei fatti ascrittivi e l’idoneità degli arresti domiciliari al posto del carcere. Secondo gli Ermellini il Tribunale ha provveduto, con articolata motivazione priva di errori, alla valutazione di questi elementi per il ripristino della carcerazione. In relazione a ciò si rilevano le valutazioni dei Giudici di merito in riferimento al ruolo dell’imputato come organizzatore degli incontri dell’associazione mafiosa ed in relazione alla non occasionalità dei fatti ed, ancora, alla caratura di rilievo e alla affidabilità criminale del prevenuto agli occhi degli associati . Inoltre, secondo la Corte, è stata logicamente affermata l’inidoneità di misure meno afflittive in considerazione dell’elevata pericolosità del soggetto. In conclusone la Corte ha ritenuto che i Giudici di merito abbiano correttamente motivato la sussistenza del pericolo di fuga e il conseguente ripristino della custodia in carcere. Per questi motivi la S.C. ha rigettato il ricorso dell’imputato risultando infondate le censure proposte.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 7 dicembre 2017 – 5 gennaio 2018, n. 115 Presidente Diotallevi – Relatore Filippini Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 13.7.2017 il Tribunale del riesame di Palermo, provvedendo su rinvio disposto dalla Corte di cassazione con sentenza del 23.2.2017 n. 27459 la quale aveva annullato un precedente provvedimento del medesimo Tribunale del 10.11.2016 , rigettava l’appello proposto da D.M.G. avverso il ripristino, determinato da sopravvenuta condanna, della custodia cautelare in carcere nei confronti dell’imputato scarcerato per decorrenza dei termini in applicazione dell’art. 307 comma 2 lett. B cod. proc. pen. , disposto dalla Corte di appello di Palermo all’esito della sentenza di condanna del 20.10.2016 per il reato di concorso esterno nell’associazione di cui all’art. 416 bis cod. pen. decisione che riqualificava in tali termini l’imputazione di favoreggiamento aggravato ritenuta sussistente in primo grado . 1.1. Come accennato, la Corte di Cassazione, con la richiamata sentenza n. 27459/2017, aveva annullato con rinvio un primo provvedimento del TDL del 10.11.2016 che aveva rigettato l’appello dell’interessato avverso il ripristino della carcerazione, evidenziando lacune motivazionali della decisione, adottata ai sensi dell’art. 307 comma 2 lett. B cod.proc.pen., a proposito del ravvisato pericolo di fuga e della ritenuta inadeguatezza della misura detentiva domiciliare. 1.2. Il Tribunale di Palermo, sezione del riesame, provvedendo sul rinvio, con il provvedimento ora impugnato rigettava nuovamente l’appello, confermando l’ordinanza di ripristino della carcerazione. 2. Ricorre nuovamente per Cassazione l’imputato, per mezzo del suo difensore, sollevando i seguenti motivi 2.1. violazione di legge e vizio della motivazione per insufficienza e contraddittorietà della motivazione in relazione al pericolo di fuga e per violazione del principio di diritto affermato dalla Corte di cassazione nella richiamata sentenza di annullamento, dal momento che la Corte territoriale ha aggirato il preciso dictum di legittimità ravvisando il pericolo di fuga in profili elaborati dalla giurisprudenza Cass. n. 52633/2016 per situazioni inconferenti, quali l’appartenenza ad associazione mafiosa, non ricorrente nella fattispecie relativa a concorso esterno, ritenuta peraltro a seguito di riqualificazione della contestazione originaria di favoreggiamento, concretamente consistente nell’aver ospitato riunioni di affiliati nel periodo compreso tra il febbraio e il luglio 2011, momenti dunque collocati in epoca remota e mai più ripetutisi. Né sarebbero stati evidenziati tutti gli aspetti soggettivi sui quali la Corte di Cassazione aveva sollecitato approfondimento il riferimento alla maggior pena inflitta in appello non considera che nel periodo di libertà successivo alla scadenza dei termini di custodia cautelare, l’imputato non ha dato segno alcuno di fuga. Inoltre, gravemente carente è la motivazione offerta in relazione alla ritenuta inidoneità di misura meno afflittiva, anche con il presidio dello strumento elettronico, fondata su di una pretesa spregiudicatezza del D.M. non meglio definita e sulla assenza di sistema di localizzazione satellitare sul braccialetto elettronico. Considerato in diritto Il ricorso deve essere rigettato, per essere infondati i motivi proposti. 1. Giova premettere che, con la sentenza di annullamento con rinvio del 23.2.2017 n. 27459, questa Corte ha affermato che ai fini del ripristino, determinato da sopravvenuta condanna, della custodia cautelare nei confronti di imputato scarcerato per decorrenza dei termini, la sussistenza del pericolo di fuga non può essere ritenuta né sulla base della presunzione, ove configurabile, di sussistenza delle esigenze cautelari stabilita dall’art. 275, comma 3, cod. proc. pen., né per la sola gravità della pena inflitta con la sentenza, che è soltanto uno degli elementi sintomatici per la prognosi da formulare al riguardo, la quale va condotta non in astratto, e quindi in relazione a parametri di carattere generale, bensì in concreto, e perciò con riferimento ad elementi e circostanze attinenti al soggetto, idonei a definire, nel caso specifico, non la certezza, ma la probabilità che lo stesso faccia perdere le sue tracce personalità, tendenza a delinquere e a sottrarsi ai rigori della legge, pregresso comportamento, abitudini di vita, frequentazioni, natura delle imputazioni, entità della pena presumibile o concretamente inflitta , senza che sia necessaria l’attualità di suoi specifici comportamenti indirizzati alla fuga o a anche solo a un tentativo iniziale di fuga Sez. U, n. 34537 del 11.7.2001, Litteri, Rv. 219600 . L’ordinanza impugnata non fa corretta applicazione di tali principi di diritto, poiché conduce la valutazione in ordine al periculum libertatis in relazione a parametri di carattere generale - individuati unicamente nell’entità della pena inflitta e nella natura e gravità del delitto riconosciuto nella sentenza d’appello - senza confrontarsi in alcun modo con le contrarie circostanze puntualmente allegate nell’atto di appello e in dettaglio richiamate nel ricorso in esame . Peraltro, l’annullamento con rinvio operato in relazione all’esistenza dell’esigenza cautelare del pericolo di fuga contiene ed assorbe, , il tema dell’esclusiva adeguatezza della custodia cautelare in carcere a far fronte al prefigurato periculum libertatis. Tema, quest’ultimo, che rientra nel decisum del provvedimento del giudice a quo, considerato che la necessità della misura inframuraria, prevista in via generale dall’art. 275 cod. proc. pen. per l’applicazione di siffatta misura, costituisce allo stesso modo uno dei presupposti della decisione di cui all’art. 307, comma 2, lett. b cod. proc. pen La questione appare del resto rilevante nel caso di specie, tenuto conto che la pertinente presunzione di cui al comma 3 del citato art. 275 ha natura relativa, come statuito dalla sentenza della Corte costituzionale n. 48/2015, laddove si tratti del reato di concorso esterno in associazione mafiosa per il quale il ricorrente ha riportato condanna ad esito del giudizio di secondo grado. Di talché il rinnovato esame al quale è demandato il giudice del rinvio dovrà necessariamente estendersi anche alla questione testé evocata . 1.1. Giova ancora ricordare che nella fattispecie ha trovato applicazione l’art. 307 comma 2 lett. b cod. proc. pen., che attiene specificamente al ripristino della custodia cautelare in caso di scarcerazione per decorrenza dei termini. Come accennato, la previsione contenuta in quest’ultima norma art. 307 comma 2 lett. b cod. proc. pen. , nell’interpretazione che le Sezioni Unite della Corte hanno offerto, richiede, appunto, per il ripristino della custodia cautelare nei confronti di imputato scarcerato per decorrenza dei termini, la sussistenza del pericolo di fuga, da valutarsi non sulla base della presunzione di sussistenza delle esigenze cautelari di cui all’art. 275 comma 3 cod. proc. pen., ma in concreto sulla base di elementi e circostanze attinenti al soggetto, idonei a definire, non la certezza, ma la probabilità che lo stesso faccia perdere le sue tracce in tal senso si è espressa la già richiamata sentenza S.U. n. 34537 del 11/7/2001, Rv. 219600 . 1.2. In forza di tale inquadramento, la richiamata pronuncia di annullamento n. 27459/2017 ha chiesto al giudice di rinvio di rinnovare la prognosi relativa al pericolo di fuga nonché la valutazione di adeguatezza di misure meno afflittive sulla base di concreti elementi che tengano conto dei profili evidenziati dalla difesa, quali - il comportamento tenuto dall’imputato nei due anni successivi alla scadenza dei termini di custodia cautelare, durante i quali non ha mai data segnali di fuga e, anzi, ha partecipato alle udienze dibattimentali - l’assenza di condotte penalmente rilevanti successive al 2011, epoca nella quale si collocano i comportamenti oggetto di causa - la natura episodica dei fatti ascritti, la personalità del soggetto e i motivi a delinquere, potenzialmente venuti meno a seguito dello scompaginamento della associazione mafiosa in questione - l’idoneità degli arresti domiciliari a prevenire il pericolo di fuga. 2. A tanto, ad avviso del Collegio, il TDL ha provveduto con articolata motivazione priva di errori di diritto o vizi logici, senza neppure incorrere nella denunciata violazione dell’art. 627 cod.proc.pen 2.1. Segnatamente, sulla base della pronuncia di condanna per concorso esterno in associazione mafiosa, il TDL ha evidenziato i seguenti elementi di fatto - il ruolo svolto dal D.M. , quale organizzatore degli incontri tra gli associati posti a livello di vertice dell’associazione mafiosa con i quali manteneva diretti contatti telefonici e titolare degli immobili messi a disposizione della consorteria a fini organizzativi e per il miglior perseguimento dei suoi scopi - la condivisione delle finalità del gruppo criminale e la concreta utilità dell’apporto fornito - la natura non occasionale, ma ripetuta nel tempo, della collaborazione criminale. 2.2. Sulla base di siffatti elementi, il TDL ha poi desunto, in forza di solidi e logici argomenti quali il diretto contatto del D.M. con i vertici associativi - emblematico di un profilo non secondario - nonché la fiducia che questi ultimi hanno evidentemente riposto sull’imputato, accettando di riunirsi presso di lui , la non occasionalità dei fatti, la caratura di rilievo e la affidabilità criminale del prevenuto agli occhi degli associati. Questi ultimi aspetti sono poi stati valutati dal TDL come indicativi dell’interesse della consorteria criminosa a garantire la sottrazione del D.M. alla cattura, vista la sua importanza e affidabilità nella organizzazione degli incontri. Né lo sfaldamento del gruppo mafioso, costituente peraltro un dato ipotetico, non certo dimostrato, potenzialmente conseguito ai numerosi arresti di sodali, è stato giudicato idoneo a scindere i legami tra gli associati, vista la ripetuta esperienza concreta di difformi evenienze e la tendenziale stabilità del vincolo mafioso tra gli associati. A tale proposito è stata richiamata dal TDL la giurisprudenza di legittimità ora censurata dal ricorrente, con l’argomento che egli non è un associato, ma il motivo è manifestamente infondato, dal momento che il riferimento del TDL è alla tendenziale stabilità del gruppo, non al carattere di associato del prevenuto. Costituisce infatti affermazione giurisprudenziale ricorrente quella secondo la quale l’avvenuto arresto di alcuni dei partecipanti ad una associazione mafiosa o l’esercizio dell’azione penale nei confronti di un affiliato, non costituiscono causa automatica di cessazione dell’associazione o del vincolo tra i sodali, dovendosi invece accertare caso per caso se le vicende processuali di un determinato imputato abbiano comportato la risoluzione del legame associativo si veda, in tal senso, Sez. 2, n. 8027 del 13/11/2013, Rv. 258789 . E, nella fattispecie, siffatta dimostrazione non risulta emersa in causa. 2.3. Inoltre, è stato valutato il profilo del comportamento serbato dal ricorrente nei due anni successivi alla scadenza dei termini di custodia cautelare, ma se ne è logicamente affermata la incapacità di escludere il pericolo di fuga sulla base della considerazione secondo la quale quella condotta era precedente alla emanazione della sentenza di secondo grado, che ha notevolmente inasprito la pena inflitta al D.M. portandola dai 6 ai 9 anni di reclusione , vanificando così la speranza di mantenere il residuo da scontare dedotti i 3 anni di carcerazione presofferti entro i 3 anni. 2.4. Infine, sulla base di tali argomentazioni, è stata affermata la inidoneità di misure meno afflittive e, in particolare, di quella degli arresti domiciliari, anche con presidio elettronico in considerazione della elevata pericolosità del soggetto, resosi autore di condotte rilevanti e di indubbia gravità, nonché della inidoneità del braccialetto elettronico, non dotato di sistema GPS, a facilitare il rintraccio di soggetti datisi alla fuga. 3. Il ricorso va dunque rigettato, risultando infondate le censure proposte. 4. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che respinge il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. 4.1. Inoltre, poiché dalla presente decisione non consegue la rimessione in libertà del ricorrente, deve disporsi - ai sensi dell’articolo 94, comma 1 ter, delle disposizioni di attuazione del codice di procedura penale - che copia della stessa sia trasmessa al direttore dell’istituto penitenziario in cui l’indagato si trova ristretto perché provveda a quanto stabilito dal comma 1 bis del citato articolo 94. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’articolo 94, comma 1 ter, disp.att. cod.proc.pen