Costretto ai domiciliari e aiutato dai genitori: niente autorizzazione per lavorare

Respinta definitivamente la richiesta di potere uscire dall’abitazione. Per i giudici è significativo il mantenimento che può garantire la famiglia. Rilevante però anche la pericolosità sociale del soggetto.

Il caso. Condannato in appello e sottoposto agli arresti domiciliari. L’uomo punta ad ottenere il ‘via libera’ dei magistrati per lo svolgimento di un’attività lavorativa, ma vede respinta la propria richiesta. Decisiva non solo la sua pericolosità sociale ma anche la disponibilità di un sostegno economico da parte dei genitori Cassazione, sentenza n. 116/18, sez. II penale, depositata il 5 gennaio . L’allontanamento. Respinta sia in primo che in secondo grado la richiesta avanzata dalla persona condannata in appello e costretta ai domiciliari. Ora arriva il ‘sigillo’ definitivo della Cassazione esclusa la possibilità di allontanamento dal domicilio per svolgere attività lavorativa . Diversi gli elementi che spingono i magistrati del ‘Palazzaccio’ a condividere la visione adottata dal Tribunale della libertà. Innanzitutto, viene evidenziato che l’elemento ostativo rappresentato dalla possibilità di fruire del mantenimento dei genitori è complementare rispetto alla considerazione che gli orari di lavoro indicati avrebbero comportato un rischio di ripresa dei contatti con l’organizzazione criminale, anche tenendo presente la notevole spregiudicatezza dell’uomo che ne rende evidente la pericolosità sociale ancora attuale . Per chiudere il cerchio, infine, viene posto in evidenza la carenza di documentazione , sia sul fronte dei terreni ove verrebbe svolto il lavoro della ditta pronta ad assumere l’uomo, sia sul fronte del mansionario .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 22 dicembre 2017 – 5 gennaio 2018, n. 116 Presidente Fumu – Relatore Ariolli Ritenuto in fatto 1. Il difensore dell'imputato Lu. Ce., sottoposto alla misura degli arresti domiciliari nell'ambito di procedimento penale che lo vede condannato in sede di appello alla pena di anni quattro e mesi sei di reclusione ed Euro 2.200,00 di multa, in ordine ai delitti di estorsione, violazione legge armi e violazione della legge stupefacenti, ricorre per cassazione avverso il provvedimento con cui il Tribunale del riesame di Milano in sede di appello in data 28/7/2017, per un verso, ha confermato l'ordinanza della Corte di appello della stessa città che aveva rigettato l'istanza dell'imputato di allontanarsi dal domicilio per svolgere attività lavorativa e, per altro, ha accolto la richiesta di riesame nella parte subordinata in cui chiedeva di allontanarsi dal domicilio per dare corso alle proprie indispensabili esigenze di vita. 1.1. Con il primo motivo deduce la violazione di legge inosservanza o errata applicazione dell'art. 649 cod. pen. ed il vizio di motivazione mancanza , per avere erroneamente ritenuto formatosi un giudicato cautelare preclusivo all'esame del merito di talune doglianze formulate dalla difesa nell'atto di appello cautelare. Invero, premesso che il formarsi del giudicato cautelare richiede la proposizione di un'impugnazione, nessun provvedimento di rigetto attinente la questione relativa all'autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio per svolgere attività lavorativa era stato in precedenza impugnato dalla difesa con esclusione di quello per cui si procede ancora sub iudice . Infatti, i tre provvedimenti di rigetto si trattava per l'esattezza delle ordinanze adottate rispettivamente in data 27.10.2006, 6.2.2017 e 28.2.2017 - che a giudizio del Tribunale formerebbero, appunto, il cd. giudicato cautelare - attenevano soltanto al profilo relativo alla richiesta di revoca della misura cautelare degli arresti domiciliari e non riguardavano una richiesta di autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa cfr. pag. 7 del ricorso . Parimenti, non assumeva rilievo ai fini della formazione del giudicato cautelare il provvedimento del 17/3/2017, con cui la Corte di appello aveva rigettato l'istanza di autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio per svolgere attività lavorativa presentata in data 14/3/2017 , in quanto non impugnato dalla difesa. Con la conseguenza che la Corte d'appello, investita di una nuova richiesta cautelare di allontanamento dal domicilio per motivi lavorativi, non poteva limitarsi ad analizzare solo la richiesta finalizzata a consentire all'imputato di avere due ore al giorno per soddisfare le proprie esigenze di vita, ma era tenuta anche a pronunciarsi in ordine alla richiesta di allontanamento dal luogo degli arresti domiciliari per svolgere attività lavorativa, rivalutando il quadro probatorio potendosi la revoca ex art. 299 codice di rito disporre anche - e quindi non solo - per fatti sopravvenuti e pronunciandosi sul merito della richiesta. 1.2. Con il secondo motivo deduce la contraddittorietà della motivazione rispetto ad atti del processo. L'ordinanza del Tribunale del riesame, uniformandosi al precedente provvedimento della Corte di appello del 22.6.2017 - che aveva rigettato la richiesta di autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa sul rilievo che l'imputato fosse mantenuto economicamente dai genitori - aveva motivato in maniera contraddittoria rispetto al precedente provvedimento emesso dalla medesima Corte di appello che, non più tardi di tre mesi prima il 17.3.2017 , aveva invece motivato il rigetto di una consimile istanza solo ed esclusivamente in ragione dell'ampiezza degli orari proposti e non a causa della capacità dell'imputato di attendere - tramite il sostegno morale e materiale dei genitori - economicamente alla proprie esigenze di vita. 1.3. Con il terzo motivo deduce la violazione dell'art. 284, comma 3, cod. proc. pen., in quanto ai fini della concessione del lavoro esterno rilevano soltanto le condizioni dell'imputato e non la situazione economica dei familiari, poiché essa non è presa in considerazione dalla legge e non sussiste alcun obbligo di mantenimento del sottoposto agli arresti domiciliari a carico dei componenti la famiglia al di fuori di quello strettamente alimentare. 1.4. Con il quarto motivo deduce la mancanza di motivazione in ordine alle esigenze cautelari che impediscono l'applicazione dell'art. 284, comma 3, cod. proc. pen., avendo il Tribunale omesso di rappresentare il reale e concreto pericolo di reiterazione del reato. Considerato in diritto 1.1. Il primo motivo di ricorso è inammissibile sotto diversi profili. 1.1.1. Anzitutto per difetto di autosufficienza. Invero, la dedotta assenza della preclusione di giudicato si fonda sul rilievo che i tre provvedimenti richiamati a tale fine dal Tribunale del riesame a pag. 4 dell'ordinanza impugnata non abbiano riguardato la questione relativa all'istanza di autorizzazione ad allontanarsi dal domicilio per svolgere attività lavorativa, mentre, invece, dalla lettura dell'ordinanza impugnata risulta che almeno uno di questi, per la precisione l'ultimo quello del 28.2.2017 , abbia avuto ad oggetto quel tipo di richiesta vedi pag. 3 . Competeva, pertanto, al ricorrente - non trattandosi di eccezione processuale - produrre alla Corte di legittimità i relativi provvedimenti a sostegno della sua deduzione. 1.1.2. Inoltre, nessun riferimento, ai fini del formarsi di una preclusione derivante dal giudicato cautelare viene operata dal provvedimento impugnato a quello di rigetto emesso dalla Corte di appello in data 28.3.2017, non appellato dalla difesa vedi pag. 4 ultimo capoverso . Pertanto, il riferimento a tale provvedimento quale elemento della questione posta preclusione da giudicato è del tutto improprio e, dunque, inammissibile poiché manifestamente infondato. 1.1.3. Infine, la censura è anche manifestamente infondata, in quanto il Tribunale del riesame, pur riferendosi in premessa alla preclusione del giudicato cautelare, ha comunque affrontato il tema della richiesta di autorizzazione allo svolgimento di attività lavorativa, richiamando quanto già espresso con la propria ordinanza del 28.3.2017, laddove si è motivatamente escluso che l'intervenuta offerta di lavoro consenta di ritenere attenuato il pericolo di reiterazione del reato, atteso che la notevole spregiudicatezza e capacità criminale che il prevenuto ha manifestato con le sue condotte illecite depone, diversamente da quanto sostenuto dalla difesa, per un giudizio di pericolosità sociale ancora attuale . 2. Manifestamente infondato è il secondo motivo di ricorso, in quanto, per come precisato dal provvedimento impugnato, l'elemento ostativo rappresentato dalla possibilità di fruire del mantenimento dei genitori, si pone, nell'ambito delle reiterate motivazioni di rigetto adottate dalla Corte di appello quale giudice della misura, a livello complementare e integrativo di una preclusione di carattere assorbente già rilevata proprio nel provvedimento del 17.3.2017, laddove è stato evidenziato come gli orari di lavoro indicati avrebbero comportato un rischio di ripresa dei contatti con l'organizzazione. Peraltro, nell'ambito del provvedimento impugnato, il motivo di rigetto è anche legato al profilo dello svolgimento dell'attività lavorativa, avendo la Corte territoriale evidenziato come assume rilievo preclusivo la carenza di documentazione attinente alla insistenza sui terreni ove verrebbe svolto il lavoro della ditta che lo assumerebbe, nonché l'indicazione del mansionario. Infine, il riferimento alla possibilità di fruire del mantenimento dei genitori è coerente con l'istanza subordinata avanzata dalla difesa - reiterata ed accolta in sede di appello - di autorizzare l'imputato ad assentarsi dall'abitazione per provvedere quantomeno alle sue indispensabili esigenze di vita. 3. Il terzo motivo di ricorso è inammissibile poiché non risulta proposto nei motivi dell'appello cautelare vedi pag. 3 e 4 dell'ordinanza impugnata . Sussiste, infatti, violazione del divieto di novum nel giudizio di legittimità quando siano per la prima volta prospettate in detta sede questioni coinvolgenti valutazioni in fatto, mai prima sollevate ovvero siano dedotti motivi di censura attinenti capi e/o punti della decisione ormai intangibili per non essere investiti da tempestiva doglianza nella fase di merito e, perciò, assistiti dalla presunzione di conformità al diritto. Nel caso di specie, benché il ricorrente prospetti il motivo sotto il profilo della violazione di legge, trattasi di questione che presupponeva la necessaria risoluzione di una quaestio facti correttamente indicata anche dal ricorrente nello sviluppo della censura , relativa allo stabilire se nella dichiarazione di disponibilità resa dai genitori ad accogliere l'imputato presso il suo domicilio vi fosse anche la manifestazione implicita di volontà di provvedere al suo mantenimento. 4. Manifestamente infondato è l'ultimo motivo di ricorso, avendo il Tribunale del riesame fornito congrua ed adeguata motivazione rappresentativa dei molteplici elementi di pericolosità, sia relativi al reato per cui si procede che alla personalità dell'imputato, di guisa da supportare sul piano logico-giuridico il provvedimento di rigetto, nel rispetto del perimetro stabilito dall'art. 284, comma 3, cod. proc. pen. 5. Il ricorso, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile. Ai sensi dell'art. 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento a favore della Cassa delle ammende della somma di Euro 2.000,00 così equitativamente fissata in ragione dei motivi dedotti. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.