Poveri e senza un tetto: punita comunque l’occupazione abusiva di un alloggio comunale

Condanna definitiva per una donna. Respinta la tesi difensiva secondo cui ella era stata costretta a prendere possesso dell’appartamento, pur non avendone titolo, a causa delle precarie condizioni economiche familiari.

Famiglia in condizioni economiche assai difficili. Questo dato non rende però giustificabile la scelta di occupare abusivamente un appartamento, peraltro di proprietà del Comune. Legittima perciò la condanna Cassazione, sentenza n. 47/18, sez. II Penale, depositata il 3 gennaio Indigenza. A finire sotto accusa è la capofamiglia. A lei vengono contestati i reati di invasione e imbrattamento di edificio . La donna, condannata sia in primo che in secondo grado, non mette in discussione il comportamento che le viene addebitato, ma, attraverso il ricorso in Cassazione, chiede l’applicazione dell’esimente dello stato di necessità . Nello specifico, ella spiega di aver dovuto dare soddisfazione all’ esigenza abitativa della famiglia , esigenza determinata dalla impossibilità di rivolgersi al libero mercato, versando in precarie condizioni economiche . Questa visione viene però respinta dai Giudici del Palazzaccio, i quali chiariscono che la situazione di indigenza lamentata dalla donna non è sufficiente a rendere comprensibile la decisione di occupare un alloggio del Comune. Anche perché, viene aggiunto, alle esigenze delle persone che versano in stato di povertà è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale e comunque attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti .

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 19 settembre 2017 – 3 gennaio 2018, n. 47 Presidente Cammino – Relatore Taddei Motivi della decisione Avverso la sentenza indicata in epigrafe ,che ha confermato la sentenza di condanna per il reato di cui agli articolo 633 e 639 bis cod.pen. ascritti a Fr. Ca. per aver occupato un appartamento del Comune di Roma, propone ricorso l'imputata, per mezzo del suo difensore di fiducia, deducendo, quale unico motivo la violazione dell'articolo 606 lett. b c.p.p. per il mancato riconoscimento dell'esimente di cui all'articolo 54 cod.pen., che poteva invece ravvisarsi nel caso in esame in ragione dell'effettiva esigenza abitativo dell'imputata e della sua famiglia, determinata dall'impossibilità di rivolgersi al libero mercato, versando in precarie condizioni economiche. Il ricorso è inammissibile in quanto basato su motivi non consentiti nel giudizio di legittimità. Anche a voler prescindere dal carattere di estrema genericità del motivo dedotto, rimane insuperabile il rilievo che la giurisprudenza di questa Corte , condivisa dal collegio, ha posto un limite alla configurabilità dell'esimente nel fatto che la situazione di indigenza non è di per sé idonea ad integrare la scriminante dello stato di necessità per difetto degli elementi dell'attualità e dell'inevitabilità del pericolo, atteso che alle esigenze delle persone che versano in tale stato è possibile provvedere per mezzo degli istituti di assistenza sociale e comunque attraverso comportamenti non criminalmente rilevanti. fra le tante rv 265888 rv267640 . Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile. Ai sensi dell'articolo 616 cod. proc. pen., con il provvedimento che dichiara inammissibile il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento, nonché - ravvisandosi profili di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità - al versamento a favore della Cassa delle ammende di una somma che, alla luce del dictum della Corte costituzionale nella sentenza n. 186 del 2000, sussistendo profili di colpa, si stima equo determinare in Euro 1.500,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro millecinquecento alla Cassa delle ammende.