Il post con offese ai figli dell’avvocato equivale a diffamazione del legale

Si configura il reato di diffamazione a mezzo di strumenti telematici se i commenti diffamatori, pubblicati tramite post sul social network Facebook, possano, pur in assenza dell’indicazione di nomi, riferirsi oggettivamente ad una specifica persona, anche se tali commenti siano di fatto indirizzati verso i suoi familiari.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 101/18, depositata il 3 gennaio. Il caso. Il Tribunale di Lecce condannava l’imputato per il reato di diffamazione a mezzo di strumenti telematici e al risarcimento del danno, per aver questi leso la reputazione di un avvocato tramite un post pubblicato su Facebook. La Corte d’Appello confermava la decisione emessa dal Giudice di prime cure. Avverso la sentenza della Corte distrettuale l’imputato propone ricorso per cassazione denunciando il mancato accertamento della manipolazione del profilo Facebook, nonché l’assenza nello scritto degli elementi materiali e psicologici propri della volontà di diffamare, in considerazione, altresì, della non offensività delle espressioni usate. La riferibilità del post. Il Supremo Collegio evidenzia che dagli elementi fattuali, accertati nei giudizi di merito, deve respingersi sia la giustificazione addotta dal ricorrente circa la non oggettiva e diretta riferibilità alla parte lesa di quanto scritto all’interno del post pubblicato sul social network Facebook sia l’ipotesi di manipolazione del proprio profilo. La Suprema Corte ha infatti rilevato che il commento riportato nel post per animosità e linguaggio utilizzato, specie se rapportato alla sorte dei figli dell’avvocato , non possa essere ritenuto scriminato poiché espresso in relazione ad esame di un problema particolarmente sensibile e di interesse sociale, stante che si trasmoda dai limiti di verità e di continenza dell’espressione . Inoltre, i Giudici di legittimità riconoscono che la riferibilità del commento alla parte offesa sia indubitabile, poiché, pur non essendo questa nel testo indicata per nome, gli ulteriori dati forniti portavano a facile sua identificazione, come in concreto avvenuto . La Corte dunque rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 19 ottobre 2017 – 3 gennaio 2018, n. 101 Presidente Palla – Relatore Gorjan Ritenuto in fatto La Corte d’Appello di Lecce con la sentenza impugnata, resa il 14.10.2016 - 9.1.2017, ha confermato la decisione di condanna, emessa dal Tribunale di Lecce per il reato di diffamazione a mezzo strumenti telematici in capo a R.F. alla pena di Euro 600,00 di multa, oltre al risarcimento in favore della parte civile. La Corte salentina ebbe a ritenere gli elementi probatori acquisiti in corso di causa adeguati a sostenere la statuizione di accertamento della penale responsabilità dell’imputato. Avverso la sentenza resa dal Giudice d’appello ha proposto ricorso per cassazione il difensore fiduciario dell’imputato, rilevando i seguenti vizi di legittimità concorreva nullità della sentenza per vizio motivazionale con relazione alla specifica contestazione della riferibilità a sé del post pubblicato sulla sua pagina del social network Facebook, poiché utilizzato il principio della non contestazione, inammissibile in sede di processo penale, e non approfondito l’esame circa la fattuale possibilità che altri abbiano abusato del suo sito, pubblicando il post ritenuto offensivo a sua insaputa concorreva vizio di nullità per omessa motivazione e violazione di legge in relazione all’art 595 cod. pen., poiché nello scritto ritenuto denigratorio assenti e l’elemento materiale e quello psicologico, in quanto le parole usate non offensive, se collocate nel contesto della questione affrontata, ed assente la volontà di diffamare alcuno. All’odierna udienza pubblica nessuno compariva per l’imputato, mentre il P.G. chiedeva dichiararsi inammissibile il ricorso. Ritenuto in diritto Il ricorso proposto dal R. s’appalesa siccome infondato e va rigettato. La Corte territoriale con relazione alla riferibilità all’imputato del post, ritenuto lesivo della reputazione dell’avv. F. , ha esposto puntuale motivazione fondata su elementi fattuali adeguati a sostenere la sua conclusione. Difatti ha evidenziato come più elementi fattuali concordano nel ritenere infondata la giustificazione addotta dall’imputato - che altri abbiano postato il commento denigratorio -,quali la difesa del R. che il suo sito facebook sia stato manipolato da altri mentre, invece, il sistema del citato sito impedisce detto tipo di manipolazioni, nonché l’effettiva inerenza dei commenti alla vicenda personale del reo afferente la sua separazione dalla moglie. A fronte dei detta motivazione la difesa si limita a contrapporre la tesi sostenuta nelle sedi di merito, ed ivi disattesa, derivando perciò che in sentenza impugnata la motivazione sia apparente od omessa. Quindi il mezzo d’impugnazione s’appalesa aspecifico poiché chiede a questa Corte una valutazione di merito circa la miglior ricostruzione dei dati processuali. Priva di fondamenta è la critica fondata sull’asserita assenza degli elementi caratterizzanti il delitto contestato ossia le frasi offensive e il dolo. In effetto per quanto è dato apprezzare dal capo d’imputazione il commento pubblicato appare lesivo dell’onorabilità e reputazione professionale dell’avv. F. , siccome precisato dalla Corte salentina, nell’analizzare la difesa sul punto spiegata dal reo. Così i Giudici d’appello hanno rimarcato come per animosità e linguaggio utilizzato, specie se rapportato alla sorte dei figli, il commento non possa essere ritenuto scriminato poiché espresso in relazione ad esame di un problema particolarmente sensibile e di interesse sociale, stante che si trasmoda dai limiti di verità e di continenza dell’espressione. Inoltre la Corte salentina si fa apposito carico di rilevare come la riferibilità del commento alla parte offesa sia indubitabile, poiché, pur non essendo questa nel testo indicato per nome, gli ulteriori dati forniti portavano a facile sua identificazione, come in concreto avvenuto. In effetto l’argomentazione critica svolta in ricorso dal R. , circa la veridicità di quanto riferito e l’assenza di offensività delle parole usate, non supera la corretta diversa conclusone della Corte territoriale, ponendosi siccome elaborazione di tesi alternativa dei medesimi dati probatori. Al rigetto del ricorso segue, ex art 616 cod. proc. pen., la condanna del R. alla rifusione verso l’Erario delle spese di questo procedimento di legittimità. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.