Ladro di abbigliamento avvistato da testimoni: è valido l’arresto in quasi flagranza?

La quasi flagranza legittimante l’arresto da parte delle polizia giudiziaria è configurabile tutte le volte in cui sia possibile stabilire un particolare nesso tra il soggetto ed il reato che permetta la riconduzione della persona all’illecito sulla base delle continuità del controllo, anche indiretto, eseguito da coloro che inseguono il presunto responsabile.

Così la Cassazione con sentenza n. 39/18, depositata il 2 gennaio. Il caso. A seguito dell’arresto in quasi flagranza” dell’indagato per il reato di furto in un centro commerciale, il Gip di Vicenza riteneva di non convalidare l’arresto evidenziando l’assenza del requisito della quasi flagranza”, in ragione del fatto che la polizia giudiziaria aveva identificato il responsabile del furto tramite indicazioni di un testimone oculare e le dichiarazioni del responsabile del centro commerciale. Avverso la decisione di merito ricorre per cassazione il PM di Vicenza chiedendo l’annullamento dell’ordinanza di non convalida per erronea applicazione della legge penale. Il nesso tra il soggetto e il reato. La Corte ha evidenziato che, in osservanza delle indicazioni delle Sezioni Unite Cass. sez. Unite n. 39131/15 , in tema di arresto da parte delle polizia giudiziaria, lo stato di quasi flagranza non sussiste nell’ipotesi in cui l’inseguimento dell’indagato sia iniziato per effetto e solo dopo l’acquisizione di informazioni da parte delle vittima o di terzi, dovendosi in tal caso escludere che gli organi di polizia giudiziaria abbiano avuto diretta percezione del reato. In ragione di ciò non si può configurare la quasi flagranza nelle ipotesi nelle quali l’arresto avvenga in seguito ad un attività di investigazione, sia pure di breve durata, attraverso la quale la polizia giudiziaria raccolga elementi dalla vittima, da terzi o anche autonomamente valutati i quali ritenga di individuare il soggetto da arrestare, il quale beninteso non sia trovato con cose che lo colleghino univocamente al reato e non presenti sulla persona segni inequivoci riconducibili alla commissione del reato . Nella fattispecie, secondo la Corte è evidente, in applicazione di questi principi, che l’attività della polizia giudiziaria non ha consentito di affermare il nesso tra il soggetto e il reato fondante la legittimità dell’arresto. Il ruolo del GIP. Ciò premesso la Cassazione ha sottolineato che per la convalida dell’arresto in flagranza il GIP deve valutare, tra gli altri, se ricorrono gli estremi della flagranza, se sia configurabile un’ipotesi criminosa e deve valutare, inoltre, la legittimità dell’operato della polizia giudiziaria. Tale controllo deve svolgersi senza fare riferimento alla gravità indiziaria o alle esigenze cautelari, né può sconfinare in un apprezzamento per l’affermazione delle responsabilità dell’indagato. Ne consegue quindi, che la verifica e la valutazione in oggetto vanno fatte in riferimento all’uso ragionevole dei poteri discrezionali in concentro esercitata dalla polizia giudiziaria e, ove il giudice ritenga che la polizia abbia ecceduto, deve fornire in proposito adeguata motivazione . In ragione di ciò, secondo la S.C., è evidente che nella fattispecie il Giudice abbia correttamente negato la convalida dell’arresto in relazione ai richiamati principi. Per questo motivo la Suprema Corte rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 30 novembre 2017 – 2 gennaio 2018, n. 39 Presidente Ciampi – Relatore Piccialli Ritenuto in fatto Nei confronti di H.D.C.A. era stato eseguito l’arresto in quasi flagranza per il reato di cui agli artt. 624, 625 cod.pen. per essersi impossessato di alcuni capi di abbigliamento del valore totale di Euro 55,75 sottraendoli nel centro commerciale fatto del omissis . Il Gip presso il Tribunale di Vicenza riteneva di non convalidare l’arresto, evidenziando la l’assenza del requisito della quasi flagranza , in ragione del fatto che la polizia giudiziaria era pervenuta all’identificazione del responsabile del furto tramite le indicazioni di un testimone oculare che aveva notato lo straniero disfarsi della refurtiva e le dichiarazioni della responsabile del centro commerciale quanto alla provenienza delittuosa dei capi ivi contenuti. Propone ricorso per cassazione il Procuratore della Repubblica di Vicenza e chiede l’annullamento dell’ordinanza di non convalida,per inosservanza o erronea applicazione della legge penale in presenza del requisito della quasi flagranza . Considerato in diritto Il ricorso, in linea con quanto anche sostenuto dal PG presso questa Corte, è infondato. Il giudice ha rispettato i limiti del controllo riservatogli sull’arresto in flagranza in sede di convalida. Vanno ricordate in proposito le puntuali indicazioni delle Sezioni unite, rese con la sentenza n. 39131 del 24/11/ 2015, Ventrice In tema di arresto da parte della polizia giudiziaria, lo stato di quasi flagranza non sussiste nell’ipotesi in cui l’inseguimento dell’indagato da parte della polizia giudiziaria sia stato iniziato per effetto e solo dopo l’acquisizione di informazioni da parte della vittima o di terzi, dovendosi in tal caso escludere che gli organi di polizia giudiziaria abbiano avuto diretta percezione del reato. La nozione di inseguimento , caratterizzata dal requisito cronologico dell’ immediatezza subito dopo il reato , postula, quindi, la necessità della diretta percezione e constatazione della condotta delittuosa da parte degli operanti della polizia giudiziaria procedenti all’arresto l’attribuzione dell’eccezionale potere di privare della libertà una persona si spiega proprio in ragione di tale situazione idonea a suffragare la sicura previsione dell’accertamento giudiziario della colpevolezza da queste premesse, la Corte ha rigettato il ricorso del pubblico ministero avverso il provvedimento del giudice che aveva escluso la quasi flagranza, in una vicenda in cui la polizia giudiziaria aveva proceduto all’arresto per il reato di lesioni personali aggravate dall’uso di un coltello dopo alcune ore dalla commissione del reato ed esclusivamente sulla base delle dichiarazioni rese dalla vittima e dalle persone informate dei fatti nonché degli esiti obiettivi delle lesioni rilevati sul corpo della persona offesa in una situazione in cui, quindi, secondo le Sezioni unite, non poteva ricorrere l’ipotesi dell’”inseguimento inteso nei termini di cui sopra . Ebbene, alla luce delle puntualizzazioni fornite dalle Sezioni unite, risulta ormai definitivamente stabilito che la quasi flagranza legittimante l’arresto da parte della polizia giudiziaria è configurabile tutte le volte in cui sia possibile stabilire un particolare nesso tra il soggetto ed il reato che, pur superando l’immediata individuazione dell’arrestato sul luogo del reato, permetta comunque la riconduzione della persona all’illecito sulla base della continuità del controllo, anche indiretto, eseguito da coloro i quali si pongano al suo inseguimento. Tale condizione si può configurare nei casi in cui l’arresto avvenga in esito a inseguimento, ancorché protratto ma effettuato senza perdere il contatto percettivo anche indiretto con il fuggitivo, o nel caso di rinvenimento sulla persona dell’arrestato di cose o tracce dalle quali appaia che egli abbia commesso il reato immediatamente prima ma non si può configurare nelle ipotesi nelle quali l’arresto avvenga in seguito ad un’attività di investigazione, sia pure di breve durata, attraverso la quale la polizia giudiziaria raccolga elementi dalla vittima, da terzi o anche autonomamente valutati i quali ritenga di individuare il soggetto da arrestare, il quale beninteso non sia trovato con cose che lo colleghino univocamente al reato e non presenti sulla persona segni inequivoci riconducibili alla commissione del reato da parte del medesimo. Or bene, alla luce di tale principio, il ricorso non può trovare accoglimento. Risulta in fatto dal provvedimento del Gip e tale apprezzamento non può essere qui rinnovato, nei termini prospettati in ricorso che l’arrestato si era spogliato della borsa contenente la merce e che solo successivamente era stato individuato e trovato in possesso di altra refurtiva non riguardata dalla contestazione di che trattasi è evidente che l’attività della p.g., pur puntualmente svoltasi, non ha consentito di affermare come sussistente quel nesso tra il soggetto e il reato fondante la legittimità dell’arresto secondo giurisprudenza consolidata da ultimo, Sez. 3, n. 3075 del 24/11/2010, dep. 2011, Proc. Rep. Trib. Nola in proc. Aladie . Secondo la citata giurisprudenza, in sede di convalida dell’arresto in flagranza, il giudice, ai sensi dell’articolo 391, comma 4, cod.proc.pen., deve controllare a l’osservanza formale dei termini dagli articoli 386, comma 3, e 390, comma 1, cod.proc.pen. b la sussistenza dei presupposti legittimanti l’eseguito arresto, secondo il disposto degli articoli 380, 381 e 382 cod.proc pen., ossia se ricorrono gli estremi della flagranza e se sia configurabile, con riferimento al caso specifico, una delle ipotesi criminose che consentono o impongono l’arresto fumus commissi delicti nonché c a valutare la legittimità dell’operato della polizia giudiziaria sulla base di un controllo di ragionevolezza dell’arresto stesso in relazione allo stato di flagranza ed alla ipotizzabilità di uno dei reati di cui agli articoli 380 e 381 cod.proc.pen Tale ultimo controllo deve essere condotto in una prospettiva di lettura che, da un lato, non può riguardare l’aspetto della gravità indiziaria e delle esigenze cautelari riservato, ex articolo 391, comma 5, cod.proc.pen. in combinato con gli articoli 273 e 274 cod.proc.pen., all’applicabilità delle misure cautelari coercitive , e che, dall’altro lato, non può sconfinare in un apprezzamento dei presupposti per l’affermazione della responsabilità, riservato alla fase di cognizione del giudizio di merito. Ne consegue, quindi, che la verifica e la valutazione in oggetto vanno fatte in riferimento all’uso ragionevole dei poteri discrezionali in concreto esercitati dalla polizia giudiziaria e, ove il giudice ritenga che la polizia abbia ecceduto, deve fornire in proposito adeguata motivazione. È evidente che qui il giudice ha fatto corretto uso di questi poteri, avendo negato la convalida sviluppando considerazioni in linea con i principi sopra enunciati. Il ricorso va, pertanto, rigettato. P.Q.M. Rigetta il ricorso.