Avvocato negligente: niente restituzione in termini

Il non corretto adempimento, da parte del legale, della prestazione professionale, non integra una causa di forza maggiore né un caso fortuito. La causa di forza maggiore e il caso fortuito, infatti, sono eventi insuperabili, che giustificano la restituzione in termini, mentre la negligenza del professionista può essere evitata con la doverosa diligenza.

E' quanto affermato dalla Corte di Cassazione, con la sentenza n. 57130/17, depositata il 21 dicembre. Il caso. La Corte d'Appello competente rigettava il ricorso con cui un imputato chiedeva di essere rimesso in termini, al fine di proporre impugnazione avverso la sentenza pronunciata dal GIP del tribunale nei suoi confronti. In particolare, la Corte territoriale eccepiva come le mancanze o le operazioni non adempiute tempestivamente dai difensori di fiducia non costituissero un fondamento per la rimessione in termini, non trattandosi di caso fortuito o forza maggiore. L'interessato ricorreva per cassazione, lamentando violazione di legge e contraddittorietà o mancanza motivazionale. L'impugnante rilevava che il suo difensore aveva erroneamente ritenuto che alla sospensione feriale dei termini processuali sarebbe conseguita una dilatazione del termine per il deposito della motivazione della sentenza, impugnandola pertanto tardivamente. Rimessione in termini. Il Supremo Collegio ha ritenuto inammissibile il ricorso. Gli Ermellini hanno ricordato come l'orientamento seguito dalla Corte territoriale sia avallato dalla giurisprudenza di legittimità, secondo cui il non corretto adempimento, da parte del legale, della prestazione professionale, non rappresenti una causa di forza maggiore né un caso fortuito. La causa di forza maggiore e il caso fortuito, infatti, integrano eventi insuperabili, che giustificano la restituzione in termini. Diversamente, le possibili mancanze del professionista sono facilmente ovviabili con la dovuta diligenza. I Giudici del Palazzaccio hanno, inoltre, sottolineato come non sia escluso un dovere di vigilanza da parte dell'assistito, fatta eccezione per le ipotesi in cui il quadro normativo sia tanto complesso da impedire al cittadino di porre in essere tale controllo. Tale complessità, peraltro, non sarebbe da riscontrarsi nel caso di specie, a parere del Collegio la tesi per cui il termine per la redazione della motivazione della sentenza non è soggetta alla sospensione feriale dei termini sarebbe ormai consolidata. A chiosa della pronuncia, gli Ermellini hanno evidenziato come alcuni arresti giurisprudenziali abbiano conferito rilievo, ai fini della concessione della rimessione in termini, all'imprevedibile ignoranza della legge penale. Imprescindibile, ad ogni modo, l'elemento della imprevedibilità, non riscontrabile nel caso di specie. Per le ragioni sopra esposte, la Corte di Cassazione ha dichiarato inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 17 maggio – 21 dicembre 2017, n. 57130 Presidente Amoresano – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello di Potenza ha rigettato, con ordinanza depositata il 16 novembre 2016, il ricorso del 11 novembre 2016, con il quale M.G. , tramite il proprio difensore di fiducia, aveva chiesto di essere rimesso in termini per proporre impugnazione avverso la sentenza n. 236/16 emessa a suo carico dal Gip del Tribunale di Potenza il precedente 27 maggio 2016 la Corte territoriale ha rilevato che non era fattore idoneo ad integrare gli estremi del caso fortuito la circostanza, allegata dal ricorrente a sostegno della propria istanza, che il suo difensore avesse errato nel calcolare i termini per la presentazione del ricorso in appello. Ha, peraltro, aggiunto la Corte territoriale come parte ricorrente avrebbe, comunque, dovuto presentare la richiesta di rimessione in termini, a pena di decadenza, entro 10 giorni dalla data in cui era venuto meno il fattore generante il dedotto caso fortuito o forza maggiore, mentre, nella specie il dies a quo ai fini della presentazione della istanza era stato collocato al momento in cui era stata messa in esecuzione la sentenza per la presentazione del cui appello è stata chiesta la rimessione in termini, cioè l’8 novembre 2016. In particolare la Corte lucana ha ribadito come, secondo l’insegnamento di questo giudice della legittimità, le inadempienze dei difensori di fiducia non possono costituire fondamento per la rimessione in termini in ordine ad operazioni da questi non tempestivamente eseguite, trattandosi di fattori esulanti rispetto alle ipotesi di caso fortuito o forza maggiore in quanto consistono in eventi superabili mediante la normale diligenza ed attenzione e dovendosi presumere un onere in capo all’assistito di vigilare sull’esatta osservanza da parte del professionista incaricato del compito a lui demandato. Ha proposto ricorso per cassazione il M. , assistito dal legale di fiducia, deducendo la illegittimità della ordinanza impugnata in quanto la stessa sarebbe caratterizzata, oltre che da violazione di legge, anche da una motivazione apparente, mancante o comunque contraddittoria. Il ricorrente, ricostruita la vicenda che ha condotto il proprio difensore ad impugnare tardivamente la sentenza emessa a suo carico, legata all’errore dal medesimo commesso nel ritenere che la sospensione feriale dei termini processuali avrebbe comportato anche la dilatazione del termine per il deposito della motivazione della sentenza in questione, ha affermato che l’ordinanza impugnata, limitandosi a richiamare testualmente la massima di una sentenza della Corte di cassazione che non rispecchierebbe le peculiarità del caso ora in esame, non assolverebbe all’onere motivazionale in essa, infatti, non si tiene conto del fatto che egli si era più volte recato presso lo studio del suo difensore ove aveva ricevuto risposte tranquillizzanti sulla tempistica della impugnazione alle quali egli, privo degli adeguati strumenti tecnici, non aveva ragione di obbiettare alcunché per altro la Corte territoriale, che pure ha rilevato come la complessità del quadro normativo potrebbe giustificare la inesigibilità dell’onere di controllo sull’operato del difensore da parte del suo assistito, facendo in tal modo rientrare le inadempienze di quello nel novero dei fattori legittimanti la concessione della rimessione in termini, non si è data carico di verificare se nel caso di specie ci si trovasse, come ritenuto dal ricorrente, o meno in una tale situazione di complessità. Come secondo motivo di impugnazione il M. ha contestato, ancora sotto il profilo della violazione di legge e del vizio di motivazione, il fatto che la Corte di Potenza abbia, ingiustificatamente, ritenuto che la richiesta di rimessione in termini fosse stata comunque presentata tardivamente. Considerato in diritto Il ricorso è inammissibile. Osserva, infatti, il Collegio come la giurisprudenza di questa Corte, ove si eccettuino delle sporadiche eccezioni delle quali si dirà appresso, sia consolidatamente orientata nel senso di costituire essa un insuperabile avallo alla interpretazione normativa seguita dalla Corte di appello di Potenza. Dati per riepilogati i fatti come incontestatamente compendiati nella ordinanza impugnata e, peraltro, conformemente ripresi nel ricorso introduttivo, rileva la Corte come, in più occasioni, sia stato rilevato che l’inesatto adempimento della prestazione professionale da parte del difensore di fiducia, a qualsiasi causa ascrivibile, non è idoneo a realizzare le ipotesi di caso fortuito o forza maggiore - concretandosi queste ultime in forze impeditive non altrimenti superabili le quali legittimano la restituzione in termini - consistendo, invece, quello in una falsa rappresentazione della realtà cui si sarebbe potuto ovviare mediante la normale diligenza ed attenzione né può essere esclusa, in linea di principio, la sussistenza di un onere dell’assistito di vigilare sulla esatta osservanza dell’incarico da lui conferito, laddove il controllo sulla correttezza dell’adempimento defensionale non sia stato impedito al comune cittadino dalla complessità del quadro normativo di riferimento Corte di cassazione, Sezione II penale, 17 novembre 2016, n. 48737 idem Sezione VI penale, 5 maggio 2016, n. 18716 idem Sezione III penale, 24 settembre 2013, n. 39437 . E sul punto vi è da segnalare che non è riscontrabile la necessaria complessità normativa e interpretativa, essendo invece granitica e risalente la giurisprudenza nella affermazione che il termine per la redazione della motivazione della sentenza non è soggetto alla disciplina della sospensione feriale dei termini Corte di cassazione, Sezione IV penale, 15 aprile 2015, n. 15753 idem Sezione IV penale, 14 novembre 2007, n. 41834 idem Sezione III penale, 17 gennaio 1996, n. 462 , senza che sulla salda stabilità di tale principio abbia neppure inciso la recente riduzione del periodo di sospensione feriale dei termini processuali attuata con il decreto legge n. 132 del 2014, convertito, con modificazioni, con legge n. 162 del 2014, così come confermato dalla più recente giurisprudenza di questa Corte Corte di cassazione, Sezione V penale, 11 aprile 2017, n. 18328 . Né, come accennato, appaiano tali da comportare neppure il venir meno del giudizio di manifesta infondatezza del ricorso i precedenti arresti di questa Corte che, primo visu, apparirebbero in contrasto con il consolidato orientamento prima illustrato e condiviso. In un caso, infatti, la Corte ha sostenuto la illegittimità del diniego della richiesta di restituzione in termini per la presentazione di motivi di appello allorché l’omesso adempimento dell’incarico di proporre l’impugnazione da parte del difensore di fiducia, non attivatosi contrariamente alle aspettative dell’imputato, sia stato determinato da una situazione di imprevedibile ignoranza della legge processuale penale, tale da configurare una ipotesi di caso fortuito, in una fattispecie in cui l’interessato aveva personalmente presentato dichiarazione di appello presso l’ufficio matricola della casa circondariale ove egli era ristretto, in tal modo esternando tempestivamente la sua ferma volontà di impugnare la sentenza a suo carico Corte di cassazione, Sezione VI penale, 10 settembre 2009, n. 35149 , mentre nell’altro caso, in realtà, ad onta del tenore del principio massimato, sostanzialmente nei termini che precedono, la Corte escluse la fondatezza del ricorso avverso il rigetto della richiesta di rimessione in termini in assenza di elementi in ordine alla imprevedibilità - da intendersi quest’ultima in termini evidentemente oggettivi quale inevitabilità - della ignoranza del difensore con riferimento alla disciplina dei termini per la impugnazione Corte di cassazione, Sezione II penale, 9 agosto 2011, n. 31680 . Situazione di imprevedibilità che, come dimostrato attraverso la analisi proprio della giurisprudenza consolidata in tema di incidenza della sospensione feriale dei termini processuali sulla scadenza dei termini per il deposito della motivazione delle sentenza e, mediatamente, su quelli per la proposizione delle impugnazioni, assolutamente non è riscontrabile quanto al caso in esame. Va da sé che l’eventuale negligenza del difensore nell’adempimento del suo incarico professionale, sebbene non idonea ad integrare il caso fortuito o la forza maggiore si direbbe anzi proprio per questo , non è tale da rimanere senza conseguenze sul piano giuridico, giustificando, in linea di principio, la adozione di provvedimenti sotto il profilo risarcitorio attivati dall’imputato sul punto in generale, cfr. Corte di cassazione, Sezione III civile, 15 giugno 2016, n. 12280 idem Sezione II civile, 23 marzo 2016, n. 6537 ovvero, se del caso, eventualmente anche sotto quello deontologico. L’inammissibilità del primo motivo di ricorso comporta l’assorbimento del secondo motivo di impugnazione, essendo questo, volto a rivendicare la tempestività della presentazione della istanza di rimessione in termini, divenuto irrilevante una volta affermata la legittimità del provvedimento con la quale la predetta istanza è stata comunque rigettata nel merito. Alla dichiarazione di inammissibilità del ricorso fa seguito, visto l’art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2000.00 in favore della Cassa delle ammende.