Legale rappresentante indagato e rappresentanza dell’ente: quali sono i limiti processuali?

In tema di responsabilità da reato degli enti, il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell’ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall’art. 39 d.lgs. n. 231/2000 gli atti compiuti dal difensore in esecuzione di un mandato privo di efficacia devono essere ritenuti inammissibili.

Il caso. La Corte di Appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto - confermava nel merito la sentenza con cui il Tribunale di Taranto aveva affermato la penale responsabilità di D.G. e M.C. per i reati di truffa aggravata, dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti ed emissione di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti. Inoltre, oggetto di conferma era anche la condanna della A.D. S.r.l. per il reato di cui agli artt. 5, comma 1, lett. a , 6 e 24 d.lgs. n. 231/2001. In particolare, alla S.r.l. veniva contestato l’illecito amministrativo in argomento perché, non avendo predisposto, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della stessa specie di quelli verificatisi e, comunque, non avendo adeguatamente vigilato sull’osservanza di un ipotetico modello organizzativo predisposto al fine di prevenire la commissione di reati, consentiva all’amministratore unico D.G. di indurre in errore il Ministero della attività produttive che emetteva un decreto di concessione per il versamento di un contributo non dovuto, in conto impianti per l’impresa, da erogare in tre quote annuali di euro 355mila ciascuna, con ingiusto profitto e conseguente danno patrimoniale di rilevante entità per l’ente erogatore. La mancanza di una valida costituzione della persona giuridica. La A.D. S.r.l. ricorreva per Cassazione deducendo, con il primo e pregiudiziale motivo di gravame, la nullità assoluta dei giudizi di primo e secondo grado per la mancanza di una valida costituzione della persona giuridica ai sensi degli artt. 39, 34, 41 d.lgs. n. 231/2000 in particolare, la persona giuridica era stata assistita da un difensore di fiducia invalidamente nominato dall’imputato, nella sua qualità di legale rappresentante, perciò in violazione dell’art. 39 suddetto, il quale dispone che l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo. Donde, si tratterebbe di una incompatibilità avente carattere assoluto, con la conseguenza che nel processo l’ente, privo di formale rappresentanza e di valida costituzione in giudizio, avrebbe dovuto essere dichiarato contumace, ai sensi dell’art. 41, con conseguente nomina di un difensore d’ufficio. L’incompatibilità del legale rappresentante indagato. I Supremi Giudici hanno ritenuto fondato il ricorso, annullando senza rinvio la sentenza impugnata, la sentenza di primo grado ed anche il decreto che dispone il giudizio, disponendo la trasmissione degli atti al Tribunale. La difesa ha dedotto la nullità assoluta dei giudizi di merito per la mancanza di una valida costituzione della persona giuridica, in quanto assistita da un difensore di fiducia invalidamente nominato dall’imputato nella sua qualità di legale rappresentante sul punto, chiariscono i Supremi Giudici, va ricordato l’insegnamento delle Sezioni Unite, secondo cui in tema di responsabilità da reato degli enti, il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell’ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall’art. 39 d.lgs. n. 231/2000. In effetti, la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che l’articolo in questione prevede l’incompatibilità del legale rappresentante dell’ente a rappresentarlo nel procedimento a suo carico qualora egli sia contestualmente anche imputato per il reato presupposto della responsabilità addebitata alla persona giuridica. Incompatibilità che discende dalla presunzione della sussistenza di un conflitto di interessi tra ente e suo rappresentante, destinata a rivelarsi già nel primo atto di competenza di quest’ultimo e cioè la scelta del difensore di fiducia e procuratore speciale, senza la cui nomina il soggetto collettivo non può validamente costituirsi tuttavia, l’ente può comunque costituirsi nel procedimento, sostituendo il rappresentante divenuto incompatibile ovvero nominandone uno ad hoc . La sorte degli atti compiuti per conto dell’ente dal legale rappresentante incompatibile. Il rappresentante incompatibile non può compiere alcun atto difensivo nell’interesse dell’ente e questo, se materialmente posto in essere, deve considerarsi inefficace tali saranno non solo l’atto di costituzione, ma altresì l’eventuale nomina di un difensore di fiducia effettuata indipendentemente dalla formale costituzione, con l’ulteriore conseguenza che gli atti compiuti dal difensore in esecuzione di un mandato privo di efficacia devono essere ritenuti inammissibili.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 18 maggio – 19 dicembre 2017, n. 56427 Presidente Cavallo – Relatore Andronio Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 15 dicembre 2014, il Tribunale di Taranto ha condannato D.G. alla pena di due anni di reclusione, M.C. alla pena di un anno di reclusione, la Automobili d. s.r.l. alla sanzione amministrativa di Euro 150.000,00, con sospensione condizionale nei confronti di M. , avendoli ritenuti responsabili dei reati a loro ascritti quanto al capo A dell’imputazione, limitatamente al delitto di tentata truffa aggravata quanto al capo B, limitatamente alle condotte consumate negli anni 2006-2007-2008, disponendo la confisca, ai sensi dell’art. 19 del d.lgs. n. 231 del 2000, della somma di Euro 710.250,00. Il Tribunale ha invece dichiarato non doversi procedere nei confronti di d. , con riferimento alle antecedenti condotte di truffa consumata, contestate ai capi A e B, per essere i reati estinti per prescrizione. Con sentenza del 21 marzo 2016, la Corte d’appello di Lecce - sezione distaccata di Taranto ha dichiarato non doversi procedere, per intervenuta prescrizione, in ordine al reato di cui al capo E, ascritto a M. , e al reato di cui al capo A, ascritto a D. , rideterminando la pena per D. in un anno e sette mesi di reclusione e confermando, nel resto, la sentenza di primo grado. All’esito del giudizio di appello residuano, dunque, quale oggetto del presente giudizio il reato di cui all’art. 2 del d.lgs. n. 74 del 2000, ascritto a D. , limitatamente alle annualità dal 2006 al 2008, perché, in qualità di amministratore della Automobili D. s.r.l., esercente l’attività di commercio di autoveicoli, con più azioni esecutive di un medesimo disegno criminoso, al fine di evadere le imposte sui redditi e sul valore aggiunto, utilizzava fatture emesse da altre società e relative ad operazioni inesistenti, indicando nella dichiarazione annuale dei redditi elementi passivi fittizi capo B il reato di cui all’art. 8 del d.lgs. n. 74 del 2000, ascritto a M. , per il quale la Corte d’appello ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione, contestato all’imputato, perché, al fine di consentire alla società Automobili D. di commettere il reato di cui al capo B, emetteva fatture per operazioni inesistenti per l’anno 2006 capo E l’illecito amministrativo, ascritto alla Automobili D. s.r.l., di cui agli artt. 5, comma 1, lettera a , 6, 24, del d.lgs. n. 231 del 2001, perché, non avendo predisposto, prima della commissione del fatto, modelli di organizzazione e gestione idonei a prevenire reati della stessa specie di quelli verificatisi e, comunque, non avendo adeguatamente vigilato sull’osservanza di un ipotetico modello organizzativo predisposto al fine di prevenire la commissione di reati, consentiva all’amministratore unico D.G. di indurre in errore il Ministero delle attività produttive, il quale, nell’ambito di un progetto di cui alla legge n. 488 del 1992, emetteva il decreto di concessione del 19 luglio 2002, per il versamento, tramite una banca, di un contributo non dovuto, in conto impianti per l’impresa, da erogare in tre quote annuali di Euro 355.125,00 ciascuna, di cui due incassate l’11 ottobre 2002 e il 2 dicembre 2003, e una terza quota richiesta il 23 dicembre 2006, con ingiusto profitto e conseguente danno patrimoniale di rilevante entità per l’ente erogatore capo L . 2. - Avverso la sentenza l’imputato D. ha proposto, tramite il difensore, ricorso per cassazione, chiedendone l’annullamento. 2.1. - Con una prima doglianza, si lamenta il mancato riconoscimento della prescrizione del reato di cui al capo B dell’imputazione, afferente all’annualità 2006, che sarebbe stato commesso al momento della presentazione della dichiarazione, ovvero il 31 dicembre 2006, in presenza di 9 mesi e 21 giorni di sospensione in primo grado, giungendosi così al termine finale del 21 marzo 2015. La difesa ha integrato la sua prospettazione nel corso della discussione davanti a questa Corte, sostenendo che la più recente delle condotte contestate al capo B dell’imputazione si sarebbe comunque prescritta il 4 aprile 2017. 2.2. - In secondo luogo, si denuncia la mancanza di motivazione nella sentenza impugnata, in relazione al motivo di appello relativo all’impugnazione diretta dell’ordinanza dibattimentale resa dal Tribunale, con la quale era stata rigettata la richiesta di sentire, ai sensi dell’art. 507 cod. pen., i tecnici della banca concessionaria che avevano proceduto al sopralluogo presso la società in data 4 luglio 2007, al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per la concessione del finanziamento pubblico. 2.3. - Con un terzo motivo di ricorso, si contesta la ritenuta inesistenza delle prestazioni indicate nelle fatture oggetto dell’imputazione, richiamando la rigorosa normativa in materia di finanziamenti, rappresentata dalla legge n. 488 del 1992, integrata dal d.m. n. 527 del 1995, la quale impone alle banche concessionarie di svolgere una serie di accertamenti puntuali relativamente al progetto industriale e alla pertinenza e congruità delle spese documentate. La difesa sostiene che la banca concessionaria aveva eseguito tale attività di accertamento, con un sopralluogo effettuato dal suo tecnico di fiducia presso lo stabilimento produttivo della società, e che il tecnico aveva verificato l’effettività delle spese documentate, la pertinenza e la congruità delle stesse, la loro ammissibilità rispetto ai vincoli normativi. A seguito di tale accertamento, la banca concessionaria aveva ammesso alle agevolazioni le spese indicate dalla società, comprese quelle per le attività edilizie, per opere murarie e assimilabili. 3. - La sentenza è stata impugnata anche dal difensore dell’imputato M. , con un unico motivo di doglianza, con il quale si lamenta la mancanza di motivazione in relazione al diniego dell’applicazione dell’art. 129 cod. pen., con riferimento al capo E dell’imputazione indicato come D nell’originaria rubrica , per il quale si è dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione. Ad avviso della difesa, le risultanze probatorie riepilogate nell’atto di appello e nella consulenza tecnica di parte avrebbero consentito di addivenire ad una soluzione assolutoria. Si sostiene, in particolare, che il Tribunale avrebbe ritenuto provata la colpevolezza dell’imputato sulla base della lettura errata dell’emissione di un progetto di parcella da parte dello stesso, il quale era stato inteso come fattura effettiva. Il Tribunale avrebbe ritenuto tale atto, per Euro 40.400,00, come relativo a una prestazione fittizia, in quanto il professionista non aveva rilasciato dichiarazioni liberatorie e aveva ricevuto un pagamento con due assegni poi risultati annullati inoltre, la parcella era stata successivamente stornata con registrazione del 30 aprile 2007. Secondo la prospettazione difensiva, si trattava, invece, di un preventivo per un’attività professionale futura, in realtà mai svolta, documento che era stato utilizzato da D. di sua iniziativa e che era privo di intestazione e di numerazione progressiva cosicché sarebbe mancata, in ogni caso, in capo a M. la volontà finalizzata ad agevolare l’evasione di terzi. 4. - Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione, tramite il difensore, anche la Automobili D. s.r.l 4.1. - Si deduce, in primo luogo, la nullità assoluta dei giudizi di primo e secondo grado, per la mancanza di una valida costituzione della persona giuridica ai sensi degli artt. 39, 34, 41 del d.lgs. n. 231 del 2000. Si ricorda che la persona giuridica era stata assistita da un difensore di fiducia invalidamente nominato dall’imputato, nella sua qualità di legale rappresentante, perciò in violazione del richiamato art. 39, il quale dispone che l’ente partecipa al procedimento penale con il proprio rappresentante legale, salvo che questi sia imputato del reato da cui dipende l’illecito amministrativo. Si tratterebbe di un’incompatibilità avente carattere assoluto con la conseguenza che nel processo l’ente, privo di formale rappresentanza e di valida costituzione in giudizio, avrebbe dovuto essere dichiarato contumace, ai sensi del richiamato art. 41, con conseguente nomina di un difensore d’ufficio. 4.2. - In secondo luogo, si denuncia la mancanza di motivazione in relazione all’intervenuta prescrizione degli illeciti amministrativi, relativi a truffe, la più recente delle quali si sarebbe consumata il 2 dicembre 2003. La censura è integrata da una memoria con la quale si segnala che la data corretta della richiesta di applicazione di misure cautelari interdittive, rilevante quale atto interruttivo della prescrizione, è il 23 dicembre 2009. 4.3. - Si lamenta, in terzo luogo, l’erronea applicazione dell’art. 19 del d.lgs. n. 131 del 2001, in relazione alla confisca per equivalente del presunto profitto dei reati di truffa consumata, già estinti per intervenuta prescrizione, e dei corrispondenti illeciti amministrativi, anche essi prescritti secondo la prospettazione difensiva. 4.4. - Si rileva, con un quarto motivo di doglianza, l’erronea applicazione degli artt. 22 e 59 del d.lgs. n. 231 del 2000, relativamente al reato di truffa tentata, per il mancato rilievo della prescrizione dello stesso. Considerato in diritto 5. - Il ricorso proposto nell’interesse di D. è parzialmente fondato. 5.1. - La prima doglianza, relativa alla prescrizione dei reati di cui al capo B dell’imputazione - integrata dalla difesa nel corso della discussione davanti a questa Corte - è parzialmente fondata. Deve essere ritenuta erronea l’affermazione contenuta nella sentenza d’appello secondo cui nessun motivo di gravame era stato proposto in relazione a tale capo. Dalla lettura della stessa sentenza emerge, infatti, che l’impugnazione riguardava anche la pena e le circostanze, con evidente riferimento al complesso dei reati contestati con la conseguenza che le relative statuizioni della sentenza di primo grado non avrebbero potuto essere considerate passate in giudicato. Dunque, devono essere ritenute prescritte le violazioni relative alle annualità 2006 e 2007 la prima, perché già prescritta prima della pronuncia della sentenza d’appello, la seconda perché comunque prescritta prima della pronuncia della presente sentenza. Non è invece prescritta la violazione relativa all’annualità 2008, essendo la contestazione riferita all’indicazione nella dichiarazione annuale dei redditi di elementi passivi fittizi ed essendo indicata nel capo d’imputazione la data 28 settembre 2009, quale momento del commesso reato, di poco precedente a quella della scadenza del termine per la presentazione della dichiarazione 30 settembre 2009 . A partire da tale data devono essere computati sette anni e sei mesi, quale termine complessivo applicabile alla fattispecie, ai sensi degli art. 157, primo comma, e 161, secondo comma, cod. pen Devono poi essere aggiunti - come evidenziato dalla stessa difesa nel ricorso per cassazione - nove mesi e ventuno giorni di sospensione del decorso della prescrizione, giungendosi così al termine finale del 20 gennaio 2018, successivo alla pronuncia della presente sentenza. Ne deriva che l’impugnata sentenza deve essere annullata, limitatamente alle annualità 2006-2007 del capo B, per essere le relative violazioni estinte per prescrizione, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello, per la determinazione della pena, non potendo questa Corte procedere direttamente in tal senso. 5.2. - Inammissibile, per genericità, è il secondo motivo di doglianza, con cui, si denuncia la mancanza di motivazione nella sentenza impugnata in relazione al motivo di appello relativo all’impugnazione dell’ordinanza dibattimentale resa dal Tribunale, con la quale era stata rigettata la richiesta di sentire, ai sensi dell’art. 507 cod. pen., i tecnici della banca concessionaria che avevano proceduto al sopralluogo presso la società, al fine di verificare la sussistenza dei presupposti per la concessione del finanziamento pubblico. La difesa non deduce, neanche con il ricorso per cassazione, la decisività della prova richiesta, perché non spiega in che termini l’audizione dei tecnici assumerebbe rilevanza ai fini la decisione sulla responsabilità penale. Si tratta, del resto, di soggetti che dovrebbero essere chiamati a deporre essenzialmente sulla loro personale valutazione della non fittizietà delle operazioni portate dalle fatture oggetto dell’imputazione valutazione che gli stessi non hanno compiuto direttamente - né avrebbero potuto compiere - avendo semplicemente accertato l’avvenuta realizzazione di alcune opere edilizie. 5.3. - Il terzo motivo di ricorso - con cui si contesta la ritenuta inesistenza delle prestazioni indicate nelle fatture oggetto dell’imputazione - è infondato. La sentenza impugnata contiene, sul punto, una motivazione pienamente sufficiente e logicamente coerente, laddove evidenzia puntualmente le ragioni della ritenuta fittizietà delle operazioni, a prescindere dagli esiti dei controlli effettuati dai tecnici della banca incaricata di erogare il finanziamento, che non hanno avuto - né avrebbero potuto avere per oggetto le prestazioni indicate nelle fatture in quanto tali. La Corte d’appello evidenzia - con affermazioni sostanzialmente non contestate neanche con il ricorso per cassazione che a vi erano stati lavori di intonacatura solo formalmente eseguiti dalla ditta M. , risultanti da fatture non rinvenute nella contabilità di tale ditta, la quale non risulta avere avuto rapporti con la società Automobili D. b quanto ai rapporti con la Euroneon, esercente l’attività di fabbricazione di strutture metalliche, risulta provato che l’imputato aveva ricevuto, in tutto o in parte, la restituzione del pagamento effettuato c le fatture della DAT Immobiliare s.r.l., amministrata dallo stesso imputato e avente sede nello stesso luogo in cui aveva sede la Automobili D. s.r.l., erano state pagate con assegni rispetto ai quali la DAT aveva poi effettuato successivi esborsi non giustificati v. le analitiche considerazioni svolte alle pagg. 12-14 della sentenza . 6. - Il ricorso proposto nell’interesse di M. - con il quale si lamenta la mancanza di motivazione in relazione al diniego dell’applicazione dell’art. 129 cod. pen., con riferimento al capo E dell’imputazione, per il quale la Corte d’appello ha dichiarato non doversi procedere per intervenuta prescrizione - è inammissibile. 6.1. - Come chiarito dalla giurisprudenza di questa Corte, il presupposto per l’applicazione dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen. è costituito dall’evidenza, emergente dagli atti di causa, che il fatto non sussiste o che l’imputato non lo ha commesso o che il fatto non costituisce reato, o non è previsto dalla legge come reato. Solo in tali casi, infatti, la formula di proscioglimento nel merito prevale sulla causa di estinzione del reato ed è fatto obbligo al giudice di pronunziare la relativa sentenza. I presupposti per l’immediato proscioglimento devono, però, risultare dagli atti in modo incontrovertibile, tanto da non richiedere alcuna ulteriore dimostrazione in considerazione della chiarezza della situazione processuale. È necessario, quindi, che la prova dell’innocenza dell’imputato emerga positivamente dagli atti stessi, senza ulteriori accertamenti, dovendo il giudice procedere non ad un apprezzamento , ma ad una mera constatazione . L’obbligo di immediata declaratoria delle cause di non punibilità vale anche in sede di legittimità, tanto da escludere che il vizio di motivazione della sentenza impugnata, che dovrebbe ordinariamente condurre al suo annullamento con rinvio, possa essere rilevato dalla Corte di cassazione che, in questi casi, deve invece dichiarare l’estinzione del reato. In caso di annullamento, infatti, il giudice del rinvio si troverebbe nella medesima situazione, che gli impone l’obbligo dell’immediata declaratoria della causa di estinzione del reato. E ciò, anche in presenza di una nullità di ordine generale che, dunque, non può essere rilevata nel giudizio di legittimità, essendo l’inevitabile rinvio al giudice del merito incompatibile con il principio dell’immediata applicabilità della causa estintiva ex plurimis, sez. 6, 1° dicembre 2011, n. 5438 sez. un., 28 maggio 2009, n. 35490, rv. 244275 sez. un., 27 febbraio 2002, n. 17179, rv. 221403 sez. un. 28 novembre 2001, n. 1021, rv. 220511 . 6.2. - I presupposti per l’applicazione dell’art. 129, comma 2, cod. proc. pen., come appena delineati, sono manifestamente insussistenti nel caso di specie, in cui il ricorso si basa su censure relative alla prova della responsabilità penale, il cui eventuale accoglimento renderebbe comunque necessario un annullamento con rinvio della sentenza impugnata. E ciò, a fronte di una prospettazione difensiva che risulta comunque basata su una rivisitazione arbitraria del quadro istruttorio, dal quale è invece emersa - come evidenziato dal Tribunale - l’anomalia dell’operazione svolta, con l’emissione della fattura, alla quale erano seguiti un pagamento con assegni risultati annullati e uno storno. 6.3. - Tenuto conto della sentenza 13 giugno 2000, n. 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , alla declaratoria dell’inammissibilità medesima consegue, a norma dell’art. 616 cod. proc. pen., l’onere delle spese del procedimento nonché quello del versamento della somma, in favore della Cassa delle ammende, equitativamente fissata in Euro 2.000,00. 7. - Il primo motivo del ricorso proposto nell’interesse della Automobili D. s.r.l. è fondato, con conseguente assorbimento degli altri. La difesa deduce la nullità assoluta dei giudizi di primo e secondo grado, per la mancanza di una valida costituzione della persona giuridica ai sensi degli artt. 39, 34, 41 del d.lgs. n. 231 del 2000, in quanto assistita da un difensore di fiducia invalidamente nominato dall’imputato, nella sua qualità di legale rappresentante. 7.1. - Deve essere richiamato il principio enunciato dalla sentenza Sez. U, n. 33041 del 28/05/2015, Rv. 264310, secondo cui, in tema di responsabilità da reato degli enti, il rappresentante legale indagato o imputato del reato presupposto non può provvedere, a causa di tale condizione di incompatibilità, alla nomina del difensore dell’ente, per il generale e assoluto divieto di rappresentanza posto dall’art. 39 del d.lgs. n. 231 del 2001. A tale pronuncia ha fatto seguito la sentenza Sez. 5, n. 50102 del 22/09/2015, Rv. 265587 - resa in una fattispecie analoga a quella per la quale qui si procede - la quale ha ribadito che il richiamato art. 39, comma 1, prevede l’incompatibilità del legale rappresentante dell’ente a rappresentarlo nel procedimento a suo carico qualora egli sia contestualmente anche imputato per il reato presupposto della responsabilità addebitata alla persona giuridica. Incompatibilità che discende dalla presunzione iuris et de iure della sussistenza di un conflitto di interessi tra ente e suo rappresentante, destinata a rivelarsi già nel primo atto di competenza di quest’ultimo e cioè la scelta del difensore di fiducia e procuratore speciale, senza la cui nomina il soggetto collettivo non può validamente costituirsi. Questa Corte aveva precedentemente precisato che l’ente può comunque costituirsi nel procedimento sostituendo il rappresentante divenuto incompatibile ovvero nominandone uno ad hoc, ed anche qualora decida invece di rimanere inerte - cioè di non provvedere ad alcun tipo di sostituzione del rappresentante legale non importa per quale ragione - comunque rimane tutelato dalla previsione dell’art. 40 dello stesso d.lgs. che impone che gli venga nominato un difensore d’ufficio che ne garantisca l’assistenza in ogni fase del procedimento Sez. 6, n. 41398 del 19/06/2009, Rv. 244405 . Quanto all’effettiva portata dell’incompatibilità e alla sorte degli atti compiuti per conto dell’ente dal legale rappresentante incompatibile, deve essere richiamato il consolidato orientamento di questa Corte, secondo cui l’incompatibilità prevista dall’art. 39 citato ha carattere assoluto, come dimostra a contrario l’espressa deroga contenuta nel d.lgs. n. 231 del 2001, art. 43, comma 2, in tema di notificazioni all’ente, il quale fa espressamente salve quelle eseguite mediante consegna al legale rappresentante incompatibile. Ne consegue che il rappresentante incompatibile non può compiere alcun atto difensivo nell’interesse dell’ente e che quest’ultimo, se materialmente posto in essere, deve considerarsi inefficace. In particolare sono privi di efficacia non solo l’atto di costituzione, ma altresì anche l’eventuale nomina di un difensore di fiducia effettuata indipendentemente dalla formale costituzione, con l’ulteriore conseguenza che gli atti compiuti dal difensore in esecuzione di un mandato privo di efficacia devono essere ritenuti inammissibili Sez. 2, n. 52748 del 09/12/2014, Rv. 261967 Sez. 6, n. 29930 del 31/05/2011, Rv. 250432 Sez. 6, n. 41398 del 19/06/2009 Rv. 244409 Sez. 6, n. 15689 del 05/02/2008, Rv. 241011 . Se dunque l’atto di costituzione e la nomina del difensore e procuratore speciale effettuati dal rappresentante incompatibile sono privi di efficacia, ne consegue che il giudice deve procedere a nominare per l’ente un difensore d’ufficio. 7.2. - Tali principi trovano applicazione anche nel caso di specie, in cui risulta che la procura al difensore dell’ente era stata inizialmente conferita dall’imputato D. , suo legale rappresentante mentre nel giudizio di cassazione, allo scopo di far valere tale vizio, la società si è costituita con il ministero di un difensore nominato da un nuovo legale rappresentante, non imputato nel presente procedimento. È dunque evidente che la società è rimasta priva di un difensore, perché quello di fiducia, nominato dall’amministratore incompatibile, non era legittimato a svolgere alcuna attività difensiva in favore dell’ente per le ragioni esposte in precedenza, né tantomeno a rappresentarlo in udienza ai sensi del d.lgs. n. 231 del 2001, art. 39, comma 4. 7.3. - Sussiste, perciò, la nullità assoluta eccepita dalla ricorrente, verificatasi già al momento della celebrazione dell’udienza preliminare con la conseguenza che la sentenza impugnata deve essere annullata senza rinvio nei confronti della società e l’annullamento deve necessariamente essere esteso anche a quella di primo grado, fino a travolgere l’udienza preliminare e il decreto che ha disposto il rinvio a giudizio dell’ente, con conseguente trasmissione degli atti al Tribunale di Taranto per l’ulteriore corso, e cioè per la fissazione di una nuova udienza preliminare per decidere sulla richiesta di rinvio a giudizio nei confronti della società. 8. - In conclusione, la sentenza impugnata deve essere annullata, nei confronti di D.G. , per essere il reato di cui al capo B estinto per prescrizione, quanto alle annualità 2006 e 2007, con rinvio ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce, per la rideterminazione della pena. Il ricorso di D.G. deve essere, nel resto, rigettato. Devono essere inoltre annullati senza rinvio, nei confronti della Automobili D. s.r.l., la sentenza impugnata, la sentenza di primo grado, il decreto che dispone giudizio, con trasmissione degli atti al Tribunale di Taranto. Il ricorso di M.C. deve essere dichiarato inammissibile, con condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata, nei confronti di D.G. , per essere il reato di cui al capo B estinto per prescrizione, quanto alle annualità 2006 e 2007, e rinvia ad altra sezione della Corte d’appello di Lecce, per la rideterminazione della pena. Rigetta nel resto del ricorso di D.G. . Annulla senza rinvio, nei confronti della Automobili D. s.r.l., la sentenza impugnata, la sentenza di primo grado, il decreto che dispone giudizio, con trasmissione degli atti al Tribunale di Taranto. Dichiara inammissibile il ricorso di M.C., che condanna al pagamento delle spese processuali e al versamento della somma di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende.