Tra i confini dell’indebita compensazione e del profitto suscettibile di sequestro per equivalente

Integra il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater d.lgs. n. 74/2000 il pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta inesistenti a seguiti del c.d. accollo fiscale” in quanto l’art. 17 d.lgs. n. 241/97 non solo non prevede il caso dell’accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti.

Con la medesima pronuncia sentenza n. 56451/17, depositata il 19 dicembre la Corte di Cassazione ha affermato anche il seguente principio di diritto In tema di reati tributari, il sequestro preventivo per equivalente, in vista della confisca prevista dall’art. 12- bis d.lgs. n. 74/2000, può essere disposto, entro i limiti quantitativi del profitto, indifferentemente nei confronti di uno o più degli autori la condotta criminosa, non essendo esso ricollegato all’arricchimento personale di ciascuno dei correi bensì alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell’illecito . Il caso in esame. La vicenda da cui origina la sentenza in commento trae le mosse da un provvedimento con cui il Tribunale del riesame di Milano, in accoglimento di appello proposto dal pubblico ministero, aveva disposto il sequestro preventivo per equivalente del profitto, pari ad oltre 42 milioni di euro, per indebita compensazione con crediti tributari inesistenti a carico di alcuni soggetti. Secondo l’assunto accusatorio, che in sede di impugnazione aveva trovato integrale accoglimento, costoro avrebbe realizzato dei modelli di evasione fiscale” attraverso cui sarebbero state compiuti più reati di compensazione indebita effettuati attraverso la trasmissione telematica di modelli F24 con accollo del debito fiscale riferibile a terzi, con l’utilizzo di crediti fittizi, in questo modo consentendo a detti terzi l’apparente regolarizzazione della loro posizione fiscale. L’ordinanza del tribunale del riesame viene fatta oggetto di ricorso per cassazione sia da parte dell’indagato che da parte della terza persona reale intestataria dei beni colpiti dalla misura cautelare reale, siccome ritenuti dal riesame nella disponibilità dell’indagato medesimo. La compensazione mediante accollo. Illegittimità. Un primo profilo che viene fatto oggetto di puntuale ricostruzione da parte della Corte di Cassazione e la ammissibilità della compensazione fiscale mediante lo strumento dell’accollo. Nel caso in esame infatti il debito del contribuente accollato veniva pagato da una società terza accollante che lo onorava, non pagandolo direttamente, bensì mediante compensazione con proprie ragioni di credito nei confronti dell’Erario. Nel caso di specie si era poi verificato che detti crediti erano stati acquistati da soggetti terzi, che, per varie ragioni, non potevano monetizzarli. Naturalmente il contribuente accollato corrispondeva all’accollante, in conto prezzo, una percentuale del valore del proprio debito oggetto di compensazione, risparmiando così la differenza. Nel caso di specie si era poi accertato che i crediti dedotti in compensazione erano oggettivamente inesistenti, in quanto artificiosamente creati. Sul punto osservano gli Ermellini come la Agenzia delle Entrate con propria recente risoluzione n. 140 del 15 novembre 2017 abbia chiarito di non ritenere legittimo il pagamento di debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta a seguito del c.d. accollo fiscale”, in quanto trattasi di manovra elusiva. L’Agenzia delle Entrate ha infatti osservato che se da un lato è ammesso l’accollo del debito di imposta ciò avviene senza liberazione del debitore originario art. 8, comma 2, legge 212/2000 ed inoltre la compensazione tributaria è previsto che avvenga unicamente tra i medesimi soggetti dall’art. 17 del d.lgs. n. 241/1997. Nel fare proprie le argomentazioni svolte dalla Agenzia delle Entrate la Cassazione osserva dunque come la modalità di estinzione del debito tributario attraverso lo strumento dell’accollo fiscale e compensazione sia da ritenersi pertanto illecita e nel caso di specie, siccome avvenuta con crediti inesistenti, anche penalmente rilevante, risultando dunque pienamente integrata la fattispecie delittuosa di cui all’art. 10- quater d.lgs. n. 74/2000. La delimitazione del profitto oggetto di confisca per equivalente. Con ulteriore motivo di ricorso si doleva l’indagato del fatto che il sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente fosse stato disposto in suo danno per importo pari agli interi debiti oggetto di compensazione con crediti risultati inesistenti mediante la sopra descritta procedura di accollo. Deduceva l’indagato che lui stesso non avrebbe conseguito dalla condotta incriminata alcun risparmio di imposta e dunque di spesa attraverso la procedura di compensazione e accollo attraverso crediti inesistenti. E ciò perché nessun debito tributario a monte aveva l’indagato-ricorrente. Sul punto osserva, per contro, la Cassazione come il concorso di persone nel reato – e indubbio allo stato è il fumus del concorso dell’indagato nei reati oggetto di contestazione – implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente ed il sequestro non è collegato all’arricchimento personale di ciascuno dei correi, bensì alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell’illecito. La conseguenza – osservano gli Ermellini – è che il sequestro può essere disposto per l’intero importo del profitto indifferentemente nei confronti di uno o di più degli autori della condotta criminosa e dunque legittimamente per l’intero importo è stato disposto nei confronti del ricorrente che è concorrente nei reati contestati, I limiti del sequestro per equivalente in danno del terzo. La pronuncia in oggetto merita attenta lettura anche in relazione alla interpretazione fornita dai Giudici della Terza sezione penale sui limiti del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente in relazione a beni che siano di proprietà di un terzo estraneo al reato, ma ritenuti nella disponibilità dell’indagato e come tali passibili di applicazione del provvedimento ablativo. La terza proprietaria dei beni oggetto di sequestro si doleva infatti che fossero stati sottoposti alla misura cautelare beni indubbiamente di proprietà esclusiva della medesima, estranea ai reati contestati, sulla base della mera ed apodittica affermazione che degli stessi avesse la disponibilità l’indagato. Sul punto la Cassazione ripercorre, riaffermandone la perdurante validità, alcuni principi di diritto già riconosciuti in sede di legittimità. In primo luogo si osserva che il concetto di disponibilità” del bene, che consente di sottoporre a vincolo anche beni di proprietà del terzo, deve intendersi quale esercizio dei poteri di fatto corrispondenti alla proprietà da parte dell’indagato sui beni medesimi. Tuttavia il pubblico ministero onde assoggettare a sequestro per equivalente i beni non può limitarsi a dedurre e documentare la mancanza in capo al terzo proprietario delle risorse finanziarie necessarie per acquistare la proprietà ed il possesso di detti beni, ma è altresì necessaria la prova, da parte della pubblica accusa, della disponibilità – come sopra chiarita – degli stessi in capo al soggetto indagato. Nel caso in esame dunque la censura del terzo proprietario viene ritenuta fondata atteso che nel provvedimento impugnato nessuna specificazione avevano trovato le ragioni per cui il Tribunale avesse ritenuto provato l’esercizio di un potere di fatto equivalente a quello derivante dalla proprietà, anche attraverso il terzo legittimo proprietario, su beni medesimi da parte dell’indagato. L’ordinanza viene dunque annullata con rinvio, per nuovo esame, sul punto, mentre il ricorso proposto dall’indagato viene rigettato con condanna alle spese.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 – 19 dicembre 2017, n. 56451 Presidente Savani – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 20.06.2017, depositata in data 24.07.2017, il tribunale del riesame di Milano, in accoglimento dell’appello cautelare presentato dal Procuratore della Repubblica presso il tribunale di Milano avverso il provvedimento con cui il GIP, in data 20.02.2017, respingeva la richiesta di applicazione del sequestro preventivo nei confronti di M.L. , indagato per i reati di cui agli artt. 110, 81 cpv, c.p. e 10 quater, comma 2, 13 bis, comma 3, d. lgs. n. 74 del 2000 indebita compensazione in concorso , disponeva il sequestro preventivo per equivalente di beni mobili ed immobili nella disponibilità dell’indagato medesimo fino alla concorrenza della somma di Euro 42.558.848,56. 2. Giova precisare, per migliore intelligibilità dell’impugnazione proposta in questa sede, che il procedimento penale in questione trae origine dall’attività d’indagine che aveva condotto il p.m. a contestare l’imputazione di cui sopra con cui si ascriveva all’indagato M. , unitamente ad altri soggetti non impugnanti in questa sede, di aver il M.L. quale collaboratore di tale Mi.Mi. e socio e liquidatore della MDC s.r.l. nonché quale collaboratore della Mi. ed amministratore di fatto, unitamente a M.F. , della Centro Milano Due s.r.l. e della Emme Mafer soc. coop., società agli stessi riconducibili che risultavano aver ceduto crediti tributari inesistenti utilizzati dalla MDC s.r.l. per abbattere debiti di varia natura fiscale di varie società clienti, attraverso l’utilizzo dell’istituto della compensazione per il tramite di modelli F24 , ideato e commercializzato modelli di evasione fiscale attraverso cui sarebbero stati commessi più reati di compensazione di crediti tributari inesistenti, per il totale di Euro 42.558.848,56 nel periodo dal 1.01.2013 al 2.9.2016, compensazioni che alcuni soggetti Mi.Mi. , sia nella qualità di titolare dell’omonima ditta individuale che quale legale rappresentante della MDC s.r.l. dal 27.05.2014 al 1.09.2015 e della Fiscal Focus Consulting s.r.l. dal 16.09.2015, T.F. quale legale rappresentante della MDC s.r.l. fino al 27.05.2014 e P.A. quale legale rappresentante della MDC s.r.l. dal 1.09 al 31.12.2015 effettuavano mediante la trasmissione telematica di modelli F24, accollandosi il debito tributario riferibile a terzi, in ciò consentendo loro l’apparente regolarizzazione della propria posizione fiscale, il tutto utilizzando crediti fittizi. 3. Contro l’ordinanza emessa dal tribunale del riesame di Milano, ha proposto ricorso per cassazione, anzitutto, la A.M. quale terzo proprietario dei beni sottoposti a vincolo costituiti da due autoveicoli e da un immobile di proprietà esclusiva della ricorrente , a mezzo del difensore di fiducia iscritto all’albo ex art. 613 c.p.p., munito di procura speciale, prospettando un unico motivo, di seguito enunciato nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen 3.1. Deduce, con tale unico motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b , c.p.p., per violazione di legge in relazione agli artt. 125, 321 e 322-ter c.p.p. nonché in relazione all’art. 168 cod. civ. e 2, d.l. n. 69 del 2013, attesa la mancata specifica indicazione dei beni del terzo vincolabili, alla carenza/inesistenza di motivazione sull’asserita disponibilità di tali beni in capo all’indagato e, conseguentemente, in relazione all’insussistenza di un titolo giuridico. In sintesi, sostiene, anzitutto, la difesa della ricorrente di essere legittimata, quale terza proprietaria dei beni assoggettati a vincolo, a proporre ricorso per cassazione, legittimando l’art. 325 c.p.p. anche la persona cui le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione con particolare riferimento, poi, alla doglianza sollevata, la ricorrente sostiene che l’ordinanza impugnata, nell’accogliere l’appello cautelare del PM, avrebbe genericamente disposto il sequestro preventivo per equivalente dei beni mobili ed immobili nella disponibilità del M.L. fino alla concorrenza della somma sopraindicata, senza tuttavia nulla specificare in ordine all’apprensione di beni di terzi da assoggettare al vincolo cautelare e delle relative motivazioni, né, del resto, si osserva, il PM aveva ritenuto in sede di riesame di indicare tali beni e le ragioni della loro asserita riconducibilità all’indagato M.L. ciò renderebbe illegittimo il sequestro disposto dal tribunale, per assoluta carenza di motivazione ed insussistenza del titolo giuridico, incombendo in capo al giudice un dovere specifico di motivazione in ordine all’asserita disponibilità da parte dell’indagato di beni formalmente intestati a terzi a tal fine, onde dimostrare la esclusiva proprietà in capo alla stessa dei beni sequestrati, la ricorrente allega al ricorso copia di alcuni documenti attestanti il titolo esclusivo di proprietà dei predetti beni libretti di circolazione delle due autovetture, acquistate in leasing e riscattate dalla ricorrente attestazione notarile relativa alla compravendita immobiliare 1.04.2015 relativa all’immobile sequestrato , beni che non risultano mai essere stati nella disponibilità dell’indagato M. , né, tantomeno, quanto all’immobile, può ritenersi diversamente per il sol fatto che il medesimo è entrato a far parte del fondo patrimoniale costituito a rogito notaio F. in data 4.03.2016, risultando dall’atto di costituzione del fondo che l’immobile restava in proprietà esclusiva della ricorrente, come del resto ribadito dalla A.M. nel verbale di separazione consensuale davanti al tribunale di Milano in data 22.03.2017 quanto sopra, infine, renderebbe oltremodo illegittimo il sequestro disposto anche per l’assenza di qualsiasi motivazione a confutazione della impignorabilità di un bene immobile adibito a prima casa ex art. 52, d.l. n. 69 del 2013 e con vincolo di destinazione ai bisogni di un minore. 4. Contro l’ordinanza emessa dal tribunale del riesame di Milano, ha proposto ricorso per cassazione, in secondo luogo, l’indagato M.L. , a mezzo del difensore di fiducia iscritto all’albo ex art. 613 c.p.p., prospettando tre motivi, di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione ex art. 173 disp. att. cod. proc. pen 4.1. Deduce, con il primo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b , c.p.p., per violazione di legge in relazione all’art. 10-quater, d. lgs. 74 del 2000, in merito alla pretesa sussistenza del fumus del predetto reato. In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che, essendosi in presenza di un reato proprio, esso può essere commesso esclusivamente da parte del contribuente, alla luce della efficacia interna e non nei confronti del Fisco del rapporto terzo/contribuente discendente dalla natura del c.d. accollo tributario ex art. 8, co. 2, l. n. 212 del 2000 , con la conseguenza che l’accollante non potrebbe mai assumere la veste di contribuente o di soggetto passivo del rapporto tributario, non potendo ad esso applicarsi i principi di solidarietà tributaria ma semmai la sola veste di obbligato in forza del titolo negoziale sottoscritto solo nei confronti del debitore originario ovvero dell’accollato si aggiunge che se il legislatore avesse voluto includere ed estendere la responsabilità del reato di cui all’art. 10-quater, d. lgs. n. 74 del 2000 a terzi soggetti diversi dal contribuente, lo avrebbe espressamente previsto, cosa che invece non è avvenuta laddove ha previsto all’art. 17, d. lgs. n. 241 del 1997 il contribuente quale soggetto passivo di imposta e non altri le due figure, dunque, non sarebbero sovrapponibili, con la conseguenza che in capo all’accollante non potrebbe mai essere configurata una responsabilità per il delitto di cui all’art. 10-quater, d. lgs. n. 74 del 2000 infine, si sostiene che erroneo sarebbe il richiamo da parte del tribunale del riesame all’art. 48 c.p., ossia alla figura del c.d. autore mediato, ipotesi sostenuta in alternativa nell’ordinanza impugnata per individuare la responsabilità dell’indagato il delitto fiscale contestato sarebbe configurabile in ragione del fatto che i crediti vantati in compensazione siano inesistenti, conseguendone pertanto che, al fine di attribuire una responsabilità in capo al M. , si sarebbe dovuta dimostrare la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, ossia la consapevolezza in capo al M. dell’inesistenza dei crediti sul punto, si osserva in ricorso, non è dato comprendere dalla lettura dell’ordinanza il motivo per cui un mero collaboratore, ed assolutamente ignorante della materia fiscale, quale il M. , non possa essere considerato in buona fede e invece considerato come un complice della Mi. , laddove invece egli era un semplice procacciatore di affari di cui la Mi. si serviva per aspetti meramente pratici ed esecutivi, oltre che per le molte conoscenze e relazioni personali il quale si era fidato della Mi. e che era stato in sostanza dalla stessa ingannato, come sarebbe stato dimostrato anche dal fatto che il M. aveva utilizzato per sé il meccanismo dell’accollo, cosa che certamente non avrebbe fatto ove avesse saputo che i crediti da compensare erano inesistenti emergerebbe quindi in capo al M. la mera consapevolezza della legittimità dell’accollo tributario ma non della fraudolenza del meccanismo fiscale escogitato, non potendo trarsi argomenti a sostegno della tesi accusatoria dalla cessione di crediti inesistenti da parte delle due società facenti capo al M. medesimo indicate nell’imputazione cautelare, atteso che la loro gestione fiscale e tributaria era nelle mani della Mi. medesima. 4.2. Deduce, con il secondo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b e c , c.p.p., per violazione di legge in relazione agli artt. 321, 322-ter, c.p.p. e 1, co. 143, legge n. 244 del 2007. In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che l’ordinanza avrebbe omesso di individuare i beni da sequestrare e sarebbe assente la motivazione in ordine all’impossibilità di disporre il sequestro diretto del profitto sui beni della società MDC s.r.l. di cui egli era socio e liquidatore , laddove nessun ruolo pacificamente egli aveva assunto nella FFC s.r.l. la motivazione dell’ordinanza impugnata ometterebbe ogni considerazione circa l’effettiva, concreta e circostanziata impossibilità di procedere a sequestro diretto del profitto, così facendo malgoverno dei principi affermati dall’ormai nota sentenza Gubert delle Sezioni Unite l’impossibilità di procedere al sequestro diretto non sarebbe stata nemmeno allegata dal PM ricorrente come fatto processuale desumibile dagli atti. 4.3. Deduce, con il terzo motivo, il vizio di cui all’art. 606, lett. b e c , c.p.p., per violazione di legge in relazione agli artt. 321 c.p.p. e 12-bis, d. lgs. 74 del 2000. In sintesi, sostiene la difesa del ricorrente che un ulteriore motivo di censura andrebbe rinvenuto nella qualificazione e determinazione del profitto assunto nella specie, il profitto del reato tributario contestato, sarebbe secondo l’impostazione accusatoria costituito dal risparmio di spesa rappresentato dall’ammontare del credito inesistente opposto in compensazione si afferma che erronea è l’affermazione secondo cui il fatto sarebbe imputabile alla persona dell’accollante considerato nel caso di specie debitore solidale sul punto si sostiene che l’autore della compensazione illecita, comunque soggetto diverso rispetto al contribuente, non potrebbe aver causato alcun danno all’Erario poiché non ha estinto alcun debito tributario, essendo rimasto in capo al debitore originario l’obbligo del pagamento del tributo, essendo irrilevante la circostanza del risparmio tributario sul debito originario ottenuta in seguito al contratto di accollo il profitto, dunque, non deriverebbe dalla compensazione fittizia e, quindi, dal reato tributario, ma dall’uso deviato del contratto di accollo , non avendo conseguito alcun risparmio di spesa l’indagato per la compensazione fittizia attuata con l’accollo, per la semplice ragione che alcuna obbligazione tributaria egli avrebbe assunto verso l’Erario. Considerato in diritto 4. Il ricorso del M. è infondato, mentre quello della A.M. è meritevole di accoglimento. 5. Muovendo dalle doglianze proposte dal M. , si osserva, il tribunale del riesame, in accoglimento dell’appello del PM, ha correttamente esaminato i profili oggetto di doglianza, pervenendo a conclusioni del tutto corrette in diritto. Ed invero, così procedendo ad esaminare il primo profilo di censura sollevato con il primo motivo dianzi illustrato, ha anzitutto escluso la tesi dell’estraneità del ricorrente in particolare, dopo aver ricordato come l’Agenzia delle Entrate avesse segnalato la estrema pericolosità e potenzialità del gruppo di soggetti che risultavano coinvolti nei fatti P. e F. , segnalando la costituzione della nuova società FFC s.r.l. nel settembre 2015, che prendeva il posto dalla MDC s.r.l., sottolineava come fosse emerso dagli accertamenti che detta società, pur costituita nel 2015, aveva utilizzato crediti inesistenti riferiti al 2014, ossia l’anno precedente alla sua nascita più nello specifico, per quanto concerne la posizione M.L. , l’ordinanza dedica le pagg. 6/8 indicando dettagliatamente gli elementi da cui desumere il ruolo attivo e fattivo del M. nel meccanismo illecito indubbiamente ideato dalla Mi. ma rispetto al cui funzionamento, quale esecutore, il M. non poteva certamente ritenersi aver fornito un apporto così marginale od atecnico nella vicenda, avendo questi acquisito capacità operative tutt’altro che esecutive o marginali, demandando al medesimo compiti comunque essenziali per la riuscita della frode in particolare, gli elementi indicati dall’ordinanza a sostegno di tale assunto sono costituiti a dalla duplice veste del M. nella vicenda da un lato, quale collaboratore della Mi. e liquidatore MDC s.r.l. dall’altro, quale amministratore di fatto, insieme al fratello F. , di due società che risultano aver ceduto crediti inesistenti alla MDC , con l’opportuna precisazione contenuta nell’ordinanza secondo cui per il M. non si tratterebbe solo di fornire una credibile versione in ordine all’inconsapevolezza dell’inesistenza dei crediti utilizzati da MDC, ma anche di quelli che lui stesso, con il fratello, aveva ceduto alla stessa società b dalle numerose conversazioni oggetto di intercettazione telefonica da cui emerge un quadro indiziario di coinvolgimento dell’operazione illecita del M.L. il riferimento è, alla pag. 7 dell’ordinanza, alle seguenti conversazioni 1 quella in cui M. fa presente alla Mi. la necessità di predisporre contratti mancanti di accollo, riferiti a rapporti preesistenti della MDC, in considerazione dei controlli in corso dell’Agenzia delle Entrate e nell’eventualità che anche detti clienti siano interessati alle contestazioni dell’Agenzia 2 quella in cui il P. , parlando con un cliente cui l’Agenzia delle Entrate aveva contestato le compensazioni per l’inesistenza dei crediti, tale Z. , palesa il suo stupore asserendo che era la prima volta che era capitato, asserendo però il falso in quanto la cosa era accaduta con svariati clienti, parlando di ciò con il M.L. al telefono cui rappresentava che altri clienti si stavano lamentando per chiedergli spiegazioni e che occorreva indirizzarli alla Mi. , facendo risultare per iscritto la cosa, invitando il M. a scrivere una mail che lo dimostri, non volendo che i clienti potessero dire di aver interloquito con lui per le spiegazioni 3 quella - assai significativa - in cui il M. ed il P. , nel momento caldo delle contestazioni dei clienti, concordano la predisposizione di documentazione falsa, in particolare di contratti della MDC con la data però vecchia col primo F24 firmato da lei che era amministratrice, data arretrata, capito? e, alla domanda del P. di quale contratto si tratti, è il M. a rispondere che non esiste un contratto a nome del M. e, nel corso della stessa conversazione, è il M. a riferire che non voleva fargli vedere neanche quelli loro perché quelli loro sono truccati, sono già sistemati, io invece volevo fargli vedere che usavano quelli vecchi 4 la circostanza dell’aver lasciato il M. , nel momento in cui la Mi. si era resa irreperibile, un messaggio sulla segreteria telefonica di quest’ultima delle minacce molto pesanti ed esplicite, cui erano seguiti alcuni sms tra cui uno che faceva riferimento al fatto di aver usato i clienti ed i locali, oltre che i nomi di L. e F. ossia i fratelli M. , con invito a sistemare i documenti 5 quella in cui la Mi. parlando con il F. commentano i comportamenti dei fratelli M. , affermando quest’ultimo che E. , ossia L. , sta lavorando con questo famoso M. , e la Mi. gli risponde, riferendo all’indagato, che avrà trovato altri crediti 6 quella conversazione - altamente significativa nell’ottica del coinvolgimento del M.L. - in cui una donna, tale Me.En. , moglie di M.F. , fratello dell’indagato attuale ricorrente, parlando con il F. , nel lamentarsi delle contestazioni che l’Agenzia delle Entrate in relazione alle compensazioni, attribuisce la cosa anche all’indagato M.L. che sarebbe stata informato dalla Mi. dell’eventualità che le compensazioni operate dal fratello F. potessero essere contestate, manifestando la Me. la convinzione che la Mi. e il M.L. abbiano ricavato dall’operazione ingenti somme, tant’è che i due interlocutori concordano sul fatto che nel corso di un viaggio in , l’indagato M.L. sia andato a portare un pò di cash 7 quella in cui il P. , parlando con tale C. , che si riferisce alla contestazioni per compensazioni operate per il cliente Ma.Le. , coinvolge soprattutto la Mi. e M.L. , precisando come quest’ultimo lo avrebbe invitato a rivolgersi alla Mi. , ma il C. riferisce di essersi arrabbiato e di avergli detto che quando si trattava di incassare il denaro doveva parlare con lui, mentre nel momento caldo doveva invece parlare con la Mi. , sentendosi preso in giro, aggiungendo che il M.L. è in una posizione delicata perché purtroppo tutta Italia ha parlato con lui , confermando il ruolo di procacciatore del M. , come risulta dalle intercettazioni 8 infine, si richiama quanto esposto in querela dai legali rappresentanti della società Studio Arcadia che, in data 26.01.2015, avevano incontrato la Mi. e l’attuale ricorrente M.L. presso la sede della MDC s.r.l., ciò a dimostrazione di come il M. fosse coinvolto nell’attività di vendita del prodotto fiscale, la cui consapevolezza emerge dalle intercettazioni telefoniche richiamate . 6. Al cospetto di tale, completo ed esaustivo, apparato argomentativo le doglianze difensive, più che prospettare inesistenti vizi di violazione di legge per presunta assenza o apparenza motivazionale quanto al fumus segnatamente con riferimento alla sussistenza dell’elemento psicologico relativo alla consapevolezza del M. circa l’inesistenza/falsità dei crediti da compensare , si risolvono nella manifestazione, pur articolata, di un dissenso rispetto alla ricostruzione dei fatti ed alla valutazione degli elementi indiziari operata da parte del tribunale del riesame. Dunque non di deduzione di vizio di violazione di legge si tratta, ma di deduzione di vizio motivazionale inibita in questa sede di legittimità su provvedimento cautelare reale, in cui è deducibile solo il vizio di violazione di legge ex art. 325 cod. proc. pen., dovendosi escludere, per le ragioni esposte, che possa ravvisarsi l’apparenza o la assoluta mancanza di motivazione, uniche ipotesi in cui potrebbe attivarsi il sindacato di questa Corte, con esclusione del vizio di manifesta illogicità della motivazione v., per tutte, Sez. U, n. 5876 del 28/01/2004 - dep. 13/02/2004, P.C. Ferazzi in proc.Bevilacqua, Rv. 226710 , peraltro inesistente e anche, per certi aspetti, puramente contestativo, a proposito della questione relativa all’utilizzo, in proprio, dell’accollo, in relazione al quale la censura si risolve in sostanza nel dolersi del fatto che tale circostanza avrebbe confermato la sua buona fede rispetto alla posizione della Mi. , in quanto le censure complessivamente svolte nel primo motivo, attingono l’ordinanza impugnata in merito alla valutazione degli elementi acquisiti in fase di indagini a carico dell’indagato per sostenerne il coinvolgimento concorsuale nell’operazione illecita ideata dalla Mi. . 7. Analogamente è a dirsi con riferimento alla mancata valutazione dell’elemento soggettivo, non soltanto perché il coinvolgimento del M. nell’operazione, anche soggettivamente, emerge con palmare evidenza dalla ricostruzione e valutazione degli elementi indiziari operata dal tribunale del riesame da cui risulta che l’indagato, più che uno sprovveduto ed ignorante procacciatore di affari , come dipinto in ricorso, risulta aver rivestito un ruolo per più determinante e concorsuale nella vicenda ideata dalla Mi. , ma anche perché, versandosi in fase cautelare, è stato più volte affermato da questa Corte che il sequestro preventivo è legittimamente disposto in presenza di un reato che risulti sussistere in concreto, indipendentemente dall’accertamento della presenza dei gravi indizi di colpevolezza o dell’elemento psicologico, atteso che la verifica di tali elementi è estranea all’adozione della misura cautelare reale Sez. 6, n. 45908 del 16/10/2013 - dep. 14/11/2013, Orsi, Rv. 257383 Sez. 6, n. 10618 del 23/02/2010 - dep. 17/03/2010, P.M. in proc. Olivieri, Rv. 246415 Sez. 1, n. 15298 del 04/04/2006 - dep. 03/05/2006, Bonura, Rv. 234212 . 8. Nessun dubbio, poi, sussiste in ordine alla corretta qualificazione giuridica del fatto ai sensi dell’art. 10 quater, co. 2, d. lgs. n. 74 del 2000. Anche su tale punto, il tribunale del riesame si sofferma osservando correttamente come il reato de quo sia un reato proprio, in cui l’agente-intraneus viene descritto dalla norma come chiunque , essendo essenziale rimarcare ad avviso del tribunale che la norma pone l’accento non tanto su una qualifica soggettiva ma su un soggetto qualsiasi che peraltro si qualifica in base a ciò che compie, ossia non versa le somme dovute utilizzando in compensazione crediti inesistenti. Il richiamo è alla norma dell’art. 17, d. lgs. n. 241 del 1997, che così recita 1. I contribuenti eseguono versamenti unitari delle imposte, dei contributi dovuti all’INPS e delle altre somme a favore dello Stato, delle regioni e degli enti previdenziali, con eventuale compensazione dei crediti, dello stesso periodo, nei confronti dei medesimi soggetti, risultanti dalle dichiarazioni e dalle denunce periodiche presentate successivamente alla data di entrata in vigore del presente decreto. Tale compensazione deve essere effettuata entro la data di presentazione della dichiarazione successiva. La compensazione del credito annuale o relativo a periodi inferiori all’anno dell’imposta sul valore aggiunto, per importi superiori a 5.000 Euro annui, può essere effettuata a partire dal decimo giorno successivo a quello di presentazione della dichiarazione o dell’istanza da cui il credito emerge . La norma in questione fa necessariamente riferimento al concetto di contribuente, poiché muove dal presupposto che colui che ricopre una posizione passiva versoi il Fisco appunto, il contribuente , può scegliere di compensare crediti anziché versare le imposte il contribuente è, cioè, nella normalità il debitore, che, se assomma su di sé anche la posizione di creditore verso il Fisco, può compensare le due poste l’art. 10 quater, riferendosi a chi non versa le somme dovute, utilizzando in compensazione crediti inesistenti si riferisce ai soggetti legittimati, ex artt. 17 ss. d. lgs. n. 241 del 1997, ad effettuare pagamenti di imposta utilizzando in compensazione crediti verso l’Erario, ed in tale categoria devono farsi necessariamente rientrare anche coloro che, in virtù del contratto di accollo, agiscono come debitori proprio in virtù del fatto che, con l’accollo, si sono volontariamente fatti carico di debiti altrui. 9. Orbene, proprio analizzando i modelli F24, il c.t. del PM, ricorda il tribunale del riesame, evidenzia come nella sezione contribuente vengono riportati sia i dati identificativi del soggetto debitore d’imposta, sia i dati del soggetto coobbligato, ossia del soggetto che effettua il pagamento delle imposte, mediante compensazione, in veste di coobbligato, figura, quest’ultima, prevista dal modello F24 che prevede anche l’utilizzo di un codice che identifichi l’operazione in particolare, il cod. 62 si riferisce a soggetto diverso dal fruitore del credito , ossia quando il debito tributario venga pagato da un soggetto diverso dall’effettivo debitore, come nel caso dell’accollo è dunque evidente come nello stesso modello F24 è espressamente indicato un soggetto coobbligato, che riveste necessariamente la posizione di debitore, anche se, in via derivata, tanto da operare la compensazione con i propri crediti. 10. Trattasi, peraltro, di operazione fiscalmente illecita e penalmente rilevante. In sostanza, detta operazione prevede che il debito del contribuente accollato venga pagato da una terza società accollante , che lo onora non pagandolo direttamente bensì mediante compensazione con un proprio credito, credito che a sua volta l’accollante ha acquistato da soggetti che, per varie ragioni, non potevano monetizzarlo. Nel modello F24, vengono indicati due codici fiscali, inserendo il codice 62 , denominato soggetto diverso dal fruitore del credito ris. Agenzia delle Entrate 22 dicembre 2009 n. 286 . Infine, il contribuente accollato corrisponde all’accollante una percentuale del valore del proprio debito, risparmiando così la differenza. Ad ulteriore conferma di quanto sopra, ai fini della configurabilità del reato, peraltro, deve essere evidenziato come la stessa Agenzia delle Entrate, con la recente risoluzione n. 140 pubblicata in data 15 novembre 2017 la cui rilevanza ha in questa sede solo valenza interpretativa , nel prendere posizione sulla legittimità del pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta a seguito del c.d. accollo fiscale , ha fornito una risposta negativa. L’operazione in questione, osserva l’Ufficio, deve infatti essere ritenuta elusiva e, nel caso di specie, precisa il Collegio, ha rilevanza penale, essendo stato commesso il fatto attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale utilizzando crediti inesistenti non solo della disciplina sulla compensazione, ma anche di quella relativa alla cessione dei crediti d’imposta. L’Agenzia delle Entrate richiama innanzitutto l’art. 8, comma 2, della L. 212/2000, secondo cui è ammesso l’accollo del debito d’imposta, senza liberazione del contribuente originario. Tuttavia, nel momento in cui l’accollante paga mediante compensazione con un proprio credito, entra in gioco la compensazione, disciplinata dalla normativa tributaria di riferimento in primis dall’art. 17 del D.lgs. 241/97 , che, allo stato attuale, non solo non prevede il caso dell’accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti. Come rammentato più volte dalla giurisprudenza, peraltro, l’estinzione del debito mediante compensazione può avvenire, nel settore tributario, solo ove la legge lo ammetta espressamente. Si è infatti affermato che, in materia tributaria, la compensazione è ammessa, in deroga alle comuni disposizioni civilistiche, soltanto nei casi espressamente previsti, non potendo derogarsi al principio secondo cui ogni operazione di versamento, riscossione e rimborso ed ogni deduzione sono regolate da specifiche e inderogabili norme di legge. Tale principio non può considerarsi superato per effetto dell’art. 8, comma primo, della legge 27 luglio 2000, n. 212 cd. statuto dei diritti del contribuente , il quale, nel prevedere in via generale l’estinzione dell’obbligazione tributaria per compensazione, ha lasciato ferme, in via transitoria, le disposizioni vigenti, demandando ad appositi regolamenti l’estensione di tale istituto ai tributi per i quali non era contemplato, a decorrere dall’anno di imposta 2002 Sez. 6 - 5, Ordinanza n. 17001 del 09/07/2013, Rv. 627180 - 01 Sez. 5, Sentenza n. 10207 del 18/05/2016. Rv. 639988 - 01 . Dunque, non essendo tale modalità consentita dalla legge, l’operazione è illecita e, nei casi come quello qui esaminato, assume anche rilevanza penale, atteso che, per pacifica giurisprudenza di questa Corte, l’istituto dell’abuso del diritto di cui all’art. 10-bis l. 27 luglio 2000, n. 212, che, per effetto della modifica introdotta dall’art. 1 del D.lgs. 5 agosto 2015, n. 128, esclude ormai la rilevanza penale delle condotte ad esso riconducibili, ha applicazione solo residuale rispetto alle disposizioni concernenti comportamenti fraudolenti, simulatori o comunque finalizzati alla creazione e all’utilizzo di documentazione falsa di cui al D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, cosicchè esso non viene mai in rilievo quando i fatti in contestazione integrino le fattispecie penali connotate da tali elementi costitutivi v., sul punto Sez. 3, n. 40272 del 01/10/2015 - dep. 07/10/2015, Mocali, Rv. 264950 Sez. 3, n. 38016 del 21/04/2017 - dep. 31/07/2017, Ferrari, Rv. 270550 . 11. Deve, pertanto, essere affermato il seguente principio di diritto Integra il delitto di indebita compensazione di cui all’art. 10-quater, D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il pagamento dei debiti fiscali mediante compensazione con crediti d’imposta inesistenti a seguito del c.d. accollo fiscale nella specie, commesso attraverso l’elaborazione o la commercializzazione di modelli di evasione fiscale , in quanto l’art. 17 del D.lgs. 241/97 non solo non prevede il caso dell’accollo, ma richiede che la compensazione avvenga unicamente tra i medesimi soggetti . 12. Alla stregua di quanto sopra, pertanto, deve pertanto respingersi il motivo di ricorso che ruota attorno alla presunta estraneità del M.L. rispetto ai fatti contestati, essendo evidente per le ragioni esplicitate quindi che la responsabilità del medesimo discenda proprio dall’attività concorsuale svolta nell’operazione di accollo fiscale illecito posta in essere, dovendosi differenziare l’ascrivibilità a titolo diretto o per effetto del disposto dell’art. 48 c.p. a seconda che il debitore sia o meno consapevole dell’inesistenza del credito da compensare nel primo caso, infatti, come evidenziato nell’ordinanza, è il soggetto agente che assomma in sé la figura di debitore coobbligato e creditore, dunque non è necessario il ricorso al c.d. autore mediato come, ad esempio, avvenuto in base alle risultanze investigative, nel caso del P.A. , debitore iscritto nel registro degli indagati per cui è stato ritenuto ipotizzabile il concorso, insieme al P. ed alla Mi. diversamente, ove il debitore sia inconsapevole, trova applicazione l’art. 48 c.p., in quanto, in quest’ultimo caso, l’accollante stipula il contratto con il debitore accollato ingannandolo sull’esistenza dei crediti, con ciò inducendolo in errore circa la liceità dell’operazione in tal modo, agendo attraverso l’apporto del debitore inconsapevole della fraudolenza del meccanismo - essendo stato appositamente ingannato attraverso una vera attività truffaldina basata su documentazione falsa - questi pone in essere la condotta di indebita compensazione quale autore mediato, in quanto il debitore originario opera la compensazione perché ingannato dal suo coobbligato/accollante circa l’esistenza dei crediti, condotta di cui deve rispondere ex art. 48 c.p. colui che l’ha indotto in errore. Nessun pregio ha quindi la censura del M. , dunque, laddove contesta il richiamo all’art. 48 cod. pen., asserendo che in capo al medesimo vi fosse stata la sola consapevolezza circa la legittimità dell’accollo tributario ma non quella della fraudolenza del meccanismo fiscale posto in essere, trattandosi di affermazione in fatto, smentita come già visto dalle risultanze del compendio indiziario, soprattutto intercettativo richiamato, ma soprattutto laddove si consideri l’assoluta correttezza giuridica dell’argomentazione svolta dal tribunale nell’ordinanza impugnata, essendo infatti giustificabile il richiamo alternativo operato dal tribunale alla responsabilità diretta o per effetto dell’art. 48 c.p., operando quest’ultima previsione con riferimento ai debitori non iscritti nel registro degli indagati essendo stati ritenuti inconsapevoli dell’inesistenza dei crediti. 13. Ad analogo approdo deve pervenirsi quanto alle censure esposte nel secondo motivo, con cui il ricorrente si duole, da un lato, della mancata individuazione dei beni da sequestrare e, dall’altro, dell’assenza di motivazione in ordine all’impossibilità di disporre il sequestro diretto del profitto del reato. Quanto al primo motivo, lo stesso è manifestamente infondato, atteso che è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, il giudice che emette il provvedimento ablativo è tenuto soltanto ad indicare l’importo complessivo da sequestrare, mentre l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al quantum indicato nel sequestro è riservata alla fase esecutiva demandata al pubblico ministero Sez. 2, n. 36464 del 21/07/2015 - dep. 09/09/2015, Armeli e altro, Rv. 265058 Sez. 3, n. 37848 del 07/05/2014 - dep. 16/09/2014, Chidichimo, Rv. 260148 Sez. 3, n. 10567 del 12/07/2012 - dep. 07/03/2013, Falchero, Rv. 254918 . Parimenti, quanto al secondo profilo di doglianza, la stessa si rivela manifestamente infondata, atteso che, in ossequio all’insegnamento dell’ormai nota decisione delle Sezioni Unite Gubert, in tema di reati tributari, il pubblico ministero è legittimato, sulla base del compendio indiziario emergente dagli atti processuali, a chiedere al giudice il sequestro preventivo nella forma per equivalente , invece che in quella diretta , solo all’esito di una valutazione allo stato degli atti in ordine alle risultanze relative al patrimonio dell’ente che ha tratto vantaggio dalla commissione del reato, non essendo invece necessario il compimento di specifici ed ulteriori accertamenti preliminari per rinvenire il prezzo o il profitto diretto del reato v, da ultimo Sez. 3, n. 41073 del 30/09/2015 - dep. 13/10/2015, P.M. in proc. Scognamiglio, Rv. 265028 . Si è, peraltro, aggiunto che quando si procede per reati tributari commessi dal legale rappresentante di una persona giuridica, è legittimo il sequestro preventivo funzionale alla confisca per equivalente dei beni dell’imputato, sul presupposto dell’impossibilità di reperire il profitto del reato nei confronti dell’ente, nel caso in cui, successivamente alla imposizione del vincolo cautelare, dallo stesso soggetto non siano indicati i beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta v., da ultimo Sez. 3, n. 40362 del 06/07/2016 - dep. 28/09/2016, D’Agostino, Rv. 268587 . E, nel caso di specie, il ricorrente si limita semplicemente a dolersi della mancata indicazione da parte del PM prima e del giudice del riesame poi circa l’impossibilità di procedere al sequestro diretto, senza tuttavia soddisfare l’onere, sul medesimo gravante successivamente alla imposizione del vincolo cautelare, di indicare i beni nella disponibilità della persona giuridica su cui disporre la confisca diretta. 14. Del tutto priva di pregio, infine, è la censura svolta nel terzo ed ultimo motivo, relativa alla asserita erroneità della qualificazione e determinazione del profitto. Nessun dubbio ricorre quanto all’ulteriore questione afferente al conseguimento del profitto anche in capo al M. , alla luce della impostazione sopra data alla partecipazione alla commissione del reato. In ogni caso, non può ritenersi fondata l’eccezione difensiva di non aver tratto in proprio alcuna utilità in quanto il profitto non deriverebbe dalla compensazione fittizia ma dall’uso deviato del contratto di accollo. A questa obiezione è agevole infatti replicare, da un lato, sottolineando come il ricorrente confonde il profitto - risparmio di imposta profitto del reato di cui all’art. 10-quater, d. lgs. n. 74 del 2000 identificantesi nell’intero ammontare del tributo non versato arg. ex Sez. 6, n. 6705 del 16/12/2014 - dep. 16/02/2015, Libertone, Rv. 262394 , con il mezzo attraverso cui l’operazione di indebita compensazione è stata attuata ossia l’utilizzo del c.d. accollo fiscale con modalità illecite attraverso l’utilizzo di crediti inesistenti da opporre in compensazione attraverso modelli di evasione fiscale dall’altro, e soprattutto, deve osservare che il concorso di persone nel reato implica l’imputazione dell’intera azione delittuosa e dell’effetto conseguente in capo a ciascun concorrente e il sequestro non è collegato all’arricchimento personale di ciascuno dei correi, bensì alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell’illecito. Trattasi di principio più volte affermato da questa Corte a cui il Collegio ritiene di dover dare continuità, dovendosi ricordare che, una volta esclusa la possibilità di sequestrare l’originario profitto del reato, il sequestro preventivo per equivalente, in vista della confisca prevista dall’art. 12-bis, d. lgs. n. 74 del 2000, può essere disposto, entro i limiti quantitativi del suddetto profitto, indifferentemente nei confronti di uno o più degli autori della condotta criminosa, non essendo esso ricollegato all’arricchimento personale di ciascuno dei correi bensì alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell’illecito v., tra le tante Sez. 2, n. 10838 del 20/12/2006 - dep. 14/03/2007, Napolitano, Rv. 235832 . 15. Deve, dunque, essere affermato il seguente principio di diritto In tema di reati tributari, il sequestro preventivo per equivalente, in vista della confisca prevista dall’art. 12-bis, d. lgs. n. 74 del 2000, può essere disposto, entro i limiti quantitativi del profitto, indifferentemente nei confronti di uno o più degli autori della condotta criminosa, non essendo esso ricollegato all’arricchimento personale di ciascuno dei correi bensì alla corresponsabilità di tutti nella commissione dell’illecito nella specie la S.C. ha ritenuto legittimo il sequestro disposto nei confronti del concorrente, collaboratore dell’indagata ispiratrice del meccanismo fraudolento attuativo del c.d. accollo fiscale, integrante il reato di indebita compensazione . 16. Il ricorso dell’indagato M.L. dev’essere, pertanto, rigettato, con condanna alle spese processuali ex art. 616 cod. proc. pen. 17. A diverse conclusioni deve pervenirsi quanto al ricorso di A.M. . Ed invero, il tribunale del riesame, in accoglimento dell’appello del PM, ha disposto il sequestro preventivo per equivalente di beni mobili ed immobili nella disponibilità dell’indagato M.L. , fino a concorrenza della somma di Euro 42.558.848,56, pari al profitto del reato di indebita compensazione in concorso. Nell’eseguire il predetto provvedimento, è stato disposto il sequestro di due autovetture e di un immobile appartenenti a terzo estraneo al reato, nella persona dell’attuale ricorrente, proprietaria dei predetti beni. Premesso che è pacifico nella giurisprudenza di questa Corte che in tema di sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente, ove il sequestro venga disposto o eseguito su beni formalmente intestati a terzi ma nella disponibilità dell’indagato, unico mezzo per il terzo per rivendicarne l’esclusiva titolarità o disponibilità è il giudizio di riesame, in quanto la disponibilità del bene non attiene alla mera esecuzione della misura ma costituisce presupposto di legittimità della stessa Sez. 2, n. 20685 del 21/03/2017 - dep. 02/05/2017, Ventisette, Rv. 270066 , nel caso di specie la misura è stata disposta da parte del tribunale del riesame in sede di appello cautelare del PM. L’art. 325, co. 1, c.p.p., peraltro, legittima la persona cui le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione a proporre ricorso per cassazione contro l’ordinanza emessa, come nel caso di specie, all’art. 322-bis, cod. proc. pen., ma per sola violazione di legge . 18. Quanto alla lamentata violazione di legge, il ricorrente la individua nella mancata specifica indicazione dei beni del terzo vincolabili nonché sulla carenza/inesistenza della motivazione sull’asserita disponibilità di tali beni in capo all’indagato. Il quesito che si pone è quindi quello di verificare se sia effettivamente ravvisabile il denunciato vizio dell’ordinanza impugnata che, nel disporre il sequestro preventivo per equivalente dei beni immobili e mobili dell’indagato M. , si riferisce genericamente ai beni nella disponibilità di quest’ultimo. In merito alle censure relative alla motivazione del provvedimento del Tribunale, sul punto specifico del diritto del terzo interessato ad ottenere il dissequestro di quanto sottoposto a vincolo reale, va ricordato che si va affermando in sede di legittimità un orientamento per il quale l’ambito dell’intervento del terzo che afferma di avere diritto alla restituzione della cosa sequestrata non si estende alla valutazione della esistenza dei presupposti del sequestro preventivo ma è limitato unicamente alla prospettazione relativa alla propria effettiva titolarità o disponibilità del bene sequestrato o alla inesistenza di relazioni di collegamento concorsuale con l’indagato si vedano al riguardo Sez. 6, n. 42037 del 14/09/2016 - dep. 05/10/2016, Tessarolo, Rv. 268070 Cass. Sez. 6 del 5 agosto 2016 n. 34704, Paolini, Cass. Sez. 6 del 12 maggio 2016 n. 21966, Gaetani, entrambe non massimate, e ancora Cass. Sez. 6 del 13 agosto 2008 n. 16974, anch’essa non massimata . Ciò è quanto avvenuto nel caso in esame, essendosi infatti la ricorrente doluta prospettando, attraverso la produzione documentale allegata, la propria effettiva titolarità o disponibilità dei beni sequestrati, allegando una serie di elementi documentali a sostegno della titolarità esclusiva dei beni. 19. Orbene, osserva il Collegio, ai fini della confisca per equivalente o di valore , il bene non rileva nella sua specificità ma solo come unità di misura del valore equivalente al prezzo o al profitto del reato, cosicché la disponibilità da parte del reo del bene da confiscare per equivalente costituisce anch’essa condizione che legittima la sua immediata apprensione ai sensi del combinato disposto di cui all’art. 322-ter, comma 1, cod. pen., e art. 321, comma 2, cod. proc. pen., la cui sussistenza deve poter essere oggetto del controllo del Giudice, il quale non ha l’onere di indicare i beni da sequestrare, ma il terzo interessato che ne rivendichi la titolarità o la disponibilità esclusiva pone comunque in discussione la legittimità stessa del sequestro in quanto, di fatto, operato nei suoi confronti, sicché non può essere privato del diritto di far valere le proprie ragioni sol perché il bene non è stato indicato nel decreto di sequestro ma è stato individuato in sede esecutiva in quanto ritenuto dal Pubblico Ministero o dalla polizia giudiziaria in disponibilità del reo, a fronte peraltro di una intestazione formale di segno opposto. 20. A tale proposito, ossia sul concetto di disponibilità del bene, soprattutto nei casi di discrasia tra intestazione fittizia e disponibilità reale, questa Corte ha affermato il principio, che va ribadito, secondo il quale il sequestro preventivo, funzionale alla confisca per equivalente, può ricadere su beni anche solo nella disponibilità dell’indagato, per essa dovendosi intendere la relazione effettuale con il bene, connotata dall’esercizio dei poteri di fatto corrispondenti al diritto di proprietà Sez. 2, n. 22153 del 22/02/2013, Ucci e altri, Rv. 255950 , cosicché i beni, se anche siano formalmente intestati a terzi estranei al reato, devono ritenersi nella disponibilità dell’indagato quando essi, sulla base di elementi specifici e dunque non congetturali, rientrino nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi venga esercitato per il tramite di terzi Sez. 3, n. 15210 del 08/03/2012, Costagliola ed altri, Rv. 252378 . Da ciò è derivato il principio di diritto secondo il quale, ai fini dell’applicazione del sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente su beni formalmente intestati a persona estranea al reato, non è sufficiente la dimostrazione della mancanza, in capo a quest’ultima, delle risorse finanziarie necessarie per acquisire il possesso dei cespiti, essendo invece necessaria la prova, con onere a carico del pubblico ministero, della disponibilità degli stessi da parte dell’indagato Sez. 3, n. 36530 del 12/05/2015, Oksanych, Rv. 264763 . A siffatte condizioni, il sequestro di beni formalmente intestati a terzi ma nella disponibilità della persona indagata può essere disposto, per equivalente, anche in partenza, ossia nel momento dispositivo del vincolo, e tuttavia il terzo, qualora attinto dal sequestro in fase di esecuzione del provvedimento, non può essere espropriato del diritto di far valere sui beni sequestrati le proprie ragioni, posto che l’articolo 325 del codice di procedura penale legittima, tout court, anche la persona alla quale le cose sono state sequestrate e quella che avrebbe diritto alla loro restituzione a proporre ricorso per cassazione per violazione di legge . 21. Nella specie, effettivamente, nessuna motivazione sul punto si ravvisa circa le ragioni giuridiche legittimanti l’apprensione di beni di proprietà di terzi, perché rientranti nella disponibilità dell’indagato M. . Se è ben vero che l’individuazione specifica dei beni da apprendere e la verifica della corrispondenza del loro valore al quantum indicato nel sequestro preventivo finalizzato alla confisca per equivalente salvo il caso di sproporzione ictu cuti non costituiscono requisito di legittimità del decreto stesso, tuttavia va precisato che ove il sequestro venga disposto nella fase di imposizione genetica del vincolo o eseguito nella fase funzionale del vincolo e, quindi, nei casi in cui l’individuazione dei beni da sequestrare avvenga, come nella specie, in sede esecutiva su beni formalmente intestati a terzi ma ritenuti nella disponibilità dell’indagato, il terzo che si limiti a rivendicarne l’esclusiva titolarità o disponibilità non solo è legittimato a proporre ricorso per Cassazione per violazione di legge, ma ha titolo per dolersi della mancata specificazione delle ragioni per le quali i beni a lui sequestrati debbano ritenersi nella disponibilità dell’indagato, ossia, in latri termini, a titolo per censurare la mancata specificazione delle ragioni per le quali tali beni, sulla base di elementi specifici e dunque non congetturali, rientrassero nella sfera degli interessi economici del reo, ancorché il potere dispositivo su di essi fosse esercitato pel suo tramite, apparendone il terzo legittimo proprietario. 22. L’impugnata ordinanza dev’essere pertanto annullata con rinvio al tribunale del riesame di Milano perché, uniformandosi al principio di diritto di cui al paragrafo precedente, specifichi le ragioni per le quali i beni sequestrati alla A.M. si ritengano nella disponibilità dell’indagato M. e, dunque, se ne giustifichi l’apprensione cautelare per equivalente. P.Q.M. La Corte annulla l’ordinanza impugnata, con riferimento ad A.M. , con rinvio al tribunale di Milano per nuovo esame. Rigetta il ricorso di M.L. che condanna al pagamento delle spese processuali.