Il possesso “astratto” dei beni altrui non basta per la configurabilità dell’appropriazione indebita

Oggetto del reato di appropriazione indebita può essere solo un bene altrui di cui l’autore del reato abbia il possesso o la detenzione. In dubbio la configurabilità delle fattispecie delittuosa nel caso in cui il bene, nella specie somme di denaro, sia solo astrattamente sottratto al committente.

Sul punto la Cassazione con sentenza n. 55435/17, depositata il 12 dicembre. Il fatto. Il Tribunale aveva rigettato l’istanza di riesame proposta dalla curatela del fallimento di una società in liquidazione, confermando il sequestro probatorio. Secondo il Tribunale sussisteva l’ipotesi delittuosa di appropriazione indebita delle somme versate alla società dal Comune per i lavori di ristrutturazione effettuati in qualità di società capogruppo e mandataria di un associazione temporanea di impresa per i suddetti lavori. I Giudici di merito ritenevano che la società si fosse appropriata di somme di denaro spettanti ad un'altra società del gruppo e per questo sussistevano le esigenze probatorie che giustificavano il sequestro legate alla possibilità di disperdere le somme in questione a causa della procedura liquidatoria. Avverso la pronuncia di merito ha proposto ricorso per cassazione la curatela del fallimento deducendo che nella fattispecie non era configurabile il reato di appropriazione indebita. Appropriazione indebita. La Cassazione, dopo aver premesso che il mandato era divenuto inefficace per effetto del fallimento dell’impresa capogruppo, ha osservato che debba escludersi che il pagamento effettuato dal Comune, avente oggetto anche somme astrattamente di pertinenza di altra società dell’associazione temporanea, possano configurare il reato di appropriazione indebita. Secondo la Corte infatti, non appare ipotizzabile che l’inadempimento contestato ad opera delle parte committente possa realizzare una ritenzione di denaro successivamente versato a soggetto diverso dall’avente diritto . Concetto di altruità . È consolidato principio delle giurisprudenza di legittimità che oggetto del reato di appropriazione indebita sia solo un bene altrui di cui l’autore del reato entra in possesso. Secondo la Corte, però, il concetto civilistico di altruità non può essere usato in ambito penale in quanto la ratio della norma incriminatrice deve essere individuata nella volontà del legislatore di sanzionare penalmente il fatto di chi, avendo l’autonoma disponibilità della res, dia alla medesima una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che giustificano il possesso della stessa . Le Sezioni Unite della Suprema Corte hanno chiarito in merito che non può ritenersi responsabile di appropriazione indebita colui che non adempia ad obbligazioni pecuniarie cui avrebbe dovuto far fronte con quote del proprio patrimonio non conferite e vincolate a tale scopo . Conclusione delle Corte. In ragione dei richiamati principi la Cassazione ha ritenuto che sulle somme trattenute dal Comune non possa configurarsi nessun diritto di proprietà a favore dell’altra società in quanto il denaro in questione deve ritenersi rimasto concretamente in proprietà del soggetto committente dei lavori. la Cassazione ha osservato che la ricostruzione operata dal Giudice di merito non comporta la configurabilità del reato di appropriazione indebita, ma, piuttosto, i Giudici dovranno verificare se sussista la mera ipotesi di inadempimento contrattuale. In conclusione la Corte annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale per un nuovo esame.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 14 novembre 12 dicembre 2017, n. 55435 Presidente Davigo Relatore Di Pisa Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 19/06/2017 il Tribunale di L’Aquila ha rigettato l’istanza di riesame proposta dalla Curatela del Fallimento della S.p.A. in liquidazione in persona del curatore P.A. confermando il sequestro probatorio disposto dal Pubblico Ministero presso il Tribunale di L’Aquila avente ad oggetto la somma di Euro 1.008.367,27 depositata presso il conto corrente bancario n. , intestato alla detta curatela. 1.2. Il Tribunale ha osservato che sussisteva l’ipotesi delittuosa dell’appropriazione indebita delle somme in questione versate alla curatela dal Comune di L’Aquila in relazione ai lavori del quarto e quinto SAL eseguiti dalli omissis in relazione alla messa in sicurezza e puntellamento di edificio danneggiato dal sisma del 6 aprile 2009, tenuto conto che l’85% degli importi corrisposti spettava alla società omissis s.r.l. in ragione della percentuale dei lavori svolti della stessa all’interno dell’ , da considerarsi ormai sciolta in conseguenza dell’intervenuto fallimento della società capogruppo e mandataria dell’associazione temporanea S.p.A., con conseguente revoca ex lege del mandato. È stato, altresì, rilevato che costituendo le somme in questione corpo del reato erano rinvenibili delle esigenze probatorie anche legate alla possibilità di dispersione delle stesse nelle more della procedura liquidatoria. 2. Avverso il suindicato provvedimento propone ricorso per Cassazione la Curatela del Fallimento della S.p.A. in persona del curatore deducendo due motivi a. con il primo motivo, articolato in più censure, deduce inosservanza ed erronea applicazione degli artt. 253 cod. proc. pen., 646 cod. pen., 322 e 324 cod. proc. pen La difesa della curatela ricorrente lamenta che il Tribunale, nel confermare la misura cautelare reale de qua, avevano finito per valorizzare un profilo non tenuto in considerazione nell’originario provvedimento osservando che mentre la Procura aveva ritenuto astrattamente ipotizzabile in reato in questione in ragione della condotta del Comune di L’Aquila che aveva disposto delle somme in pendenza della proceduta esecutiva presso terzi promossa dalla omissis s.r.l., i giudici del riesame, in ragione della intervenuta inefficacia delle procedure esecutive ex art. 51 L.F., avevano ritenuto configurabile il reato in virtù del fatto che il comune aveva disposto il pagamento dell’intero importo alla capo gruppo sebbene il mandato all’incasso fosse divenuto inefficace per effetto del fallimento. Assume che in tal modo il Tribunale aveva finito per modificare illegittimamente Ì ipotesi accusatoria, in violazione delle disposizioni di cui agli artt. 322 e 324 cod. proc. pen Deduce, altresì, che nella fattispecie in esame non era configurabile il reato di cui all’art. 646 cod. pen. in quanto non era prospettabile un possesso di beni altrui sicché il pagamento e l’accredito della somma in favore della curatela non avevano alcun rilievo penale. Precisa che, peraltro, la curatela una volta entrata nel possesso delle somme non poteva disporne liberamente ma doveva procedere al riparto ovvero alla restituzione delle somme sulla scorta della disciplina di cui alla legge fallimentare e che, in ogni caso, la vicenda relativa ai rapporti di dare-avere fra le società dell’ riguardava aspetti di tipo civilistico da risolvere secondo le regole della legge fallimentare. Rileva, infine, che il mandato in questione aveva continuato a dispiegare i propri effetti anche nella fase successiva al fallimento, trattandosi di mandato in rem propriam irrevocabile b. secondo motivo violazione dell’art. 253 cod. proc. pen. in relazione alla adozione del provvedimento del sequestro in assenza di esigenze probatorie. Viene dedotto che il provvedimento in questione aveva una natura sostanzialmente preventiva mentre non erano state indicate concrete esigenze attinenti alle indagini ed all’accertamento di fatti per cui si procede, sicché anche sotto tale profilo il sequestro doveva ritenersi illegittimo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato. 2. Va, in effetti, premesso che in tema di appalto di opere pubbliche stipulato da imprese riunite in associazione temporanea, qualora sia dichiarato il fallimento della società capogruppo, costituita ex lege come mandataria delle altre, ai sensi dell’art. 23, ottavo comma, del d.lgs. 19 dicembre 1991 n. 406, il mandato deve reputarsi sciolto a norma dell’art. 78 legge fall., applicabile anche di ufficio e non derogato dalla disciplina del menzionato decreto, sicché la curatela fallimentare essendo l’accettazione dell’opera avvenuta anteriormente alla suddetta declaratoria è legittimata a riscuotere dall’amministrazione appaltatrice il corrispettivo per l’esecuzione dell’appalto solo per la quota corrispondente a quella parte dei lavori appaltati la cui realizzazione, in base all’accordo di associazione temporanea, era di sua spettanza. Sez. 1, Sentenza n. 23894 del 22/10/2013, Rv. 627998 01 . 2.1. È stato, ancora, osservato che in tema di mandato in rem propriam , ossia conferito anche nell’interesse del mandatario o di terzi , il principio di cui all’art. 1723, secondo comma, cod. civ. - che ne prevede la non estinzione per morte o incapacità del mandante - trova applicazione in via analogica solo in caso di fallimento del mandante, e non anche del mandatario, non potendosi per tale circostanza ritenere derogata la regola generale dell’estinzione automatica, posta dall’art. 78 legge fall., nel testo, ratione temporis vigente, anteriore al d.lgs. 9 gennaio 2006, numero . Sez. 1, Sentenza n. 13243 del 16/06/2011, Rv. 618257 - 01 . 3. Sebbene, quindi, contrariamente a quanto dedotto dalla parte ricorrente, il mandato in questione era divenuto inefficace per effetto della declaratoria di fallimento dell’impresa capogruppo - sicché la curatela non era più legittimata a riscuotere dal comune, nella detta qualità di mandataria dell’ , tutte le somme in contestazione - deve escludersi che il pagamento effettuato dal comune ed avente ad oggetto anche delle somme astrattamente di pertinenza della omissis s.r.l. in ragione della percentuale dei lavori svolti della stessa all’interno dell’ suindicata, possa configurarsi, alla luce delle considerazioni svolte dai giudici di merito e della ricostruzione in fatto dagli stessi effettuata, come ipotesi di appropriazione indebita ex art. 646 cod. pen. 4. Occorre, infatti, rilevare che non appare ipotizzabile che l’ inadempimento contestato ad opera della parte committente possa realizzare una ritenzione di denaro successivamente versato a soggetto diverso dell’avente diritto. È stato ripetutamente sottolineato che oggetto del reato di appropriazione indebita può essere solo un bene altrui di cui l’autore del reato abbia il possesso o la detenzione. Sebbene il riferimento al concetto civilistico di altruità non puoi trovare applicazione nell’ambito penalistico dell’appropriazione indebita, sussistendo gli elementi costitutivi del reato di cui all’art. 646 cod. pen. in presenza dell’animus proprio del delitto in esame anche allorquando la res sia, come il denaro, fungibile atteso che la ratio della norma incriminatrice deve essere individuata nella volontà del legislatore di sanzionare penalmente il fatto di chi, avendo l’autonoma disponibilità della res, dia alla medesima una destinazione incompatibile con il titolo e le ragioni che giustificano il possesso della stessa, presupposto del reato è, comunque, che si versi in ipotesi di abuso di cosa o denaro che, ancorché giuridicamente propri facendo parte del patrimonio dell’agente, conservi, tuttavia, una individuata e specifica destinazione che lo renda non disponibile per colui che lo detiene. Le Sezioni Unite hanno del resto chiarito che non può ritenersi responsabile di appropriazione indebita colui che non adempia ad obbligazioni pecuniarie cui avrebbe dovuto far fronte con quote del proprio patrimonio non conferite e vincolate a tale scopo vedi Sez. U, n. 37954 del 25/05/2011 - dep. 20/10/2011, Orlando, Rv. 25097401, in parte motiva . 5. Invero, non potendosi configurare, allo stato degli atti, sulle somme trattenute dal comune alcun diritto di proprietà a favore della omissis s.r.l. ovvero alcun vincolo in favore della stessa, il denaro in questione deve ritenersi rimasto in proprietà del soggetto committente i lavori, il Comune di L’Aquila, con le logiche conseguente che ne scaturiscono in ordine alla sussistenza degli elementi costituitivi del reato in contestazione. 6. Va, ancora, ricordato che l’elemento soggettivo del reato di appropriazione indebita consiste nella coscienza e volontà di appropriarsi del denaro o della cosa mobile altrui, posseduta a qualsiasi titolo, sapendo di agire senza averne diritto, ed allo scopo di trarre per sé o per altri una qualsiasi illegittima utilità Sez. 2, n. 27023 del 27/03/2012 - dep. 10/07/2012, Schembri, Rv. 25341101 . 7. Deve, dunque, escludersi che nella fattispecie in esame, secondo la ricostruzione operata dal Tribunale nel provvedimento impugnato e degli elementi fattuali ivi indicati, sia configurabile una condotta di appropriazione di denaro, dovendo, piuttosto i giudici di merito verificare se, sulla scorta delle complessive emergenze processuali, non residui, per contro, una mera ipotesi di inadempimento contrattuale ovvero una situazione fonte di diritti azionabili esclusivamente in sede fallimentare. 8. Il provvedimento impugnato va, dunque, annullato con rinvio al Tribunale di L’Aquila per nuovo esame da effettuare alla luce dei principi enucleati sub. 3., rimanendo assorbito il secondo motivo di impugnazione. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di L’Aquila per nuovo esame.