È abnorme l’atto del GIP che non accoglie la richiesta di decreto penale di condanna e rinvia gli atti al PM per valutare la tenuità del fatto?

Va rimessa alle Sezioni Unite la soluzione da dare alla seguente questione se sia qualificabile come abnorme e, pertanto, ricorribile per cassazione, il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, non accogliendo la richiesta di emissione di decreto penale di condanna, disponga la restituzione degli atti al Pubblico ministero affinché questi valuti la possibilità di chiedere l’archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto, ex art. 131-bis c.p. .

Questo il dictum della pronuncia della Suprema Corte che, rilevando un contrasto di legittimità sul punto, rimette la questione alle Sezioni Unite. Il substrato procedimentale. La Procura della Repubblica di Bologna avanza al GIP richiesta di emissione di decreto penale di condanna. Il GIP felsineo non accoglie la richiesta e dispone la restituzione degli atti al PM affinché valuti la possibilità di chiedere l’archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto, ai sensi dell’art. 131-bis c.p Con un unico motivo di doglianza, ricorre in Cassazione il Procuratore generale ritenendo l’atto abnorme in quanto si ravvisa una indebita invasione della sfera di autonomia del PM in tema di esercizio dell’azione penale e di irretrattabilità di tale esercizio. L’orientamento di legittimità pro-abnormità. La Suprema Corte in passato si è già pronunciata in termini generali considerando siffatto atto abnorme in quanto le sole e diverse ipotesi in cui l’ordinamento prevede espressamente la possibilità di restituzione degli atti al PM in seguito a richiesta di decreto penale di condanna sono quelle di cui all’art. 459, comma 3, c.p.p., inerenti alla legittimità del rito, alla qualificazione giuridica del fatto e alla idoneità ed adeguatezza della pena nel caso concreto da ultimo, Sez. VI, n. 23829/16 . Più specificamente, a questo orientamento generale ha aderito la Suprema Corte in una identica fattispecie a quella sottoposta all’odierna attenzione degli ermellini, stabilendo che il giudice per le indagini preliminari, destinatario di una richiesta di emissione di decreto penale di condanna non può emettere sentenza di proscioglimento immediato ai sensi dell'art. 129 c.p.p. qualora ritenga sussistente la particolare tenuità del fatto ai sensi dell'art. 131- bis c.p., in quanto l'applicazione di tale speciale causa di non punibilità può venire in rilievo esclusivamente dopo l'instaurazione del contraddittorio tra le parti, quale opzione processuale spettante all'imputato in sede di formulazione dell'opposizione al decreto penale già emesso sezione I, n. 15272/17 . Il contrapposto orientamento . Altra posizione cristallizzata in seno alla Suprema Corte prende spunto anch’essa da un orientamento generale consolidato per il quale non può considerarsi abnorme il provvedimento con il quale il GIP rigetti la richiesta di emissione del decreto penale di condanna, disponendo la restituzione degli atti al PM, salvo che il provvedimento sia fondato esclusivamente su ragioni di opportunità. All’interno di tale itinerario interpretativo si ritiene che non rientra in quest’ultima ipotesi il caso di rigetto da parte del Gip della richiesta di emissione di decreto penale di condanna avanzata dal Pubblico ministero nei confronti, ritenendo ricorrere un'ipotesi di particolare tenuità del fatto ex art. 131- bis c.p. sezione IV, n. 10209/16 . seguito dall’odierna pronuncia. A tale ultima posizione si allinea nuovamente la IV sezione che non ravvisa l’abnormità strutturale dell’atto in quanto l’ipotizzava abnormità del provvedimento impugnato non sarebbe ascrivibile all’esercizio di un potere non attribuitigli nell’ordinamento processuale il potere di rigettare la richiesta di emissione del decreto penale di condanna gli è infatti espressamente conferito dall’art. 459, comma 3, c.p.p Non sarebbe presente neanche l’abnormità funzionale ovvero che l’atto venga adottato per finalità o modalità incompatibili con la sua funzione o determini una indebita paralisi o altrettanto indebita regressione del procedimento in quanto il giudice non sostituisce arbitrariamente il proprio criterio di valutazione a quello istituzionalmente attribuito all’accusa. Vi è unicamente un invito rivolto al PM affinché valuti la sussistenza o meno della causa di non punibilità prevista dall’art. 131- bis c.p. ed in caso affermativo richieda l’archiviazione nelle forme e nei modi descritti dall’art. 411, comma 1-bis del codice di rito penale. La valutazione del GIP – nella prospettiva della IV sezione – si limita ad un esame dell’astratta applicabilità alla fattispecie concreta della particolare tenuità del fatto, ferme restando le ulteriori valutazioni in concreto, tanto dell’organo requirente, quanto di quello giudicante, nello spazio di discrezionalità consentito dalla norma. Alla luce di tali argomentazioni viene rimessa la questione alle Sezioni Unite in ordine all’abnormità o alla normalità del rigetto del GIP della richiesta di emissione del decreto penale di condanna, al fine della valutazione della sussistenza delle condizioni per applicare la causa di non punibilità dell’art. 131- bis c.p

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 23 novembre – 7 dicembre 2017, n. 55020 Presidente Romis – Relatore Pavich Ritenuto in fatto 1. Il Procuratore della Repubblica di Bologna ha presentato ricorso per cassazione avverso il provvedimento emesso il 20 giugno 2017 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Bologna in relazione al procedimento penale a carico di K.M. , in conseguenza della richiesta di emissione di decreto penale di condanna nei confronti del sunnominato, avanzata dall’Ufficio di procura felsineo con detto provvedimento, il giudicante, rigettata la richiesta, aveva disposto la restituzione degli atti al Pubblico ministero affinché valutasse la possibilità di chiedere l’archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto, ex art. 131-bis cod.pen 1.1. Nell’unico motivo di doglianza, il P.M. ricorrente - sulla scorta di principi affermati dalla giurisprudenza di legittimità - lamenta che, con tale provvedimento, il giudicante è incorso in un atto abnorme, nel senso che con esso si sono ecceduti i limiti entro i quali è consentito all’organo giudicante di respingere la richiesta di emissione del decreto penale di condanna e si è determinata un’indebita invasione della sfera di autonomia del Pubblico ministero in tema di esercizio dell’azione penale e di irretrattabilità di tale esercizio. 2. Nella sua requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, aderendo alla prospettazione e alle argomentazioni del P.M. ricorrente, ha affermato che, alla luce delle indicazioni tracciate dall’indirizzo giurisprudenziale richiamato nel ricorso, il provvedimento impugnato risulta abnorme per avere travalicato i limiti entro i quali il terzo comma dell’art. 459 cod.proc.pen. consente al giudice per le indagini preliminari di restituire gli atti al Pubblico ministero a seguito di richiesta di emissione di decreto penale di condanna pertanto, ritenuta la fondatezza del ricorso, ha concluso per l’annullamento senza rinvio del provvedimento impugnato, con restituzione degli atti a giudice a quo. Considerato in diritto 1. La questione proposta con il ricorso in esame riguarda la qualificabilità o meno come abnorme del provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari rigetti la richiesta di emissione di decreto penale di condanna e restituisca gli atti al pubblico ministero perché valuti se chiedere l’archiviazione per particolare tenuità del fatto. L’applicabilità o l’inapplicabilità della nozione di atto abnorme è rilevante in quanto il provvedimento emesso dal giudice per le indagini preliminari ai sensi dell’art. 459, comma 3, cod.proc.pen. è qualificato pacificamente come inoppugnabile, tanto dalla dottrina, quanto dalla giurisprudenza ex multis si rimanda a Sez. 6, Sentenza n. 45290 del 11/11/2008, Esposito, Rv. 242377 Sez. 4, Sentenza n. 3417 del 13/12/2005, dep. 2006, Kardhashi, Rv. 233243 . Perciò, nell’approfondimento della questione prospettata con il ricorso, si reputa necessario muovere dalla nozione di abnormità dell’atto ci si riferisce qui, essenzialmente, agli atti del giudice nelle sue varie declinazioni. 1.1. Tanto nell’attuale codice di rito, quanto nel precedente, non è dato rinvenire l’enunciazione di detta nozione la quale è frutto essenzialmente dell’elaborazione giurisprudenziale e - secondo accreditata dottrina - è nata proprio nell’intento di rispondere ad esigenze di giustizia sostanziale nei casi in cui l’applicazione della legge non condurrebbe a soluzioni soddisfacenti in tal senso. La Relazione al progetto preliminare del vigente Codice di procedura penale pag. 126 chiarisce infatti che è rimasta esclusa l’espressa previsione dell’impugnazione dei provvedimenti abnormi, attesa la rilevante difficoltà di una possibile tipizzazione e la necessità di lasciare sempre alla giurisprudenza di rilevarne l’esistenza e di fissarne le caratteristiche ai fini della impugnabilità. Se infatti, proprio per il principio di tassatività, dovrebbe essere esclusa ogni impugnazione non prevista, è vero pure che il generale rimedio del ricorso per cassazione consente comunque l’esperimento di un gravame atto a rimuovere un provvedimento non inquadrabile nel sistema processuale o adottato a fini diversi da quelli previsti dall’ordinamento . L’eccezionalità dell’istituto dell’abnormità, come ribadito da recente giurisprudenza Sez. 6, Sentenza n. 48760 del 06/12/2011, Mannino , è tesa a offrire un correttivo al suddetto principio della tassatività dei mezzi di impugnazione, nel senso che si è inteso apprestare il rimedio del ricorso per cassazione contro quei provvedimenti del giudice che, pur risultando affetti da anomalie genetiche o funzionali così radicali da non poter essere inquadrate in alcuno schema legale, non sono tuttavia impugnabili. Il ricorso per cassazione costituisce, dunque, l’unico strumento processuale utilizzabile per rimuovere gli effetti destabilizzanti, altrimenti non rimediabili, dell’atto abnorme . 1.2. Così precisati i principi generali in nome dei quali viene demandato all’elaborazione giurisprudenziale - e in primo luogo all’espletamento della funzione nomofilattica della Corte regolatrice - il compito di dare un contenuto alla nozione in esame e alla relativa disciplina, non pare opportuno attardarsi su una disamina casistica delle numerosissime e variegate ipotesi in cui si è affermata, o per converso si è esclusa, la natura di atto abnorme in riferimento a questa o a quella fattispecie concreta. Piuttosto, risulta assolutamente ineludibile il richiamo ai principi generali affermati in subiecta materia dalla giurisprudenza di legittimità ed in specie da quella a Sezioni Unite in ordine all’ ubi consistam della nozione di atto abnorme. 1.3. Un importante arresto, sotto questo profilo, è offerto dalla sentenza a Sezioni Unite Di Battista Sez. U, Sentenza n. 17 del 10/12/1997, dep. 1998, Rv. 209603 , secondo la quale è affetto da abnormità non solo il provvedimento che, per la singolarità e stranezza del contenuto, risulti avulso dall’intero ordinamento processuale, ma anche quello che, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite. L’abnormità dell’atto processuale può riguardare tanto il profilo strutturale, allorché l’atto, per la sua singolarità, si ponga al di fuori del sistema organico della legge processuale, quanto il profilo funzionale, quando esso, pur non estraneo al sistema normativo, determini la stasi del processo e l’impossibilità di proseguirlo in senso conforme vds. fra le altre Sez. U, Sentenza n. 26 del 24/11/1999, dep. 2000, Magnani, Rv. 215094 . Attraverso siffatto intervento della giurisprudenza apicale sono stati tracciati i contorni generali della nozione di abnormità nella sua duplice accezione di abnormità strutturale o funzionale riferita, cioè, alla radicale estraneità dell’atto all’ordinamento processuale ovvero all’atto che, pur contemplato da esso ordinamento, venga adottato secondo finalità o modalità incompatibili con la sua funzione, o determini un’indebita paralisi o un’altrettanto indebita regressione del procedimento. 1.4. Frattanto, la dottrina più avveduta non ha mancato di mettere in guardia dall’ eccessiva dilatazione dei confini della patologia de qua , tesa alla immediata rimozione dei provvedimenti soltanto non inquadrabili e non rimediabili e/o non condivisi ciò che mal si concilia, pervero, con la natura eccezionale e derogatoria e con la funzione - per così dire - di chiusura attribuita all’istituto e che, in definitiva, ne giustifica la stessa esistenza. 1.5. Più di recente, vi è stata un’ulteriore elaborazione giurisprudenziale che ha in qualche misura ristretto il perimetro della nozione di atto abnorme un’elaborazione che ha trovato compiuta espressione nella sentenza a Sezioni Unite Toni Sez. U, Sentenza n. 25957 del 26/03/2009 , in cui si è affermato che l’abnormità, più che rappresentare un vizio dell’atto in sé, da cui scaturiscono determinate patologie sul piano processuale, integra - sempre e comunque - uno sviamento della funzione giurisdizionale, la quale non risponde più al modello previsto dalla legge, ma si colloca al di là del perimetro entro il quale è riconosciuta dall’ordinamento dopo avere chiarito che abnormità strutturale e funzionale si saldano, in definitiva, all’interno di un fenomeno unitario dato dalla carenza o assenza di potere del giudice che ha adottato il provvedimento ciò che contraddistingue l’abnormità dell’atto rispetto alla non abnormità è proprio l’esistenza o meno del potere di adottarlo , le Sezioni Unite affrontano un passaggio di fondamentale importanza, su un punto che non ha mancato e non manca di alimentare il dibattito tra dottrina e giurisprudenza ossia sulla natura derogatoria dell’istituto dell’abnormità, che costituisce eccezione al principio di tassatività che governa sia le nullità, sia la materia delle impugnazioni. Nella sentenza in commento si legge infatti che la categoria dell’abnormità presenta indubbi caratteri di eccezionalità, in relazione alla deroga che viene attuata sia rispetto al principio di tassatività delle nullità art. 177 cod. proc. pen. , sia rispetto al principio di tassatività dei mezzi di impugnazione art. 568 cod. proc. pen. . Di tal che non appare . conforme al sistema, per le caratteristiche di assoluta tipicità e residualità del fenomeno, dilatare il concetto di abnormità, per non utilizzarlo impropriamente per far fronte a situazioni di illegittimità considerate altrimenti non inquadrabili né rimediabili . La sentenza a Sezioni Unite Toni delinea perciò, sulla base di siffatte premesse sistematiche, le conseguenti applicazioni della nozione di abnormità per quel che concerne i rapporti tra giudice e pubblico ministero, di particolare interesse ai fini della soluzione da dare alla questione sottoposta all’esame di questo Collegio applicazioni che confinano l’ipotesi dell’abnormità strutturale al caso di esercizio da parte del giudice di un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale carenza di potere in astratto o di deviazione del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale nel senso di un esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite carenza di potere in concreto . Con riguardo all’abnormità funzionale riscontrabile nel caso di stasi del processo e di impossibilità di proseguirlo, essa secondo le Sezioni Unite va limitata all’ipotesi in cui il provvedimento giudiziario imponga al pubblico ministero un adempimento che concretizzi un atto nullo rilevabile nel corso del futuro del procedimento o del processo , mentre negli altri casi il P.M. è tenuto ad osservare i provvedimenti emessi dal giudice . 2. La premessa fin qui illustrata, relativa alla nozione di atto abnorme e ai relativi limiti, si appalesa doverosa in ragione della centralità che detta nozione riveste nella questione prospettata dall’Ufficio di procura felsineo. Su tale questione si registrano, nella giurisprudenza di legittimità, due divergenti indirizzi. 2.1. Secondo un primo indirizzo, corrispondente a quello richiamato nel ricorso e nella requisitoria scritta dal Procuratore Generale presso la Corte, deve affermarsi l’abnormità di provvedimenti del tipo di quello oggetto dell’odierno ricorso, sul rilievo che le sole e diverse ipotesi in cui l’ordinamento prevede espressamente la possibilità di restituzione degli atti al P.M. in seguito a richiesta di decreto penale di condanna sono quelle di cui all’art. 459, comma 3, cod.proc.pen., che, secondo la richiamata giurisprudenza, sono quelle relative a profili di legittimità del rito, di qualificazione giuridica del fatto o di idoneità ed adeguatezza della pena con riferimento al caso concreto - tra cui non rientra, quindi, quella in esame , mentre nella specie alcuna discrezionalità potrebbe essere attribuita al giudice a seguito di quella particolare forma di esercizio dell’azione penale che è la richiesta di decreto penale di condanna di cui all’art. 459, comma 1, cod.proc.pen. il principio in esame è affermato ex multis, sostanzialmente nei termini appena riassunti, da Sez. 6, Sentenza n. 23829 del 12/05/2016, C., Rv. 267272 e da Sez. 3, Sentenza n. 8288 del 25/11/2009 - dep. 2010, Russo, Rv. 246333 . Ancor più recentemente, all’orientamento in parola ha altresì aderito Sez. 1, Sentenza n. 15272 del 21/12/2016, dep. 2017, Allocco, Rv. 269464, in una fattispecie che in questa sede risulta di particolare interesse, in quanto sovrapponibile a quella oggi in esame anche in quel caso, infatti, il giudice per le indagini preliminari, nel rigettare la richiesta di emissione di decreto penale di condanna restituendo gli atti al P.M., aveva affermato in motivazione che la condotta contestata poteva rientrare, alla luce dei criteri fissati dall’art. 131-bis cod. pen. tra le ipotesi di particolare tenuità. Nell’annullare senza rinvio il provvedimento, la 1 Sezione ha qualificato come abnorme il provvedimento con il quale il Gip, investito della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, disponga la restituzione degli atti al Pubblico Ministero, sulla base di una ipotetica valutazione circa l’applicabilità della causa di non punibilità prevista dall’art. 131 bis cod. pen. ed avuto riguardo alle peculiarità del procedimento per decreto si è affermato nella sentenza in commento che, in conseguenza della richiesta di emissione del decreto penale di condanna, non viene ad instaurarsi alcuna forma di contraddittorio, laddove viceversa quest’ultimo è coessenziale all’istituto della particolare tenuità del fatto, che presenta effetti non pienamente liberatori per il giudicabile di tal che, conclude la pronunzia in esame, nel caso in cui fosse ritenuta ravvisabile la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod.pen., non sarebbe consentito al giudice procedente di emettere sentenza di proscioglimento ex art. 129 cod.proc.pen. mentre l’interessato avrebbe comunque la facoltà di far valere la non punibilità per particolare tenuità del fatto in conseguenza dell’opposizione al decreto penale di condanna. 2.2. A fronte dell’orientamento fin qui illustrato, ve n’è uno difforme, che questo Collegio ritiene di condividere si richiamano qui le recenti Sez. 4, n. 48888 del 25.10.2016, Bouraya Sez. 4, n. 48886 del 25.10.2016, Gagliardi Sez. 4, n. 10209 del 04.02.2016, Parola, tutte non massimate e che muove, a sua volta, dal consolidato indirizzo giurisprudenziale in base al quale non può considerarsi abnorme il provvedimento con il quale il G.i.p. rigetta la richiesta di emissione del decreto penale di condanna, disponendo la restituzione degli atti al P.M., salvo che il provvedimento sia fondato esclusivamente su ragioni di opportunità in tal senso si vedano ex multis Sez. 4, n. 45683 del 18/09/2014, Mirra, Rv. 261063 Sez. 6, Sentenza n. 36216 del 27/06/2013, Galati, Rv. 256331 Sez. 4, Sentenza n. 40513 del 06/10/2010, Sabbatino, Rv. 248857 . Secondo l’orientamento in parola, sul piano generale, il rigetto della richiesta di emissione di decreto penale di condanna è un atto previsto dal codice di rito e, quindi, corretto sotto il profilo strutturale, trovando specifico riscontro normativo nell’art. 459, comma 3, cod.proc.pen. né esso crea alcuna situazione di stallo processuale, potendo l’organo inquirente rinnovare la richiesta, all’esito della verifica suggerita, o comunque promuovere l’azione penale attraverso l’emissione di un decreto di citazione Sez. 6^, n. 36216 del 27/6/2013 Rv. 256331 Sez. 4^, n. 40513 del 06/10/2010 Rv. 248857 Sez. 6^, n. 45290 del 11/11/2008 Rv. 242377 . Con specifico riguardo al decreto con il quale il G.i.p., restituendo gli atti al P.M., lo inviti a valutare la sussistenza o meno della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod.pen., l’indirizzo di che trattasi esclude che possa parlarsi di provvedimento fondato esclusivamente su ragioni di opportunità e dunque abnorme , essendovi unicamente una sollecitazione rivolta al P.M. a valutare la possibilità di chiedere l’archiviazione per particolare tenuità del fatto istituto previsto dalla disciplina introdotta con il d.lgs. n. 28/2015 e, segnatamente, dall’art. 411, comma 1-bis, cod.proc.pen. in relazione a una fattispecie di reato per la quale detta causa di non punibilità è astrattamente ipotizzabile. Ben diverse sono le ipotesi nelle quali la Corte di legittimità ha ritenuto abnorme il provvedimento con cui il Giudice per le indagini preliminari ha rigettato la richiesta del P.M. per mere ragioni di opportunità ragioni, ad esempio, legate alla separazione delle posizioni personali degli indagati e alla richiesta del Pubblico Ministero di procedere con decreto penale di condanna nei confronti di uno di essi Sez. 3^, n. 16826 del 20/03/2007 dep. 03/05/2007, Rv. 236810 ovvero riferite all’ipotesi, anch’essa non assimilabile al caso in esame, in cui il rigetto era stato motivato dal G.i.p. in base all’assunto per il quale, non avendo l’imputato inteso avvalersi della possibilità di definire in via amministrativa l’illecito contestatogli così manifestando la volontà di richiedere la verifica dibattimentale, il decreto penale sarebbe stato sicuramente oggetto di opposizione, risolvendosi quindi in un inutile dispendio di attività giurisdizionale Sez. 3^, n. 8288 del 25/11/2009 . 3. Così brevemente sintetizzate le due divergenti posizioni assunte dalla Corte di legittimità sulla questione sottoposta oggi al vaglio di questo Collegio, è ora necessario verificare la riferibilità della nozione di atto abnorme alla decisione qui impugnata. Quest’ultima è costituita dal mancato accoglimento, da parte del giudice per le indagini preliminari, della richiesta di emissione di decreto penale di condanna, motivato con l’esigenza che il pubblico ministero valuti l’applicabilità, alla fattispecie di reato per cui si procede, della causa di non punibilità della particolare tenuità del fatto art. 131-bis cod.pen. . 3.1. Ad avviso del Collegio, e tenuto conto delle varie accezioni della nozione di atto abnorme accolte dalla richiamata giurisprudenza apicale, l’ipotizzata abnormità del provvedimento impugnato non sarebbe in primo luogo ascrivibile all’esercizio, da parte del giudice, di un potere non attribuitogli dall’ordinamento processuale, giacché detto potere - quello cioè di rigettare la richiesta di emissione di decreto penale di condanna avanzata dal P.M. - gli è espressamente conferito dall’art. 459, comma 3, cod.proc.pen Neppure sembra potersi fare questione di un’ipotetica abnormità del provvedimento come impositivo di un adempimento del P.M. tale da concretizzare un atto nullo rilevabile nel corso del futuro del procedimento o del processo non è dato infatti ravvisare profili di nullità in alcuna delle determinazioni che l’organo requirente potrebbe adottare in conseguenza della sollecitazione del G.i.p. ad esaminare l’eventuale configurabilità della particolare tenuità del fatto. Si tratterebbe invece di stabilire se, nel censurato provvedimento, sia ravvisabile uno sviamento rispetto allo scopo che è ad esso attribuibile in base al modello legale. 3.2. Rispetto all’indirizzo che qualifica la decisione impugnata come abnorme, sulla scorta delle argomentazioni di cui si è dato conto in precedenza e che qui si intendono richiamate, questo Collegio propende, come detto, per l’opposto orientamento, sulla base di una serie di considerazioni che qui si riassumono. In primo luogo, deve osservarsi che, in tutte le principali pronunzie della Corte nelle quali, in casi analoghi, si è ravvisata l’abnormità del provvedimento del G.i.p., nel riconoscere a quest’ultimo i poteri derivanti dal terzo comma dell’art. 459 cod.proc.pen., si esclude che tali poteri possano essere esercitati esclusivamente sulla base di mere ragioni di opportunità cfr. le già citate Sez. 6, Sentenza n. 23829 del 12/05/2016, Rv. 267272 Sez. 3, Sentenza n. 8288 del 25/11/2009 - dep. 2010 -, Rv. 246333 il che, pervero, non costituisce in sé motivo di divergenza fra i due opposti indirizzi. Solo che l’orientamento che qui si avversa estende l’area dei motivi di mera opportunità, tali da concretare l’abnormità della decisione in esame, anche alla sollecitazione del G.i.p. acché il P.M. valuti se nella fattispecie ricorra la causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod.pen., per le ragioni che si sono ricordate e che si ritrovano compiutamente nella motivazione della già citata Sez. 1, Sentenza n. 15272 del 21/12/2016 . Viceversa questo Collegio ritiene, innanzitutto, che la restituzione degli atti al Pubblico ministero affinché valuti se sussista o meno la causa di non punibilità per particolare tenuità del fatto non possa ricondursi a una valutazione di mera opportunità del procedimento monitorio da parte dell’organo giudicante ed esclude, altresì, che detta decisione si collochi nell’area dell’abnormità come tracciata dalla Corte nella sua più autorevole espressione, con la richiamata sentenza a SS.UU. Toni Si sono già richiamate sinteticamente le ragioni in base alle quali non pare che la sollecitazione al P.M. tesa a prospettargli una ri valutazione della fattispecie alla luce dell’art. 131-bis cod.pen. possa liquidarsi come mossa esclusivamente da ragioni di opportunità. 3.3. Possono peraltro svolgersi, al riguardo, ulteriori brevi considerazioni. Ai sensi dell’art. 459, comma 3, cod.proc.pen., ad avviso di questo Collegio, ci si muove qui in un’area nettamente distinta rispetto a quella in cui il giudicante, a fronte della richiesta avanzata dal Pubblico ministero ai sensi del primo comma dello stesso art. 459, deve pronunciare sentenza di immediato proscioglimento ex art. 129 del codice di rito lo si ricava agevolmente dalla lettura della disposizione in esame, laddove si stabilisce che il giudice restituisce gli atti al pubblico ministero quando non accoglie la richiesta di emissione del decreto penale di condanna e sempreché non debba pronunciare sentenza di proscioglimento a norma dell’articolo 129 cod.proc.pen Una volta esclusa quest’ultima, particolare ipotesi che in questo caso all’evidenza non ricorre , residua un’area nella quale il giudicante, nondimeno, non ritiene di accogliere la mozione del P.M., tesa all’emissione del decreto penale di condanna, e gli restituisce gli atti. In siffatte ipotesi peraltro, come ricordato sia dalla dottrina che dalla giurisprudenza, incorre nell’abnormità il giudice che sostituisca arbitrariamente il proprio criterio di valutazione a quello istituzionalmente attribuito all’accusa cfr. ad esempio Sez. 6, Sentenza n. 38370 del 12/06/2014, Mancrasso, Rv. 260177, in cui la Corte ha annullato il provvedimento impugnato che aveva motivato il rigetto in base all’assunto per il quale la gravità della condotta rendeva prevedibile l’opposizione e la verifica dibattimentale mentre ad esempio, viceversa, è stata esclusa l’abnormità del provvedimento di restituzione degli atti giustificata dalla necessità di approfondimenti istruttori cfr. Sez. 6, Sentenza n. 36216 del 27/06/2013, Galati, Rv. 256331 , o dalla insussistenza dei presupposti per la sostituzione della pena detentiva con quella pecuniaria Sez. 6, Sentenza n. 6663 del 01/12/2015, dep. 2016, R., Rv. 266111 , o dalla valutazione di incongruità della pena richiesta in relazione alla gravità della violazione contestata Sez. 4, Sentenza n. 45683 del 18/09/2014, Mirra, Rv. 261063 . 3.4. Con più specifico riferimento alla fattispecie oggetto del ricorso in esame, non vi è in primo luogo, a ben vedere, una sovrapposizione di una valutazione del giudicante rispetto a quella del P.M., ma unicamente un invito, rivolto a quest’ultimo, affinché valuti la sussistenza o meno della causa di non punibilità di cui all’art. 131-bis cod.pen. e, in caso affermativo, richieda l’archiviazione nelle forme e nei modi di cui all’art. 411, comma 1-bis, del codice di rito, con ciò che ne consegue sotto la specie dell’instaurazione, in tal caso, del sub-procedimento ivi previsto e del relativo contraddittorio tra le parti, necessario anche in relazione alle conseguenze pregiudizievoli che dalla declaratoria di non punibilità in esame deriverebbero allo stesso giudicabile. La valutazione del G.i.p. si è in sostanza limitata, nel caso di che trattasi, a un esame dell’astratta applicabilità alla fattispecie concreta dell’istituto della particolare tenuità del fatto, ferme restando le ulteriori valutazioni in concreto, tanto dell’organo requirente, quanto di quello giudicante, nello spazio di discrezionalità consentito dall’art. 131-bis cod.pen. e precisato da Sez. U, Sentenza n. 13681 del 25/02/2016, Tushaj, Rv. 266590. Non sembra neppure che l’abnormità ravvisata dall’orientamento qui avversato possa scorgersi nel fatto che, nella fattispecie in esame, l’esercizio dell’azione penale sia avvenuto attraverso la richiesta del rito monitorio, che di per sé si svolge al difuori di ogni contraddittorio al di là, infatti, di ogni considerazione circa la legittimità o meno del provvedimento del giudice qui ricorso, quest’ultimo non può ritenersi eo ipso abnorme e, perciò, ricorribile per cassazione per il solo fatto di contrapporsi all’esercizio dell’azione penale nelle forme di cui all’art. 459 cod.proc.pen., atteso che, come si è detto, è lo stesso ordinamento ad assegnare all’organo giudicante, nella sua funzione di controllo, il potere di non accogliere la richiesta del P.M. e di restituirgli gli atti né pare potersi pervenire, per le ragioni che si sono dianzi illustrate, a una diversa conclusione per effetto di una sollecitazione, indirizzata allo stesso organo requirente, a valutare la ricorrenza o meno della causa di non punibilità più volte evocata valutazione che - lo si ripete - non risponde a una mera logica di opportunità, o di inopportunità del rito monitorio, atteso che essa postula una disamina della fattispecie concreta alla luce di un ben preciso dettato legislativo ed in un perimetro di discrezionalità rigorosamente delineato dal legislatore e dalla giurisprudenza apicale di legittimità. 3.5. Su tali ampie basi si ritiene che il raffronto fra la fattispecie in esame e il dictum della più volte citata sentenza a Sezioni Unite Toni non consenta di qualificare come abnorme il provvedimento impugnato la citata pronunzia apicale, invero, oltre a porre l’accento sull’eccezionalità della nozione di abnormità, evidenzia per quanto qui d’interesse che può parlarsi di carenza di potere in concreto solo allorquando lo sviamento del provvedimento giudiziale rispetto allo scopo di modello legale, attraverso l’esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, si traduca in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite situazione che, per quanto finora detto, non pare ravvisabile nel caso in esame. 4. A fronte, peraltro, del sopra delineato contrasto di orientamenti giurisprudenziali, si ravvisano le condizioni per devolvere la questione alle Sezioni Unite, a norma dell’art. 618, comma 1, cod.proc.pen., il cui intervento chiarificatore si impone, nel sistema processuale, quale corollario della funzione nomofilattica di cui la Corte di legittimità è depositaria soprattutto nella sua più autorevole composizione, nel perseguimento della tendenziale uniformità della giurisprudenza. Nella specie, il dictum del Consesso apicale potrà fornire indicazione, in relazione agli aspetti come sopra evidenziati, circa la soluzione da dare alla seguente questione se sia qualificabile come abnorme e, pertanto, ricorribile per cassazione, il provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, non accogliendo la richiesta di emissione di decreto penale di condanna, disponga la restituzione degli atti al Pubblico ministero affinché questi valuti la possibilità di chiedere l’archiviazione del procedimento per particolare tenuità del fatto, ex art. 131-bis cod.pen. . P.Q.M. Rimette il ricorso alle Sezioni Unite.