Il furto nell’ufficio di una carrozzeria è furto in privata dimora

Il furto avvenuto all’interno di un locale di un’officina meccanica, adibito ad ufficio ed estraneo all’attività principale vera e propria, configura il reato di cui all’art. 624-bis c.p. Furto in abitazione e furto con strappo , essendo l’ufficio in questione privata dimora.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 54492/17, depositata il 7 dicembre. Il caso. La Corte d’Appello di Venezia confermava la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Rovigo nei confronti di un imputato riconosciuto responsabile del reato di cui all’art. 624- bis c.p. Furto in abitazione e furto con strappo , essendosi questi impossessato di alcuni oggetti custoditi nell’ufficio di una carrozzeria. Avverso la sentenza della Corte d’Appello, l’imputato ricorre per cassazione dolendosi della qualificazione del fatto ai sensi del citato articolo, dovendosi escludere che l’ufficio di un’officina meccanica possa considerarsi privata dimora. Gli elementi caratterizzanti la privata dimora. Il Supremo Collegio riassumendo gli elementi caratterizzanti il concetto di privata dimora, ossia l’utilizzazione del luogo per lo svolgimento di attività proprie della vita privata, la durata apprezzabile della stabilità del rapporto tra luogo e persona nonché la non accessibilità del luogo da parte di terzi senza il consenso del titolare, riconosce la sussistenza di tali elementi nell’ufficio in questione, essendo tale locale appartato – e ad uso esclusivo del titolare – rispetto all’officina in cui si svolgeva l’attività lavorativa principale. Conclusivamente, va affermato che costituisce luogo di privata dimora, ai fini della configurabilità del reato di furto di cui all’art. 624- bis c.p., l’ufficio interno ad una impresa artigiana, distinto dal luogo di vero e proprio svolgimento dell’attività lavorativa, siccome riservato al titolare della medesima e funzionale al compimento di atti della vita privata svolgimento di attività amministrative, contatti con i clienti o altre relazioni personali, conversazioni telefoniche, momenti di riposo , sia pure non domestica e familiare . Pertanto la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 24 ottobre – 7 dicembre 2017, numero 54992 Presidente Blaiotta – Relatore Menichetti Ritenuto in fatto 1. Con sentenza in data 30 giugno 2016 la Corte d’Appello di Venezia confermava la condanna resa dal Tribunale di Rovigo nei confronti di K.M. quale responsabile del reato di cui all’art. 624 bis c.p., aggravato dalla recidiva specifica reiterata infraquinquennale, per essersi impossessato di un tablet e di un portafogli custoditi nell’ufficio ubicato all’interno dell’officina meccanica di proprietà di M.D La Corte territoriale riteneva accertata la dinamica del fatto alla luce delle dichiarazioni della persona offesa, che si era posta all’inseguimento dell’imputato, dopo averlo visto uscire dalla propria officina, riuscendo così a fermarlo ed a recuperare il tablet ed il portafogli contenente documenti ma non denaro. Considerava poi corretta la qualificazione dal fatto ai sensi dell’art. 624 bis c.p., rilevando che l’ufficio di un’impresa artigiana era indubbiamente destinato sia allo svolgimento di pratiche amministrative sia al riposo ed alle relazioni umane, in quanto posto in zona riservata rispetto al resto del capannone, utilizzato per lo svolgimento dell’attività lavorativa di riparazione di autoveicoli. 2. Ha proposto ricorso per cassazione l’imputato personalmente, affidando poi al difensore di fiducia la redazione dei motivi, con i quali si contesta, sotto il profilo della violazione di legge e del vizio motivazionale, il giudizio di responsabilità, basato unicamente sulle dichiarazioni della persona offesa, e la qualificazione del fatto ai sensi dell’art. 624 bis c.p., dovendosi escludere che l’ufficio interno alla carrozzeria costituisca luogo di privata dimora. Considerato in diritto 1. Il ricorso non è fondato. 2. La Corte di Venezia ha ricostruito la dinamica del fatto dopo aver correttamente e diffusamente analizzato le risultanze istruttorie, evidenziando che il M. aveva visto l’imputato dapprima entrare nell’ufficio sito all’interno dell’officina, quindi uscirne con il tablet in mano ed allontanarsi in bicicletta, e dopo avergli intimato invano di fermarsi lo aveva seguito in macchina ed era riuscito a bloccarlo, urtandolo lievemente con l’auto e facendolo cadere a terra, ed in quel momento aveva notato che il ragazzo aveva in mano anche il suo portafogli. Si tratta di una motivazione immune da censure, non sindacabile in sede di legittimità, poiché frutto del ragionato apprezzamento del materiale probatorio, di esclusiva competenza del giudice di merito. Univoca e costante è del resto la giurisprudenza di questa Corte Suprema nell’affermare che il controllo del giudice di legittimità sui vizi della motivazione attiene alla coerenza strutturale della decisione, di cui si verifica l’effettiva tenuta sotto il profilo logico-argomentativo, restando precluse invece sia la rilettura degli elementi di fatto posti a fondamento della decisione, sia l’autonoma adozione di nuovi e diversi parametri di valutazione e ricostruzione della condotta illecita. Nel caso di specie giova poi rimarcare che la tesi difensiva alternativa proposta dalla difesa del K. - la quale aveva sostenuto una sorta di accusa calunniatoria da parte del M. per sminuire la sua responsabilità rispetto al sinistro stradale che aveva provocato - è stata vagliata dalla Corte di Appello, che con ineccepibile giudizio logico l’ha ritenuta non credibile, sia per l’immediato ritrovamento dei beni sottratti, sia perché il M. si era subito assunto la responsabilità dell’aver provocato la caduta dell’imputato dalla bicicletta. 3. Con il secondo motivo il ricorrente contesta la qualificazione della condotta come integrativa della fattispecie di furto di cui all’art. 624 bis c.p Il furto era avvenuto nel locale ad uso ufficio, situato all’interno dell’officina meccanica ove la persona offesa svolgeva la propria attività. La Corte di Venezia, dopo aver premesso che la nozione di luogo di privata dimora è più ampia di quella di abitazione e riguarda un luogo destinato anche ad attività personali, ha affermato che l’ufficio di un’impresa artigiana è destinato sia allo svolgimento di pratiche amministrative sia al riposo ed alle relazioni umane, in quanto posto in una zona riservata rispetto al resto del capannone, dove invece viene svolta l’attività di riparazione degli autoveicoli. Il ragionamento è corretto. 2. Con una recente pronuncia le Sezioni Unite di questa Corte hanno affermato che ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’art. 624 bis c.p., i luoghi di lavoro non rientrano nella nozione di privata dimora, salvo che il fatto sia avvenuto all’interno di un’area riservata alla sfera privata della persona offesa. Rientrano nella nozione di privata dimora di cui all’art. 624 bis c.p. esclusivamente i luoghi, anche destinati ad attività lavorativa o professionale, nei quali si svolgono non occasionalmente atti della vita privata, e che non siano aperti al pubblico né accessibili a terzi senza il consenso del titolare S.U., numero 31345 del 23/03/2017, D’Amico, Rv.270076 . La questione controversa, sottoposta alle Sezioni Unite, era se, ed eventualmente a quali condizioni, ai fini della configurabilità del delitto previsto dall’art. 624 bis c.p., i luoghi di lavoro potessero rientrare nella nozione di privata dimora , e la soluzione data nella indicata sentenza ha comportato quindi la definizione corretta di tale nozione, che si era prestata ad interpretazioni differenti ed anche tra loro contrastanti, soprattutto con riferimento ai luoghi di svolgimento di attività lavorative. Partendo dal tenore letterale della norma, le Sezioni Unite hanno in primo luogo affermato che la nozione di privata dimora è più ampia di quella di abitazione e si riferisce al luogo in cui una persona, che non vi risiede in modo stabile, attualmente abita e permane, e dunque il luogo, sia esso edificio od altro, destinato a privata dimora è quello che sia stato adibito ad atti della vita privata, ancorché non familiare o domestica. Si sono poi soffermate sulle caratteristiche di un tale luogo, ed hanno escluso che potessero ravvisarsi nel mero svolgimento di atti della vita privata, evidenziando che la ratio dell’art. 624 bis c.p. era stata quella di rafforzare la tutela del domicilio non tanto nella sua consistenza oggettiva, quanto nel suo essere protezione spaziale della persona, cioè ambito primario ed imprescindibile alla libera estrinsecazione della personalità individuale così la relazione governativa al disegno di legge numero 5925, cui poi ha fatto seguito l’approvazione della legge 26 marzo 2001, numero 128, che ha introdotto la nuova fattispecie delittuosa in esame . Dunque, l’ampliamento dell’ambito di applicabilità della nuova fattispecie anche a luoghi che non possono considerarsi abitazione in senso stretto, era stato dettato, da un lato, dalla necessità di superare le incertezze manifestatesi in giurisprudenza in ordine alla definizione della nozione di abitazione e, dall’altro, di tutelare l’individuo anche nel caso in cui compia atti della sua vita privata al di fuori dell’abitazione, in luoghi però che ne presentino le medesime caratteristiche in termini di riservatezza e, conseguentemente, di non accessibilità da parte di terzi, senza il consenso dell’avente diritto. Già in precedenza le Sezioni Unite - analizzando la nozione di domicilio ricavabile dall’art. 614 c.p. e la più estesa portata di quella contenuta nell’art. 14 Cost. secondo l’interpretazione data dalla Consulta nelle sentenze numero 135 del 2002 e numero 149 del 2008 - si erano espresse nel senso che il concetto di domicilio individuasse un rapporto tra una persona ed un luogo, generalmente chiuso, in cui si svolgesse la vita privata, in modo da garantire la riservatezza di chi lo occupa, sottraendolo dalle ingerenze esterne, rapporto tale da giustificare la tutela anche in assenza della persona. In altre parole la vita personale che vi si svolge, anche se per un periodo di tempo limitato, fa sì che il domicilio diventi un luogo che esclude violazioni intrusive, indipendentemente dalla presenza della persona che ne ha la titolarità, perché il luogo rimane connotato dalla personalità del titolare, sia questo o meno presente S.U., numero 26795 del 28/03/2006, Prisco, Rv. 234269 . Tale pronuncia ha dato quindi rilievo - come elemento caratterizzante la nozione di privata dimora - al requisito della stabilità, ribadendo che è solo questa, anche se intesa in senso relativo, che può trasformare un luogo in un domicilio, nel senso che può fargli acquistare un’autonomia rispetto alla persona che ne ha la titolarità . È stata così delineata la nozione di privata dimora sulla base dei seguenti indefettibili elementi a utilizzazione del luogo per lo svolgimento di manifestazioni di vita privata, quali riposo, svago, alimentazione, studio, attività professionale e di lavoro in genere, in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne b durata apprezzabile del rapporto tra il luogo e la persona, in modo che tale rapporto sia caratterizzato da una certa stabilità e non da mera occasionalità c non accessibilità del luogo, da parte di terzi, senza il consenso del titolare. 4. Le linee così tracciate dalle Sezioni Unite sul concetto di privata dimora vanno applicate al caso in oggetto, in cui il furto è avvenuto in un ufficio sito all’interno di un luogo di lavoro, nella specie un’officina meccanica. Appare di immediata evidenza che un’officina meccanica è un luogo accessibile ad una pluralità indeterminata di soggetti, anche senza il preventivo consenso del titolare, e dunque restano ad esso estranei i concetti di riservatezza e tutela della sfera privata dell’individuo. A differenti conclusioni deve invece pervenirsi allorquando all’interno del più ampio locale o capannone adibito ad officina, vi sia una zona ben individuata e delimitata, quale un ufficio o una stanza, in cui il titolare compia atti della vita privata, precludendone l’accesso a terzi non autorizzati. Nel fattispecie in esame è stato accertato che l’imputato, per perpetrare il furto, si era introdotto all’interno dell’ufficio privato del M. , in un locale appartato rispetto alla vera e propria officina ove si svolgeva l’attività lavorativa di riparazione degli autoveicoli, ed in uso esclusivo al titolare, e dunque destinato al rapporto riservato con le persone, primi fra tutti i clienti, alle pratiche amministrative, a contatti telefonici, ed anche a momenti di riposo durante la giornata. Si configurano pertanto gli elementi caratterizzanti la privata dimora delineati dalle Sezioni Unite, ovvero l’utilizzazione da parte del M. del proprio ufficio, fisicamente distinto dal resto dell’officina, in modo riservato ed al riparo da intrusioni esterne lo stabile e non occasionale rapporto tra il titolare dell’officina ed il proprio ufficio la non accessibilità dell’ufficio medesimo se non con il consenso del titolare, trattandosi di un locale da questi utilizzato in via esclusiva e non aperto all’ingresso di chiunque. Conclusivamente va affermato che costituisce luogo di privata dimora, ai fini della configurabilità del reato di furto di cui all’art. 624 bis c.p., l’ufficio interno ad una impresa artigiana, distinto dal luogo di vero e proprio svolgimento dell’attività lavorativa, siccome riservato al titolare della medesima e funzionale al compimento di atti della vita privata svolgimento di pratiche amministrative, contatti con i clienti o altre relazioni personali, conversazioni telefoniche, momenti di riposo , sia pure non domestica e familiare. 5. Alla luce di tali considerazioni il ricorso deve essere rigettato ed il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.