Provvedimento di custodia cautelare in carcere: per il ricorso in Cassazione possono farsi valere solo specifici vizi

Con il ricorso in Cassazione avverso il provvedimento di fermo e di custodia cautelare in carcere possono dedursi esclusivamente i vizi di legittimità, pena l’infondatezza del ricorso.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 54694/17, depositata il 5 dicembre. Il caso. Il GIP del Tribunale di Lametia Terme convalidava il fermo disposto dalla Procura a carico di numerosi indagati, per i reati di associazione mafiosa, estorsione, illecita detenzione di armi da fuoco e associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, disponendo altresì la misura cautelare di custodia in carcere. Avverso il provvedimento di convalida ricorre uno tra gli indagati, lamentando il difetto del presupposto del pericolo di fuga ex art. 391, comma 4, c.p.p. Udienza di convalida , idoneo a legittimare l’adozione della custodia cautelare in carcere. Inoltre, per il ricorrente il provvedimento d’urgenza non può giustificarsi in base al presunto pericolo generalizzato di fuga degli indagati individuato dal Giudice di merito, poiché tale pericolo deve valutarsi nei confronti di ogni singolo indagato. Il ricorso per cassazione contro il provvedimento di convalida. Il Supremo Collegio, pur riconoscendo che esiste un interesse dell’indagato ad impugnare il provvedimento di fermo che disponga la contestuale applicazione della misura di custodia cautelare in carcere, evidenzia che in sede di ricorso per cassazione avverso tale provvedimento possono dedursi solamente vizi di legittimità. Diversamente, nel caso di specie, i vizi di colpevolezza non possono dedursi innanzi alla Suprema Corte, potendosi richiedere alla medesima la sola valutazione del processo logico che ha portato il giudice ad adottare il provvedimento. Ebbene, il vizio dedotto dal ricorrente quanto all’insussistenza di idonea motivazione sul presupposto del pericolo di fuga, perché ritenuto non individualizzante”, rientra proprio nel novero delle deduzioni che si pongono ai limiti del campo di inammissibilità delineato, lamentandosi non già un’illogicità della motivazione adottata, bensì la valutazione di fatto esposta dal GIP sulla sufficienza del complessivo quadro di pericolosità a cui agganciare il rischio di fuga, presupposto del fermo . In aggiunta, l’argomentazione avanzata dal ricorrente risulta astratta ed insufficiente nel suo contenuto, avendo invece il giudice ancorato le proprie motivazioni, relative al pericolo di fuga, su elementi fattuali precisi . Pertanto la Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 3 ottobre – 5 dicembre 2017, n. 54694 Presidente Sabeone – Relatore Brancaccio Ritenuto in fatto 1. Con l’ordinanza impugnata il GIP presso il Tribunale di Lametia Terme ha convalidato il fermo disposto dalla locale Procura a carico di numerosi indagati, tra i quali l’odierno ricorrente C.A. , per reati di associazione mafiosa, estorsione, illecita detenzione e porto di armi da fuoco, nonché associazione finalizzata al traffico di sostanze stupefacenti, disponendo misura cautelare custodiale in carcere e dichiarando la propria incompetenza ex art. 27 cod. proc. pen., trasmettendo gli atti al Tribunale distrettuale Catanzaro. 2. Avverso detto provvedimento di convalida del fermo ricorre il difensore di C.A. , ai sensi dell’art. 391, comma 4, cod. proc. pen., lamentando il difetto del presupposto del pericolo di fuga, nella motivazione addotta in sede di ordinanza di convalida. In particolare, le ragioni giustificative della convalida del provvedimento restrittivo d’urgenza sarebbero insufficienti, perché non individualizzate rispetto a ciascun soggetto coinvolto nelle indagini, e, dunque, rispetto al ricorrente, bensì collegate al pericolo complessivo di fuga derivante dall’appartenenza di tutti gli indagati all’associazione mafiosa di riferimento, definita normalmente adusa a fornire assistenza agli associati. Inoltre, anche la circostanza fondante la motivazione di convalida, e riferita alla conoscenza da parte degli indagati delle indagini a loro carico, sarebbe inconferente, potendosi, anzi, da essa desumere l’insussistenza del presupposto di cui all’art. 384 cod. proc. pen All’odierna udienza, il difensore del ricorrente, avv. Veneziano, come risulta dal verbale, ha prodotto copia di documentazione relativa allo stato cautelare dell’indagato. Risulta, peraltro, dalla certificazione in atti del sistema informativo detenuti del DAP, che, con ordinanza di custodia cautelare del GIP del Tribunale di Catanzaro, emessa ex art. 27 cod. proc. pen., al ricorrente sono stati applicati gli arresti domiciliari presso la propria abitazione a far data dal 8 giugno 2017. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato, ai limiti dell’inammissibilità. 2. Deve anzitutto ribadirsi che sussiste l’interesse dell’indagato ad impugnare il provvedimento di fermo, pur quando ad esso sia seguito, contestualmente, quello di applicazione della misura cautelare della custodia in carcere. È condivisibile, infatti, la giurisprudenza di legittimità Sez. 1, ord. n. 3364 del 9/6/1998, Stegani, Rv. 211021 secondo cui, allorquando il giudice, con un’unica ordinanza, convalida il fermo della persona indagata e contestualmente gli applica una misura cautelare custodiale, permane l’interesse del fermato ad impugnare il provvedimento di convalida, in quanto costui è pur sempre portatore di un interesse concreto ed attuale a proporre ricorso per cassazione, quanto meno in rapporto alla previsione normativa dell’art. 657 cod. proc. pen. - che disciplina la fungibilità della detenzione e della privazione della libertà personale subita senza titolo - ed alla stregua dei principi generali, derivanti dall’art. 111, comma secondo, Cost., che attengono alla materia dei provvedimenti restrittivi della libertà personale. Può evidenziarsi, inoltre, a tal fine, che il provvedimento di fermo si fonda su presupposti e caratteri di tale portata restrittiva del bene giuridico di primario rilievo della libertà personale, da richiedere necessariamente una valutazione dell’esercizio del potere di disporlo in sede di legittimità, secondo le garanzie previste dall’art. 111, comma 2, Cost., ineludibili pur quando esso sia immediatamente confluito in un provvedimento restrittivo di detta libertà personale di diversa natura ed autonomamente impugnabile come è l’ordinanza di custodia cautelare disposta all’esito della convalida dal GIP. In caso contrario - e cioè qualora si ritenesse l’insussistenza dell’interesse all’impugnazione del provvedimento nel caso in cui sia emessa un’unica ordinanza con cui si convalida il fermo e si dispone la misura cautelare custodiale - si priverebbe l’indagato di un passaggio fondamentale delle proprie garanzie, rivolto a verificare la legittimità della forte compressione della libertà personale cui è stato sottoposto con un provvedimento che si caratterizza per immediatezza e sorpresa e, non a caso, può essere disposto solo in presenza di presupposti stringenti e predeterminati specificamente dal legislatore , collegando tale garanzia necessariamente alla verifica sulla legittimità dell’ordinanza cautelare cui si accompagna. Del resto, è stata correttamente affermata l’autonomia dell’ordinanza con cui si convalida il fermo da quella con cui si dispone la misura cautelare Sez. 6, n. 12291 del 1/3/2016, Tapia Diaza, Rv. 266867 , avendo ad oggetto, la prima, solo il controllo di legittimità dell’operato della polizia giudiziaria e non richiedendo, per la sua adozione, la sussistenza delle condizioni legittimanti la misura cautelare v. anche, sotto altro aspetto, Sez. 2, n. 40265 del 8/7/2014, Mare, Rv. 260852, in una fattispecie in cui, dopo la convalida del fermo per il reato di ricettazione, è stata ritenuta legittima, nei confronti degli indagati, l’applicazione della custodia cautelare in carcere per il reato di furto . Ne consegue che i piani su cui agiscono i due istituti arresto e fermo da un lato e misura custodiale dall’altra sono diversi, poiché la convalida del fermo non necessariamente impone la protrazione dello stato di privazione della libertà del fermato e viceversa Sez. 2, n. 18849 del 27/2/2001, Blake, Rv. 218934 . Tale diversità di piani operativi non può essere elusa nel momento in cui alla convalida o alla non convalida del fermo segua la protrazione della privazione di libertà. 2. Alla luce di tali premesse in punto di sussistenza dell’interesse ad impugnare, deve precisarsi come, in sede di ricorso contro il provvedimento di convalida dell’arresto o del fermo, possono dedursi esclusivamente vizi di illegittimità, con riferimento, in particolare, al titolo del reato, all’esistenza o meno della flagranza o dei presupposti per disporre il fermo ed in relazione all’osservanza dei termini i vizi inerenti alla sussistenza degli indizi di colpevolezza e delle esigenze cautelari vanno dedotti, invece, mediante l’impugnazione dell’eventuale ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere Sez. 6, n. 38180 del 14/10/2010, Prikhno, Rv. 248519 . Il campo di intervento della Corte di cassazione nella verifica di legittimità dell’ordinanza di convalida del fermo così come di quella dell’arresto deve limitarsi, pertanto, alla valutazione del processo logico seguito dal giudice per pervenire all’adozione del provvedimento - al quale oggetto devono essere limitate, conseguentemente, anche le censure di parte ricorrente - essendo sottratta al giudice di legittimità quella valutazione di merito circa le condizioni in presenza delle quali il fermo o l’arresto furono eseguiti dalla polizia giudiziaria, che deve rinvenirsi nella decisione sulla convalida e che costituisce, essa sì, il focus sul quale deve incentrarsi il sindacato di legittimità Sez. 4, n. 252 del 28/1/1999, Gervasoni, Rv. 213220 . I motivi di ricorso che non si attengano a tali principi incorrono nella sanzione di inammissibilità Sez. 1, n. 3592 del 4/10/1991, Lonoce, Rv. 188473 . 3. Ebbene, il vizio dedotto dal ricorrente quanto all’insussistenza di idonea motivazione sul presupposto del pericolo di fuga, perché ritenuto non individualizzante , rientra proprio nel novero delle deduzioni che - secondo la giurisprudenza sinora richiamata, che il Collegio condivide - si pongono ai limiti del campo di inammissibilità delineato, lamentandosi non già un’illogicità della motivazione addotta, bensì la valutazione di fatto proposta dal GIP sulla sufficienza del complessivo quadro di pericolosità a cui agganciare il rischio di fuga, presupposto del fermo. E ciò a voler tacere della intrinseca genericità della deduzione, che non spiega le ragioni difensive di insussistenza del pericolo di fuga né il vizio del ragionamento presuntivo seguito dal giudice della cautela, ma si limita a censurare formalmente l’astratta insufficienza di quelle addotte nel provvedimento impugnato. A ben vedere, infatti, l’ordinanza di convalida e contestuale disposizione della misura cautelare segue un percorso motivazionale, del tutto legittimo, che si snoda sul crinale di deduzioni presuntive, ancorate ad una valutazione in concreto, circa le caratteristiche notorie dei sodalizi criminali mafiosi come quello in esame, che sono soliti fornire assistenza ai propri associati, avendone mezzi e capacità, per evitare la loro cattura in presenza di provvedimenti restrittivi in via di esecuzione provvedimenti dei quali, peraltro, l’ordinanza cautelare, sulla base di emergenze procedimentali, dà atto che il gruppo criminale fosse a conoscenza. Il ricorrente, dunque, avrebbe dovuto attaccare, nel motivo dedotto, la correttezza di tale percorso logico e motivazionale disegnato dal giudice di merito, ma ciò non ha fatto, proponendo una mera recriminazione sulla mancanza di valore individualizzante del pericolo di fuga descritto nel provvedimento impugnato, la quale, da un lato, appare astratta nella sua argomentazione, laddove il giudice ancora il proprio ragionamento al concreto pericolo di fuga desunto da elementi fattuali precisi, per quanto sinteticamente enunciati dall’altro, si rivela insufficiente poiché non si estende alla doverosa enunciazione del vizio del processo logico seguito dal giudice per pervenire all’adozione del provvedimento, chiedendo, piuttosto, alla Corte di cassazione una valutazione di merito circa le condizioni in presenza delle quali il fermo è stato eseguito, non consentita in questa sede. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.