Né l’utilizzo di un finanziamento bancario né l’evasione fiscale evitano la confisca

La lecita origine del denaro utilizzato, siccome derivante da un mutuo concesso da istituto di credito, per l’acquisto del bene sottoposto a confisca di prevenzione non serve a caducare la misura allorché il proposto ometta di illustrare e documentare con quali mezzi leciti siano stati corrisposti i ratei del mutuo. Quanto al tema dell’evasione fiscale, il soggetto dedito in modo continuativo a condotte elusive degli obblighi fiscali presenta una forma di pericolosità sociale che si colloca nella categoria di cui all’art. 1 d.lgs. n. 159/2011.

Sulla base dei riaffermati principi, la Corte di Cassazione sentenza n. 54286/17 depositata il 1° dicembre ha confermato la confisca del bene immobile che, a prescindere dalla fittizia intestazione, risultava essere di proprietà e ristrutturato da soggetto condannato per associazione di stampo mafioso, usura ed estorsione. Alle origini della pronuncia. Con decreto del luglio 2014, il Tribunale di Padova sottoponeva a confisca ai sensi dell’art. 24 d.lgs. n. 159/2001 un complesso immobiliare ritenuto di appartenenza, seppure per interposta persona, di soggetto gravato da condanna definitiva per partecipazione ad associazione di stampo mafioso, usura ed estorsione. Il proposto e la moglie avevano dichiarato redditi irrisori e nemmeno sufficienti al loro mantenimento, mentre avevano mantenuto un altissimo tenore di vita, tra viaggi all’estero, disponibilità di lussuosi natanti e il pagamento di un importante mutuo bancario destinato alla ristrutturazione dell’immobile oggetto di confisca. Il provvedimento di primo grado veniva confermato, nonostante l’impugnazione, dalla Corte di appello di Venezia. Avverso detto provvedimento ricorre infine per Cassazione il proposto, che non contesta la fittizzietà della intestazione e, dunque, la effettiva appartenenza al medesimo del bene immobile in questione, bensì la assoggettabilità a confisca dello stesso. Lamenta infatti il ricorrente che lo stesso sarebbe pervenuto all’odierno proposto attraverso donazione dal padre stante la natura simulata dell’acquisto da parte del prestanome difetterebbe dunque totalmente la prova dell’acquisto dell’immobile con proventi di natura illecita ed anche la ristrutturazione dello stesso sarebbe avvenuta utilizzando denaro lecito, siccome ottenuto attraverso l’erogazione di un mutuo bancario, i cui ratei erano stati regolarmente pagati. Con ulteriore motivo, si duole il proposto del fatto che la Corte di appello aveva erroneamente dedotto, a sostegno del provvedimento di confisca, l’evasione fiscale delle società riconducibili al ricorrente, in quanto dette società, a prescindere dalla contestazione fiscale, risultavano aver svolto regolare e lecita attività di autotrasporto, i cui proventi erano evidentemente confluiti nella disponibilità del medesimo. I limiti al ricorso per Cassazione. Preliminarmente osserva la Cassazione che, avverso il provvedimento applicativo di una misura di prevenzione rectius alla conferma del medesimo da parte del giudice di appello , è sì consentito ricorso per Cassazione, ma solo per violazione di legge, ai sensi dell’art. 10 d.lgs. n. 159/2011. Rammentano gli Ermellini che detta disposizione, alla luce di consolidata giurisprudenza, consente di sindacare i casi in cui la motivazione sia stata completamente omessa da parte dei giudici di merito, ovvero debba ritenersi assolutamente apparente o comunque tale da rendere assolutamente incomprensibile la ratio decidendi , ovvero quando il Giudice dell’appello abbia omesso completamente di affrontare le tematiche esplicitamente dedotte con l’atto di impugnazione. La mera insufficienza, illogicità o contraddittorietà della motivazione non possono dunque trovare ingresso nel giudizio di legittimità. Oltre a questi, vanno aggiunti i tradizionali limiti del giudizio di legittimità che mai potrà occuparsi della revisione del giudizio di merito ovvero insinuarsi in valutazioni di fatto. La valenza del fenomeno dell’evasione fiscale. Con articolato motivo di ricorso per cassazione il proposto aveva censurato la motivazione della Corte di Appello, osservando come la presenza di evasione iva e contributiva da parte delle società del medesimo non dimostrasse l’illiceità della provenienza dei redditi prodotti dalle stesse che svolgevano regolare e lecita attività imprenditoriale. Sul punto, la Cassazione richiama i consolidati principi giurisprudenziali fissati in particolare con la nota sentenza Repaci Cass. SS.UU. n. 334519/2014 , con cui si è preliminarmente richiamata la funzione pubblicistica della confisca di prevenzione, individuata nell’interesse alla eliminazione dal circuito economico di beni di sospetta provenienza illegittima, siccome appartenenti a soggetti abitualmente dediti a gravi reati che ricavano i propri mezzi di vita e sostentamento da dette illecite attività. In tale contesto, la giurisprudenza – condivisa dalla sentenza in commento – ha osservato come il soggetto dedito in modo massiccio e continuativo a condotte di evasione fiscale e contributiva si procuri una provvista finanziaria da considerarsi senza dubbio provento di delitto in quanto sostanziale vantaggio economico derivante dalla commissione di reati evasioni fiscali e contributive . È allora evidente, osserva la Cassazione, come il reimpiego del frutto della attività di evasione contribuisca a realizzare quella confusione di utilità lecite ed illecite che proprio la confisca di prevenzione mira ad evitare. Con la conseguenza, concludono i giudici del Palazzaccio, che l’evasione fiscale e contributiva lungi dal costituire argomento contro” la confisca di prevenzione, ne integra essa stessa presupposto logico e normativo, conforme alla ratio della fattispecie. L’irrilevanza della provenienza dei fondi da finanziamento bancario. Quanto alla deduzione secondo cui i fondi per la ristrutturazione sarebbero leciti siccome provenienti da un mutuo bancario, osservano gli Ermellini, non solo non costituisce corretta ricostruzione della fattispecie, ma rende più oneroso l’investimento siccome aggravato di interessi, spese di erogazione e costituzione della garanzia. Decisivo è poi l’argomento per cui la provenienza da finanziamento bancario non implica di per sé la lecita provenienza dei fondi, ma impone di dimostrare la lecita provenienza dei fondi utilizzati per la restituzione ed il rimborso delle somme erogate e delle correlate spese. Allorché il ricorrente, come nel caso in esame, non si sia assolutamente curato di fornire la prova di tale aspetto, non potrà dunque, in alcun modo, ritenersi dimostrata la lecita provenienza delle somme. Quanto, infine, alla deduzione che il bene fosse stato oggetto di donazione da parte del padre e che dunque, in via subordinata, solo una porzione del medesimo, del valore equivalente a quello delle migliorie derivanti dalle opere di ristrutturazione compiute dal proposto, potesse essere sottoposta a confisca, osserva la Cassazione che trattasi di circostanze di fatto che non risulta siano mai state dedotte di fronte ai giudici di merito e che, comunque, non risultano documentate con il ricorso per cassazione proposto, che come noto deve rispondere al canone della autosufficienza. Il ricorso viene dunque rigettato, con condanna del ricorrente alle spese.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 13 luglio – 1 dicembre 2017, n. 54286 Presidente Bonito – Relatore Boni Ritenuto in fatto 1. Con decreto in data 18 febbraio 2016 la Corte di appello di Venezia, sezione misure di prevenzione, confermava il provvedimento del 14 luglio 2014, col quale il Tribunale di Padova aveva disposto la confisca ai sensi dell’art. 24 D. Lgs. n. 159/2011 dell’immobile sito in omissis , ritenuto appartenere per interposta persona al proposto G.J. , già condannato per i delitti di partecipazione ad associazione di stampo mafioso, usura ed estorsione. A fondamento della decisione la Corte di appello rilevava che, sebbene per sostenere i costi di ristrutturazione del bene fosse stato acceso un mutuo bancario, ciò nonostante nel periodo compreso tra il 2008 ed il 2012 il proposto e la moglie non avevano percepito redditi legali sufficienti nemmeno al loro mantenimento e tanto meno a sostenere l’elevato tenore di vita mantenuto e ad effettuare investimenti immobiliari. 2 Avverso detto provvedimento ha proposto ricorso il G. per il tramite del difensore, il quale ne ha chiesto l’annullamento per violazione di legge e per difetto di motivazione. Secondo il ricorrente, a fronte delle puntuali e dettagliate osservazioni difensive, la Corte d’appello di Venezia ha rigettato l’atto di gravame con motivazione apodittica, illogica e contraddittoria, che si sostanzia in una non motivazione per avere confermato il decreto di confisca, nonostante l’assenza di prova dell’utilizzo di denaro di provenienza illecita per acquistare e ristrutturare le unità immobiliari poi fittiziamente intestate al prestanome S.C. . Nessuna dimostrazione è stata data dell’acquisto del bene e della sua ristrutturazione con proventi illeciti e non si è considerato che il bene immobile è stato oggetto di donazione operata dal padre del proposto mediante la simulazione di una vendita, come provato dal fatto che il denaro necessario al pagamento del prezzo non era mai uscito dal conto corrente del G. , né entrato in quello del padre e che il mutuo bancario erogato era stato impiegato per eseguire le migliorie con regolare versamento dei ratei. La Corte di appello per superare tali emergenze prende in considerazione la successiva ristrutturazione dello stesso, ritenendo che anch’essa sia avvenuta con proventi illeciti, per cui il giudizio di sproporzione doveva essere eventualmente condotto in base alla somma di denaro utilizzata soltanto per le opere di ristrutturazione. La confisca non avrebbe potuto essere estesa all’intera unità immobiliare, ma soltanto alla quota corrispondente all’incremento di valore per le migliorie apportate. Inoltre, per ogni singolo lavoro di ristrutturazione e/o miglioria si doveva indicare l’esborso corrisposto e la sproporzione rispetto al reddito e/o alle disponibilità economiche lecite del G. , verifica di cui non vi è traccia nella motivazione del provvedimento impugnato. Avrebbe dovuto essere dimostrato che la restituzione delle rate del mutuo bancario è avvenuta con proventi illeciti e non il finanziamento stesso, il riscatto delle due polizze ed il reddito personale dei coniugi G. -R. . Parimenti illogica è l’affermazione secondo la quale le condotte di omesso versamento dell’IVA e degli oneri assistenziali/previdenziali relativi alle società del G. offrivano prova dell’illiceità della provenienza del reddito prodotto dalle società stesse, posto che le stesse avevano presentato i bilanci e svolto una regolare e lecita attività di trasporto, cosicché le entrate economiche provenienti dalle società del proposto di cui alle dichiarazioni dei redditi in atti derivavano dal fatturato realizzato in modo lecito pertanto, l’evasione fiscale che non è affatto idonea a dimostrare automaticamente l’illecita provenienza delle somme di denaro ricavatene. Anche in punto pericolosità sociale la motivazione dell’impugnata ordinanza è del tutto carente, avendo omesso ogni valutazione dei motivi di appello secondo i quali non vi era stata reiterazione della condotta illecita nel periodo in cui l’immobile di omissis era stato ceduto al G. anno 2007 ed era stato ristrutturato, essendosi trattato di condotte circoscritte ad un paio d’anni, derivanti dalle contingenti difficoltà economico-finanziarie causate dalla crisi del mercato e svincolate dal contesto di criminalità organizzata, al quale il G. ha fatto parte dall’anno 2009 e dal quale ha già preso le distanze. 3. Con requisitoria scritta il Procuratore Generale presso la Corte di cassazione, dr. Piero Gaeta, ha chiesto dichiararsi inammissibile il ricorso perché presentato da soggetto privo d’interesse perché non intestatario dei beni confiscati che assume essere appartenenti al terzo. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e non merita dunque accoglimento. 1. Va premesso che, per effetto della disciplina stabilita dalla legge 27 dicembre 1956, n. 1423, art. 4, comma 9, riprodotta nell’art. 10 del D.Lgs. n. 159 del 2011, il decreto con il quale la Corte di appello decida in ordine al gravame proposto dalle parti avverso il provvedimento del Tribunale applicativo della misura di prevenzione è ricorribile per cassazione esclusivamente per violazione di legge. Il vizio in questione si ravvisa, per consolidata lezione interpretativa di questa Corte, nei casi, per lo più scolastici, di assenza totale della motivazione quando il provvedimento consti di solo dispositivo, integrante in sé un’ipotesi di trasgressione, sia del disposto generale dall’art. 125 cod.proc.pen., sia della prescrizione dell’art. 4, comma 10, della legge n. 575/65, nonché del predetto art. 10 D.lgs. n. 159/11, secondo i quali testi normativi la Corte di Appello decide con decreto motivato . Vengono a questi assimilati i casi, ben più frequenti, nei quali l’apparato esplicativo del provvedimento sia privo dei requisiti minimi di coerenza, completezza e di logicità, al punto da risultare meramente apparente o assolutamente inidoneo a rendere comprensibile la ratio decidendi , ovvero ancora quando non affronti le tematiche poste con l’impugnazione, nella sostanza eluse, tutte situazioni nelle quali le argomentazioni giustificative, pur presenti, in realtà non assolvano alle funzioni cui sono destinate. Pertanto, la verifica conducibile in sede di legittimità si deve arrestare alla corrispondenza degli elementi valorizzati nel provvedimento impugnato ai criteri dettati dalla legge per l’applicazione della misura di prevenzione ed all’esistenza delle ragioni della decisione, mentre resta escluso che la violazione di legge possa estendersi ai difetti motivazionali, consistenti nell’insufficienza, contraddittorietà ed illogicità, che non possono trovare ingresso nel giudizio di legittimità. A siffatta circoscrizione del’perimetro cognitivo, proprio dei procedimenti di prevenzione, riconosciuta come coerente con i precetti costituzionali Corte cost. sentenza nr. 106 del 15/4/2015 , si sommano i limiti intrinseci del giudizio di legittimità, che, com’è noto, non può occuparsi della revisione del giudizio di merito, né della valutazione dei fatti, ma deve attenersi alla verifica della correttezza giuridica e logica del provvedimento impugnato, rispetto alle cui statuizioni la Corte di cassazione non dispone del potere di sostituire una propria alternativa decisione. 2. Tanto esposto, la considerazione dell’impugnazione del G. alla luce dei superiori principi induce in primo luogo ad escludere che il decreto impugnato sia affetto da violazione di legge per totale carenza o apparenza della motivazione, perché, al contrario, illustra in modo compiuto, chiaro e comprensibile, oltre che aderente ai motivi d’appello proposti, le ragioni di confutazione di tali censure. 2.1 Il giudizio di pericolosità sociale, funzionale all’applicazione della misura di prevenzione della confisca in via disgiunta rispetto alla misura personale, già applicata con decreto della Corte di appello di Venezia del 18/12/2014, è stato formulato ai sensi dell’art. 4, comma 1, lett. b e c , per essere il proposto indiziato della commissione di delitti compresi nell’elencazione di cui all’art. 51 cod. proc. pen., comma 3 bis, in relazione a fatti di partecipazione ad associazione a delinquere di stampo mafioso, usura e di estorsione aggravata e dedito abitualmente a traffici delittuosi, dai quali ricava anche in parte i mezzi di sostentamento. Secondo le puntuali ed analitiche argomentazioni esposte nel decreto del Tribunale di Venezia, richiamate per relationem nel provvedimento qui impugnato con funzione integratrice della motivazione del decreto di secondo grado, che ha sunteggiato soltanto gli eventi principali, l’iscrizione del proposto nelle predette categorie non è frutto della considerazione di una generica proclività a delinquere, ma di precisi dati conoscitivi. A tal fine si è valorizzato quanto desunto dal procedimento penale, già definito con condanna divenuta irrevocabile il 16/7/2014, che ne ha riconosciuto la responsabilità quale promotore, finanziatore, organizzatore di un sodalizio di stampo mafioso, nonché reinvestitore dei proventi ricavati dall’attività criminosa ed in ordine a plurime condotte di usura ed estorsione in danno di numerosissimi imprenditori in difficoltà del Veneto e di altre regioni, nonché dai decreti penali di condanna per violazioni finanziarie commesse nel 2007 e nel 2008 e dalla sentenza di condanna del G.i.p. del Tribunale di Padova del 26/9/2013 per omesso versamento delle ritenute previdenziali commesso nel 2006 e nel 2007. L’attività illecita condotta sui predetti fronti, - dapprima dietro lo schermo della società JTA s.r.l., base del sodalizio, poi delle imprese, da questa derivate e legalmente amministrate da prestanome di sua fiducia, JTA scarl, Global Scorte di Mestrino, Furgodressing s.r.l., e, dal giugno 2009, della Aspide s.r.l. -, si era manifestata nella sistematica evasione dell’imposizione fiscale, nell’erogare finanziamenti agli operatori economici bisognosi di liquidità, nel pretendere il pagamento di interessi usurari e, nell’impossibilità di costoro di corrisponderli, nel costringerli con violenza o minaccia a cedere le loro attività, successivamente spogliate del patrimonio e condotte all’insolvenza in danno dei creditori e dell’Erario. Da tali emergenze i giudici di merito hanno dedotto la necessaria base dimostrativa per ritenere che il G. sia stato dedito alla commissione di reati di criminalità organizzata, oltre che alla continuata elusione degli obblighi tributari ed al compimento di condotte distruttive fallimentari che ne abbia ricavato un ingente flusso di ricchezza, reinvestito in iniziative economiche all’apparenza lecite e nel proprio mantenimento, in un arco temporale protratto dal 2006 sino all’arresto, avvenuto nel 2011. Senza arrestare l’analisi ad automatica ed asettica trasposizione nel giudizio di prevenzione dei relativi accertamenti giudiziali, hanno quindi analizzato la natura e le caratteristiche fattuali delle vicende criminose, specie quelle associative, di cui hanno segnalato la gravità oggettiva e soggettiva in relazione alla protrazione temporale ed alle peculiari condizioni ambientali di contesto in cui la condotta ha avuto attuazione. Così operando, i giudici di appello si sono avvalsi del potere di autonoma valutazione degli elementi posti a fondamento dell’accertamento di responsabilità, raggiunto in sede di cognizione penale, non contraddetti nel caso da alcuna seria obiezione difensiva, secondo un ragionamento privo di qualsiasi profilo di illegalità, ma in perfetta aderenza all’insegnamento di questa Corte, secondo il quale il giudizio di pericolosità sociale ha natura prognostica e riguarda la probabilità della futura commissione di reati, che, per dar luogo alla sottoposizione alla misura, deve essere, anche quando non più attuale, desumibile da specifici comportamenti e da fatti certi nella loro verificazione, la cui reiterazione futura l’imposizione della misura mira a prevenire Corte Cost., n. 177 del 22/12/1980 Cass., sez. 5, n. 34150 del 22/09/2006, Commisso, rv. 235203 S.U., n. 6 del 25/03/1996, Tumminelli, rv. 194063 sez. 6 n. 38471 del 13/10/2010 Barone, 248797 . Il provvedimento in esame rispetta le linee interpretative dettate dalla giurisprudenza di legittimità, secondo il quale, per poter riconoscere la pericolosità sociale del soggetto in riferimento alle condotte illecite e devianti del passato, che si teme possa ripetere in futuro, secondo le diverse categorie di pericolosità delineate dal legislatore, il giudice di merito è abilitato a fare ricorso ad elementi di prova e/o indiziari tratti da procedimenti penali, anche se non ancora conclusi, e, nel caso di processi definiti con sentenza irrevocabile, anche indipendentemente dalla natura delle statuizioni conclusive in ordine all’accertamento della penale responsabilità dell’imputato Cass. sez. 1, n. 6636 del 07/01/2016, Pandico e altro, rv. 266364 . 2.2 Resta escluso che il provvedimento presenti motivazione carente in punto di pericolosità sociale l’esposizione delle circostanze relative all’attività criminosa posta in essere dal ricorrente dà conto dell’avvenuta ricostruzione della sua pericolosità per un arco temporale prolungato ed antecedente alla costituzione dell’organizzazione di stampo mafioso attiva tra 2009 e 2011, all’interno del quale ricade l’acquisizione e la ristrutturazione dell’immobile di omissis , come chiaramente affermato anche dalla Corte distrettuale. Le obiezioni difensive sul punto sono dirette a minimizzare le intraprese delittuose del G. in contrasto con quanto accertato nei plurimi procedimenti penali celebrati a suo carico ed a far valere giustificazioni di tipo economico, già disattese dal Tribunale, non valutabili direttamente da parte di questo giudice di legittimità perché riguardanti profili del giudizio di merito e comunque irrilevanti sul piano della capacità di contraddire gli elementi fattuali valorizzati a fini prevenzionali. 3. Non è oggetto di contestazione l’accertamento della disponibilità diretta e della titolarità mediata in capo al ricorrente dell’immobile confiscato, acquistato con atto di compravendita del 14/12/2007, ristrutturato mediante un mutuo ipotecario trentennale di 200.000 Euro erogato da istituto di credito e rivenduto all’apparente a tale S.C. con atto di compravendita del 28/4/2010, quindi dall’acquirente concesso in comodato gratuito alla moglie del G. . La linea difensiva s’impegna piuttosto a contestare la misura ablativa in riferimento all’utilizzo, per l’acquisto e la ristrutturazione del cespite, di fondi accumulati mediante attività criminosa. 3.1 Osserva il Collegio che sul punto il decreto in verifica non è supportato da motivazione carente o priva di un minimo di logicità come si pretende dalla difesa, perché, al contrario, la stessa ha analizzato le varie scansioni temporali dell’acquisto del bene e dell’erogazione del finanziamento bancario per la sua ristrutturazione e, comparati gli esborsi necessari con i modesti redditi dichiarati dal proposto nel periodo di riferimento, - talmente esigui da non consentire nemmeno il sostentamento individuale e del nucleo familiare in alcuni anni e del tutto inesistenti per l’anagrafe tributaria negli anni 2008-2011,stante la mancata presentazione di alcuna dichiarazione -, ha concluso per la sproporzione degli oneri sostenuti rispetto alle risorse disponibili. Tale giudizio si è alimentato anche della considerazione da un lato che i redditi denunciati dalla di lui moglie erano stati erogati dalle società JTA s.r.l. e JTA s.c.ar.l., gestite dallo stesso G. , in modo non giustificato rispetto alle imprecisate mansioni svolte o erano derivati dall’imposizione delle sue prestazioni ad un imprenditore vittima di usura, dall’altro dell’elevato tenore di vita, mantenuto contestualmente all’investimento immobiliare, per i frequenti viaggi all’estero, la disponibilità di conti correnti in istituti di credito esteri ed il possesso di natanti ed automobili di lusso. Tali circostanze sono state apprese grazie al materiale informatico rinvenuto all’interno del suo personal computer, senza che una plausibile giustificazione economica fosse ricavabile dalla percezione di eventuali utili prodotti dalle imprese, che, per sua stessa ammissione, erano in stato di grave difficoltà. Il giudizio di sproporzione rilevante quale presupposto applicativo della disposta confisca è dunque basato su concreti dati di fatto, desunti dalle vicende penali già oggetto di giudicato di condanna, dai dati dell’anagrafe tributaria e dalle risultanze investigative, senza che il proposto abbia potuto opporre alcun elemento di valutazione in grado di giustificare la sperequazione sintomatica di illecita acquisizione ed altrettanto illecita trasformazione del bene confiscato. 3.2 È stata già oggetto di puntuale e pertinente replica anche l’obiezione, secondo la quale il ricorso al credito bancario avrebbe dovuto indurre ad escludere l’origine illegale dei fondi investiti nell’immobile. Al contrario, la Corte di appello ha, osservato che tale canale di approvvigionamento del denaro rende più oneroso l’investimento per l’aggravio degli interessi e delle spese di erogazione e costituzione della garanzia reale ed in ogni caso richiede la restituzione frazionata in soluzioni periodiche, sempre puntualmente operata dal G. nonostante l’assenza di risorse lecite sufficienti. Inoltre, va ricordato che il decreto del Tribunale ha evidenziato come dalle dichiarazioni rilasciate dal coimputato C.M. nell’interrogatorio del 25/10/2013 fosse emerso che le spese di ristrutturazione del fabbricato di omissis erano state sostenute dal proposto soltanto in parte col mutuo ipotecario, mentre i lavori per lo più erano stati realizzati tra 2008 e 2009 quando era operativa la società Global Scorte, tramite la quale si era praticata la sistematica evasione fiscale e si erano accumulati debiti verso l’Erario per 590.000 Euro per avere il G. trattenuto per il sé il denaro destinato all’assolvimento degli obblighi tributari. L’intera operazione, su suggerimento dello stesso C. , era stata orchestrata mediante il ricorso a falsa documentazione sul pagamento del prezzo ed all’intestazione fittizia allo S. , per occultare al fisco ed ai creditori la titolarità del bene in capo al proposto. A fronte di tali emergenze l’impugnazione insiste nel prospettare la lecita origine del denaro investito nell’immobile, poiché il mutuo era stato sufficiente a sostenerne le spese di ristrutturazione, lasciando anche un residuo per le esigenze di vita del debitore omette però completamente di illustrare con quali mezzi, che solo assertivamente si definiscono legali, siano stati corrisposti i ratei del mutuo e di indicare una qualunque circostanza che avvalori tale assunto, già rappresentata ai giudici di merito e da questi ignorata. Non giova alla difesa lamentare la violazione dei criteri legali per l’imposizione della confisca di prevenzione questa Suprema Corte a Sezioni Unite ha affermato al riguardo in tema di confisca di prevenzione, anche a seguito delle modifiche apportate all’art. 2 ter, comma terzo, primo periodo, della legge n. 575 del 1965, dalla legge 24 luglio 2008 n. 125, spetta alla parte pubblica l’onere della prova della sproporzione tra beni patrimoniali e capacità reddituale del soggetto, nonché della illecita provenienza dei beni, dimostrabile anche in base a presunzioni, mentre è riconosciuta al proposto la facoltà di offrire prova contraria Sez. U., n. 4880 del 26/06/2014, Spinelli ed altro, rv. 262606 . Tale affermazione di principio ribadisce dunque il legittimo ricorso anche a presunzioni, di natura relativa, per individuare l’origine illecita dei beni, secondo quanto riconosciuto dalla Corte EDU sent. sez. 2, del 17/06/2014, Cacucci e Sabatelli contro Italia ed espressamente previsto nella Direttiva del Parlamento Europeo n. 2014/42/UE, approvata il 25/2/2014. Anche il tema del rilievo da assegnare all’evasione fiscale ed a quanto ricavatone è stato risolto correttamente dai giudici di merito premesso che quanto al preteso reddito prodotto dalle società controllate dal G. ancora una volta il ricorso si limita ad una mera evocazione generica, priva di indicazioni temporali e quantitative, quindi non valutabile, deve richiamarsi l’ignorato insegnamento di questa Corte sez. 1, n. 39204 del 17/5/2013, Ferrara ed altro, rv. 256140 Sez. U. n. 33451 del 29/5/2014, Repaci, rv. 260244 sez. 1, n. 31209 del 24/3/2015, Scagliarini, rv. 264321 , per il quale il soggetto dedito in modo continuativo a condotte elusive degli obblighi fiscali presenta una forma di pericolosità sociale che lo colloca nella categoria di cui al D.Lgs. n. 159 del 2011, art. 1, comma 1, lett. b . Sul punto la citata sentenza Repaci, con osservazioni di particolare efficacia esplicativa e rigore nella ricognizione degli istituti giuridici, che si condividono e ribadiscono, ha affermato che la confisca di prevenzione persegue un più ampio fine di interesse pubblico volto all’eliminazione dal circuito economico di beni di sospetta provenienza illegittima - siccome appartenenti a soggetti abitualmente dediti a traffici illeciti dai quali ricavano i propri mezzi di vita - che sussiste per il solo fatto che quei beni siano andati ad incrementare il patrimonio del soggetto, a prescindere non solo dal perdurare a suo carico di una condizione di pericolosità sociale attuale, ma anche dall’eventuale provenienza dei cespiti da attività sommerse fonte di evasione fiscale Il soggetto dedito - in modo massiccio e continuativo - a condotte elusive degli obblighi contributivi realizza, in tal modo, una provvista finanziaria che è indubbiamente da considerarsi quale provento di delitto inteso quale sostanziale vantaggio economico che si ricava per effetto della commissione del reato, secondo l’insegnamento di Sez. U, n. 9149 del 03/07/1996, Chabni Samir, rv. 205707. Ora, lì dove la quota indebitamente trattenuta venga successivamente reinvestita in attività di tipo commerciale come nel caso di specie è al contempo evidente che i profitti di tale attività risultano inquinati dalla metodologia di reinvestimento della frazione imputabile alle pregresse attività elusive .In caso di evasione fiscale si attua inevitabilmente reimpiego delle utilità che ne siano frutto nel circuito economico dell’evasore, con una confusione di utilità lecite - illecite che è proprio quello che la normativa vuole impedire, confusione che si implementa nelle successione dei periodi d’imposta con una sorta di anatocismo dell’illecito per l’inevitabile effetto moltiplicatore . 3.3 Né ha pregio la deduzione circa l’acquisizione del bene da potere del padre del proposto, il quale, mediante la simulazione di una vendita, aveva inteso fargli donazione di un bene di famiglia, tanto che egli non gli aveva corrisposto il prezzo ed aveva fatto ricorso al mutuo bancario per eseguire le necessarie migliorie con regolare versamento dei ratei, il che offriva conferma alle dichiarazioni del C. sul fatto che l’immobile era stato ricevuto in eredità. Osserva il Collegio che la censura si fonda su precise circostanze di fatto che vi è alcuna prova siano mai state rappresentate ai giudici di merito, che siano supportate da un qualunque riscontro dimostrativo, anche eventualmente costituito dalle dichiarazioni del coimputato. Non può dunque criticarsi l’omesso esame di un assetto di interessi e di una realtà traslativa difforme dall’apparente che non è stata prospettata con l’atto di appello e che non può essere oggetto di diretto apprezzamento da parte di questa Corte per i limiti intrinseci di cognizione del giudizio di legittimità, cui è estraneo ogni profilo di ricostruzione fattuale delle vicende giudicate. Del pari che il C. abbia fornito quelle informazioni costituisce un dato che sfugge completamente alla possibilità di considerazione nel giudizio di cassazione anche per il difetto di autosufficienza del ricorso, che non ha riprodotto il testo delle dichiarazioni, né ha prodotto l’integrale verbale d’interrogatorio in allegato. In definitiva, il decreto impugnato resiste alle censure mosse dal ricorrente il cui ricorso, infondato in tutte le sue deduzioni, va respinto con la conseguente sua condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.