Persona offesa di un reato commesso con violenza alla persona e mancato avviso della istanza di revoca di una misura coercitiva: quale rimedio?

La persona offesa di un reato commesso con violenza alla persona”, nell’ipotesi di mancata notifica dell’istanza di sostituzione o revoca di misura cautelare in atto applicata, non può impugnare autonomamente il provvedimento, ma deve necessariamente sollecitare, ai sensi dell’art. 572 c.p.p., il Pubblico Ministero ad impugnare l’ordinanza viziata, trattandosi di uno di quei casi in cui la legge non attribuisce alla persona offesa un potere di impugnazione diretta.

E’ quanto emerge dalla sentenza n. 54319/17 della Corte di Cassazione, depositata il 1° dicembre scorso. Il caso. Le persone offese in un procedimento per atti persecutori impugnavano, tramite ricorso per cassazione, l’ordinanza con la quale, nei confronti degli imputati, venivano revocate le misure del divieto di dimora e dell’obbligo di firma, lamentando di non essere stata loro mai notificata, a pena di inammissibilità, la relativa istanza di cui all’art. 299, comma 3, c.p.p Il ricorso veniva, tuttavia, ritenuto inammissibile. Il riferimento normativo. Ed invero, l’art. 299 c.p.p., che è la norma che disciplina l’istituto della revoca o della sostituzione di misure coercitive, dispone, a seguito della modifica intervenuta con la L. n. 119/2013, che, nei procedimenti che riguardano delitti commessi con violenza alla persona comma 2- bis , ove il Pubblico Ministero o l’imputato intendano chiedere la revoca o la sostituzione della misura in atto applicata, l’istanza deve essere contestualmente notificata, a cura della parte richiedente ed a pena di inammissibilità, presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa , giacché, in tal modo, la persona offesa possa interloquire sul punto, presentando eventuali memorie entro 2 giorni. Concetto di violenza. Come visto, tale obbligo è imposto per le ipotesi di delitti commessi con violenza alla persona, e sul punto, secondo la Corte è imprescindibile un’ulteriore precisazione riguardante proprio la nozione di violenza che impone al PM o all’imputato di avvisare la persona offesa nei casi di cui all’art. 299, comma 3, c.p.p Come più volte chiarito dai Giudici di legittimità, il concetto non si riferisce ad una fattispecie astratta di reati, ma a quei delitti, consumati o tentati che, in concreto, si sono manifestati con atti di violenza in danno della persona offesa e che non abbiano rivestito il carattere dell’ occasionalità . Tra questi rientra certamente lo stalking , in quanto l’espressione violenza alla persona” va intesa alla luce del concetto di violenza di genere”, recentemente recepito dalle disposizioni di diritto internazionale e comunitario. Quali rimedi per la persona offesa pretermessa dal contraddittorio in caso di istanza di sostituzione o revoca misura cautelare? Ebbene, fatte tali premesse, la Corte si interroga sulla legittimazione della persona offesa, in casi come quello di specie, a proporre ricorso per cassazione avverso un’ordinanza che mira a modificare in melius il regime de libertate del soggetto sottoposto a restrizione, in mancanza di avviso e, quindi, di contraddittorio con la persona offesa, atteso che, ovviamente, alla persona offesa, in tali casi, spetta senz’altro detto avviso. La questione è di non poco conto, stante che l’ordinanza, sebbene viziata, ha comunque comportato un miglioramento dello status dell’indagato e al suo annullamento conseguirebbe il ripristino della situazione precedente, con la conseguenza di introdurre possibili forme di limitazione della libertà personale, sia pure nei confronti di soggetti già in precedenza gravati da restrizioni, sulla base di iniziative imputabili a parti private piuttosto che all’ufficio del PM . Primo orientamento. Per dare una risposta al quesito, la Corte, quindi, espone una panoramica degli orientamenti esistenti. Secondo una prima interpretazione giurisprudenziale, tale mezzo di impugnazione è inammissibile in quanto avverso i provvedimenti di sostituzione o modifica delle misure cautelari è ammesso esclusivamente il rimedio dell’appello ex art. 310 c.p.p., mentre il ricorso può essere proposto solo contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva e solo in caso di violazione di legge. Secondo orientamento. Un secondo orientamento, invece, consente alla persona offesa di proporre ricorso per cassazione per inammissibilità del provvedimento di revoca della misura cautelare, qualora l’imputato non abbia provveduto a notificare alla persona offesa la relativa istanza ai sensi dell’art. 299 c.p.p Ciò, in quanto la persona offesa che deduce la mancata notifica della richiesta di revoca o sostituzione di una misura cautelare coercitiva ha visto violate delle prerogative specificamente riconosciutele a propria tutela la possibilità cioè di interloquire fornendo elementi idonei a rappresentare situazioni che sconsiglino la revoca o la sostituzione della misura cautelare applicata . Ma la Corte formula un terzo orientamento. Nonostante tali traguardi giurisprudenziali, tuttavia, la Corte decide di giungere ad una diversa soluzione. La legittimazione a proporre appello o ricorso per cassazione avverso i provvedimenti de libertate , come è noto, spetta, ai sensi dell’art. 310 e 311 c.p.p., solamente all’imputato e al Pubblico Ministero, non essendo contemplata, invece, la persona offesa. Di conseguenza, non è possibile prevedere un nuovo caso di ricorso per cassazione non previsto ex lege . Secondo i Giudici, pertanto, l’unico strumento affidato alla persona offesa è quello attribuitole dall’art. 572 c.p.p., che vuole che la stessa si rivolga” al Pubblico Ministero affinché lo stesso accolga le sue richieste di impugnazione e le faccia proprie. Nel caso di specie, dunque, le persone offese avrebbero dovuto sollecitare il pubblico ministero a proporre appello avverso il provvedimento di sostituzione della misura, al fine di far rilevare l’inammissibilità della richiesta e il vizio incidente sulla successiva ordinanza.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 maggio – 1 dicembre 2017, n. 54319 Presidente Vessichelli – Relatore Micheli Ritenuto in fatto L.A. e D.G. , assistiti dal loro difensore / procuratore speciale, impugnano l’ordinanza indicata in epigrafe, recante la revoca di misure cautelari applicate nei confronti di C.C. , B.F. e C.R. . I suddetti erano stati sottoposti a divieto di dimora in omissis i primi due e ad obbligo di presentazione alla p.g. il terzo , per essersi resi autori di atti persecutori in danno del nucleo familiare dei coniugi D. -L. , con ripetute condotte di molestia e minaccia grave le misure de quibus, disposte con ordinanza restrittiva del 27/02/2017, risultano revocate il 10/03/2017 sul presupposto del venir meno della ritenuta gravità indiziaria, all’esito di una richiesta della difesa dei C. e della B. formulata dopo lo svolgimento dell’interrogatorio di garanzia. Nell’interesse della L. e del D. si fa rilevare che la richiesta di revoca non è stata notificata alle persone offese od al loro difensore, come invece prescritto dall’art. 299, comma 3, cod. proc. pen. all’esito delle modifiche introdotte nel 2013. Alle stesse persone offese non è stato così consentito di presentare memorie nei successivi due giorni, come sarebbe stato loro diritto il provvedimento, peraltro, risulta emesso anche sulla base di elementi non formalmente acquisiti la visione di un filmato che sarebbe avvenuta durante l’interrogatorio anzidetto, rimasto non versato negli atti del fascicolo . Considerato in diritto 1. Il ricorso deve ritenersi inammissibile, per le ragioni appresso evidenziate. 2. Innanzi tutto, deve essere chiarito che alle persone offese - nella peculiare fattispecie concreta - sarebbe senz’altro spettato l’avviso della cui omissione i ricorrenti si dolgono, considerando le modifiche normative sopra accennate e la conseguente evoluzione giurisprudenziale. Dopo essersi affermato più volte che la nozione di delitti commessi con violenza alla persona , utilizzata dal legislatore nel comma secondo bis dell’art. 299 cod. proc. pen., al fine di individuare l’ambito di applicabilità dell’obbligo di notifica alla persona offesa della richiesta di revoca o sostituzione della misura cautelare, ai sensi del successivo comma terzo, evoca non già una categoria di reati le cui fattispecie astratte siano connotate dall’elemento della violenza sia essa fisica, psicologica o morale alla persona, bensì tutti quei delitti, consumati o tentati, che, in concreto, si sono manifestati con atti di violenza in danno della persona offesa Cass., Sez. I, n. 49339 del 29/10/2015, Gallani, Rv 265732 , il massimo organo di nomofilachia ha infatti ulteriormente precisato - sia pure a proposito della parallela disposizione in tema di avviso della richiesta di archiviazione - che l’obbligo formale sancito dall’art. 408, comma 3-bis, cod. proc. pen. è riferibile anche ai reati di atti persecutori e di maltrattamenti contro familiari e conviventi, previsti rispettivamente dagli artt. 612-bis e 572 cod. pen., in quanto l’espressione violenza alla persona deve essere intesa alla luce del concetto di violenza di genere , risultante dalle pertinenti disposizioni di diritto internazionale recepite e di diritto comunitario Cass., Sez. U, n. 10959 del 29/01/2016, C., Rv 265893 nello stesso senso, v. anche Cass., Sez. II, n. 30302 del 24/06/2016, Opera . Il delitto di atti persecutori, sia nella sua previsione dogmatica quale ipotesi di reato abituale, sia con riguardo alla dimensione avuta nel caso oggi in esame, esclude peraltro che il soggetto passivo possa intendersi vittima soltanto occasionale della condotta penalmente sanzionata, dovendosi tener presente che la giurisprudenza di questa Corte ha inteso altresì distinguere, ai fini della valutazione di ammissibilità o meno di istanze di revoca o sostituzione di misure cautelari non notificate alle persone offese, le ipotesi in cui la condotta violenta si caratterizza anche per l’esistenza di un pregresso rapporto relazionale tra autore del reato e vittima, ove perciò la violenza alla persona è da intendersi mirata in danno di un determinato individuo, da quelle in cui il soggetto aggredito risultava selezionato dall’autore su base puramente casuale od estemporanea v., per una diffusa analisi della questione, Cass., Sez. II, n. 43353 del 14/10/2015, Quadrelli . 3. Tanto premesso, ci si deve chiedere quali rimedi l’ordinamento appresti a tutela della persona offesa, laddove il diritto di costei ad essere avvisata ai sensi dell’anzidetto art. 299, comma 4-bis, cod. proc. pen. non sia stato rispettato in particolare, occorre valutare se la persona offesa sia pure attraverso un difensore, eventualmente munito di procura speciale possa dirsi legittimata a proporre ricorso per cassazione avverso l’ordinanza emessa dal giudice procedente a seguito dell’istanza che mirava a modificare in melius il regime de libertate del soggetto sottoposto a restrizione, ordinanza intervenuta - stante l’omesso avviso - senza l’interlocuzione della stessa persona offesa. Si tratta, all’evidenza, di un quesito che implica problemi di non poco momento, atteso che l’annullamento di un’ordinanza de libertate formalmente viziata ma comunque necessariamente migliorativa dello status della persona già sottoposta a misura cautelare comporta giocoforza il ripristino della situazione anteatta, nuovamente valutabile solo una volta garantito il contraddittorio pretermesso. Con il risultato di introdurre possibili forme di limitazione della libertà personale, sia pure nei confronti di soggetti già in precedenza gravati da restrizioni, sulla base di iniziative imputabili a parti private, piuttosto che all’ufficio del Pubblico Ministero. 3.1 Secondo un primo approccio interpretativo, si è ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione proposto per saltum dalla persona offesa del delitto di atti persecutori c.d. staiking - avverso il provvedimento del Gip di inammissibilità della richiesta di revoca dell’ordinanza di modifica della misura cautelare degli arresti domiciliari con quella dell’obbligo di dimora nei confronti dell’indagato - in quanto avverso i provvedimenti di sostituzione o modifica delle misure cautelari è ammesso esclusivamente il rimedio dell’appello, previsto dall’art. 310 cod. proc. pen., mentre il ricorso immediato per cassazione può essere proposto, ex art. 311, comma secondo, cod. proc. pen., soltanto contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva e solo nel caso di violazione di legge nonché, ex art. 568, comma secondo, cod. proc. pen., contro i provvedimenti concernenti lo status libertatis non altrimenti impugnabili Cass., Sez. V, n. 35735 del 31/03/2015, S., Rv 265866 . La pronuncia appena richiamata, dunque, riguardava un caso in cui la persona offesa aveva chiesto direttamente al giudice procedente di revocare l’ordinanza emessa senza contraddittorio, e successivamente impugnato in sede di legittimità il provvedimento con cui tale richiesta era stata disattesa. Nella motivazione della sentenza si legge che la ricorrente avrebbe dovuto proporre impugnazione avverso il provvedimento di modifica della misura cautelare, di cui invece ha chiesto la revoca al giudice che lo ha emesso, con la conseguente declaratoria di inammissibilità pronunciata da quest’ultimo. La ricorrente lamenta un vizio relativo al provvedimento del Gip con il quale è stata modificata la misura cautelare e, in particolare, l’omessa notifica dell’istanza di revoca tale vizio avrebbe potuto essere oggetto di impugnazione dinanzi al Tribunale, dovendo peraltro escludersi la possibilità di ricorso immediato per cassazione, giacché avverso i provvedimenti di sostituzione o modifica delle misure cautelari è ammesso esclusivamente il rimedio dell’appello, previsto dall’art. 310 del codice di rito . Infatti, se, ai sensi dell’art. 311 comma 2 cod. proc. pen., l’imputato e il suo difensore possono proporre direttamente ricorso per cassazione per violazione di legge contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva, la norma tuttavia, come da costante indirizzo giurisprudenziale di questa corte , non si presta ad essere interpretata nel senso di ammettere il ricorso per saltum anche contro i provvedimenti che intervengono a seguito di richiesta di modifica della misura. Nessun’altra disposizione di settore consente d’altra parte il ricorso diretto avverso tali provvedimenti, mentre la norma generale, l’art. 569 cod. proc. pen., si riferisce esplicitamente alle sole sentenze . 3.2 Stando a un diverso indirizzo, nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona, la persona offesa può dedurre con ricorso per cassazione l’inammissibilità dell’istanza di revoca o sostituzione di misure cautelari coercitive diverse dal divieto di espatrio e dall’obbligo di presentazione alla p.g. applicate all’imputato, qualora quest’ultimo non abbia provveduto contestualmente a notificarle, ai sensi dell’art. 299, comma quarto bis, cod. proc. pen., l’istanza di revoca, di modifica o anche solo di applicazione della misura con modalità meno gravose Cass., Sez. VI, n. 6864 del 09/02/2016, P., Rv 266542 . La Sezione Sesta ha osservato, in motivazione, che in virtù delle modifiche introdotte dal d.l. 14 agosto 2013 n. 93, convertito con modificazioni dalla legge 15 ottobre 2013 n. 119, nel caso in cui venga in considerazione una delle misure cautelari di cui agli artt. 282-bis, 282-ter, 283, 284, 285 e 286 cod. proc. pen. e si tratti di procedimenti aventi ad oggetto delitti commessi con violenza alla persona, la richiesta di revoca o di sostituzione della misura, che non sia stata presentata in sede di interrogatorio di garanzia art. 299, comma 3, cod. proc. pen. o che non sia stata presentata nel corso dell’udienza art. 299, comma 4-bis, cod. proc. pen. , deve essere contestualmente notificata a pena di inammissibilità presso il difensore della persona offesa o, in mancanza di questo, alla persona offesa, salvo che in quest’ultimo caso essa non abbia provveduto a dichiarare o eleggere domicilio. La modifica è volta ad assicurare alla persona offesa la concreta facoltà di interlocuzione, mediante presentazione di memorie nei due giorni successivi. Tale disciplina mira a garantire alle vittime di reati caratterizzati da violenza alla persona, in relazione alla possibilità che il soggetto, cui i reati sono attribuiti, si renda ancora pericoloso, l’opportunità di apprestare preventivamente le proprie difese, fornendo elementi idonei a rappresentare situazioni che sconsiglino la revoca o la sostituzione richieste. Ciò si correla ad una più ampia e pregnante considerazione dei diritti delle vittime dei reati, in sintonia con le previsioni contenute nella Convenzione di Istanbul sulla prevenzione e lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica, dell’ OMISSIS , ratificata con legge 77 del 2013, e con le istanze che hanno ispirato la direttiva 2012/29/UE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 25/10/2012 recante norme minime in tema di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato, cui è stata data attuazione con il d.lgs. 15 dicembre 2015 n. 212 . Sulla base di tali premesse, illustrative della ratio della novella, la sentenza giunge alla conclusione che la persona offesa che deduca la mancata notifica della richiesta di revoca o di sostituzione, possa dolersi di ciò mediante ricorso, venendo in considerazione un vulnus alle prerogative specificamente riconosciute alla persona offesa a propria tutela, vulnus che dunque primariamente la stessa persona offesa, proprio in ossequio al quadro di diritti e facoltà più ampiamente riconosciute alle vittime di reato, deve ritenersi legittimata a far valere . In senso sostanzialmente conforme, la Sezione Prima con sentenza n. 51402 del 28/06/2016, Zacheo ha accolto il ricorso presentato dai prossimi congiunti della vittima di un reato di omicidio non preventivamente informati dall’imputato della richiesta di sostituzione della misura custodiale in quest’ultimo caso, peraltro, all’annullamento senza rinvio dell’ordinanza che aveva sostituito la custodia in carcere con la misura degli arresti domiciliari ha fatto seguito la comunicazione del provvedimento di annullamento al Procuratore generale in sede, rilevandosi la necessità di dare i provvedimenti occorrenti, conseguenti al venire meno del titolo concessivo degli arresti domiciliari , in applicazione estensiva del disposto dell’art. 626 del codice di rito . 3.3 Un’ulteriore pronuncia di questa Sezione ha ribadito che nei procedimenti per reati commessi con violenza alla persona nella specie, stalking , è ammesso il ricorso per cassazione della persona offesa avverso l’ordinanza con cui si dispone la revoca o la sostituzione della misura cautelare coercitiva in atto, al fine di far valere la violazione del disposto di cui all’art. 299, comma 4-bis, cod. proc. pen. e la mancata declaratoria di inammissibilità dell’istanza di modifica cautelare di cui sia stata omessa la notifica Cass., Sez. V, n. 7404/2017 del 20/09/2016, D.P., Rv 269445 . In motivazione, si è osservato come la previsione della sanzione dell’inammissibilità comporti conseguentemente la possibilità di farla valere dalla parte nei cui confronti la sanzione è stata eminentemente apprestata e, pur tuttavia, il legislatore non ha inserito la nuova previsione nel sistema delle impugnazioni delle misure coercitive, improntato all’iniziativa del Pubblico Ministero, dell’imputato e del suo difensore. L’art. 299 cod. proc. pen. non prevede, infatti, un rimedio in favore della p.o. e, comunque, come detto, la possibilità della p.o. di interloquire nell’ambito del procedimento cautelare costituisce un novum che non trova pregresse specifiche previsioni normative . Analizzando poi i principi ricavabili dal precedente arresto di cui alla sentenza n. 35735/2015, la pronuncia da ultimo richiamata rileva - quale dato ostativo all’interpretazione suggerita in quella sede - il fatto che legittimati alla proposizione dell’impugnazione ex art. 310 cod. proc. pen. sono solo il P.M., l’imputato ed il suo difensore, e tale norma deve senz’altro ritenersi di stretta interpretazione , quindi non suscettibile di alcuna estensione analogica, in linea con il principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, sancito dall’art. 568/1 cod. proc. pen. . Neppure può ritenersi applicabile estensivamente alla fattispecie in esame il rimedio del ricorso per saltum, previsto dall’art. 311/2 cod. proc. pen., atteso che - a prescindere dalla testuale previsione, anch’essa di stretta interpretazione, della esperibilità di tale rimedio da parte dell’imputato e del suo difensore - come condivisibilmente evidenziato dalla pronuncia citata, in ogni caso, il ricorso immediato, ai sensi della suddetta disposizione, è ammesso specificamente soltanto contro le ordinanze che dispongono una misura coercitiva . Nel contesto descritto si ritiene, dunque, che in mancanza di una specifica previsione la p.o., al fine di far valere la violazione del disposto dell’art. 299/4-bis cod. proc. pen., è legittimata ad esperire il rimedio del ricorso per cassazione sulla base della prescrizione di carattere generale di cui all’art. 111/7 Cost. - secondo cui contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale pronunciati dagli organi giurisdizionali ordinari o speciali è sempre ammesso il ricorso per cassazione - nonché della previsione di cui all’art. 568/2 cod. proc. pen., secondo cui sono sempre soggetti a ricorso per cassazione, quando non altrimenti impugnabili, i provvedimenti con i quali il giudice decide sulla libertà personale . 4. Il Collegio ritiene di giungere a conclusioni differenti, muovendo da alcuni presupposti che, pur nella lettura di norme di nuova introduzione e rispondenti a pregnanti esigenze di offrire tutela a soggetti che l’ordinamento impone di tenere in peculiare considerazione, non sembrano potersi porre in discussione. 4.1 Innanzi tutto, né l’art. 310 né l’art. 311 contemplano la persona offesa fra i soggetti legittimati a presentare, rispettivamente, appello o ricorso per cassazione in tema di provvedimenti de libertate e, conformemente a quanto segnalato nella motivazione della sentenza segnalata da ultimo, non può ritenersi che tali norme - peraltro disciplinanti specifici mezzi di impugnazione siano suscettibili di applicazione oltre i casi ivi tassativamente previsti . Analogamente, però, non può convenirsi con la lettura dell’art. 111 Cost. che la medesima pronuncia del 2016 di questa Sezione suggerisce vero è che contro le sentenze e contro i provvedimenti sulla libertà personale deve sempre ritenersi ammesso il ricorso per cassazione, ma non è revocabile in dubbio che la norma sia a sua volta anzi, ancor più di stretta interpretazione, nel senso di imporre che i soggetti legittimati all’impugnazione siano solo colui che soffre la limitazione della propria libertà ovvero il suo difensore e l’organo chiamato a tutelare le ragioni - pubbliche - sottese all’esigenza eccezionale di limitare la libertà altrui. Né può ritenersi che la generalizzata possibilità di esperire ricorso per cassazione, in casi come quello oggi in esame, sia ricavabile da norme disciplinanti altri istituti. Secondo la già richiamata sentenza n. 6864/2016, sarebbe agevole tener conto, a tal fine, della interpretazione costituzionalmente orientata formatasi sull’art. 409 cod. proc. pen. in tema di omessa notifica della richiesta di archiviazione alla persona offesa ove, appunto, la Corte Costituzionale ha riconosciuto a quest’ultima il diritto ad impugnare il decreto di archiviazione nell’ipotesi di omesso avviso, oltre i limiti della espressa previsione della norma al contrario, però - come la stessa decisione della Sesta Sezione segnala -, non può tralasciarsi il dato che con la sentenza n. 353/1991 la Corte Costituzionale ritenne che potesse ricavarsi dal sistema - che già riconosceva espressamente alla parte offesa, proponente opposizione, la legittimazione a ricorrere per cassazione contro l’ordinanza di archiviazione pronunciata dal Gip ad esito dell’udienza in camera di consiglio celebrata senza averle dato di parteciparvi - la sussistenza di un analogo rimedio nell’ipotesi, ben più grave, in cui la persona offesa fosse stata privata ancora a monte dell’avviso della richiesta di archiviazione formulata dal Pubblico Ministero nonostante la sua espressa richiesta. Tanto che il giudice delle leggi evidenziò come quella raggiunta fosse la conclusione non solo più adeguata alla ratio dell’art. 409, comma 6, del codice di rito, ma anche la più conforme all’esigenza di disciplinare unitariamente l’istituto dell’archiviazione, senza implicazioni pregiudizievoli sul principio di tassatività dei mezzi di impugnazione. Ergo, in tanto è stato possibile alla Consulta introdurre un’ulteriore ipotesi di ricorso per cassazione a tutela delle ragioni della persona offesa in quanto, in materia di archiviazione, tale rimedio già esisteva financo per ipotesi in cui le ragioni del soggetto passivo dal reato potevano dirsi oggetto di minor compromissione , sì da poter pervenire ad una ragionevole disciplina d’insieme in altre parole, a fronte della pacifica e già contemplata impugnabilità di un’ordinanza emessa senza il rispetto delle forme di cui all’art. 127 cod. proc. pen., con le garanzie di un contraddittorio di ben altra estensione, la Corte Costituzionale ha avuto agio di intervenire con la soluzione descritta. Il che non è a dirsi - e non pare possibile - nel caso oggi in esame, dove rimedi siffatti non si rinvengono in alcuna disposizione normativa tanto da aver portato questa Corte ad affermare, in via generale, che il ricorso per cassazione presentato da persona offesa che non sia costituita parte civile va dichiarato inammissibile perché proposto da non avente diritto, non essendovi alcuna previsione normativa che legittima tale impugnazione Cass., Sez. VII, n. 48896 del 15/11/2012, Bossi, Rv 253927, nonché Cass., Sez. V, n. 17802 del 14/03/2017, M., Rv 269714 . 4.2 Non rimane, pertanto, che ricorrere all’unico istituto idoneo a consentire, da un lato, effettività al diritto attribuito alla persona offesa, e dall’altro il rispetto delle regole generali poste a presidio delle - comunque non recessive, ove poste in relazione al diritto medesimo - garanzie di tutela della libertà personale, non soggetta a limitazioni se non su iniziativa del Pubblico Ministero vale a dire la norma di cui all’art. 572 cod. proc. pen., che identifica appunto nel P.M. l’organo istituzionalmente preposto a mediare le richieste di impugnazione della parte offesa, in tutti i casi in cui la legge non attribuisce a quest’ultima un potere di impugnazione diretta. Le persone offese, odierne ricorrenti, avrebbero perciò dovuto sollecitare il P.M. ad impugnare l’ordinanza in epigrafe soggetta ad appello ex art. 310 cod. proc. pen., con successiva ricorribilità per cassazione del provvedimento del Tribunale adito . Impugnazione che avrebbe consentito di far valere la violazione del diritto dei ricorrenti a ricevere la notifica della richiesta di revoca o sostituzione della misura, e conseguentemente a rilevare l’inammissibilità della richiesta ed il vizio incidente sulla successiva ordinanza ma che, per espressa previsione del citato art. 572, avrebbe avuto valore ad ogni effetto penale, ivi compreso il necessario ripristino, alle condizioni di legge, della misura revocata o sostituita. 2. Si impongono, pertanto, le determinazioni di cui al dispositivo. Considerando che le ragioni della ritenuta inammissibilità del ricorso derivano da un’analisi dell’elaborazione giurisprudenziale su istituti di nuova introduzione, elaborazione dove si sono registrate anche pronunce in linea con la tesi della legittimazione dei ricorrenti, il Collegio ritiene non esservi i presupposti per la condanna di questi ultimi a sanzioni pecuniarie. Stante la peculiare natura dei reati oggetto del procedimento, si impone infine - ai sensi dell’art. 52 d.lgs. 30 giugno 2003, n. 196 - l’omissione, in caso di diffusione della presente sentenza, dell’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi delle parti. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti, ciascuno, al pagamento delle sole spese processuali. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell’art. 52 d.lgs. 196/03, in quanto imposto dalla legge.