Custodia in carcere disposta dal giudice incompetente: quali gli effetti sulla misura?

Il termine di 20 giorni ex art. 27 c.p.p. costituisce il limite temporale dell’efficacia della misura cautelare disposta dal giudice incompetente, ma il suo decorso non comporta alcuna preclusione all’esercizio del potere-dovere del giudice competente ad emettere successivamente il provvedimento applicativo di detta misura, ancorché sulla base degli stessi presupposti e delle stesse esigenze cautelari, ove sussistenti.

Così la Corte di Cassazione con la sentenza n. 54330/17, depositata l’1 dicembre. Il caso. Il Tribunale del Riesame di Catania confermava l’ordinanza con cui il Giudice per le indagini preliminari aveva convalidato il fermo disposto dalla locale Procura della Repubblica nei confronti di A.S. per il reato di tratta di persone ai sensi dell’art. 601 c.p Avverso l’ordinanza cautelare de qua ricorreva per Cassazione l’indagato, deducendo tre differenti motivi di gravame in primis , violazione di legge e violazione di norme processuali stabilite a pena di inefficacia con riferimento all’art. 27 c.p.p. in secundis , violazione di legge e vizio motivazionale in relazione alla ritenuta sussistenza dei gravi indizi di colpevolezza ex art. 273 c.p.p. infine, violazione di legge e vizio motivazionale con riguardo alle esigenze cautelari, rispetto alle quali non sarebbe stata considerata la possibilità di poter comunque fronteggiare le stesse con la misura meno gravosa degli arresti domiciliari, anche con l’utilizzo dei mezzi elettronici di controllo. L’articolo 27 c.p.p. ed il termine di 20 giorni. A fronte di una declaratoria di incompetenza da parte del giudice che ha adottato la misura cautelare e che, contestualmente, abbia verificato la propria incompetenza, il giudice competente deve pronunciarsi entro il termine di cui all’art. 27 c.p.p., pena l’inefficacia della misura detta situazione non impedisce, tuttavia, la successiva ed autonoma adozione di un provvedimento cautelare da parte del giudice competente, che valuti la sussistenza del compendio indiziario e delle esigenze cautelari, proprio in quanto la misura adottata dal giudice incompetente ha cessato, decorso il termine di 20 giorni, di svolgere alcune funzione ed è, pertanto, del tutto venuta meno la sua efficacia di misura interinale. In ogni caso, precisa la Suprema Corte, l’inutile decorso del termine di 20 giorni non può essere assunto come sanzione processuale per l’inerzia dell’organo giudiziario competente, comportando, cioè, la perdita del potere da parte di questo di emettere l’ordinanza cautelare, in forza di una specie di decadenza che si verificherebbe per l’inosservanza di un termine perentorio, ciò in quanto la sanzione processuale della decadenza riguarda solo le attività di parte, mentre il potere del giudice può incorrere solo negli effetti derivanti dalle preclusioni. L’autonomia del nuovo provvedimento cautelare emesso dal giudice competente. Per pacifica giurisprudenza di legittimità, il termine di 20 giorni ex art. 27 c.p.p. costituisce il limite temporale dell’efficacia della misura cautelare disposta dal giudice incompetente, ma il suo decorso non comporta alcuna preclusione all’esercizio del potere-dovere del giudice competente ad emettere successivamente il provvedimento applicativo di detta misura, ancorché sulla base degli stessi presupposti e delle stesse esigenze cautelari, ove sussistenti. Donde, chiariscono i Supremi Giudici, il provvedimento cautelare emesso dal giudice competente si caratterizza per la sua completa autonomia rispetto al precedente ad effetti interinali e, quindi, non può essere qualificato e definito né come conferma né come reiterazione di quello precedente, in quanto appunto emesso da altro giudice sulla base di un’autonoma valutazione delle stesse condizioni legittimanti, ancorché desunte dagli stessi fatti né l’eventuale omessa scarcerazione nel periodo intermedio incide sulla validità della misura cautelare emessa dal giudice competente, determinandone l’inefficacia. In conclusione, statuisce la Corte Regolatrice, in presenza dei presupposti di cui all’art. 384, comma 1, c.p.p., il Pubblico Ministero può disporre il fermo anche nei confronti di persona detenuta per un precedente titolo di custodia cautelare, che debba essere rimessa in libertà per ragioni esclusivamente formali, come il caso di sopravvenuta inefficacia della misura cautelare per tardiva trasmissione degli atti del procedimento oltre il termine di 20 giorni di cui all’art. 27 c.p.p L’incompatibilità tra il pericolo di fuga e gli arresti domiciliari. La motivazione sul pericolo di fuga ricollegabile alla pronta reperibilità di documenti e titolo di viaggio contraffatti, oltre che alla facilità di movimento in ambito nazionale ed internazionale, è tale da rendere implicitamente una valutazione di inidoneità di ogni altra misura meno afflittiva, inclusa quella degli arresti domiciliari mediante l’uso di mezzi elettronici di controllo, mezzi che, considerate le loro modalità di funzionamento, certamente segnalano la fuga, ma non appaiono in alcun modo in grado di impedirla.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 25 settembre – 1 dicembre 2017, n. 54330 Presidente Vessichelli – Relatore Catena Ritenuto in fatto 1.Con l’ordinanza impugnata il Tribunale del Riesame di Catania, ai sensi dell’art. 309 cod. proc. pen., confermava l’ordinanza emessa in data 22/05/2017 dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania, con cui era stato convalidato il fermo nei confronti del ricorrente in riferimento al delitto di cui agli artt. 110, 81, comma secondo, 601, comma 1, 602 ter, comma 1, lett. b e c , cod. pen. in particolare, il ricorrente era stato sottoposto a misura coercitiva dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania su richiesta della Procura della Repubblica presso il detto Tribunale, a seguito della trasmissione degli atti dalla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari, con provvedimento del 22/04/2016, confermato in sede di riesame quindi, a seguito di citazione a giudizio con decreto di giudizio immediato, la Corte di Assise di Catania aveva accolto l’eccezione di incompetenza territoriale, disponendo nuovamente la trasmissione degli atti alla Procura della Repubblica presso il Tribunale di Cagliari e, in data 19/05/2017, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Cagliari, in accoglimento dell’istanza difensiva, dichiarava l’inefficacia della misura coercitiva per non essere stata la stessa rinnovata nei termini di cui all’art. 27 cod. proc. pen. in pari data il pubblico ministero presso il Tribunale di Cagliari emetteva decreto di fermo, eseguito dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania, che convalidava il fermo ed emetteva ordinanza applicativa della custodia cautelare in carcere. 2. Con ricorso A.S. ricorre, a mezzo del difensore di fiducia Avv.to Francesco Branca, per 2.1. violazione di legge e violazione di norme processuali sancite a pena di inefficacia, ex art. 606, lett. b e c , cod. proc. pen., in riferimento all’art. 27 cod. proc. pen., essendosi il pubblico ministero, nel decreto di fermo emesso da ultimo, limitato a richiamare impropriamente la giurisprudenza di legittimità formatasi in relazione alla diversa ipotesi di inefficacia dell’ordinanza di custodia cautelare per omesso interrogatorio, essendo la disciplina di cui all’art. 302 cod. proc. pen. del tutto diversa da quella dell’art. 27 cod. proc. pen., né essendo possibile un’applicazione analogica nel caso in esame, invece - così come si verifica nell’ipotesi di inefficacia della misura cautelare, disciplinata dall’art. 309, comma 10, cod. proc. pen. - la possibilità di rinnovare la misura cautelare sarebbe possibile solo in presenza di eccezionali esigenze specificamente motivate, per cui il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Catania non avrebbe avuto alcuna facoltà di emettere una nuova misura ex art. 27 cod. proc. pen., sul presupposto di un’incompetenza territoriale dichiarata non contestualmente né successivamente, bensì precedentemente, ossia con sentenza della Corte di Assise di Catania, pronunciata il 03/04/2017 2.2. violazione di norme processuali sancite a pena di inutilizzabilità e vizio di motivazione, ex art. 606, lett. c ed e , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125, comma 3, 273 cod. proc. pen., in riferimento ai gravi indizi di colpevolezza, basandosi la piattaforma indiziaria sulla traduzione in italiano delle intercettazioni telefoniche svoltesi in lingua OMISSIS , e sulle dichiarazioni della persona offesa che, essendo indiziata di reato connesso - ingresso illegale nel territorio dello Stato - avrebbe dovuto essere sentita con gli avvisi di cui all’art. 64 cod. proc. pen., e non come semplice persona informata dei fatti la difesa, quindi, partendo dall’assunto della totale estraneità del ricorrente alla vicenda ascrittagli, ha offerto una lettura alternativa di alcuni elementi posti a fondamento del compendio indiziario i primi contatti tra il ricorrente ed il coimputato O. per consentire l’arrivo a della persona offesa, anche attraverso le intercettazioni indicate in ricorso, che dimostrerebbero la presenza di elementi fortemente equivoci circa il consapevole coinvolgimento del ricorrente nella destinazione alla prostituzione della persona offesa si sottolinea, inoltre, come il rito vodoo sarebbe stato praticato in , prima della partenza della persona offesa, con ciò essendo dimostrata la totale estraneità del ricorrente a qualsivoglia condotta di violenza e/o minaccia, circostanza che emergerebbe anche dalle dichiarazioni della stessa persona offesa, la cui condotta sarebbe dimostrativa di piena capacità di autodeterminazione 2.3. violazione di norme processuali sancite a pena di inutilizzabilità e vizio di motivazione, ex art. 606, lett. c ed e , cod. proc. pen., in relazione agli artt. 125, comma 3, 27, 275 cod. proc. pen., in riferimento alle esigenze cautelari, rispetto alle quali la motivazione sarebbe solo apparente, mentre non sarebbe stata affatto considerata la possibilità, da parte del Tribunale del Riesame, di poter, comunque, fronteggiare le esigenze cautelari con la misura meno gravosa degli arresti domiciliari, anche con l’ausilio di mezzi elettronici di controllo. Considerato in diritto Il ricorso è infondato e va, pertanto, rigettato. 1.Quanto al primo motivo, occorre anzitutto considerare il principio affermato da questa Corte di legittimità nel suo massimo consesso, poi pacificamente condiviso dalle sezioni semplici, secondo cui Il termine di venti giorni, posto dall’art. 27 cod. proc. pen., costituisce il limite temporale dell’efficacia della misura cautelare disposta dal giudice incompetente, ma il suo decorso non comporta alcuna preclusione all’esercizio del potere-dovere del giudice competente ad emettere successivamente il provvedimento applicativo di detta misura, ancorché sulla base degli stessi presupposti e delle stesse esigenze cautelari, ove sussistenti. Sez. U, sentenza n. 15 del 1993, Silvano ed altro, Rv. 194315 Sez. 2, sentenza n. 4045 del 10/01/2013, Nosenzo, Rv. 254306 Sez. 6, sentenza n. 1056 del 19/12/2012, dep. 09/01/2013, Mannarà, Rv. 253678 Sez. 5, sentenza n. 1146 del 21/10/2008, dep. 13/01/2009, Bisesti, Rv. 242552 . In sostanza, quindi, il provvedimento cautelare emesso dal giudice competente si caratterizza per la sua completa autonomia rispetto al precedente ad effetti interinali e, quindi, non può essere definito né come conferma né come reiterazione di quello precedente, in quanto appunto emesso da altro giudice sulla base di un’autonoma valutazione delle stesse condizioni legittimanti, ancorché desunte dagli stessi fatti né l’eventuale, omessa scarcerazione nel periodo intermedio, incide sulla misura cautelare emessa dal giudice competente, determinandone l’inefficacia. Ne discende la totale irrilevanza della circostanza lamentata in ricorso, costituita dal fatto che il pubblico ministero avrebbe citato, nel decreto di fermo emesso in data 17/05/2017, giurisprudenza non inerente. Parimenti irrilevante appare la menzione, da parte del provvedimento impugnato, di principi espressi dalla giurisprudenza di legittimità in relazione al caso, anch’esso del tutto diverso, di inefficacia dell’ordinanza applicativa della misura ai sensi dell’art. 309, comma 10, cod. proc. pen., in cui la possibilità di rinnovare detta misura richiede la sussistenza di eccezionali esigenze cautelari. Ciò in quanto, come evidenziato in precedenza, le situazioni procedimentali che possono legittimare l’emissione di una seconda misura cautelare, risultano diversamente e variamente condizionate da presupposti eccentrici tra loro 1 l’omesso interrogatorio della persona sottoposta a misura cautelare, ex art. 302 cod. proc. pen. 2 l’inefficacia della misura stessa per effetto della ritardata trasmissione degli atti al Tribunale del Riesame, ovvero per la mancata adozione dell’ordinanza da parte del detto Tribunale nei termini previsti 3 l’adozione di misura a seguito di declaratoria di incompetenza da parte del giudice ex art. 27 cod. proc. pen Mentre nei primi due casi, evidentemente, si tende a sanzionare con l’inefficacia del provvedimento cautelare i casi di ritardi e/o omissioni, in riferimento allo svolgimento di determinate attività giurisdizionali, che devono essere svolte entro termini considerati essenziali a causa della contemporanea limitazione e compressione dei diritti di libertà personali che, come tali, non possono essere giustificate oltre un determinato arco temporale valutato dal legislatore, nel terzo caso il presupposto è solo l’adozione del provvedimento da parte del giudice incompetente. In quest’ultimo caso, quindi, non si è verificato alcun travalicamento di termini inerenti lo svolgimento di attività giurisdizionali - che devono intervenire nel rispetto del principio della ragionevole limitazione della compressione delle libertà individuali - bensì ci si trova in presenza della necessità che la misura sia adottata da un giudice competente, con la conseguenza che, a fronte di una declaratoria di incompetenza da parte del giudice che ha adottato la misura e, contestualmente, abbia verificato la propria incompetenza, il giudice competente deve pronunciarsi entro il termine di cui all’art. 27 cod. proc. pen., pena l’inefficacia della misura detta situazione non impedisce, tuttavia, la successiva ed autonoma adozione di un provvedimento cautelare da parte del giudice competente, che valuti la sussistenza del compendio indiziario e delle esigenze cautelari, proprio in quanto la misura adottata dal giudice incompetente ha cessato, decorso il temine di venti giorni, di svolgere alcuna funzione ed è, pertanto, del tutto venuta meno la sua efficacia di misura interinale. In ogni caso, come osservato dalle Sezioni Unite Silvano, l’inutile decorso del termine di venti giorni non può essere assunto come sanzione processuale per l’inerzia dell’organo giudiziario competente, comportando, cioè, la perdita del potere da parte di questo di emettere l’ordinanza cautelare, in forza di una specie di decadenza che si verificherebbe per l’inosservanza di un termine perentorio, ciò in quanto la sanzione processuale della decadenza, nel nostro sistema processuale, riguarda solo le attività di parte, mentre il potere del giudice può incorrere solo negli effetti derivanti dalle preclusioni. Tanto premesso, va specificato che la preclusione, da cui discende la perdita di un potere processuale, è ancorata, nel nostro ordinamento, a situazioni specifiche, consistenti 1 dall’aver già esercitato il potere ad esempio nel caso del ne bis in idem 2 dall’aver compiuto attività incompatibili 3 dall’inosservanza dell’ordine assegnato dalla legge all’esercizio del potere stesso, per evitare contraddizioni nel processo o per garantire principi fondamentali della giurisdizione. Nel caso previsto dall’art. 27 cod. proc. pen., al contrario, il termine di giorni venti afferisce solo all’esecutività della misura cautelare adottata, ma non investe affatto i potere-dovere del giudice competente di emettere l’ordinanza cautelare, in assenza di qualsivoglia disposizione che preveda, in tal caso, una preclusione. Ne discende che, come affermato dalle Sezioni Unite, la preoccupazione del legislatore - sottesa alla norma in esame - è stata da un lato quella di non pregiudicare le ragioni cautelari che esigevano l’adozione di misure de libertate nella situazione limbica nella quale il giudice competente non avesse ancora la disponibilità degli atti, e dall’altro quello di conferire certezza alla misura cautelare provvisoriamente adottata in termini di garanzia della libertà personale dell’indagato o dell’imputato, ponendo il limite temporale in esame. D’altra parte, non potrebbe neppure ipotizzarsi che l’esercizio del potere cautelare da parte del giudice incompetente - di portata provvisoria e previsto nell’interesse superiore della giustizia - si traduca - in certe condizioni - nella consumazione del potere dovere di cui è titolare il giudice competente, il quale - per ragioni meramente temporali, ovvero per pretese inerzie talvolta a lui non imputabili, come nella specie - si vedrebbe privato del potere di adottare il provvedimento cautelare, nonostante che ricorrano i presupposti e le condizioni legittimanti. Ciò non potrebbe non essere considerata che un’aporia rispetto a quell’interesse di giustizia posto a base del principio di conservazione degli atti svolti dal giudice incompetente, cioè dal giudice che non può disporre del processo, mediante il quale si è voluto evitare che il procedimento subisse pause od interruzioni non fisiologiche . Coerentemente con detti principi, è stato, non a caso, affermato che in presenza dei presupposti di cui all’art. 384, comma primo, cod. proc. pen., il pubblico ministero può disporre il fermo anche nei confronti di persona detenuta per un precedente titolo di custodia cautelare, che debba essere rimessa in libertà per ragioni esclusivamente formali, come il caso di sopravvenuta inefficacia della misura cautelare per tardiva trasmissione degli atti del procedimento oltre il termine di venti giorni di cui all’art. 27 cod. proc. pen., fermo restando che, qualora non vi sia stata soluzione di continuità nella privazione della libertà personale tra lo spirare di quel termine e l’emissione della seconda ordinanza coercitiva, può essere attivata dalla persona sottoposta alla custodia cautelare, in relazione al periodo intercorso tra la perdita di efficacia della prima misura e l’emissione della seconda, la procedura stabilita dall’art. 314 cod. proc. pen., ai fini della riparazione per l’ingiusta detenzione Sez. 6, sentenza n. 21513 del 06/05/2008, Ghabbar, Rv. 240074 Sez. 1, sentenza n. 3810 del 09/11/2000, dep. 31/01/2001, Munnia ed altri, Rv. 218167 . 2. Il secondo motivo di ricorso appare ai limiti dell’inammissibilità, risultando fondato su considerazioni in fatto, che sottopongono al vaglio di questa Corte di legittimità doglianze inerenti la valutazione del compendio indiziario, secondo una prospettiva alternativa alla valutazione dello stesso effettuata dal Tribunale del Riesame. 3. Quanto al terzo motivo di ricorso, il Tribunale del Riesame ha ritenuto la sussistenza del pericolo di reiterazione - alla luce della non occasionalità della condotta criminosa da parte degli indagati, dimostrativa di specifica capacità organizzativa -, del pericolo di fuga - ricollegabile alla pronta reperibilità di documenti e titolo di viaggio contraffatti, oltre che alla facilità di movimento in ambito nazionale ed internazionale -, del pericolo di inquinamento probatorio in considerazione dell’approfittamento della persona offesa e delle minacce perpetrate ai suoi danni da parte degli indagati. Trattasi di valutazione che appare del tutto immune da aporie e da censure logiche, rilevabili in sede di legittimità, anche considerato che la motivazione sul pericolo di fuga è tale da rendere implicitamente al valutazione di inidoneità di ogni altra misura meno afflittiva, inclusa quella degli arresti domiciliari mediante l’uso di mezzi elettronici di controllo, mezzi che, considerata le loro modalità di funzionamento, certamente segnalano la fuga, ma non appaiono in alcun modo in grado di impedirla. Dal rigetto del ricorso discende, ex art. 616 cod. proc. pen., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Si dispone l’invio degli atti alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94, comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali. Manda alla Cancelleria per gli adempimenti di cui all’art. 94 comma 1 ter, disp. att. cod. proc. pen.