Conducente bloccato nella sua auto: è violenza privata

Accostarsi ad un’altra auto, impedendo all’altro conducente di scendere dal mezzo, può configurare il reato di violenza privata. Dalla discussione istauratasi tra i due automobilisti si arriva al procedimento penale.

Sul tema la Cassazione con sentenza n. 53978/17, depositata il 30 novembre. Il fatto. La vicenda, oggetto delle controversia, inizia dal guidatore di un auto che parcheggiava molto vicino ad un'altra vettura su cui sedeva la futura” persona offesa. La distanza delle due vetture era tale da non permettere al conducente seduto di scendere dal suo lato, costretto per questo a scendere dal lato passeggero. A seguito di ciò, veniva istaurato un procedimento penale nei confronti del guidatore accusato di violenza privata ai danni del conducente che non riusciva ad uscire dall’auto. La Corte di Appello di Messina aveva confermato la sentenza di prime cure con cui l’imputato era stato condannato alla pena di giustizia per il reato ascrittogli. Il condannato ricorre in Cassazione lamentando che, nella fattispecie, non si era verificata nessuna violenza privata. Requisito della violenza. Il ricorrente deduce l’inesistenza del reato sulla base del fatto che lo stesso non aveva parcheggiato la sua vettura, ma si era solo avvicinato alla persona offesa per discutere. Inoltre il ricorrente lamenta in Cassazione di aver ricevuto dalla persona offesa minacce rivolte ai suoi familiari. La Cassazione ha osservato che per la configurabilità del delitto di violenza privata è requisito della violenza qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione . Secondo la Corte non vi è dubbio che dalla ricostruzione delle sentenza impugnata emerga che il ricorrente, posizionandosi molto vicino al lato dell’autista dell’altra vettura, ha costretto la persona offesa a scendere dal lato passeggero per affrontare una discussione con il fine di far spostare l’auto. Infine le deduzioni del ricorrente in merito alle minacce subite sono inammissibili perché formulate per la prima volta nel ricorso e, quindi, non consentite ai sensi dell’art. 606, comma 3, c.p.p In conclusione la Suprema Corte, osservando che il ricorrente con la sua condotta ha pesantemente condizionato la libertà di autodeterminazione e movimento delle persona offesa , dichiara inammissibile il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 12 ottobre – 30 novembre 2017, n. 53978 Presidente Fumo – Relatore Fidanzia Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 16 giugno 2016 la Corte d’Appello di Messina ha confermato la sentenza di primo grado con cui C.M. è stato condannato alla pena di giustizia per il delitto di violenza privata ai danni di G.G. , perché mediante violenza consistita nell’uso improprio della propria autovettura, che parcheggiava nei pressi dell’auto su cui sedeva la persona offesa a distanza tale pochi centimetri da non consentire al conducente di scendere dal suo lato, costringeva G.G. a scendere dall’altro lato della propria autovettura e ad affrontarlo. 2. Con atto sottoscritto dal proprio difensore ha proposto ricorso per cassazione l’imputato affidandolo ai seguenti motivi. 2.1. Con il primo motivo è stato dedotto vizio di motivazione e violazione dell’art. 606 c.p.p Lamenta il ricorrente che, nel caso di specie, non si era verificata alcuna violenza privata, atteso che l’imputato non aveva parcheggiato la propria autovettura, ma l’aveva posta solo in prossimità di quella del G. per discutere con lo stesso e la persona offesa era comunque scesa dal proprio mezzo, dall’altro lato, per discutere con il prevenuto. Peraltro, il ricorrente assume di aver affrontato la persona offesa in relazione alle precedenti minacce da quest’ultimo rivolte alla propria moglie e suocera. 2.2. Con il secondo motivo è stato dedotta violazione di legge per contraddittorietà manifesta. Pone in dubbio il ricorrente la ricostruzione che la sua autovettura si fosse posizionata a pochi centimetri da quella della persona offesa dato che, diversamente, anche lo stesso non avrebbe potuto scendere dal proprio veicolo. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è inammissibile in quanto manifestamente infondato. Va preliminarmente osservato chetai fini della configurabilità del delitto di violenza privata, il requisito della violenza si identifica in qualsiasi mezzo idoneo a privare coattivamente l’offeso della libertà di determinazione e di azione. Sez. 5, n. 8425 del 20/11/2013, Rv. 259052 vedi anche Sez. 5, n. 16571 del 20/04/2006, Rv. 234458 nonché Sez. 5, n. 3403 del 17/12/2003, Rv. 228063 . Non vi è dubbio che, secondo la ricostruzione della sentenza impugnata, il ricorrente, posizionandosi con la propria autovettura a pochi centimetri dello sportello lato autista dell’autovettura della persona offesa, la quale, per la presenza di autovetture parcheggiate avanti e dietro, non poteva in alcun modo spostarsi, ha costretto la stessa parte offesa a scendere dal proprio mezzo per affrontarlo in una discussione allo scopo di ottenere lo spostamento del mezzo . Né rileva che il G. sia stato comunque in grado di scendere dall’autovettura dal lato passeggero , avendo con tale condotta il ricorrente pesantemente condizionato la libertà di autodeterminazione e movimento della persona offesa. Peraltro, le deduzioni del ricorrente, secondo cui avrebbe affrontato la persona offesa in relazione alle precedenti minacce da quest’ultimo rivolte alla moglie ed alla suocera, oltre che irrilevanti, sono inammissibili in quanto formulate per la prima volta nel ricorso e quindi non consentite a norma dell’art. 606 comma 3 c.p.p 2. Anche il secondo motivo è inammissibile, implicando una censura che, oltre ad essere in fatto, è tardiva. Alla declaratoria d’inammissibilità del ricorso consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali e di una somma in favore della Cassa delle Ammende, che si stima equo stabilire nella misura di 2.000,00 Euro. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 2.000,00 in favore della cassa delle ammende.