L’attività su Facebook non è sufficiente per revocare i domiciliari

Riflettori puntati su un uomo che, condannato per droga, sta scontando ai domiciliari la pena. A far scattare l’allarme è la sua presenza sul social network. Questo fatto va valutato con attenzione, esaminando la cronologia e il contenuto dei messaggi.

Accertata la presenza su Facebook. Questo dato non è però sufficiente per revocare gli arresti domiciliari alla persona, condannata per droga, che sta scontando la pena. Difatti, non si può considerare automatica la violazione dell’obbligo di non comunicare con persone” esterne al contesto familiare Cassazione, sentenza n. 54109, sezione prima penale, depositata oggi . Internet. A fare chiarezza provvedono i Giudici del ‘Palazzaccio’, osservando che in Tribunale si è data per certa la violazione senza prendere in considerazione la cronologia e il contenuto dei messaggi postati online. Nessun dubbio, sia chiaro, sul fatto che il divieto di comunicare deve intendersi esteso anche alle comunicazioni, sia vocali che scritte, attraverso internet . Va però precisato, osservano i magistrati, che l’uso di internet non può essere considerato vietato tout-court ove non si risolva in una comunicazione con terzi, ma abbia solamente funzione conoscitiva o di ricerca . In questa vicenda, però, ci si è limitati a disporre la revoca degli arresti domiciliari esecutivi in forza di un automatismo basato sulla mera presa d’atto della pura e semplice violazione della prescrizione, disancorata dall’indicazione di specifici ed apprezzabili elementi di fatto cronologia, contenuto delle comunicazioni con l’esterno idonei a sorreggere la negativa valutazione operata che, invece, appare motivata con il riferimento generico alla tipologia dei siti visitati e alla condivisione di alcune fotografie, non meglio dettagliate, relative al ‘Fronte Europeo per la Siria’ . Peraltro, manca anche una valutazione complessiva del comportamento tenuto dal condannato nel non breve periodo di sottoposizione alla misura che , osservano i giudici, se scevro da ulteriori infrazioni, avrebbe reso necessaria una particolare prudenza nella valutazione da attribuire agli episodi contestati e un apprezzamento di essi non avulso da un esame unitario e comparativo e da un’analisi sulla personalità del condannato e sulla sua effettiva pericolosità sociale . Necessario, quindi, un approfondimento nel contesto del Tribunale di sorveglianza per valutare il peso delle condotte tenute online dal detenuto.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 24 marzo – 30 novembre 2017, n. 54109 Presidente Cortese – Relatore Saraceno Ritenuto in fatto Il Tribunale di sorveglianza di Lecce, con ordinanza deliberata in data 28 giugno 2016, revocava gli arresti domiciliari esecutivi ai quali Pi. An. Do., destinatario di ordine di esecuzione, sospeso ai sensi dell'art. 656 cod. proc. pen., comma 10, si trovava sottoposto, con riguardo alla pena in espiazione di anni due mesi otto di reclusione, inflittagli dal GIP del Tribunale di Padova con sentenza del 23.04.2015, irrevocabile dal 10.6.2015, per il reato di cui al D.P.R. n. 309 del 1990, art. 73. A ragione della decisione, il Tribunale rimarcava l'inidoneità della misura in atto alla rieducazione del condannato, dimostratosi irrispettoso delle prescrizioni degli arresti domiciliari per aver intrattenuto, sotto falso nome, contatti via Internet, sul sito Facebook , in violazione della prescrizione di non comunicare con persone diverse dai familiari conviventi e da coloro che lo assistono imposta in sede di concessione della misura cautelare annotava che il Pi. era gravato da numerose condanne per reati commessi a partire dal 1999 sino al 13 ottobre 2014 e che da ultimo si era reso responsabile all'interno della casa circondariale di Brindisi di un illecito disciplinare sanzionato con l'esclusione per otto giorni dalle attività sportive e ricreative. 2. Ricorre per cassazione l'interessato, a mezzo del suo difensore, deducendo violazione di legge, manifesta illogicità e apparenza della motivazione. Non corrispondeva al vero che il Pi. sul suo profilo Facebook avesse usato un falso nome egli risultava, come confermato dagli atti acquisiti, iscritto sul social network con il proprio nome, cognome e soprannome e il profilo era corredato dalla sua fotografia non vi era prova che al condannato fosse interdetta la comunicazione con estranei, non essendo stato acquisito il provvedimento restrittivo ai fini della verifica dell'imposizione del relativo divieto poiché la sentenza di condanna a suo carico era passata in giudicato il 10 ottobre 2015 e l'ordine di esecuzione, con il contestuale provvedimento di sospensione, emesso il 16 luglio 2015, egli non aveva violato alcun obbligo, intrattenendo contatti a partire dal successivo mese di novembre, essendo ormai estinta la misura degli arresti domiciliari, e tanto pur a voler ritenere accertata l'effettiva sussistenza in capo al ricorrente del divieto impartito con il provvedimento impositivo della cautela. Lamenta, inoltre, la severità ed iniquità del provvedimento adottato, non essendo il ricorrente mai incorso in alcuna violazione nell'intero periodo di sottoposizione alla misura, mentre dai messaggi postati e dai siti visitati non emergeva alcun serio profilo di gravità e/o di pericolosità dei contatti intrattenuti, peraltro nemmeno specificamente evocati ed adeguatamente esaminati nel provvedimento impugnato. Considerato in diritto Il ricorso è fondato per le ragioni in appresso indicate. 1. Preliminarmente si impone la ricognizione giuridica e fattuale del caso in esame. 1.1 Qualora il condannato che si trovi agli arresti domiciliari al momento del passaggio in cosa giudicata della sentenza, dovendo espiare una pena anche residua nei limiti previsti dall'art. 656 cod. proc. pen., comma 5, e non ricorrendo alcuna delle situazioni indicate ai commi 7 e 9 della stessa norma, benefici della sospensione dell'ordine di esecuzione ai sensi del medesimo art. 656, comma 10, il regime detentivo che si instaura è di fatto equiparabile alla misura alternativa della detenzione domiciliare. La norma prevede, infatti, che, fino alla decisione del Tribunale di sorveglianza sull'eventuale applicazione di una delle misure alternative il condannato permane nello stato detentivo nel quale si trova e il tempo corrispondente è considerato come pena espiata a tutti gli effetti . 1.2 Le sezioni unite di questa Corte, intervenendo sulla questione afferente alla sorte delle misure coercitive non custodiali dopo il passaggio in giudicato della sentenza di condanna, hanno affermato che l'intervenuta irrevocabilità di una sentenza a pena detentiva suscettibile di esecuzione comporta la caducazione immediata della misura coercitiva non custodiale, già applicata al condannato, e che, in tal caso, l'estinzione della misura opera di diritto, senza che sia necessario alcun provvedimento che la dichiari Sez. U, n. 18353 del 31/03/2011, Confl., comp. in proc. Ma., Rv. 24948 , e hanno rimarcato, in parte motiva, che al contrario, l'art. 656 cod. proc. pen. si occupa del rapporto fra sentenze irrevocabili di condanna e misure cautelari in corso, con riferimento alle sole misure custodiali, stabilendo, al comma 9, la non concedibilità della sospensione dell'esecuzione in favore del condannato che si trovi in stato di custodia cautelare in carcere che quindi non viene interrotta e, al comma 10, la concedibilità della stessa sospensione in favore del condannato che si trovi agli arresti domiciliari, dei quali dispone esplicitamente la persistenza fino alla decisione del tribunale di sorveglianza . In tale linea ricostruttiva, ricordano le sezioni unite, il legislatore ha inteso farsi carico della esigenza di evitare la cessazione delle misure nel momento in cui la sentenza di condanna diviene irrevocabile ritenendola meritevole di positiva tutela con esclusivo riferimento alle misure custodiali, secondo una scelta strettamente correlata alle loro connotazioni di efficacia e fungibilità e che, come tale, non può essere estesa alle altre misure . 1.3 Nel periodo di tempo intercorrente tra il passaggio in giudicato della sentenza di condanna e la pronuncia del tribunale di sorveglianza, l'art. 656 cod. proc. pen., comma 10, prevede la competenza, in via anticipata e provvisoria, del magistrato di sorveglianza al quale sono devoluti gli adempimenti previsti dall'art. 47 ter ord. pen. che si rendano necessari per la gestione della custodia domestica cui è sottoposto il condannato. Nel caso in cui, nelle more della decisione del tribunale di sorveglianza sull'applicazione di una misura alternativa all'esecuzione in carcere, il condannato commetta violazione delle prescrizioni inerenti agli arresti domiciliari, il magistrato di sorveglianza può sospendere l'esecuzione degli arresti a norma dell'art. 47 ter ord. pen., espressamente richiamato dall'art. 656 cod. proc. pen., comma 10, ultimo periodo, e, in tal caso, deve immediatamente trasmettere gli atti al Tribunale di sorveglianza per la decisione di competenza ex art. 51 ter ord. pen. tale decisione avrà per oggetto l'ammissione o meno del condannato alla misura alternativa richiesta, ma non potrà revocare un beneficio penitenziario non ancora deliberato. 1.4 Nel caso in esame, per il titolo oggi in espiazione, il Pi. si trovava in custodia cautelare domestica dal 13.10.2014 in data 16.7.2015 era stato destinatario di ordine di esecuzione sospeso, con prosecuzione agli arresti domiciliari, ai sensi dell'art. 656 cod. proc. pen., comma 10 il Magistrato di sorveglianza, con provvedimento del 30 maggio 2016, disponeva la sospensione cautelativa della misura in corso, con traduzione in carcere del condannato con l'ordinanza, oggi impugnata, il Tribunale ratificava il provvedimento di sospensione del Magistrato di sorveglianza, disponendo la revoca definitiva degli arresti domiciliari esecutivi, stante l'inidoneità della misura ad assicurare le finalità di rieducazione e di reinserimento sociale del condannato, avuto riguardo alla condotta dal medesimo tenuta, irrispettosa delle regole e delle prescrizioni imposte. 2. Tanto premesso, il provvedimento impugnato non si sottrae alla censura del vizio di motivazione sollevata dal ricorrente. 2.1 Nel caso in esame il Tribunale ha dato per certa l'esistenza della prescrizione che si assume violata senza un esame diretto del contenuto dell'ordinanza impositiva della cautela che non risulta presente nel fascicolo della procedura, muovendo, pertanto, da un dato storico processuale non verificato, giacché, pur in presenza di una presunzione forte, rappresentata dalle indicazioni contenute nell'informativa dei carabinieri, doveva essere dimostrato che nel richiamato verbale di esecuzione della misura la polizia giudiziaria avesse ribadito un divieto, quello di comunicare con l'esterno, effettivamente imposto dall'autorità giudiziaria. 2.2 A tale vizio di palese rilevanza si aggiunge un altro elemento di patologia motivazionale, pur denunciato dal ricorrente, costituito dall'omessa valutazione da un lato della cronologia e del contenuto dei messaggi postati, dall'altro del comportamento del detenuto domiciliare, tenuto per oltre un anno in assenza di infrazioni. Come osservato dal giudice delle leggi, i principi di colpevolezza, proporzionalità e individualizzazione della pena operano tanto nella determinazione quanto nell'esecuzione della pena che deve tendere alla rieducazione del reo, a norma dell'art. 27, comma terzo, Cost. Corte cost. n. 306 del 1993, n. 299/1992 n. 203/1991 n. 282/1989 n. 343/1987 n. 50/1980 . Ne discende che, stante la sostanziale equiparabilità degli arresti domiciliari esecutivi alla detenzione domiciliare, la revoca della misura postula una valutazione della condotta, in ipotesi contraria alla legge o alle prescrizioni dettate, che non può limitarsi al singolo episodio contestato, eccettuato il caso in cui esso presenti un'intrinseca gravità talmente elevata da rendere superfluo il giudizio comparativo tra l'entità della deviazione accertata e il percorso rieducativo fino ad essa compiuto. Nel caso di specie, premesso che il divieto di comunicare con persone diverse dai familiari conviventi o da coloro che prestino assistenza deve intendersi esteso, pur in assenza di prescrizioni dettagliate e specifiche, anche alle comunicazioni sia vocali che scritte attraverso Internet, con la precisazione che l'uso di Internet non può essere considerato vietato tout court ove non si risolva in una comunicazione con terzi, ma abbia solamente funzione conoscitiva o di ricerca, l'ordinanza impugnata appare essersi limitata a disporre la revoca degli arresti domiciliari esecutivi in forza di un automatismo basato sulla mera presa d'atto della pura e semplice violazione della prescrizione, disancorata dall'indicazione di specifici ed apprezzabili elementi di fatto cronologia, contenuto delle comunicazioni con l'esterno idonei a sorreggere la negativa valutazione operata che appare motivata con il riferimento generico alla tipologia dei siti visitati e alla condivisione di alcune fotografie, non meglio dettagliate, relative al Fronte Europeo per la Siria accompagnate dal post mi piace . Manca, poi, una valutazione complessiva del comportamento tenuto dal condannato nel non breve periodo di sottoposizione alla misura che, se scevro da ulteriori infrazioni su cui il provvedimento è silente avrebbe reso necessaria, in una situazione di contrasto dialettico, una particolare prudenza nella valutazione da attribuire agli episodi di interesse e un apprezzamento di essi non avulso da un esame unitario e comparativo e da un'analisi sulla personalità del condannato e sulla sua effettiva pericolosità sociale. In altri termini il giudizio espresso la misura in atto è assolutamente insufficiente a rieducare il soggetto garantendone il reinserimento sociale, poiché egli è assolutamente irrispettoso delle regole ma consapevole di non poter direttamente risultare collegato ai siti tanto da avere usato un falso nome appare sorretto da una motivazione sbrigativa, che non dà conto degli specifici dati fattuali presi in considerazione, non svolge alcuna valutazione dialetticamente ponderata, prescinde dal correlarsi con le deduzioni difensive circa l'utilizzo del nome e cognome del ricorrente nel profilo facebook, dando peraltro atto dell'effettivo inserimento della fotografia del Pi. che, attraverso la consultazione del social network, aveva consentito ai carabinieri di avvedersi della denunziata violazione . Ne consegue che la motivazione non resiste alle osservazioni e deduzioni difensive e non si sottrae alla censura di omesso apprezzamento di tutti gli elementi rilevanti ai fini della revoca. 3. Per tali vizi motivazionali, consistiti nell'omessa verifica a monte dell' effettiva esistenza della prescrizione e nella limitazione del giudizio di revoca alla semplice violazione di essa, senza alcun effettivo vaglio del contenuto dei contatti intrattenuti con terzi e senza operare alcuna comparazione tra l'eventuale gravità di essi e la complessiva condotta serbata dall'interessato nel corso dell'esecuzione della misura, si impone l'annullamento dell'ordinanza impugnata con rinvio allo stesso Tribunale che provvedere in piena libertà di giudizio, ma colmando le evidenziate lacune. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata e rinvia per nuovo esame al Tribunale di sorveglianza di Lecce.