Valide le intercettazioni disposte in considerazione dell’urgenza e dell’attività illecita

La legittimità del decreto con cui il P.M. dispone le intercettazioni ambientali deve valutarsi sotto il profilo dell’urgenza dell’accertamento e dell’attività illecita contestata.

Così la Corte di Cassazione con sentenza n. 53584/17, depositata il 27 novembre. Il caso. Avverso la sentenza della Corte di Cassazione, con cui veniva rigettata l’impugnazione della sentenza emessa dalla Corte d’Appello di Napoli, il ricorrente, propone ricorso straordinario, dolendosi di un errore di fatto contenuto nella sentenza oggetto del ricorso. Difatti, la Corte avrebbe sancito l’utilizzabilità delle intercettazioni predisposte a suo carico, affermandone la legittimità, sebbene queste fossero state captate, non solo con strumenti diversi da quelli previsti per legge, ma soprattutto presso una struttura carceraria, quando, in realtà, le captazioni venivano acquisite presso una struttura ospedaliera. L’errore sul fatto e la pronuncia sul ricorso. La Suprema Corte riconosce che la sentenza impugnata dal ricorrente è affetta da errore sul fatto in relazione al quale può attivarsi il mezzo d’impugnazione straordinaria ex art. 625- bis c.p.p. . Tuttavia, la Corte evidenzia che il decreto del P.M. con cui si disponevano le intercettazioni fosse sufficientemente motivato e legittimo ai sensi dell’ art. 268, comma 3 Esecuzione delle operazioni , c.p.p., poiché l’inquirente, oltre a dare conto dell’urgenza dell’accertamento, che lo stesso ricorrente non contesta, dà atto anche dell’indisponibilità immediata di postazioni idonee, valutando tali, proprio per effetto dell’attività illecita in atto, quelle che consentivano l’immediato intervento in loco della P.G. per gli approfondimenti necessari, condizione che evidentemente imponeva una presenza operativa nei pressi della struttura [ospedaliera] . La Corte dunque revoca la sentenza emessa dalla sezione seconda penale e, nel merito, rigetta il ricorso condannando il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 8 – 27 novembre 2017, n. 53584 Presidente/Relatore Petruzzellis Ritenuto in fatto 1. D.S.V. , con atto depositato il 27/03/2017, ha proposto ricorso straordinario avverso la pronuncia della Corte Suprema di Cassazione del 27/10/2016 con la quale è stata rigettata l’impugnazione dallo stesso proposta avverso la sentenza del 21/01/2016 dalla Corte d’appello di Napoli. 2. Si segnala nel ricorso l’errore di fatto contenuto nella sentenza oggetto dell’impugnazione straordinaria, nella parte in cui, respingendo l’unico motivo di ricorso attinente all’inutilizzabilità delle intercettazioni poste a base dell’accertamento di responsabilità, in quanto captate con strumenti diversi da quelli in uso presso la procura della Repubblica, in assenza di giustificazione, ha sorretto la legittimità di tali acquisizioni sulla base di un presupposto di fatto sbagliato. La Corte ha dato atto che le captazioni rilevanti erano avvenute presso la struttura carceraria, e da ciò ha desunto l’impossibilità tecnica di procedere secondo i criteri fissati dall’art. 268 comma 3 cod. proc. pen., quando in realtà le captazioni erano state acquisite presso la struttura ospedaliera, discendendo da tale erronea percezione del dato di realtà una valutazione non corretta. Considerato in diritto 1. Il ricorso straordinario è fondato. L’esame degli atti ha consentito di verificare che la pronuncia oggetto di impugnazione ha effettivamente considerato a fondamento della sua valutazione una circostanza di fatto - l’acquisizione della captazione in carcere - non corrispondente al reale, posto che risulta invece che tale accertamento è stato realizzato in struttura ospedaliera. Il dato storico errato ha costituito la base di una successiva valutazione, come dimostrato dalla circostanza che nella sentenza si valorizzano proprio le condizioni di fatto in cui è stata eseguita la captazione, per inferire l’utilizzabilità delle captazioni ambientali ciò integra l’errore sul fatto in relazione al quale può attivarsi il mezzo di impugnazione straordinario. In senso conforme si sono espresse le Sezioni Unite della Corte di legittimità, con Sentenza n. 16103 del 27/03/2002, Basile Rv. 221280 che ha chiarito che L’errore di fatto verificatosi nel giudizio di legittimità e oggetto del rimedio previsto dall’art. 625-bis cod. proc. pen. consiste in un errore percettivo causato da una svista o da un equivoco in cui la Corte di cassazione sia incorsa nella lettura degli atti interni al giudizio stesso e connotato dall’influenza esercitata sul processo formativo della volontà, viziato dall’inesatta percezione delle risultanze processuali che abbia condotto a una decisione diversa da quella che sarebbe stata adottata senza di esso . Ne deve conseguire la revoca del provvedimento impugnato. 3 Può procedersi alla fase rescissoria, che secondo costante giurisprudenza della Corte di legittimità può svolgersi contestualmente, attraverso la procedura camerale partecipata, già fissata per il giudizio rescindente Sez. U, cit. nonché Sez. U., 27 marzo 2002 n. 16104, De Lorenzo , che consente l’immediata pronuncia sul ricorso, tenuto conto che dalla celebrazione di una nuova udienza per la trattazione del giudizio rescissorio deriverebbe una inutile dilazione, posto che sulle questioni svolte con il ricorso straordinario, comprese quella oggetto dei motivi esaminati dalla Corte di Cassazione con la sentenza revocata, è stata consentita la discussione secondo il rito camerale partecipato, con conseguente rispetto del contraddittorio, e pieno esercizio delle garanzie difensive. Esaminato quindi il ricorso originario emerge che l’impugnazione della pronuncia della Corte d’appello è fondata esclusivamente sulla contestazione di inutilizzabilità delle intercettazioni ambientali, in quanto si assume che il decreto con il quale il P.m. ha autorizzato la captazione con strumenti esterni a quelli esistenti presso il suo ufficio non risulta dotato dei requisiti richiesti dall’art. 268 comma 3 cod. proc. pen., secondo l’interpretazione resa dalla sentenza delle sezioni unite della Corte di legittimità Sez. U, Sentenza n. 30347 del 12/07/2007, Aguneche, Rv. 236755 . L’esame del provvedimento, come integralmente riportato nell’originario ricorso, oltre che nel ricorso straordinario, impone di escludere la fondatezza del rilievo. Si segnala infatti che il decreto del P.m., dopo una specifica descrizione dei fatti che richiamano le condizioni di degenza in ospedale della parte lesa e la necessità di acquisire in quel contesto eventuali ricostruzioni sulla dinamica dei fatti, e l’utilizzo di apparecchiature che trasmettevano il segnale agli impianti allocati in adiacenza rispetto al luogo intercettato, ha testualmente riportato Dispone che le operazioni stesse siano compiute per mezzo degli impianti in uso alla p.g. rilevandosi l’urgenza dell’esecuzione delle operazioni di intercettazione, in relazione alla necessità di conseguire elementi indifferibili per accertare i fatti, coordinando in tempo reale l’attività di ascolto con le altre investigazioni in atto da parte della sezione di p.g assunzione di informazioni, pedinamenti, ecc. dirette alla ricostruzione del fatto criminoso, attività che subirebbero detrimento decisivo per le indagini in corso laddove si agisse con modalità diverse di captazione. Si rileva infatti l’indifferibilità dell’esecuzione delle operazioni di intercettazione, in relazione all’indisponibilità degli impianti, ovvero di modalità alternative alle intercettazioni indicate, situazione tale da non rendere ipotizzabile alcuna dilazione della esecuzione delle operazioni, salvo concretizzare il serio pericolo della definitiva perdita di elementi essenziali di conoscenza . Quanto complessivamente espresso al riguardo, che deve subire una valutazione unitaria stante l’esposizione di plurime circostanze rilevanti al fine di tratteggiare le condizioni presenti in unico contesto spazio temporale, evidenzia che l’inquirente, oltre a dare conto dell’urgenza dell’accertamento, che lo stesso ricorrente non contesta, dà atto anche dell’indisponibilità immediata di postazioni idonee, valutando tali, proprio per effetto dell’attività illecita in atto, quelle che consentivano l’immediato intervento in loco della p.g. per gli approfondimenti necessari, condizione che evidentemente imponeva una presenza operativa nei pressi della struttura, con apposite apparecchiature, circostanza quest’ultima di cui è dato conto nel quarto capoverso del provvedimento. Tanto basta al fine della verifica di legittimità nell’acquisizione delle captazioni, che, come più volte chiarito dalle sentenze a Sezioni unite della Corte di legittimità SS.UU. Sentenza n. 42792 del 31/10/2001, Policastro Rv. 220093 Sentenza n. 919 del 26/11/2003, dep. 19/01/2004, Gatto Rv. 226488 nell’impossibilità di individuare clausole specifiche, non essendo queste preventivabili a fronte della composita realtà, si ritengono esaurienti ove dal complesso delle espressioni usate sia ricostruibile il motivo per il quale non si fa ricorso alle strutture interne, attraverso una valutazione che dia conto delle ragioni sottese alla decisione, che sia effettuata ponendo in relazione il fatto da accertare e le operazioni disposte in cui si deve tenere conto del contemperamento tra esigenze delle indagini e di tutela del diritto alla riservatezza. Si deve ricordare che proprio la pronuncia posta a fondamento delle istanze difensive, richiede per la legittimità dell’accertamento che, quali che siano le espressioni lessicali usate, che possono anche essere estremamente concise, ciò che rileva è che da queste possa inferirsi l’iter cognitivo e valutativo seguito, al fine di confrontare i risultati con le prescrizioni di legge e che l’esistenza di una obiettiva situazione di insufficienza o di inidoneità emerga dalla motivazione del decreto che non deve contenere solo la valutazione conclusiva operata in proposito dal pubblico ministero quel che la sentenza in esame esclude è che possa essere espressa attraverso clausole di stile la mera enunciazione di un conclusivo giudizio, avulso dai dati di fatto ritenuti sussistenti, unitamente alle ragioni che hanno indotto al consequenziale divisamento espresso, senza dare contezza dell’iter cognitivo e valutativo seguito dal magistrato, così da sottrarre a chi ha titolo ad impugnare o contestare la decisione il diritto di critica e all’organo della valutazione o dell’impugnazione l’attività di verifica che gli compete . Alla luce di quanto illustrato in quel provvedimento va quindi confermata e ribadita quella nozione di inidoneità di tipo funzionale di tali impianti, - comprendente non solo una obiettiva situazione di fatto che renda necessario il ricorso ad impianti esterni, ma anche la concreta inadeguatezza al raggiungimento dello scopo, in relazione al reato per cui si procede ed alla tipologia di indagine necessaria all’accertamento dei fatti, in relazione, cioè, alle caratteristiche concrete delle operazioni captative e alle finalità investigative perseguite - fermo restando che di tali esigenze il magistrato debba, comunque, dare motivata contezza. Rapportando tale concetti al caso di specie si deve rilevare che quel che si contesta da parte del ricorrente è l’insufficienza del riferimento all’indisponibilità degli impianti interni, in effetti non circostanziata, ma si dimentica che tale condizione è alternativa a quella della ritenuta inidoneità degli impianti stante l’avversativo ovvero contenuto nel testo dell’art. 268 comma 3 cod. proc. pen. , requisito questo non solo evocato, ma specificamente circostanziato con richiamo alla situazione di fatto inoltre nella valutazione della contezza della giustificazione il ricorso non considera la stretta connessione giustificativa della circostanza attestata, con la mancanza di mezzi alternativi idonei e la necessità di non temporeggiare in presenza di un’attività in corso, che richiedeva immediato intervento. Ed è bene ricordare sul punto che, al di là di una verifica sull’esaustività di quanto attestato, non può il giudicante successivamente contestare le scelte tecniche eseguite, giungendo ad escludere la necessità del ricorso alla postazione esterna, essendogli rimessa esclusivamente una verifica della congruità della giustificazione conseguentemente non può essere rimessa in discussione la valutazione concreta dell’idoneità tecnica degli strumenti in possesso della Procura della Repubblica, per la vicinanza spaziale del nosocomio rispetto a tali uffici, come pure lumeggiato nel ricorso, tanto meno nel giudizio di legittimità. Cosicché il rilevo formulato al riguardo attiene ad un motivo non consentito. Ne consegue che, indiscussa la presenza di valutazioni in ordine all’indifferibilità ed alle specifiche caratteristiche tecniche richieste, l’argomentazione inerente all’inidoneità degli strumenti in possesso della Procura risulta esaustiva, proprio in quanto deve essere valutata sulla base del complesso delle espressioni usate, e senza artificiose cesure tra la prima parte del decreto, riguardante la particolarità dell’indagine, e quella attinente agli strumenti più idonei per eseguirla. Il provvedimento contestato risulta aver compiutamente legittimato la particolare modalità di captazione, della quale in questa sede deve ribadirsi l’utilizzabilità, circostanza che comporta, stante l’infondatezza dell’unico motivo di ricorso, il rigetto dell’impugnazione. 4. Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Revoca la sentenza emessa dalla Corte di Cassazione, seconda sezione penale, in data 27/10/2016 n. 6811/2017. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.