Sottrae due sgabelli da un magazzino: condannato per rapina

Nel reato di rapina rileva non tanto l’elemento patrimoniale relativo al valore economico del bene sottratto, quanto l’elemento della coartazione subita dalla persona offesa costretta a subire lo spossessamento subendo la minaccia o la violenza dell’agente.

La sentenza n. 53587/17, depositata il 28 novembre, offre ai Giudici di legittimità l’occasione per tornare sul reato di rapina impropria. Il fatto. La vicenda si è svolta in un magazzino, di proprietà della persona offesa, dal quale l’imputato aveva sottratto due sgabelli. Il derubato tentava di recuperare la refurtiva inseguendo l’imputato che reagiva con violenza fisica contro il primo per riuscire a fuggire. Il Tribunale, così come la Corte d’Appello, dichiarava colpevole l’imputato per il reato di rapina impropria. La difesa ricorre per la cassazione della sentenza di seconde cure dolendosi per violazione di legge e difetto di motivazione per aver la Corte erroneamente applicato il principio di offensività negandogli l’assoluzione che sarebbe invece stata giustificata sia dall’assenza di valore economico della refurtiva che dal modestissimo grado di aggressione fisica subito dalla persona offesa. Offensività. La doglianza si rivela priva di fondamento in quanto, ribadisce il Collegio, il principio di offensività del reato subordina la sanzione penale all’effettiva offesa di un bene giuridico tanto nella forma della lesione intesa come nocumento concreto quanto in quella dell’esposizione a pericolo concepita in termini di nocumento potenziale . Inoltre, laddove ci si trovi di fronte a reati caratterizzati da un basso livello di offesa dei beni tutelati minore in sé oppure rispetto ad altre fattispecie assimilabili , l’offensività in concreto deve essere valutata scendendo al di sotto della ridotta lesività già considerata dalla corrispondente norma incriminatrice . Precisa poi la sentenza che l’inoffensività non si identifica con la lieve entità del fatto, rilevante invece come causa di non punibilità ex art. 131- bis c.p., né può essere parametrata alle medesime condizioni. Rapina. Passando al caso di specie e ferma restando l’indispensabile analisi della struttura della singola fattispecie, la S.C. ricorda che nel delitto di rapina non viene considerato solo l’aspetto patrimoniale, ma anche e soprattutto l’aspetto della coartazione della volontà della persona offesa che viene costretta a subire uno spossessamento dalla minaccia o violenza dell’agente. In conclusione, quante volte siano in concreto realizzati gli elementi costitutivi del delitto di rapina, non potrà dubitarsi dell’offensività del fatto, quanto meno sotto il profilo della effettiva limitazione della libertà di autodeterminazione della persona offesa . La Corte rigetta dunque il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 27 ottobre – 27 novembre 2017, n. 53587 Presidente Cammino – Relatore Prestipino Ritenuto in fatto 1.Ha proposto ricorso per cassazione P.V.G. , per mezzo del proprio difensore, avverso la sentenza della Corte di Appello di Palermo del 6 ottobre 2016, che confermò la sentenza di condanna pronunciata nei suoi confronti dal gup del Tribunale di Marsala il 4 novembre 2014, per il reato di rapina impropria in danno di B.C 2.Secondo la pacifica ricostruzione dei fatti contenuta nella sentenza impugnata, il ricorrente, dopo essersi impossessato di due sgabellini collocati all’interno di un magazzino di proprietà della persona offesa, aveva usato violenza fisica contro il derubato, che l’aveva inseguito per riprendere il possesso della refurtiva. 3.Con il primo motivo, la difesa deduce il vizio di violazione di legge e il difetto di motivazione della sentenza impugnata in relazione alla violazione del principio di offensività, che avrebbe dovuto condurre, nella specie, i giudici territoriali, ad una pronuncia di assoluzione, sia per il nessun valore economico della refurtiva, attestato dallo stesso B. , che per il modestissimo grado di aggressione fisica subito dalla persona offesa. 3.1. Con il secondo motivo, lamenta il vizio di erronea applicazione della legge penale e il difetto di motivazione in relazione alla mancata applicazione di taluna delle sanzioni alternative previste dalla L. 689/1981, e alla mancata concessione del beneficio della sospensione condizionale. La motivazione della sentenza impugnata sarebbe, sotto tali aspetti, del tutto insoddisfacente rispetto all’esigenza di un’adeguata personalizzazione della pena. Considerato in diritto Il ricorso è infondato. 1.Come ricorda puntualmente la sentenza impugnata, il principio di offensività del reato, formulato essenzialmente con riferimento ai parametri costituzionali della responsabilità penale artt. 13, 25 co 2, 27 co 2, 21 Cost , subordina la sanzione penale all’effettiva offesa di un bene giuridico tanto nella forma della lesione intesa come nocumento concreto quanto in quella dell’esposizione a pericolo concepita in termini di nocumento potenziale, ponendosi nell’ordinamento giuridico come criterio polivalente di minimizzazione delle proibizioni penali. 1.1. Il principio risponde all’esigenza della tendenziale tolleranza della devianza in termini idonei a ridurre al minimo necessario l’intervento penale e perciò a rafforzare la sua legittimità e la sua credibilità, ed ha trovato numerose applicazioni giurisprudenziali cfr., ad es. Sez. 5, Sentenza n. 1786 del 20/09/2016 Ud. dep. 16/01/2017 Rv. 268751 Panico, in materia di violenza privata, dove l’affermazione che ai fini dell’integrazione del delitto è necessario che la violenza o la minaccia costitutive della fattispecie incriminatrice comportino la perdita o, comunque, la significativa riduzione della libertà di movimento o della capacità di autodeterminazione del soggetto passivo, essendo, invece, penalmente irrilevanti, in virtù del principio di offensività, i comportamenti che, pur costituendo violazioni di regole deontologiche, etiche o sociali, sì rivelino inidonei a limitare la libertà di movimento dell’interessato, o ad influenzarne significativamente il processo di formazione della volontà . 2. Peraltro, quando si tratti di reati caratterizzati da un grado di offesa minore ai beni giuridici tutelati, minore in sé o rispetto ad altre fattispecie convergenti sulla stessa area di tutela, l’indagine sull’offensività in concreto deve scendere comunque, per dir così, al di sotto della ridotta lesività già considerata dalla corrispondente norma incriminatrice, ché se la norma debba ritenersi investita nella sua interezza da una valutazione di irragionevolezza, rispetto alla funzione della repressione penale interpretata in conformità ai valori costituzionali, non altra via sarebbe data che denunciarne l’incostituzionalità. 2.1. Si deve anche ritenere, infine, che l’inoffensività non si identifichi con la lieve entità del fatto, che comporta la non punibilità del reato ai sensi dell’art. 131 bis cod. pen., e comunque che non sia per dir così, perimetrata dalle condizioni della non punibilità stabilite dalla stessa norma e così, ad es., anche un fatto potenzialmente punibile con pena superiore ai cinque anni potrebbe in concreto ritenersi privo del carattere di offensività, ciò che impedirebbe a monte l’approccio al tema della non punibilità ex art. 131 bis cod. pen. dovendosi piuttosto escludere in radice la responsabilità penale. 3. Tanto premesso, si deve però rilevare che le valutazioni del caso non possano prescindere dalla struttura della singola fattispecie. Nel delitto di rapina viene in considerazione non solo l’aspetto patrimoniale, che, peraltro, non ha nemmeno carattere decisivo dal punto di vista dello scopo di profitto dell’agente cfr. Cass. Sez. 2, Sentenza n. 11467 del 10/03/2015 Ud. dep. 19/03/2015 Rv. 263163 secondo cui nel delitto di rapina il profitto può concretarsi in ogni utilità, anche solo morale, nonché in qualsiasi soddisfazione o godimento che l’agente si riprometta di ritrarre, anche non immediatamente, dalla propria azione, purché questa sia attuata impossessandosi con violenza o minaccia della cosa mobile altrui, sottraendola a chi la detiene , ma anche e soprattutto l’aspetto della coartazione della volontà della persona offesa, costretta a subire uno spossessamento per effetto di minaccia o violenza e a tollerare la perdita di un bene, qualunque ne sia il valore. 3.1. Ebbene, quante volte siano in concreto realizzati gli elementi costitutivi del delitto di rapina, non potrà dubitarsi dell’offensività del fatto, quanto meno sotto il profilo della effettiva limitazione della libertà di autodeterminazione della persona offesa. Proprio il precedente sopra citato sul reato di violenza privata fornisce un’importante indicazione al riguardo, per l’ovvia argomentazione a contrario che se ne può trarre circa la necessità che l’esclusione dell’offensività trovi ragione in un’assoluta minimizzazione del fatto, incompatibile con l’inevitabile pregiudizio concreto che qualunque soggetto vittima di una rapina trae tipicamente dal reato. In questo senso, l’ipotesi di una rapina inoffensiva sembra una chiara contraddizione in termini. 3.1.1. Non può quindi convenirsi con la difesa quando sostiene che, nella specie, neanche sotto il profilo personale l’offesa sarebbe stata effettiva, trattandosi, oltretutto, di un’affermazione che, sviluppata fino alle sue estreme conseguenze, comporterebbe l’implicita e generalizzata esclusione dell’offensività dei reati di percosse e di violenza privata, che, quando siano strumentali a spogliare taluno di un bene, possiedono, anzi, per sé astrattamente considerati, un grado di lesività prossimo al livello più alto del loro disvalore sociale vedi, anche, quanto si è detto al precedente punto 2 . 3.1.2. Tutto ciò, senza dire, infine, che è di tutta evidenza come nelle deduzioni difensive il tentativo di ridurre il fatto al parametro dell’inoffensività si basi sul comportamento postumo, e sulla postuma autocertificazione ? del nessun valore economico dei beni sottrattigli da parte della persona offesa, che nell’immediatezza dell’azione criminosa mostrò tutt’altro che un assoluto disinteresse per la refurtiva, inseguendo anzi il ricorrente per riprenderne il possesso, con il rischio di una colluttazione dalle conseguenze imprevedibili. E sottolinea inoltre, al riguardo, efficacemente, la Corte di merito, che la persona offesa non si era per nulla disfatta, in precedenza, della pur modesta refurtiva, avendo anzi ricoverato gli sgabelli all’interno di un magazzino. 4. Meno ancora si prestano alle censure difensive le valutazioni della Corte territoriale in punto di trattamento sanzionatorio, promiscuamente riferibili tanto al diniego di sanzioni alternative alla detenzione, che al diniego della sospensione condizionale della pena beneficio, quest’ultimo, normativamente precluso, peraltro, dalla circostanza che il ricorrente ne aveva già goduto due volte i giudici di appello sottolineano infatti del tutto coerentemente un vissuto del ricorrente all’insegna dell’illegalità, secondo un percorso di vita ininterrotto, denotante una pericolosità mai del tutto composta . Alla stregua delle precedenti considerazioni il ricorso va pertanto rigettato, con la condanna del ricorrente, ai sensi dell’art. 616 cod. proc. pen. al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.