Condannato per violenze contro l’ex compagna si difende: “non eravamo sposati”

Il delitto di maltrattamenti in famiglia può essere ascritto all’agente che commette violenze nei confronti del convivente more uxorio anche dopo la cessazione della convivenza stessa, qualora permane una relazione con la vittima in ragione dei doveri degli ex conviventi verso i figli.

Lo ha ribadito la Cassazione con sentenza n. 52723/17, depositata il 20 novembre. La vicenda. La Corte d’Appello di Napoli, in forma della sentenza del Tribunale, aveva rideterminato la pena inflitta al condannato per il delitto di maltrattamenti in famiglia. Avverso la decisione della Corte territoriale ricorre in Cassazione il condannato chiedendo l’annullamento della sentenza. Attendibilità della persona offesa. Secondo il ricorrente la Corte d’Appello aveva trascurato di considerare alcuni elementi che dimostravano l’inattendibilità della persona offesa. Dalla valutazione della Cassazione emerge che, al contrario, la Corte territoriale aveva compiutamente valutato l’attendibilità delle dichiarazioni della vittima, ex compagna del condannato, le quali si accompagnavano ai risconti obbiettivi estrinseci risultati dalle intercettazioni e dalle dichiarazioni rilasciate dalla madre della persona offesa. Ciò in applicazione del consolidato principio di diritto secondo il quale le dichiarazioni della persona offesa, una volta verificata la credibilità soggettiva e l’attendibilità del racconto, possono da sole essere poste a fondamento dell’affermazione della responsabilità dell’imputato. Maltrattamenti e convivenza. Secondo la Suprema Corte è inammissibile l’ulteriore doglianza del ricorrente, il quale lamenta che la Corte territoriale non abbia considerato che la denuncia della persona offesa veniva posta in essere quando la convivenza era ormai interrotta. Inoltre, sostiene il ricorrente che non poteva essere condannato per il reato di maltrattamenti in famiglia in quanto non aveva mai contratto matrimonio con la vittima. Il Supremo Collegio ha osservato che, secondo costante giurisprudenza della Corte di legittimità, il reato di maltrattamenti in famiglia è ravvisabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale . Inoltre, anche senza i vincoli derivanti dal matrimonio, il delitto di maltrattamenti in famiglia è in ogni caso configurabile nei confronti della persona che, anche se non convive più con l’aggressore, conservi con quest’ultimo una relazione dipendente dai doveri connessi alla filiazione Cass. n. 25498/17 .

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 settembre 20 novembre 2017, n. 52723 Presidente Ippolito Relatore Bassi Ritenuto in fatto 1. Con il provvedimento in epigrafe, la Corte d’appello di Napoli, in riforma dell’appellata sentenza del’8 ottobre 2014 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Nola, ha rideterminato - nella misura di cui al dispositivo - la pena inflitta ad F.A. per il delitto di maltrattamenti in danno della moglie, per i reati di lesioni personali e di minaccia in danno di altri soggetti nonché di porto di coltello in luogo pubblico. 2. Ricorre avverso la sentenza F.A. , a mezzo del difensore di fiducia Avv. Gennaro Santorelli, e ne chiede l’annullamento per i seguenti motivi. 2.1. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione agli artt. 572, 612-bis cod. pen. e 192 cod. proc. pen. Il ricorrente si duole del fatto che la Corte d’appello abbia confermato la condanna trascurando di considerare gli elementi indicati nell’atto d’impugnazione a dimostrazione della inattendibilità delle dichiarazioni rese dalla persona offesa in particolare, la circostanza che era la presunta persona offesa a tempestare di telefonate il F. , omettendo altresì di confrontarsi con il dato storico che la denuncia delle presunte condotte aggressive veniva presentata quando la convivenza con la donna si era ormai interrotta nonché con la circostanza che l’imputato non aveva mai contratto matrimonio con la persona offesa con cui aveva convissuto more uxorio , di tal che i fatti avrebbero dovuto essere riqualificati ai sensi dell’art. 612-bis cod. pen 2.2. Violazione di legge e vizio di motivazione in relazione all’art. 163 cod. pen., per avere la Corte ingiustificatamente negato l’applicazione della sospensione condizionale, nonostante il comportamento collaborativo dell’imputato. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato con limitato riguardo al secondo motivo concernente l’applicabilità della sospensione condizionale della pena, mentre va disatteso nel resto. 2. Non coglie nel segno il primo motivo con il quale il ricorrente denuncia la violazione di legge ed il vizio di motivazione in ordine alla ritenuta integrazione del reato di maltrattamenti contestando tanto l’affidabilità del narrato della persona offesa, quanto la configurabilità della fattispecie in assenza dei presupposti della convivenza e del vincolo matrimoniale. 2.1. Quanto al primo rilievo, va rimarcato come la Corte d’appello abbia espressamente affrontato il tema dell’attendibilità della persona offesa, evidenziando - con considerazioni scevre da vizi di ordine logico o giuridico coltivabili nella sede di legittimità - come alla intrinseca attendibilità delle dichiarazioni desumibile dalla linearità e coerenza della narrazione si accompagnino riscontri obbiettivi estrinseci, evinti dal contenuto delle intercettazioni e dalle dichiarazioni rese dalla madre della persona offesa v. pagine 3 e seguenti della sentenza impugnata . 2.2. D’altronde, non può non ribadirsi che le regole dettate dall’art. 192, comma 3, cod. proc. pen. non si applicano alle dichiarazioni della persona offesa, le quali possono essere legittimamente poste da sole a fondamento dell’affermazione di penale responsabilità dell’imputato, previa verifica, corredata da idonea motivazione, della credibilità soggettiva del dichiarante e dell’attendibilità intrinseca del suo racconto, che peraltro deve in tal caso essere più penetrante e rigoroso rispetto a quello cui vengono sottoposte le dichiarazioni di qualsiasi testimone Sez. U, n. 41461 del 19/07/2012, Bell’Arte ed altri, Rv. 253214 . 3. È inammissibile, in quanto extra devolutum ai sensi dell’art. 606, comma 3, cod. proc. pen., il secondo motivo di doglianza, là dove nell’atto d’appello il ricorrente non aveva eccepito l’insussistenza dei presupposti per l’integrazione del reato con riferimento all’assenza del vincolo matrimoniale ed alla commissione dei fatti quando non era più in atto la convivenza. 3.1. Ad ogni modo, non può omettersi di porre in rilievo come, contrariamente all’assunto difensivo, secondo l’ipotesi d’accusa recepita dai Giudici della cognizione, le condotte maltrattanti avvenissero sia durante la convivenza, sia successivamente all’allontanamento della persona offesa dal domicilio domestico con il figlio minore. 3.2. A ciò si aggiunga che - secondo il costante insegnamento di questa Corte di legittimità - il reato di maltrattamenti in famiglia è ravvisabile non solo ai nuclei familiari fondati sul matrimonio, ma a qualunque relazione sentimentale che, per la consuetudine dei rapporti creati, implichi l’insorgenza di vincoli affettivi e aspettative di assistenza assimilabili a quelli tipici della famiglia o della convivenza abituale Sez. 6, n. 31121 del 18/03/2014, C., Rv. 261472 Sez. 5, n. 24688 del 17/03/2010, imp. B. Rv. 248312 e che, in assenza di vincoli nascenti dal coniugio, il delitto di maltrattamenti in famiglia è comunque configurabile nei confronti di persona non più convivente more uxorio con l’agente qualora - come appunto nella specie - quest’ultimo conservi con la vittima una stabilità di relazione dipendente dai doveri connessi alla filiazione Sez. 6, n. 25498 del 20/04/2017, S, Rv. 270673 . 4. Come anticipato, merita di contro accoglimento il secondo motivo col quale il ricorrente censura la denegata applicazione della sospensione condizionale della pena. Ed invero, a fronte della specifica deduzione mossa nel ricorso, la Corte d’appello ha radicalmente omesso di pronunciarsi in ordine alla applicabilità del beneficio di cui all’art. 163 cod. pen Né, d’altronde, l’onere di motivazione su tale aspetto rilevante può ritenersi implicitamente assolto alla luce delle considerazioni svolte in punto di denegato riconoscimento delle circostanze attenuanti generiche, atteso che da tale passaggio argomentativo non è - neanche indirettamente - evincibile una valutazione prognostica circa il fatto che l’imputato non si asterrà in futuro dal commettere altri reati. P.Q.M. annulla la sentenza impugnata limitatamente alla applicabilità della sospensione condizionale della pena e rinvia per nuovo giudizio sul punto ad altra sezione della Corte d’Appello di Napoli. Rigetta nel resto il ricorso.