La non abitualità della condotta è condizione necessaria ma non sufficiente per l’applicabilità del 131-bis

In materia ambientale, la sola circostanza che la condotta di cui agli artt. 256-bis, comma 1 e 4, d.lgs. n. 152/2006 non risulti essere di natura abituale, non appare elemento sufficiente per ritenere il fatto ascrivibile a quelli di particolare tenuità” ex art. 131-bis c.p. atteso che la norma, in aggiunta alla non abitualità della condotta, impone che si addivenga ad un giudizio di tenuità sulla scorta degli indici di cui all’art. 133 c.p., considerando pertanto le modalità della condotta e l'esiguità del danno o del pericolo.

Lo ha stabilito la sez. III Penale della Suprema Corte di Cassazione, con la sentenza n. 52610/17, depositata il 17 novembre. Il reato di combustione illecita di rifiuti In generale, va rimarcato che la giurisprudenza di legittimità ha escluso l’applicabilità della fattispecie di combustione illecita di rifiuti a fattispecie relative a materiale risultante dalla lavorazione e manutenzione di campi e proprietà agricole. Invero, secondo la Suprema Corte, in relazione all’art. 256- bis d.lgs. n. 152/2006, ed a seguito dell'intervento normativo, operato sul d.lgs. n. 152/2006, art. 256- bis , l. n. 116/2014, il comma 6- bis della suddetta norma esclude la applicazione delle disposizioni contenute nell'art. 256 e nel predetto 256- bis al materiale agricolo e forestale derivante da sfalci, potature o ripuliture, nel caso di combustione in loco delle stesse, purchè la stessa venga effettuata su piccoli cumuli e in quantitativi giornalieri limitati, in periodi e orari individuati con apposita ordinanza del sindaco competente per territorio. la differenza con il reato di gestione non autorizzata Altra fattispecie, pur spesso contestata unitamente alla combustione illecita, è invece quella di cui all'art. 256, comma 1, d.lgs. n. 152/2006, riguardante, in via ordinaria e sull'intero territorio nazionale, l'attività di gestione di rifiuti non autorizzata, e che contempla segnatamente la condotta di chiunque effettui, tra le altre, una attività di trasporto ebbene, con riguardo a tale fattispecie, plasmata, nelle sue componenti, in maniera, assolutamente uguale a quella impiegata dalla norma speciale” ex lege n. 210/2008, la giurisprudenza non ha mai dubitato del fatto che per la integrazione della stessa, avente natura di reato istantaneo e solo eventualmente abituale, in quanto perfezionantesi nel momento in cui si realizza la singola condotta tipica, sia sufficiente un unico trasporto, da ciò discendendo, evidentemente, la non necessità di requisiti di continuatività e stabilità di sorta. Peraltro, nel caso di continuatività dell'attività di trasporto, in quanto parte integrante, sia pure marginale, dell'organizzazione dell'impresa, occorre, ai sensi dell'art. 212, comma 8, del citato decreto, l'iscrizione semplificata dell'impresa nell'albo gestori ambientali in ogni caso, è sempre vietato il trasporto occasionale dei rifiuti prodotti dalla stessa impresa, la quale deve rivolgersi a gestore abilitato all'esercizio professionale di attività di trasporto dei rifiuti altrui. Su altro versante, l'ipotesi di reato di cui al comma 2 dell'art. 256 ex art. 51 d.lgs. n. 22/1997 è ipotizzabile non soltanto in capo alle imprese o agli enti che effettuano una delle attività indicate al comma 1 dello stesso articolo raccolta, trasporto, recupero, smaltimento, commercio ed intermediazione di rifiuti , ma a qualsiasi impresa, avente le caratteristiche di cui all'art. 2082 c.c., o ente con personalità giuridica o operante di fatto. e la particolare tenuità del fatto. La sentenza in commento appare interessante anche per quanto statuito circa la particolare tenuità del fatto, e la conseguente non punibilità dell’agente. Nello specifico, va ricordato che, ai fini della configurabilità della abitualità del comportamento, ostativa all'applicazione della causa di non punibilità prevista dall'art. 131- bis c.p., l'identità dell'indole dei reati eventualmente commessi deve essere valutata dal giudice in relazione al caso esaminato, verificando se in concreto i reati presentino caratteri fondamentali comuni. Lo stesso comma 3 dell’art. 131- bis c.p. stabilisce che il comportamento è abituale nel caso in cui l'autore sia stato dichiarato delinquente abituale, professionale o per tendenza ovvero abbia commesso più reati della stessa indole, anche se ciascun fatto, isolatamente considerato, sia di particolare tenuità, nonché nel caso in cui si tratti di reati che abbiano ad oggetto condotte plurime, abituali e reiterate. Secondo la Relazione illustrativa del d.lgs. 16 marzo 2015, n. 28, tale comma descriverebbe soltanto alcune ipotesi in cui il comportamento non può essere considerato non abituale, ampliando quindi il concetto di abitualità entro il quale potranno collocarsi altre condotte ostative alla declaratoria di non punibilità.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 4 ottobre – 17 novembre 2017, n. 52610 Presidente Ramacci – Relatore Gai Ritenuto in fatto 1. Con sentenza emessa in data 16 dicembre 2016, la Corte di appello di Palermo ha confermato la sentenza del Tribunale di Termini Imerese con la quale S.V. era stato condannato, alla pena di anni uno di reclusione, in relazione ai reati di cui all’art. 75 commi 2 e 3 d.lgs n. 159 del 2011, perché sottoposto alla misura della sorveglianza speciale, con obbligo di soggiorno nel Comune di residenza Palermo , violava tale misura recandosi presso il proprio fondo agricolo in omissis , e del reato di cui all’art. 256-bis commi 1,2,3,e 4 del d.lgs n. 152 del 2006, perché, sul terreno di sua proprietà in omissis , appiccava il fuoco a rifiuti abbandonati, quali lastre di policarbonato, bottiglie di vetro, contenitori in alluminio e materiale ferroso, fatto aggravato dall’essere stato commesso in territorio in cui vi è stato dichiarato lo stato di emergenza nel settore dei rifiuti. Accertati in omissis . 2. Avverso la sentenza ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, a mezzo del difensore di fiducia, e ne ha chiesto l’annullamento deducendo due motivi di ricorso. 2.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b ed e cod.proc.pen. in relazione agli artt. 256-bis d.lvo n. 152 del 2006 e il vizio di motivazione. Argomenta il ricorrente che la motivazione della sentenza impugnata sarebbe carente e frutto di un’errata interpretazione della legge penale. I giudici del merito non avrebbero accertato se la condotta contestata avesse cagionato un danno effettivo all’ambiente e se gli oggetti su cui è stato appiccato il fuoco rientrassero nella nozione di rifiuto , la cui distruzione mediante abbruciamento sarebbe penalmente rilevante. La corte territoriale avrebbe poi disatteso i principi giurisprudenziali secondo cui gli scarti vegetali non sono classificabili come rifiuto e il loro abbruciamento, a determinate condizioni, non costituisce reato. Tale principio sarebbe applicabile nel caso in esame dal momento che gli scarti vegetali costituivano la parte più consistente di quanto bruciato. 2.2. Con il secondo motivo deduce la violazione dell’art. 606 comma 1 lett. b ed e cod.proc.pen. in relazione al diniego di applicazione della speciale causa di non punibilità ex art. 131-bis cod.pen. esclusa con motivazione apodittica e tautologica. 3. In udienza, il Procuratore generale ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile. Considerato in diritto 4. Il ricorso è manifestamente infondato. 5. Premesso che non è oggetto di ricorso per cassazione il capo della sentenza di condanna per il reato di cui all’art. 75 commi 2 e 3 d.lgs n. 159 del 2011, manifestamente infondato è il primo motivo di ricorso con cui lamenta l’erronea applicazione della legge penale in relazione al capo della sentenza di condanna per il reato di combustione illecite di rifiuti, ex art. 256-bis del d.lgs n. 152 del 2006, oggetto, peraltro, di doppio accertamento conforme. Come correttamente evidenziato dalla sentenza impugnata, sulla base di un indirizzo interpretativo condiviso della giurisprudenza di legittimità a cui il collegio non intende discostarsi, il reato di combustione illecita di rifiuti di cui all’art. 256-bis del d.lgs n. 152 del 2006 si configura con l’appiccare il fuoco a rifiuti abbandonati, ovvero depositati in maniera incontrollata, non essendo richiesto, per l’integrazione del reato, la dimostrazione del danno all’ambiente e il pericolo per la pubblica incolumità. Il reato in esame, al pari delle altre fattispecie previste dall’art. 256 del medesimo decreto, è un reato di pericolo per la cui integrazione non occorre la dimostrazione di aver arrecato un danno all’ambiente. Come è noto, nel 2013, di fronte al sempre più frequente fenomeno di abbruciamento di rifiuti e del connesso allarme di pericolo per la salute pubblica, il legislatore è intervenuto nella disciplina del sistema sanzionatorio in materia di rifiuti di cui al d.lgs. 3 aprile 2006, n. 152, cd. Codice dell’Ambiente , introducendo la nuova figura delittuosa di combustione illecita di rifiuti. A fronte di una disciplina incentrata su illeciti contravvenzionali, salva l’ipotesi del reato di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti, prevista dall’art. 260 del d.lgs. n. 152 del 2006, il nuovo art. 256-bis, introdotto dall’art. 3 del d.l. n. 136 del 2013, come convertito con modifiche nella legge n. 6 del 2014, nel medesimo d.lgs., ha previsto due delitti nei primi due commi, ai quali vengono affiancati tre circostanze aggravanti al primo, al terzo e al quarto comma, un’ipotesi di confisca al quinto comma, ed un illecito amministrativo che costituisce un limite alla rilevanza penale delle condotte suindicate al sesto comma. Il primo comma così recita Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque appicca il fuoco a rifiuti abbandonati ovvero depositati in maniera incontrollata è punito con la reclusione da due a cinque anni . La circostanza che il legislatore abbia introdotto l’espressa clausola di riserva salvo che il fatto costituisca più grave reato , e l’aver tipicizzato la condotta con il termine linguistico appicca il fuoco , senza ulteriori specificazione, a differenza della previsione dell’art. 424 cod.pen. nella quale assume significato e rilevanza penale solo se da esso sorge il pericolo di un incendio , costituiscono elementi sulla base dei quali si deve ritenere la fattispecie quale reato di pericolo concreto per il quale non assume rilievo l’evento dannoso del danno all’ambiente. La soluzione interpretativa appena indicata, inoltre, appare in linea anche con le indicazioni esposte nella relazione di accompagnamento al disegno di legge di conversione del d.l. in esame, laddove si evidenzia che la previsione delle nuove fattispecie è stata determinata dall’inadeguatezza del pre vigente sistema sanzionatorio, e, in particolare, anche della fattispecie prevista dall’art. 423 cod. pen., ad assicurare una sufficiente tutela per l’ambiente e per la salute collettiva. Dunque, la fattispecie incriminatrice si configura come reato di pericolo concreto e di condotta appicca il fuoco nel quale non assume rilievo, per la sua integrazione, l’evento dannoso, reato di pericolo concreto perché dalla condotta di appiccare fuoco deriva il concreto pericolo per l’ambiente e per la collettività, rappresentando una concreta applicazione del principio di precauzione. Infine, l’oggetto materiale di essa - i rifiuti abbandonati o depositati in maniera incontrollata - deve essere riferito a quanto previsto dagli artt. 192, commi 1 e 2, 226, comma 2, e 231, commi 1 e 2, del d. lgs. n. 152 del 2006, in linea con il richiamo ad essi operato dall’art. 255 del medesimo d. lgs. nella parte in cui contempla l’illecito amministrativo di abbandono o deposito di rifiuti e con riferimento alla colpevolezza, trattandosi di delitto, ed in assenza di specifiche indicazioni, questo è integrato nella forma del dolo generico. Tutto ciò premesso, la sentenza impugnata ha dato atto che il ricorrente era stato sorpreso appiccare il fuoco a diverso materiale lastre policarbonato, bottiglie in vetro, materiale ferroso oggetti certamente qualificabili come rifiuti speciali ai sensi della normativa vigente, in una fossa ricavata nell’agro di sua proprietà che, peraltro, non poteva raggiungere perché sottoposto alla misura di prevenzione speciale , ha escluso la necessità di verifica del danno all’ambiente, sicché correttamente ha confermato l’affermazione della responsabilità penale del S. per il reato di combustione illecita di rifiuti ex art. 256-bis d.lgs n. 152 del 2006, essendo evidente che ove venga appiccato il fuoco a rifiuti, tale condotta è sufficiente di per sé a rappresentare una minaccia per l’ambiente a nulla rilevante, non essendo pertenente al caso in esame, il richiamo alla diversa ipotesi abbruciamento in piccoli cumuli dei materiali vegetali di cui all’articolo 185, comma 1, lettera f , che se effettuato con le modalità ed alle condizioni indicate dall’art. 182, comma 6-bis non rientra tra le attività di gestione dei rifiuti. 6. Manifestamente infondato è anche il secondo motivo di ricorso con il quale il ricorrente censura il diniego di applicazione della speciale causa di non punibilità ex art. 131-bis cod.pen. Come è noto, per l’applicazione dell’istituto si richiede al giudice di rilevare se, sulla base dei due indici-requisiti della modalità della condotta e dell’esiguità del danno e del pericolo, valutati secondo i criteri direttivi di cui al primo comma dell’articolo 133 cod. pen., sussista l’ indice-criterio della particolare tenuità dell’offesa e, con questo, coesista quello della non abitualità del comportamento. Solo in questo caso si potrà considerare il fatto di particolare tenuità ed escluderne, conseguentemente, la punibilità. Come osservato dalle Sezioni Unite di questa Corte, il giudizio sulla tenuità del fatto richiede una valutazione complessa, che ha ad oggetto le modalità della condotta e l’esiguità del danno o del pericolo, valutate ai sensi dell’art. 133, primo comma, cod. pen, richiedendosi una equilibrata considerazione di tutte le peculiarità della fattispecie concreta e non solo di quelle che attengono all’entità dell’aggressione del bene giuridico protetto Sez. U, n. 13681 del 25/2/2016, Tushaj, Rv. 266590 . Ciò premesso, la sentenza impugnata ha escluso l’applicazione della speciale causa di non punibilità in considerazione della quantità e qualità dei rifiuti, elementi, tratti dalle modalità della condotta di reato ex art. 133 cod.pen., dai quali ha escluso la particolare tenuità del fatto, motivazione del tutto coerente e corretta in diritto. 7. Il ricorso deve essere dichiarato inammissibile e il ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali ai sensi dell’art. 616 cod.proc.pen. Tenuto, poi, conto della sentenza della Corte costituzionale in data 13 giugno 2000, n. 186, e considerato che non vi è ragione di ritenere che il ricorso sia stato presentato senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità , si dispone che il ricorrente versi la somma, determinata in via equitativa, di Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e al versamento di Euro 2000,00 in favore della Cassa delle Ammende.