Fallimento della società cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose: l’elemento soggettivo è il discrimine

L’art. 223, comma 2, n. 2, l. fall. comprende due ipotesi autonome che, dal punto di vista oggettivo, non presentano sostanziali differenze, mentre da quello soggettivo vanno tenute distinte perché, nella causazione dolosa del fallimento, questo è voluto specificamente, mentre nel fallimento conseguente ad operazioni dolose, esso è solo l’effetto, dal punto di vista della causalità materiale, di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione ha accettato il rischio dello stesso, pertanto la prima fattispecie è a dolo specifico mentre la seconda è a dolo generico.

Così si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza n. 52433/17, depositata il 16 novembre. Il caso. La Corte d’Appello di Milano, pur riformando la statuizione di prime cure relativamente al trattamento sanzionatorio, confermava in toto la stessa relativamente all’affermazione di penale responsabilità nei confronti di P.P. e B.M per il reato di cui agli artt. 40 cpv c.p. e 216 e 223, comma 2, l. fall. gli imputati – rispettivamente, presidente del collegio sindacale e componente del collegio sindacale – avrebbero omesso di vigilare sul generale andamento della società e di controllare la regolare tenuta della contabilità, così non impedendone il fallimento. Avverso la sentenza P.P. e B.M. hanno proposto ricorso per Cassazione, deducendo plurimi motivi di gravame. Il dolo quale discrimine tra le due fattispecie di cui all’art. 223 comma 2, n. 2, l. fall. Agli imputati viene contestato il reato di bancarotta fraudolenta per omessa vigilanza, ovvero la condotta illecita sarebbe consistita nell’avere cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società. Orbene, le ipotesi di reato – entrambe oggetto di incriminazione ex art. 223, comma 2, n. 2, l. fall. – di causazione dolosa del fallimento e di fallimento determinato da operazioni dolose vanno tenute distinte e non sono assimilabili trattasi di due ipotesi autonome che, dal punto di vista oggettivo, non presentano sostanziali differenze, mentre da quello soggettivo vanno tenute distinte perché, nella causazione dolosa del fallimento, questo è voluto specificamente, mentre nel fallimento conseguente ad operazioni dolose, esso è solo l’effetto, dal punto di vista della causalità materiale, di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione ha accettato il rischio dello stesso. Donde, la prima fattispecie è a dolo specifico, mentre la seconda è a dolo generico. La differenza con la bancarotta fraudolenta patrimoniale. La fattispecie di fallimento determinato da operazioni dolose si distingue dalle generali ipotesi di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato disposto degli artt. 223, comma 1, e 216 comma 1, n. 1, l. fall., in quanto la nozione di operazione” postula una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione , bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato. In altri termini, in tema di bancarotta, le operazioni dolose di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, l fall. attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la salute” economico-finanziaria della impresa. Il ricorso abusivo al credito può essere una operazione dolosa. Nell’alveo dei fatti di maggiore complessità strutturale non direttamente riconducibili a distrazioni o dissipazioni, ma comunque pericolosi per lo stato di salute della società, rientra l’assunzione di un mutuo ipotecario in una fase di conclamato dissesto della società, idoneo ad aggravarne l’indebitamento. In effetti, afferma la Corte di legittimità, il ricorso abusivo al credito – da intendersi non soltanto come richiesta di finanziamento attraverso gli ordinari canali bancari, ma anche come utilizzo di un sistema che consenta il pagamento differito di un debito, mediante l’assoggettamento ad un costo qual è quello costituito da una fideiussione bancaria – rientra fra le operazioni dolose” atte a rendere configurabile, qualora ne derivi il fallimento della società, non il reato di cui al combinato disposto degli artt. 218 e 225 l. fall. ma, in virtù della clausola di salvezza contenuta nel suddetto art. 218, quello di cui all’art. 223, comma 2, n. 2, l. fall., posto che in tale ipotesi – a differenza che nell’altra, in cui l’evento costituito dal fallimento sia stato cagionato con dolo” – non si richiede che l’elemento psicologico sia direttamente collegato con l’evento anzidetto ma solo che questo costituisca una possibilità prevedibile, rimanendo comunque assente, nella previsione normativa, la necessità che sussista anche lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto.

Corte di Cassazione, sez. Feriale Penale, sentenza 10 agosto – 16 novembre 2017, numero 52433 Presidente Izzo – Relatore Morelli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata, la Corte d’Appello di Milano ha parzialmente riformato, concedendo le attenuanti generiche a due degli imputati appellanti e riducendo la pena irrogata nei loro confronti, la sentenza del GUP del Tribunale di Milano che, in esito al giudizio abbreviato, aveva condannato alla pena di giustizia P.P. , B.M. e F.C. , ritenuti responsabili del delitto di cui agli articolo 110, 40 cpv. c.p., 216, 223 co.2 l.fall. 1.1. Limitando l’analisi alle posizioni di P. e B. , unici imputati ricorrenti, va detto che la loro responsabilità è stata riconosciuta, quanto al primo, quale presidente del collegio sindacale della s.p.a. omissis , dichiarata fallita l’11.11.04, e, quanto al secondo, quale componente del collegio sindacale. Viene loro addebitato, al capo c d’imputazione, di avere omesso di vigilare sul generale andamento della società e di controllare la regolare tenuta della contabilità, così non impedendone il fallimento. 1.2. Le sentenze di merito esaminano dapprima la posizione degli amministratori, S. e M. , separatamente definita ai sensi dell’articolo 444 c.p.p., precisando che le operazioni illegali compiute da costoro con il beneplacito dei sindaci, secondo l’ipotesi d’accusa , erano consistite nell’acquisto da parte di , in data 2.6.00, del 40% della società omissis , in stato di decozione e posta in liquidazione nel 2002, con operazioni correlate anche in favore della società , posseduta da uno degli amministratori S. ed amministrata dalla moglie e dalla madre nell’errata contabilizzazione dei costi afferenti lo smaltimento dei rifiuti, che venivano quantificati in anticipo, stornati nel medesimo importo l’anno successivo sempre in assenza di documentazione comprovante l’effettivo smaltimento, sicché, all’atto del fallimento, erano stati rinvenuti presso lo stabilimento rifiuti da smaltire per un corrispettivo di circa 2 milioni di Euro, pari alle somme ingiustificatamente contabilizzate nella contabilizzazione di false ricevute bancarie, costituenti sostanzialmente attività liquidatoria in favore dell’istituto di credito mutuante e nell’accensione di un mutuo nell’eccessivo accantonamento, nei bilanci degli anni 1999 e 2000, delle indennità per infortunio di due lavoratori nell’esistenza di pagamenti anomali in favore della società , riconducibile a S. . La definitività della sentenza pronunciata ai sensi dell’articolo 444 c.p.p. nei confronti degli amministratori permetteva, secondo la Corte d’Appello, di ritenere pienamente e definitivamente dimostrate le distrazioni, le dissipazioni, i falsi in bilancio e le operazioni dolose, fatti così come sopra descritti, che avevano condotto al fallimento. La particolare rilevanza delle operazioni illecite compiute dagli amministratori non poteva, secondo la Corte d’Appello, sfuggire all’organo di vigilanza, sicché dovevano essere imputate anche ai membri di esso. 2. I ricorsi presentati dal difensore di P. e B. hanno analogo contenuto e si articolano su nove motivi. 2.1. Con il primo motivo si deduce la genericità del capo di imputazione in relazione all’omessa individuazione della fattispecie di bancarotta, all’omessa specificazione della fattispecie concorsuale di reato ed alla assenza di una correlata ipotesi attiva. Con conseguente nullità della sentenza di primo grado ex articolo 521, 522 c.p.p In particolare, si sostiene che dalla lettura del capo di imputazione non si comprende se sia contestata un’ipotesi di bancarotta da reato societario ovvero per mezzo di operazioni dolose ovvero per avere cagionato dolosamente il fallimento della società. Né maggiore chiarezza si ottiene esaminando i fatti imputati, posto che alcune di tali condotte l’esposizione di passività fittizie per lo smaltimento rifiuti, l’illegittimità dell’acquisto della quota di omissis e l’eccessivo accantonamento per l’infortunio dei due lavoratori non sembrano riconducibili al paradigma di cui all’articolo 223 co.2 l. fall. ed inoltre l’eccessivo accantonamento per l’infortunio dei due lavoratori non è stato contestato agli amministratori mentre le altre due condotte sono state contestate agli amministratori sotto il diverso profilo della distrazione le passività fittizie per lo smaltimento dei rifiuti e della dissipazione l’acquisto della omissis . Parrebbe, secondo la difesa, che il giudizio di colpevolezza sia stato pronunciato per il concorso con gli amministratori in operazioni di distrazione e dissipazione, con conseguente nullità della sentenza ai sensi dell’articolo 522 c.p.p 2.2. Con il secondo motivo si deduce la nullità della sentenza di primo grado in relazione alla condanna per i fatti inerenti ai pagamenti, per un miliardo di lire, in favore delle società e , nonostante si trattasse di condotte non contestate nell’imputazione ascritta ai ricorrenti, essendo del tutto irrilevante che si trattasse di condotte contestate invece agli amministratori. 2.3. Con il terzo motivo si deduce violazione degli articolo 110, 40 cpv. c.p. e 223 co.2 l.fall. in relazione alla pronuncia di condanna quanto alla condotta costituita dall’eccessivo accantonamento di somme per l’infortunio di due lavoratori. La contestazione ai sindaci di un reato omissivo improprio presuppone necessariamente la analoga contestazione all’autore del fatto reato, oggetto del dovere di vigilanza dei sindaci, sicché, secondo la difesa, la mancata contestazione di quel fatto agli amministratori impedirebbe di ritenere configurato il reato omissivo a carico dei sindaci. Mancherebbero poi del tutto i presupposti per la configurabilità della bancarotta da reato societario, non essendovi stato alcun accertamento in merito alla presentazione della querela, al superamento delle soglie di punibilità, al nesso di causa fra condotta e dissesto. 2.4. Con il quarto motivo si deduce la violazione delle norme già citate, oltre che i correlati vizi motivazionali, con riguardo alla condanna in ordine alla assunzione di un mutuo ipotecario da parte della società fallita, condotta che avrebbe dovuto essere qualificata come bancarotta preferenziale, reato ormai prescritto. 2.5. Con il quinto motivo si deducono violazione di legge e vizi motivazionali laddove la condotta costituita dall’emissione di false ricevute bancarie non è stata qualificata come ricorso abusivo al credito, punibile ai sensi degli articolo 225 e 218 l.fall., reato ormai prescritto. 2.6. Con il sesto motivo si deduce la erronea interpretazione ed applicazione degli articolo 2423 bis c.c. e 109 co.5 DPR 917/86 in relazione alla corretta contabilizzazione delle operazioni di smaltimento dei rifiuti. Si sostiene che, stante il principio della correlazione fra i ricavi conseguiti nell’esercizio e i costi ad essi relativi, i criteri utilizzati per la contabilizzazione di costi e ricavi relativi allo smaltimento dei rifiuti non erano diretti ad occultare distrazioni ma a cercare di dare attuazione al principio contabile. Il collegio sindacale era tenuto, inoltre, alla verifica del rispetto dei principi contabili, non avendo la possibilità di conoscere eventuali operazioni illecite ad opera degli amministratori. Si contesta, inoltre, che la somma sborsata dal fallimento per le operazioni di bonifica costituisca l’equivalente dei costi per lo smaltimento dei rifiuti illegittimamente contabilizzati. 2.7. Con il settimo motivo si denunzia l’erronea applicazione dell’articolo 2391 c.c., l’erronea qualificazione giuridica del fatto nonché vizi motivazionali con riguardo alla condotta relativa all’operazione di acquisto del 40% della società omissis e condotte connesse. Sotto tale profilo si evidenzia che il CTU nominato nella causa civile presso il Tribunale di Milano aveva valutato come congruo il prezzo di acquisto i successivi finanziamenti da a omissis erano stati ritenuti giustificati sempre dal CTU nell’ambito del medesimo giudizio civile, sicché la responsabilità patrimoniale dei componenti del collegio sindacale era stata affermata, al più, sotto il profilo colposo per un errore valutativo l’esistenza di un conflitto di interessi non determina, di per sé solo considerato, l’illiceità dell’operazione. 2.8. Con l’ottavo motivo si deduce la violazione degli articolo 40 cpv. 43 c.p. 223 co.2 L. fall., ed i correlati vizi motivazionali, in ordine alla ritenuta sussistenza dell’elemento soggettivo del reato. Si sostiene, in particolare, che i giudici di merito hanno omesso qualunque motivazione limitandosi a proporre formule di stile in ordine alla concreta prova della conoscenza, in capo ai ricorrenti, dei fatti pregiudizievoli per la società o quantomeno di quei segnali di allarme dai quali è desumibile l’accettazione del rischio del verificarsi dell’evento illecito e della volontaria omissione di attivarsi per scongiurarlo. 2.9. Con il nono motivo si deduce l’erronea applicazione dell’articolo 238 bis c.p. in relazione al valore probatorio da attribuire alla sentenza di patteggiamento dei coimputati, essendo dubbia la sua idoneità a costituire prova dei fatti ed essendo necessaria comunque la verifica di attendibilità in presenza di elementi di prova che la confermino, operazione omessa dai giudici di merito. Considerato in diritto 1. Ai sindaci è contestato il reato di cui all’articolo 223 co. 2., sotto forma dell’omessa vigilanza. La formulazione dell’imputazione, nel suo complesso, permette di individuare con chiarezza a quale tipologia di illecito si faccia riferimento e, conseguentemente, la difesa ha avuto modo di esercitare i propri diritti in relazione ad una contestazione ben chiara nei suoi presupposti in fatto e in diritto. Evidentemente non si parla di bancarotta da reato societario co.2 numero 1 perché non sono contestati i fatti di cui agli articolo 2621 ss. c.c Resta l’ipotesi di cui al co.2 numero 2, cioè per avere cagionato con dolo o per effetto di operazioni dolose il fallimento della società. Si tratta di un fatto contestato anche agli amministratori al capo B , in cui vengono indicate le seguenti condotte raccolta e mancato smaltimento rifiuti con illegittima contabilizzazione dei costi di smaltimento emissione di ricevute bancarie fittizie assunzione del mutuo ipotecario dolosa gestione societaria volta a favorire le distrazioni e dissipazioni di cui al capo A distrazione dei ricavi derivanti dalla raccolta dei rifiuti dissipazione della somma impiegata per l’acquisto di omissis e operazioni correlate ecc . 1.1. Le ipotesi di causazione dolosa del fallimento e di fallimento determinato da operazioni dolose vanno tenute distinte e non sono assimilabili. Infatti, la causazione dolosa del fallimento, prevista dall’articolo 223, primo capoverso numero 2, della legge fallimentare, comprende due ipotesi autonome che, dal punto di vista oggettivo, non presentano sostanziali differenze, mentre da quello soggettivo vanno tenute distinte perché, nella causazione dolosa del fallimento, questo è voluto specificamente, mentre nel fallimento conseguente ad operazioni dolose, esso è solo l’effetto dal punto di vista della causalità materiale di una condotta volontaria, ma non intenzionalmente diretta a produrre il dissesto fallimentare, anche se il soggetto attivo dell’operazione ha accettato il rischio dello stesso. La prima fattispecie è, dunque, a dolo specifico, mentre la seconda è a dolo generico . Sez. 1, numero 7136 del 25/04/1990 Rv. 184359 e nello stesso senso Sez.5 numero 2905 del 16.12.98, dep.1999, Rv.212613 Sez.5 numero 12426 del 29.11.13, dep.2014, Rv.259997 Sez. 5, numero 17690 del 18/02/2010 Rv. 247315 Sez 5, numero 11624 del 08/02/2012 Rv. 252315. Ciò premesso, va detto che l’impianto argomentativo delle due sentenze di merito rimanda all’ipotesi di fallimento determinato da operazioni dolose sia per quanto riguarda il capo B , contestato agli amministratori, che per quanto riguarda il capo C contestato ai sindaci. Sono infondate, quindi, le doglianze dei ricorrenti sia nel punto in cui censurano l’imputazione per indeterminatezza sia ove ritengono che alla contestazione del reato di determinazione del fallimento per effetto di operazioni dolose, sotto il profilo del non avere impedito l’evento, sia seguita una condanna per bancarotta distrattiva o dissipativa ai sensi degli articolo 110, 40 cpv. c.p. e 223 co.1 L. fall. Il rimando alla distrazione ed alle dissipazioni è perfettamente consentito anche nell’ambito della fattispecie contestata al capo C , perché agli amministratori tali fatti sono stati contestati anche al capo B sotto il profilo dell’223 co.2 numero 2. cioè come operazioni dolose che hanno determinato il fallimento. 1.2. L’impostazione e la decisione dei giudici di merito sono perfettamente coerenti con la giurisprudenza di legittimità che definito i contorni della fattispecie di cui all’articolo 223 co.2 numero 2 seconda parte L. fall Sez. 5, numero 17690 del 18/02/2010 Rv. 247314 La fattispecie di fallimento determinato da operazioni dolose si distingue dalle ipotesi generali di bancarotta fraudolenta patrimoniale, di cui al combinato disposto degli articolo 223, comma primo, e 216, comma primo, numero 1 , l. fall., in quanto la nozione di operazione postula una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione , bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato . Sez. 5, numero 47621 del 25/09/2014 Rv. 261684 In tema di bancarotta fraudolenta, le operazioni dolose di cui all’articolo 223, comma secondo, numero 2, l. fall., attengono alla commissione di abusi di gestione o di infedeltà ai doveri imposti dalla legge all’organo amministrativo nell’esercizio della carica ricoperta, ovvero ad atti intrinsecamente pericolosi per la salute economico-finanziaria della impresa e postulano una modalità di pregiudizio patrimoniale discendente non già direttamente dall’azione dannosa del soggetto attivo distrazione, dissipazione, occultamento, distruzione , bensì da un fatto di maggiore complessità strutturale riscontrabile in qualsiasi iniziativa societaria implicante un procedimento o, comunque, una pluralità di atti coordinati all’esito divisato. In applicazione del principio, la S.C. ha ritenuto corretta la qualificazione di operazione dolosa data nella sentenza impugnata al protratto, esteso e sistematico inadempimento delle obbligazioni contributive, che, aumentando ingiustificatamente l’esposizione nei confronti degli enti previdenziali, rendeva prevedibile il conseguente dissesto della società . 2. Nel capo C d’imputazione non viene descritta esplicitamente, fra le operazioni dolose che hanno determinato il fallimento e di cui i sindaci si sarebbero resi responsabili per omessa vigilanza, quella indicata al punto a.6 del capo A , contestato agli amministratori, vale a dire la dissipazione di parte del patrimonio della fallita attraverso pagamenti privi di causale alla società . La condotta, tuttavia, rientra nell’addebito, svolto in via generale al capo C , di avere omesso di vigilare sul generale andamento della società e, del resto, gli imputati sono stati in grado di difendersi sul punto, posto che i finanziamenti alle società facenti capo agli amministratori della società fallita hanno rappresentato uno dei temi maggiormente approfonditi nel corso del giudizio. La risposta che la Corte d’Appello ha dato al corrispondente motivo di gravame è in questi termini ed è conforme alla giurisprudenza di legittimità. Va detto, infatti, che in tema di correlazione tra accusa e sentenza, le previsioni di cui agli articoli 521 e 522 cod. proc. penumero hanno lo scopo di garantire il contraddittorio sul contenuto dell’accusa e, quindi, l’esercizio effettivo del diritto di difesa dell’imputato, con la conseguenza che non è possibile ipotizzarne una violazione in astratto, prescindendo dalla natura dell’addebito specificamente formulato nell’imputazione e dalle possibilità di difesa che all’imputato sono state concretamente offerte dal reale sviluppo della dialettica processuale Sez. 5, numero 46203 del 09/11/2004 Ud. Rv. 231169 . 3. Il terzo motivo di ricorso è astrattamente fondato, in quanto l’operazione dolosa costituita dall’eccessivo accantonamento relativo all’indennità per l’infortunio di due lavoratori non è mai stata contestata agli amministratori a pagina 13 della sentenza impugnata né da conto lo stesso giudice di appello , sicché non è possibile ritenere la responsabilità concorsuale ex articolo 110 e 40 cpv. c.p. se la condotta non sia stata contestata al concorrente qualificato. Tale conclusione, tuttavia, non ha alcun effetto al fine di ritenere o meno integrato il reato di cui all’articolo 223 co.2 numero 2 seconda parte, dal momento che le operazioni dolose contestate sono plurime ed il venir meno di una di esse, fra l’altro marginale, non incide sulla possibilità di configurarlo. Neppure vi sono gli estremi per un rinvio al giudice di merito per una nuova valutazione sulla congruità della pena, vista l’esclusione di una delle condotte contestate, posto che ai due imputati è stata irrogata la pena minima edittale, a B. sono già state concesse le attenuanti generiche e P. non ha proposto ricorso in relazione al mancato riconoscimento delle attenuanti generiche che, del resto, è stato motivato su presupposti soggettivi diversi dalla gravità del fatto, sicché, anche sotto tale profilo, il venir meno di una delle condotte incriminate non ha alcun effetto concreto sulla entità della pena. 4.È infondato anche il quarto motivo di ricorso. L’assunzione di un mutuo ipotecario in una fase di conclamato dissesto della società ne ha aggravato l’indebitamento, a prescindere dalla eventuale intenzione di privilegiare alcuni creditori rispetto ad altri, sicché l’operazione rientra a pieno titolo in quei fatti di maggiore complessità strutturale, non direttamente riconducibili a distrazioni o dissipazioni, ma comunque pericolose per lo stato di salute della società in questi termini Sez. 5, Sentenza numero 38728 del 03/04/2014 Rv. 262207 . 5. Analogamente si deve ritenere quanto alla condotta consistita nell’essere ricorsi, gli amministratori, a fonti di finanziamento anomale, attraverso forme illecite di sconto di ricevute bancarie. Anche in questo caso si rientra nel paradigma delle operazioni dolose, come ben chiarito da Sez. 5, numero 19101 del 14/01/2004 Ud. Rv. 227745 Il ricorso abusivo al credito da intendersi non soltanto come richiesta di finanziamento attraverso gli ordinari canali bancari, ma anche come utilizzo di un sistema che consenta il pagamento differito di un debito, mediante l’assoggettamento ad un costo qual’è quello costituito da una fideiussione bancaria , rientra fra le operazioni dolose atte a rendere configurabile, qualora ne derivi il fallimento della società, non il reato di cui al combinato disposto degli articolo 218 e 225 L.F., ma, in virtù della clausola di salvezza contenuta nel citato articolo 218, quello di cui all’articolo 223, comma secondo, numero 2, seconda ipotesi, del R.D. 16 marzo 1942 numero 267, posto che in tale ipotesi a differenza che nell’altra, in cui l’evento costituito dal fallimento sia stato cagionato con dolo non si richiede che l’elemento psicologico sia direttamente collegato con l’evento anzidetto ma solo che questo costituisca una possibilità prevedibile, rimanendo comunque assente, nella previsione normativa, la necessità che sussista anche lo scopo di procurarsi un ingiusto profitto e Sez. 5, Sentenza numero 46689 del 30/06/2016 Rv. 268674 Il ricorso abusivo al credito di cui all’articolo 218 l. fall. è reato di mera condotta e richiede che il credito sia stato ottenuto mediante dissimulazione ai danni dell’ignaro creditore, che può quindi assumere il ruolo di persona offesa, e si distingue dal reato di bancarotta impropria mediante operazioni dolose di cui all’articolo 223, comma secondo, numero 2 l. fall. operazioni consistite nell’ottenimento di crediti per mascherare lo stato di insolvenza dell’impresa nel quale non è necessaria la dissimulazione, e l’operazione avente rilevanza causale o concausale del dissesto o del suo aggravamento può anche essere concordata con il creditore a conoscenza delle condizioni dell’impresa . 6. Quanto al sesto, al settimo ed all’ottavo motivo di ricorso, va detto che alla Corte di Cassazione è preclusa la rilettura di altri elementi di fatto rispetto a quelli posti a fondamento della decisione impugnata e l’autonoma adozione di nuovi o diversi parametri di ricostruzione e valutazione dei fatti medesimi, ritenuti maggiormente plausibili o dotati di una migliore capacità esplicativa, dovendosi essa limitare a controllare se la motivazione dei giudici di merito sia intrinsecamente razionale e capace di rappresentare e spiegare l’iter logico seguito. In quest’ambito, le due sentenze di merito danno conto in termini esaustivi del carattere macroscopicamente distrattivo e dissipatorio dell’operazione di acquisto della OMISSIS e di quelle collegate, a prescindere dall’esistenza di un conflitto di interessi in capo agli amministratori ed anche a fronte delle conclusioni del CTU nella causa civile rispetto alle quali vi è congrua replica, da parte della Corte d’Appello, agli spunti critici contenuti nel gravame e riproposti nel ricorso della manifesta evidenza dell’illegittima contabilizzazione dei costi per lo smaltimento dei rifiuti, che costituiva una delle attività principali della fallita, atteso che in azienda erano stati rinvenuti enormi quantitativi di rifiuti non smaltiti, sicché appare inconferente il richiamo ai principi che regolano la contabilizzazione di costi e ricavi posto che lo smaltimento non venne mai eseguito e non si trattò di un mero errore contabile ed è questione di fatto, peraltro impostata in termini generici, quella secondo cui i costi sostenuti dal fallimento per la bonifica due milioni di Euro non corrisponderebbero ai costi illegittimamente indicati per il presunto smaltimento di quei rifiuti della sussistenza dell’elemento soggettivo del reato proprio in ragione della evidente natura ditrattiva, dissipatoria o, comunque, fonte di pericolo per la società, delle condotte poste in essere dagli amministratori e dell’esistenza di un obbligo, in capo ai sindaci, di non limitarsi ad un mero controllo formale della contabilità ma di vigilare, in forma penetrante e costante, sul generale andamento gestionale societario. Sotto quest’ultimo profilo è evidente che la macroscopia attitudine delle condotte poste in essere dagli amministratori a pregiudicare la salute economica della società doveva costituire un segnale d’allarme per l’organismo preposto al controllo. Correttamente, quindi, i giudici di merito hanno dedotto la sussistenza dell’elemento soggettivo dalle modalità della condotta. 7. Anche le doglianze in merito al valore processuale riconosciuto alla sentenza di patteggiamento pronunciata nei confronti degli amministratori non tengono conto che si tratta di una sentenza che può essere utilizzata, se irrevocabile come nel caso di specie, a fini probatori in un altro procedimento penale ai sensi dell’articolo 238 bis c.p.p., stante la sua equiparazione ad una sentenza di condanna Sez. 5 numero 7723 del 12.11.14 Rv.264058 . I giudici di merito non hanno posto a fondamento della propria decisione il mero fatto storico dell’avere, gli amministratori, chiesto l’applicazione della pena in ordine alle condotte loro contestate, al fine di ritenere provate tali condotte presupposto anche della responsabilità dei sindaci ma le hanno ricostruite riesaminando specificamente tutti gli elementi di prova, con ciò soddisfacendo pienamente l’onere motivazionale. P.Q.M. rigetta i ricorsi e condanna i ricorrenti, ciascuno, al pagamento delle spese processuali.