Morte Pantani: confermata l’archiviazione e caso chiuso. Non fu ucciso

Dopo più di 13 anni si può ritenere chiuso il caso sulla morte di Marco Pantani. La Corte di Cassazione ha infatti dichiarato inammissibile il ricorso avverso l’archiviazione per infondatezza della notizia di reato del procedimento a carico di ignoti per omicidio.

La Corte di Cassazione, con la sentenza n. 52028/2017 depositata oggi, 14 novembre 2017, ha dichiarato inammissibili i motivi di ricorso, presentati dall’avvocato della famiglia dell’ex ciclista, avverso l’archiviazione disposta dal GIP di Rimini. La seconda inchiesta sulla morte di Pantani, trovato senza vita in un residence di Rimini il 14 febbraio 2004, era stata riaperta nel 2014 dietro richiesta della famiglia che chiedeva di indagare sull'ipotesi di un fatto violento. Tuttavia, il GIP ha concluso per l’archiviazione, ritenuta oggi legittima dalla Corte di Cassazione. Il Pirata” era solo nella stanza. Secondo gli Ermellini, infatti, il provvedimento di archiviazione è stato legittimamente emesso, vista l’ampia e corretta valutazione di tutti gli elementi e visto che tutti gli indizi a disposizione portano alla conclusione che la vittima si trovava sola nella stanza e che era impossibile per persone terze accedervi, così che le evidenze disponibili rendevano improponibile e congetturale la tesi di un omicidio volontario compiuto da ignoti . Cocaina e medicinali hanno portato all’arresto cardiaco. Il GIP, in effetti, in base alle indagini, aveva stabilito che la causa della morte dell’ex campione trovava ragione nello stato tossico-depressivo in cui versava Pantani, condizione questa – si legge in sentenza - che lo aveva condotto negli ultimi mesi all’uso smodato di cocaina , a cui doveva associarsi l’effetto di medicinali assunti, determinando una grave insufficienza cardiaca acuta. In conclusione, la S.C., chiarendo alcuni punti dei motivi del ricorso, precisa che nel procedimento contro ignoti non è richiesta l’autorizzazione del GIP alla riapertura delle indagini dopo il provvedimento di archiviazione per essere rimasti sconosciuti gli autori del reato , in quanto il regime autorizzatorio prescritto dall’art. 414 c.p.p. riapertura delle indagini è diretto a garantire la posizione della persona individuata e sottoposta ad indagini. Al contrario, nel procedimento contro ignoti l’archiviazione ha la semplice funzione di legittimare il congelamento delle indagini , senza alcuna preclusione allo svolgimento di ulteriori attività investigative.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 19 settembre – 14 novembre 2017, n. 52028 Presidente Di Tomassi – Relatore Novik Rilevato in fatto 1. Con provvedimento emesso il 24 giugno 2016, il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Rimini, in accoglimento della richiesta formulata dal pubblico ministero, disponeva l'archiviazione per infondatezza della notizia di reato del procedimento a carico di ignoti per omicidio art. 575 cod. pen. , relativo alla morte del ciclista Ma. Pa., avvenuta nel Residence Le Rose di Rimini il 14 febbraio 2004, procedimento aperto a seguito dell'esposto presentato il 24 luglio 2014 dai genitori della vittima che avevano chiesto la riapertura delle indagini relativa alle reali cause della morte del figlio. Gli esponenti avevano contestato la conduzione e le conclusioni delle indagini e avevano indicato i temi di indagine che, rispetto all'ipotesi accolta di un decesso causato da una accidentale, eccessiva, ingestione volontaria di cocaina precedentemente acquistata alcuni imputati erano stati condannati per il reato di cui all'art. 586 cod. pen. , sorreggevano l'ipotesi alternativa di un omicidio compiuto ad opera di ignoti, realizzato costringendo l'atleta ad ingerire una dose mortale di cocaina, a cui si era accompagnata l'alterazione dello stato dei luoghi prima dell'intervento delle forze dell'ordine. Nel respingere, in esito alla camera di consiglio, l'opposizione, il giudice procedente, dato ampio conto delle posizioni delle parti processuali, anche alla luce delle integrazioni difensive, ne rilevava l'infondatezza. Ricostruiti i fatti che avevano condotto alla scoperta della morte di Pa., il Gip rispondendo alle censure mosse nell'atto di opposizione escludeva la possibilità che ignoti si fossero potuti introdurre nella stanza al di fuori della vittima. Evidenziava quindi l'irrilevanza degli elementi di sospetto introdotti dagli opponenti, siccome privi di valenza indiziaria questioni della presenza di tre giubbotti nella stanza del disordine ivi rinvenuto di una carta di gelato dell'ora segnata sull'orologio del bolo di droga presente vicino all'avambraccio destro ed al volto del cadavere . Ad avviso del giudicante, in base alle risultanze medico-scientifiche e a quelle investigative la causa della morte trovava ragione nello stato tossico-depressivo in cui versava Pa., condizione questa che lo aveva condotto negli ultimi mesi all'uso smodato di cocaina sono indicati gli acquisti considerevoli di quantitativi di cocaina tra il 26-27 dicembre 2003 l'11 gennaio 2004 il 26-27 gennaio 2004 il 9 febbraio 2004 , a cui si era associato l'effetto dei medicinali assunti Trimipramina e Venlafaxina che avevano determinato una grave insufficienza cardiaca acuta. Concludeva quindi il giudicante che i dati acquisiti conducevano ad un'unica azione possibile, e cioè che la morte di Pa. era conseguente all'assunzione volontaria di droga e che l'ipotesi omicida prospettata dal opponenti era una mera, fantasiosa, congettura. 2. Con distinti ricorsi di identico contenuto datati 7 luglio 2016, Pa. Fe. e Be. To., genitori di Ma. Pa., assistiti dai rispettivi difensori di fiducia, hanno impugnato il provvedimento di archiviazione deducendo 2.1. con un primo motivo la mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Dato atto di un consolidato orientamento giurisprudenziale che limita alla violazione del contraddittorio il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di archiviazione, ad avviso delle difese, questo orientamento è in contrasto con la Direttiva 2012/29/UE del 25 ottobre 2012 recante norme minime in materia di diritti, assistenza e protezione delle vittime di reato , il cui articolo 11, interpretato alla luce del considerando 43, nel riconoscere alle vittime del reato il diritto di chiedere il riesame di una decisione di non esercitare l'azione penale, ha inteso introdurre un potere di revisione pieno che non è soddisfatto dalla previsione di un limitato potere di iniziativa. In questo senso quindi si ritiene, in consonanza con la dottrina, che il decreto di archiviazione sia ricorribile anche per difetto di motivazione. Sotto altro profilo, le difese osservano che il decreto di archiviazione presenta una motivazione apparente, priva dei requisiti minimi di coerenza e concretezza necessari per rendere comprensibile l'iter logico del ragionamento giudiziario, che si pone in violazione del principio del contraddittorio e che in alcuni punti ha travisato le reali risultanze degli atti di indagine. Vengono in particolare evidenziati nuovamente i motivi alla base dell'opposizione, relativi alla presenza non adeguatamente spiegata di tre giubbotti e di un involucro di gelato. Sono indicate altresì le anomalie relative al rapporto di Pa. con il portiere dell'albergo alla presenza del bolo di cocaina alle risultanze della consulenza tecnica del pubblico ministero al fine di approfondire l'incidenza del medicinale Trimipramina sulla causa della morte 2.2. con un secondo motivo, l'illegittimità costituzionale dell'art. 409, comma 6, cod. proc. pen., in riferimento agli artt. 3, 24, 111, 117 Cost., in relazione alla limitazione della possibilità della parte offesa di impugnare il decreto di archiviazione e all'efficacia preclusiva da riconoscere a questo provvedimento l'impossibilità di riproporre temi di indagini nuovi rispetto a quelli indicati a sostegno dell'opposizione comporta, secondo i ricorrenti, l'intangibilità e l'insindacabilità nel merito del decreto di archiviazione con lesione dei diritti della parte offesa sotto i parametri su indicati. In questa prospettiva, gli artt. 3 e 24 sono violati per la diminuita tutela riconosciuta alle vittime del grave reato di omicidio di impugnare il decreto di archiviazione l'art. 111 viene in rilievo sotto il profilo della limitazione del contraddittorio l'art. 117 per il contrasto dell'art. 409, sesto comma, con la Direttiva Europea e con l'articolo 6 CEDU. 2.3. infine, la questione pregiudiziale da sottoporre alla Corte di Giustizia dell'Unione Europea di compatibilità dell'art. 409, comma 6, cod. proc. pen. con la Direttiva 2012/29/UE. 3. Il Procuratore Generale presso questa Corte ha chiesto che il ricorso, previa declaratoria di manifesta infondatezza e di irrilevanza delle dedotti questioni di costituzionalità e di compatibilità comunitaria del sesto comma dell'art. 409 cod. proc. pen., sia dichiarato inammissibile. 4. Gli opponenti hanno presentato memoria in replica alle argomentazioni del procuratore generale ribadendo la necessità che sia riconosciuto il vizio del contraddittorio per essere apparente la motivazione del decreto di archiviazione, nonchè la fondatezza delle questioni di costituzionalità e di pregiudizialità comunitaria. Considerato in diritto 1. Il primo motivo è infondato. Scopo della direttiva 52 è quella di fornire norme minime di assistenza e protezione alle vittime del reato intese a garantirne la piena partecipazione al procedimento nato a seguito della denuncia in attuazione della Direttiva è stato emanato il D.Lgs. n. 212/2015 . La partecipazione al procedimento penale è disciplinata dagli articoli da 10 a 17. In particolare, per quanto di utilità nella presente vicenda, sono previsti la garanzia per la vittima di fornire elementi di prova, secondo le norme stabilite dal diritto nazionale articolo 10 , e il riesame della decisione di non esercitare l'azione penale articolo 11 . La direttiva non si occupa, né poteva farlo in relazione agli obiettivi posti dall'articolo 1 Scopo della presente direttiva è garantire che le vittime di reato ricevano informazione, assistenza e protezione adeguate e possano partecipare ai procedimenti penali delle modalità di svolgimento delle indagini penali successive alla presentazione di una denuncia perché regolate dal sistema giudiziario penale dello Stato, secondo i criteri indicati nel libro V del codice di procedura penale. Si comprende quindi che la Direttiva non ha mutato il ruolo attribuito alla persona offesa dal codice con riferimento alla fase delle indagini preliminari che rimane quello, intimamente connesso con la funzione stessa del processo, di una indagine condotta con scrupolo e serietà professionale secondo le più appropriate tecniche investigative al fine di accertare la verità dei fatti. Il diritto della vittima del reato di partecipare al procedimento penale non ha mutato ampiezza e inerisce alle funzioni di impulso processuale e di controllo globale in ordine alle investigazioni ed all'esercizio stesso dell'azione penale, riservato però al pubblico ministero il compito di assumere le determinazioni inerenti all'esercizio dell'azione penale. Affrontando il tema dell'ampiezza del contraddittorio nel procedimento conseguente all'opposizione della parte offesa dal reato nel procedimento pretorile le Sezioni Unite, nel negare che la norma prevedesse un obbligo di fissare l'udienza in camera di consiglio, rimarcarono come la tutela della persona offesa, dal reato, che più di ogni altro soggetto è destinato a subire gli effetti pregiudizievoli della rinuncia del pubblico ministero all'esercizio dell'azione penale, è assicurata anche da meccanismi ulteriori rispetto a quelli endoprocedimentali Alla negligente o volontaria inerzia del pubblico ministero l'ordinamento appresta ben altri mezzi quali i controlli e le iniziative del procuratore generale, ma soprattutto è la convinta consapevolezza della centralità della giurisdizione ciò che conferisce dignità decisoria ai provvedimenti del giudice anche nella fase delle indagini preliminari così, S.U. n. 24 del 1995 . Ed allora, laddove, come nel caso in esame, la denuncia sia stata presentata contro ignoti, le indagini devono avere per oggetto non solo la verifica della fondatezza della denuncia stessa ma anche la identificazione dell'autore del reato. Sicché, quando l'autorità giudiziaria ha compiuto tutto quanto possibile per dare una risposta ai temi proposti e abbia concluso che le indicazioni della parte offesa erano inidonee ad offrire ulteriori e significativi elementi da approfondire rispetto a quelli già esaminati e valutati nelle indagini espletate, la valutazione del risultato finale può essere sindacata dalla vittima del reato nei limiti riconosciuti dall'ordinamento, che non riguardano il modo di esercizio dell'azione penale né, soprattutto, impongono di seguire piste alternative frutto di congetture o di ipotesi smentite dal complesso degli elementi acquisiti. Ciò posto, in linea generale, e venendo al nucleo della censura, si osserva che secondo i principi della direttiva sulla tutela delle persone offese la revisione della decisione si è avuta con la proposizione dell'opposizione al Gip autorità diversa da quella che ha adottato la decisione originaria numero 43 del Considerando , il quale ha penetranti e incisivi poteri di garanzia sull'inazione del Pm in tal senso, si richiama la fondamentale sentenza n. 88 del 1991 della Corte costituzionale ove si ricostruisce la gamma dei controlli attivabili , il quale, nel caso di inerzie o lacune investigative, potrà ordinare le ulteriori indagini che ritiene necessarie o anche di dissentire dalla valutazione di infondatezza della notizia di reato espressa dal pubblico ministero con la richiesta di archiviazione, ordinando che lo stesso entro dieci giorni formuli l'imputazione. Risulta quindi pienamente rispettata la previsione dell'art. 11 della Direttiva secondo cui Gli Stati membri garantiscono alla vittima, secondo il ruolo di quest'ultima nel pertinente sistema giudiziario penale, il diritto di chiedere il riesame di una decisione di non esercitare l'azione penale. Le norme procedurali per tale riesame sono determinate dal diritto nazionale . 2. Anche sotto il profilo di merito, il ricorso è infondato essendo l'ordinanza di archiviazione ricorribile per cassazione solo nei casi di nullità previsti dall'art. 127 comma 5, cod. proc. pen., cioè per motivi attinenti alla violazione del contradditorio. Sono così consentiti alla persona offesa poteri di impulso in caso di carenza delle indagini, ma non è riconosciuto alcun potere di discutere in contraddittorio i profili contenutistici di fondatezza dell'accusa e configurazione giuridica del fatto. Limitatezza questa coerente con la necessità di evitare l'eccessiva dilatazione dello strumento dell'opposizione all'archiviazione se diversamente disciplinato e che trova fondamento nella discrezionalità legislativa di strutturare i livelli di impugnazione dei provvedimenti giudiziari secondo il valore crescente del diritto da tutelare che nel nostro ordinamento prevede il doppio grado di giurisdizione di merito quando viene in gioco la libertà delle persone, mentre in altri casi, quando questa esigenza non ricorre, può essere limitato al solo ricorso per cassazione per violazione di legge art. 111, comma 7, Cost. . Per quanto attiene alla nozione di violazione di legge, la giurisprudenza di legittimità ritiene censurabile con il ricorso per cassazione, perché emesso in violazione del principio del contraddittorio, il provvedimento di archiviazione che non contiene alcuna valutazione delle ragioni esposte dalla persona offesa nell'atto di opposizione. Cfr. ex multis Cass. pen. sez. 5 n. 35504 del 20.6.2013 Cass. sez. 4 n. 203888 del 16.4.2008 Cass. pen. sez. 5, n. 437555 del 6.11.2008 Sez. 7, n. 18071 del 26/02/2008 dep. 06/05/2008, P.O. in proc. Tr., Rv. 239834 contra, tuttavia, si è affermato che non è mai consentito il ricorso per cassazione per motivi diversi, cioè attinenti al merito della notitia criminis, per errores in iudicando fondati su una diversa interpretazione della legge sostanziale, ovvero per vizio di motivazione, travisamento dell'oggetto o per omessa considerazione di circostanze di fatto già acquisite, come pure per pretese violazioni di regole processuali inerenti l'espletamento di atti compiuti durante l'indagine preliminare da ultimo, Sez. 5, n. 14564 del 07/03/2017 dep. 24/03/2017, P.O. in proc. Cavallari, Rv. 26972001, con ulteriori richiami di precedenti . Si è condivisibilmente rilevato che La violazione del contraddittorio, pur estesa ad una accezione di sostanza, è tuttavia l'unico vizio denunziabile con il ricorso avverso il provvedimento di archiviazione, vuoi preso de plano che a seguito di camera di consiglio S.U., sent. 24 del 1995, citata, e tra molte, Sez. 6, n. 436 del 05/12/2002, Mi. Sez. 1, n. 8842 del 07/02/2006, La. Sez. 6, n. 3896 del 26/10/1995, Ro. Sez. 6, n. 3018 del 20/09/1991, Di Sa. . Osta a una diversa lettura il principio di tassatività dei mezzi d'impugnazione. Né v'è ragione, costituzionalmente imposta, di un ampliamento della piattaforma dei vizi denunziabili mediante ricorso, giacché la natura interlocutoria e sommaria finalizzata a un controllo di legalità sull'esercizio dell'azione penale e non a un accertamento sul merito dell'imputazione C. cost. ord. nn. 153 del 1999, 150 del 1998, 54 del 2003 sent. n. 319 del 1993 dell'archiviazione e la ratio, esclusivamente servente il controllo di legalità e obbligatorietà dell'azione penale, che tradizionalmente si riconosce assistere lo ius ad loquendum e gli strumenti di tutela dell'offeso negli stretti limiti in cui ciò risponda a tale funzione di controllo C. cost. ord. n. 95 del 1998 , consentono d'affermare che alla pretesa sostanziale di questo offre comunque adeguata garanzia la possibilità di esercitare i propri diritti d'azione e difesa, ampiamente e senza preclusione alcuna, nella sede civile propria. Non è possibile per tali ragioni denunziare la nullità del provvedimento di archiviazione per vizi di motivazione che non si risolvano in violazioni del contraddittorio e neppure è possibile impugnare, qualificandolo abnorme, e perciò ricorribile, il provvedimento assertivamente affetto da error in iudicando, in quanto basato su non condivisibili interpretazioni della legge sostanziale cfr. Sez. 5, n. 5052 del 21/10/1999, An. Sez. 6, n. 1416 del 22/03/2000 . 3. E pur tuttavia, anche sotto questo limitato aspetto, le censure proposte sono infondate. Nel caso in esame, il provvedimento di archiviazione risulta legittimamente emesso dal giudice per le indagini preliminari, che ha valutato con ampiezza di argomentazioni, in 13 pagine, gli elementi indicati dagli opponenti e ha dato per ciascuno di essi una spiegazione non manifestamente illogica, indicando la ragione per cui gli indizi a disposizione, unitariamente considerati, portavano alla conclusione che la vittima si trovava da solo nella stanza e che era impossibile per terzi accedervi, così che le evidenze disponibili rendevano improponibile e congetturale la tesi di un omicidio volontario compiuto da ignoti. Si evidenzia allora che le contrarie deduzioni svolte dai ricorrenti nei motivi principali -ivi comprese quelle finalizzate a contestare la ritenuta superfluità delle richieste indagini suppletive attengono a profili di valutazione sostanziale sulla sussistenza della fattispecie criminosa prospettata, il cui esame per quel che si è detto è precluso in questa sede. 4. Quanto sopra esposto al punto 1 sull'interpretazione delle norme contenute nella Direttiva, conduce quindi a ritenere infondata la richiesta di rinvio pregiudiziale ugualmente è a dirsi per quella di incostituzionalità dell'art. 409, essendo sbagliata la premessa da cui muove il ragionamento degli opponenti. Nel procedimento contro ignoti non è richiesta l'autorizzazione del G.I.P. alla riapertura delle indagini dopo il provvedimento di archiviazione per essere rimasti sconosciuti gli autori del reato, in quanto il regime autorizzatorio prescritto dall'art. 414 cod. proc. pen. è diretto a garantire la posizione della persona già individuata e sottoposta ad indagini, mentre nel procedimento contro ignoti l'archiviazione ha la semplice funzione di legittimare il congelamento delle indagini, senza alcuna preclusione allo svolgimento di ulteriori, successive attività investigative, ricollegabili direttamente al principio dell'obbligatorietà dell'azione penale. Sez. U, n. 13040 del 28/03/2006 dep. 12/04/2006, P.M. in proc. Ignoti, Rv. 23319801 Sez. 2, n. 42655 del 13/10/2015 dep. 22/10/2015, Sabato, Rv. 26512801 , sicché nessuna preclusione è configurabile per lo svolgimento di ulteriori, diverse, indagini anche da parte dei difensori. 5. All'inammissibilità del ricorso consegue la condanna dei ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento. Non ravvisandosi profili di colpa non vi è condanna al versamento di somme in favore della Cassa delle Ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibili i ricorsi e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese del procedimento.