L'importanza decisiva della finalità degli atti: gioco innocente o violenza?

Al fine di individuare le condotte sussumibili sotto il fuoco applicativo del delitto di violenza sessuale occorre considerare che esse debbono essere finalizzate a soddisfare la concupiscenza dell'aggressore, ovvero a compromettere la libertà sessuale della persona offesa. Dovrà pertanto tenersi in debito conto l'intero contesto in cui è maturato il fatto storico e la dinamica autore-vittima.

Così ha stabilito la Suprema Corte di Cassazione, Sezione Terza Penale, con la sentenza n. 51582 depositata il 13 novembre 2017. Gioco erotico o innocente attività ludica? Un soggetto, di professione clown, viene coinvolto, in qualità di imputato, in una brutta vicenda processuale nella quale un minorenne risulta vittima di violenza sessuale non sappiamo nulla della dinamica dei fatti, se non che questi sono maturati nel contesto di alcuni giochi, organizzati in un centro di accoglienza per sfollati. Condannato in primo e secondo grado, propone con successo ricorso per cassazione l'argomento principale sottoposto all'attenzione dei Giudici di Piazza Cavour riguarda i requisiti per qualificare una determinata condotta come violenza sessuale”. I tre orientamenti la natura oggettivamente sessuale della condotta Gli Ermellini, prima di accogliere le censure sollevate dall'imputato, passano in rassegna i principali orientamenti che si sono occupati di individuare le caratteristiche delle condotte penalmente rilevanti sotto l'insegna della violenza sessuale. Il primo di essi, considerato prevalente non foss'altro che per ragioni numeriche” essendo evidentemente il più condiviso fa leva sulla valorizzazione della c.d. materialità della condotta. Ciò significa che, a parte le varie forme di congiunzione carnale, certamente rientrerà nel fuoco punitivo della norma che incrimina la violenza sessuale ogni atto idoneo, secondo canoni scientifici e culturali, a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne l'eccitazione, a prescindere dalle intenzioni dell'agente . Come si osserva, secondo l'indirizzo interpretativo così riassunto non assume alcun rilievo la componente soggettiva” che anima l'azione dell'agente l'unico elemento dirimente è la consapevolezza della natura oggettivamente sessuale” dell'atto incriminato. la coscienza e volontà di ledere la libertà sessuale. Un altro filone ermeneutico valorizza, invece, l'individuazione – per discernere tra lecito e illecito – della coscienza e volontà di comprimere la libertà sessuale della vittima non consenziente. La direzione finalistica degli atti, anche per questa corrente di pensiero, è irrilevante ad assumere importanza è, quindi, l'effetto lesivo della libertà sessuale altrui. La contestualizzazione della condotta. Un terzo orientamento, che la Corte sposa nella decisione in commento, è, invece, il più garantista” l'oggetto del giudizio deve concentrarsi non tanto sulla materialità degli atti, quanto piuttosto sulla finalizzazione degli stessi al soddisfacimento del piacere sessuale. Ciò impone al giudice di valorizzare ogni aspetto del contesto fattuale in cui gli atti incriminati sono stati compiuti, tenendo conto – soprattutto – della dinamica intersoggettiva autore-vittima”. Applicando questo metodo ermeneutico ne discende che, se gli atti compiuti non hanno avuto l'effetto di comprimere la libertà sessuale della vittima, la relativa condotta non potrà ritenersi penalmente rilevante. Ciò a prescindere dal fatto che quest'ultima abbia coinvolto” zone del corpo normalmente considerate erogene. Chiaramente, l'orientamento in parola produce l'effetto – encomiabile – di scongiurare ciò che, in termini clinici, sarebbero i c.d. falsi positivi”, poiché unitamente alle caratteristiche del contatto corporeo modalità dell'azione, zona del corpo attinta, eccetera , viene tenuto conto della direzione finalistica dello stesso. Ecco perché, nel caso che ci occupa, il clown imputato di violenza sessuale avrà diritto ad un nuovo giudizio di merito l'intero contesto delle condotte dovrà essere adeguatamente considerato dalla corte d'appello cui è stato demandato il giudizio di rinvio.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 2 marzo – 13 novembre 2017, n. 51582 Presidente Rosi – Relatore Gentili Ritenuto in fatto La Corte di appello de L’Aquila, con sentenza del 11 maggio 2015, ha solo parzialmente confermato la precedente sentenza con la quale, in data 3 giugno 2013, il Tribunale della medesima città aveva condannato alla pena di anni 2 di reclusione, oltre accessori, T.L. per avere compiuto atti di violenza sessuale in danno di L.R. , all’epoca dei fatti soggetto di età inferiore ai 10 anni, disponendo a carico dell’imputato il risarcimento del danno ed il rimborso delle spese di lite in favore delle costituite parti civili. La Corte territoriale, in tal senso correggendo una evidente discrasia contenuta nella sentenza di primo grado - nella quale ad una motivazione ove era chiaramente limitata l’affermazione della penale responsabilità ad uno solo degli episodi di cui al capo di imputazione, corrispondeva, invece, un dispositivo nel quale la condanna era riferita alla integralità della contestazione mossa al prevenuto -, ha provveduto a chiarire che la affermazione della responsabilità del T. doveva essere limitata ad uno solo degli episodio di violenza, in particolare a quello che si sarebbe verificato in data 6 febbraio 2010, assolvendolo con la formula della insussistenza del fatto relativamente alle restanti condotte ma conservando, tuttavia, immutata la entità della sanzione irrogata. Avverso la sentenza del giudice del gravame ha proposto ricorso per cassazione il prevenuto, contestandone la legittimità con riferimento ad un ritenuto vizio di motivazione quanto alla riconducibilità della condotte poste in essere dal T. alla categoria concettuale degli atti di natura sessuale e non a condotte di gioco, come, peraltro, sostenuto, secondo il ricorrente, dagli stessi testi di accusa che avevano preso diretta visione dei fatti. Il ricorrente ha, altresì, contestato la motivazione della sentenza anche sotto il profilo della sua intima contraddittorietà, posto che, in sede di merito, le dichiarazioni della persona offesa sono state per un verso ritenute insufficienti per la affermazione della responsabilità dell’imputato riguardo alle condotte diverse rispetto a quella posta in essere in data 6 novembre 2010, e, per altro verso, sono state valorizzate ai fini della condanna del T. in relazione a quel solo restante fatto a lui addebitato, essendo stato precisato dalla Corte territoriale che la natura di atto sessuale attribuibile alle condotte del T. sarebbe stata desunta anche dalla percezione di esse come tali da parte della stessa parte offesa, secondo quanto dalla medesima riferito. Il ricorrente ha, infine, contestato la motivazione della sentenza impugnata, sostenendone la omessa considerazione della esistenza di elementi che avrebbero ben potuto giustificare la concessione delle circostanze attenuanti generiche. In data 6 febbraio 2017 il difensore del prevenuto ha depositato una memoria con la quale ha ulteriormente illustrato il primo motivo di impugnazione, insistendo per l’accoglimento del ricorso. Considerato in diritto Essendo fondato il ricorso, la sentenza impugnata deve essere, conseguentemente, annullata. Ritiene la Corte di dovere esaminare prioritariamente la censura avente ad oggetto la astratta configurabilità delle condotte attribuite al T. come tali da integrare, secondo la qualificazione normativa di cui agli artt. 609-bis e seg. cod. pen., la nozione di atto sessuale. Nella giurisprudenza di questa Corte ai fini della configurabilità di una determinata condotta materia in guisa di atto sessuale sono stati espressi almeno due principali orientamenti secondo il primo, numericamente prevalente e che ben può definirsi espressione di una concezione certamente più rigorosamente orientata verso la oggettività della condotta, la materialità del reato di cui all’art. 609-bis cod. pen. comprende, ovviamente oltre ad ogni forma di congiunzione carnale, qualsiasi atto idoneo, secondo canoni scientifici e culturali, a soddisfare il piacere sessuale o a suscitarne l’eccitazione, a prescindere dalle intenzioni dell’agente, fossero pure queste volte esclusivamente ad offendere ovvero umiliare la persona offesa o comunque a lederne altri beni-interessi diversi dalla libertà sessuale essendo sufficiente ai fini della materialità del fatto-reato che l’agente sia consapevole della natura oggettivamente sessuale dell’atto posto in essere con la propria condotta cosciente e volontaria Corte di cassazione, Sezione III penale, 21 maggio 2015, n. 21020 . Nello stesso ordine di idee, ma con una più intensa caratterizzazione casistica, questa Corte, pur valorizzando l’aspetto soggettivo come elemento tale da dare un particolare contenuto alla materialità della condotta, ha rilevato che il profilo del dolo generico del reato di cui all’art. 609-bis cod. pen., è consistente nella coscienza e volontà di compiere un atto invasivo e lesivo della libertà sessuale della persona offesa non consenziente, sicché, onde integrare il reato, non è necessario che detto atto sia diretto al soddisfacimento dei desideri fisici dell’agente né rilevano possibili fini ulteriori - di concupiscenza, di gioco, di mera violenza fisica o di umiliazione morale dal medesimo perseguiti così, in particolare, Corte di cassazione, Sezione III penale, 3 febbraio 2015, n. 4913 parimenti orientata nel senso della irrilevanza della finalità della condotta ai fini della integrazione del reato, ove la sua materialità si realizzi attraverso condotte il cui obbiettivo contenuto attinga - attraverso il coinvolgimento di quelle che, secondo una diffusa cultura ed un condiviso costume sociale, vengono considerate la parti del corpo tali da suscitare il compiacimento erotico - alla sfera della verecondia sessuale della vittima, cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale, 3 novembre 2011, n. 39710 idem Sezione III penale, 4 maggio 2000, n. 1405 . Secondo un diverso orientamento, volto, invece, ad valorizzare, rispetto alla materialità della condotta, la sia direzione escatologica, la condotta vietata dall’art. 609-bis cod. pen. è solo quella finalizzata a soddisfare la concupiscenza dell’aggressore, o a volontariamente invadere e compromettere la libertà sessuale della vittima, con la conseguenza che il giudice, al fine di valutare la sussistenza dell’elemento oggettivo del reato, non deve fare riferimento unicamente alle parti anatomiche aggredite ma deve tenere nel debito conto, con un approccio interpretativo di tipo sintetico, l’intero contesto in cui il contatto si è realizzato anche in relazione alla dinamica intersoggettiva in cui esso è inserito Corte di cassazione, Sezione III penale, 1 giugno 2015, n. 24683 . Dovendosi, pertanto, escludere, secondo il riportato orientamento, il reato ogniqualvolta la condotta dell’agente appaia tale da non comportare, come propria direzione, la violazione della libertà sessuale della vittima, anche laddove, per avventura, da essa sia interessata una porzione corporea del soggetto passivo che sia ordinariamente considerata erogena. Un tale ragionamento, che questo Collegio convintamente condivide, vale, a fortiori, ove si rifletta sulla circostanza che la idoneità a stimolare per contatto l’istinto sessuale, stante la complessità dei moventi che sottendono ad esso, non è certo esclusiva prerogativa solo di taluni specifici distretti corporei, quali sono quelli elettivamente deputati alla funzione riproduttiva. Come è, infatti, stato puntualmente osservato, tutte le parti del corpo potrebbero in ipotesi essere considerate zone erogene a seconda delle modalità, dell’intenzione e della finalità con cui avviene l’invasione di esse. Estremizzando i concetti, dovrebbe ritenersi che anche i semplici toccamenti di una mano, o di un piede, o di un braccio, o del collo e così via potrebbero dar luogo ad un atto sessuale ai sensi dell’art. 609-bis cod. pen. e così difatti sono stati ritenuti, in particolari occasioni, dalla giurisprudenza a tale proposito cfr. Corte di cassazione, Sezione III penale, 12 dicembre 2011, n. 45950, nella quale, sia pure con la riserva della particolare tutela che deve essere riservata al bene libertà sessuale ove esso sia riconducibile ad un titolare minore di età, si è ritenuto fatto idoneo ad integrare il reato di violenza sessuale il contatto, sia pure corredato da altri elementi di condotta, con il ginocchio della vittima sovviene - onde dimostrare la possibile varietà della casistica, che, come si è testé dimostrato, non è frutto solo della finzione artistica - un considerevole esempio tratto dalla letteratura cinematografica in cui la passione erotica, non trasmodante nella parafilia, del protagonista della pellicola era alimentata proprio dall’immagine del ginocchio di una donna , tuttavia è di intuitiva percezione che non per questo qualsiasi tipo di contatto con quelle zone, come un pugno, un calcio, uno schiaffo e così via potrebbe essere considerato di per sé atto sessuale, senza che ne siano prese in esame e valutate appunto le modalità e le finalità nel senso della rilevanza del fine della concupiscenza quale elemento del reato si veda anche Corte di cassazione, Sezione III penale, 25 settembre 2003, n. 36758 . A seguire acriticamente la tesi della mera oggettività della condotta, si creerebbero di zone corporee di cui peraltro neppure sarebbe chiara la delimitazione attesa la già ricordata elevata soggettività concernente il tema in argomento aggredendo le quali, a prescindere dalle finalità del soggetto agente e del contesto nel quale avviene il fatto, dovrebbe ritenersi integrato per ciò stesso il reato di violenza sessuale. In tal senso si immagini, oltre ai perspicui esempi ricordati nella sentenza n. 24683 del 2015 di questa Corte, il caso in cui il borseggiatore, onde derubare una persona del portafogli, insinui la propria mano all’interno della giacca di questa, attingendola al seno, ovvero, mosso dal medesimo fine, introduca la mano nella tasca posteriore dei pantaloni del soggetto da derubare, in tal modo entrando in contatto, ancorché non immediato con i suoi glutei. In ambedue i casi, come è evidente, il finalismo della condotta è tale da far escludere, ad onta della materialità di essa, che la stessa fosse diretta a violare la, pur attinta, zona erogena della persona offesa, di tal che sarebbe illogico, oltre che palesemente inaccettabile, qualificare la condotta dell’agente nei termini di cui all’art. 609-bis cod. pen Tanto premesso, osserva il Collegio che, quanto al caso di specie, la Corte territoriale ha desunto la connotazione di atto sessuale da attribuire alle condotte del prevenuto sulla sola base della loro apparenza morfologica, come descritta dai due testi di accusa Z. e F. , senza prendere in considerazione o, quanto meno, senza fornire adeguati elementi in relazione alla concreta possibilità che il comportamento del T. , il quale svolgeva le mansioni di clown animatore volontario presso la Caserma omissis , ove erano ospitati, fra gli altri, alcuni bambini ed adolescenti sfollati a seguito del sisma del omissis , fosse ascrivibile, invece che alla realizzazione di atti a contenuto sessuale, al compimento di giochi, pur fortemente coinvolgenti il profilo del contatto corporeo, volti a far divagare gli ospiti della struttura ricettiva. Ciò tanto più ove si rilevi che, per come evidenziato da parte del ricorrente, la attività che il T. svolgeva all’interno della Caserma omissis - in merito alla quale, diversamente da quanto sostenuto in sentenza, peraltro in assenza della indicazione delle fonti di derivazione di tale riportata informazione, non risulterebbero essere emerse da parte di chi come lui si occupava dei giovani ospiti ovvero dei genitori di costoro, segnalazione di comportamenti quanto meno sospetti - era effettivamente caratterizzata dallo svolgimento di giochi di contatto che avevano una loro indubbia fisicità. A tale rilievo, che avrebbe dovuto indurre i giudici del merito ad una più attenta indagine, che non si fermasse alla mera constatazione del fatto che fra il T. e la persona offesa del reato ipotizzato fosse stato rilevato un contatto corpore corpori, va aggiunto non solo il dato che, contraddittoriamente rispetto ad una generale svalutazione della attendibilità delle, peraltro ondivaghe dichiarazioni accusatorie della persona offesa delle quali viene messa in luce, in ragione dei richiamati vissuti intrapsichici emersi in sede di perizia sulla capacità a svolgere le funzioni di testimone, la incertezza sulla genuinità e spontaneità , la Corte ha, inspiegabilmente, corroborato il suo giudizio di colpevolezza dell’imputato in forza della ritenuta percezione della natura sessuale degli atti subiti secondo l’ipotesi accusatoria da parte del minore - del quale è, come rilevato, stata, peraltro, ritenuta dagli stessi giudici del merito quanto meno incerta la attendibilità - ma anche il fatto che uno degli stessi due testi di accusa ha espressamente qualificato come gioco la condotta tenuta dall’imputato. Manifestamente illogica è, al riguardo, la interpretazione data dalla Corte di appello a siffatta espressione, che, in termini apparentemente avulsi dal contesto in cui la stessa è stata pronunziata, ha avuto attribuito nella sentenza impugnata il significato, pregiudizialmente deteriore, di gioco erotico . Così come non giustificata è la esclusione della valenza meramente ludica del comportamento del T. , ritenuta dalla Corte di merito frutto di un’ipotesi inaccettabile in quanto essa avrebbe richiesto, per come si legge nella sentenza, in termini francamente non facilmente comprensibili data la loro vaghezza, ben altri contesti e comportamenti . Alla luce dei rilievi sopra esposti si impone, conclusivamente, l’annullamento della sentenza impugnata, risultando assorbiti i restanti motivi di impugnazione, con rinvio alla Corte di appello di Perugia la quale dovrà, sulla base degli atti e salva ogni ritenuta opportuna ulteriore acquisizione istruttoria, verificare se, nel comportamento del prevenuto, anche sulla base di un giudizio sinteticamente fondato sulla complessiva ricostruzione della obbiettività del contesto in cui essi sono storicamente inseriti, siano o meno riscontrabili gli elementi sintomatici della direzione finalistica della sua condotta come diretta alla soddisfazione o quanto meno alla eccitazione dell’istinto sessuale, ovvero se gli stessi, pur avendo comportato un contatto fisico con la persona offesa, siano stati determinati esclusivamente da una finalità ludica del tutto scevra da ogni componente di carattere sessuale. Alla Corte di rinvio, in ragione dell’esito del giudizio ad essa spettante, competerà anche il regolamento delle spese della presenta fase processuale in relazione alla posizione delle costituite parti civili. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio alla Corte di appello di Perugia.