Privacy, segreto professionale nel sequestro di dati

La Cassazione penale annulla l’ordinanza di un Tribunale che aveva respinto la tutela cautelare relativa ad un sequestro dei dati informatici e richiama l’attenzione degli operatori sul segreto professionale nell’ambito delle inchieste penali.

Così la sentenza n. 51446/17, depositata il 10 novembre. La vicenda. La Guardia di Finanza aveva proceduto, su indicazione del PM, a perquisire nel 2011 lo studio di un commercialista e al relativo sequestro di documenti del professionista sia in formato cartaceo sia in formato elettronico. Il commercialista al momento della perquisizione aveva opposto il segreto professionale e aveva richiesto di inserire a verbale la relativa dichiarazione. I legali del professionista avevano presentato richiesta di riesame del decreto di perquisizione e di sequestro e del successivo decreto di convalida del magistrato. Il Tribunale ha respinto, in sede di giudizio di riesame in materia di misure cautelari, la sopra citata richiesta di riesame in quanto inammissibile per carenza di interesse a seguito del dissequestro disposto dal PM dei materiali. Secondo il Tribunale, nel caso in esame non sussisteva l’ipotesi di sequestro in quanto l’autorità inquirente si era limitata ad estrarre copia della documentazione e dei supporti informatici e aveva proceduto alla restituzione dei documenti originali. I legali sono ricorsi in Cassazione e hanno richiesto l’annullamento dell’ordinanza impugnata adottata dal Tribunale in sede di riesame. In particolare è stato dedotto ai sensi dell’art. 606, primo comma, lett.c ed e c.p.p. il vizio di legge ed il difetto di motivazione rispetto al sequestro di informazioni con riferimento alla disciplina dell’esecuzione di copie dei documenti sequestrati e all’esercizio del segreto professionale dei dottori commercialisti. Secondo i legali la decisione del Tribunale non era legittima in considerazione della presenza di un interesse attuale e concreto ad impugnare un sequestro di informazione autonomamente apprezzabile. I legali hanno sottolineato come, nel caso in esame, il trattenimento di una copia dei documenti in formato informatico implicasse un sequestro di un’informazione e rappresenta uno spossessamento del diritto. I legali hanno rappresentato, infatti, come la restituzione degli originali non comportasse il venire meno del sequestro alla luce di una persistenza compromissione del diritto del reclamante alla restituzione delle copie informatiche e ad esercitare il segreto professionale su documenti non oggetto dell’autorizzazione al sequestro. La Cassazione ha ritenuto fondato il ricorso e ha annullato l’ordinanza in esame con rinvio al Tribunale per un nuovo giudizio. Secondo la Corte la valutazione compiuta dal Tribunale in merito all’inammissibilità della richiesta di riesame per carenza di interesse risulta, infatti, errata. Il sostituto procuratore generale si era invece espresso per l’inammissabilità del ricorso. Criminalità informatica. La Cassazione richiama sul punto il precedente orientamento giurisprudenziale Sez. 6, n. 24617 del 24/02/ 2015 - dep. 10/06/ 2015,Rizzo, Rv. 26409301 secondo cui costituisce sequestro probatorio l’acquisizione, mediante estrazione di copia informatica o riproduzione su supporto cartaceo, dei dati contenuti in un archivio visionato nel corso di una perquisizione legittimamente eseguita ai sensi dell'art. 247 c.p. quando il trattenimento della copia determina la sottrazione all' interessato dell’esclusiva disponibilità dell’informazione e incide sul diritto alla riservatezza o al segreto. Nel caso in esame occorre effettuare, pertanto, una verifica/indagine se il titolare degli originali dei documenti e dei dati informatici di cui è stata acquisita copia abbia un interesse, concreto, attuale, specifico ed oggettivamente valutabile, a preservare l’esclusiva disponibilità del patrimonio informativo. La verifica del sopra citato interesse, secondo la Cassazione, impone di riconoscere al commercialista la possibilità di impugnare l’ordinanza al fine di dimostrare in sede di riesame l’esistenza dei presupposti legittimanti relativi alla sussistenza di un suo diritto alla disponibilità esclusiva del patrimonio informativo estratto in copia. La Cassazione ha il pregio di richiamare l’attenzione degli operatori sulla normativa sulla criminalità informatica art. 8 l. 48/2008 , disciplina che prevede nel caso in cui sorga la necessità di acquisire atti, documenti, dati, informazioni e programmi informatici l’autorità giudiziaria ha l’onere di rivolgere una richiesta di consegna attraverso un decreto di esibizione, in virtù del quale sussiste un obbligo di rimessa immediata della cosa domandata, a meno che il soggetto destinatario della richiesta non dichiari per iscritto che il bene di cui si pretende l’esibizione è oggetto di segreto professionale. La formale opposizione del segreto professionale, ove fosse stata sollevata in ragione della correlazione della disponibilità dei beni sequestrati o estratti in copia con un mandato professionale in precedenza conferito, sarebbe stata idonea a impedire all' autorità giudiziaria di procedere al sequestro del bene richiesto in consegna, salvi gli accertamenti previsti dall’art. 256, comma 2, c.p.p La Cassazione osserva, inoltre, come la nuova versione novellata del sopra citato art. 256 abbia superato i limiti precedenti sull’opposizione del segreto professionale attraverso la previsione di una tutela di carattere simmetrico rispetto a quella contemplata per la testimonianza. La sentenza in esame è di interesse in quanto richiama gli operatori sull’importanza dei valori dei dati e delle informazioni e sulla delicatezza della tematica della protezione dei dati personali nelle nostre organizzazioni, chiarisce quando i commercialisti e anche gli esperti contabili possono opporre il segreto professionale al sequestro di dati informatici e sottolinea come anche l’operazione di estrazione copia di dati informatici possa costituire un sequestro verso il quale sussiste interesse all’impugnazione anche nel caso di restituzione degli stessi supporti informatici.

Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 18 ottobre – 10 novembre 2017, n. 51446 Presidente Fumu – Relatore Pazzi Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza in data 22 dicembre 2016, a seguito di giudizio di riesame in materia di misure cautelari reali, il Tribunale di Messina ha dichiarato inammissibile per carenza di interesse, a seguito del deposito del provvedimento di restituzione di quanto sequestrato, la richiesta di riesame presentata da P.B. avverso il decreto di perquisizione e sequestro emesso nei suoi confronti dal P.M. in data 9 novembre 2011 nonché rispetto al decreto di convalida di sequestro reso dal medesimo magistrato inquirente il successivo 5 dicembre 2016. 2. Hanno proposto per cassazione avverso la predetta ordinanza i difensori dell’indagato, deducendo con un unico motivo di ricorso, ai sensi dell’art. 606, comma 1, lett. c ed e , c.p.p., il vizio di legge e il difetto di motivazione rispetto al disposto sequestro di informazioni con riferimento alla disciplina dell’esecuzione di copie dei documenti sequestrati e all’esercizio del segreto professionale dei dottori commercialisti. La difesa ha rappresentato che il Tribunale di Messina aveva ravvisato l’inammissibilità sopravvenuta dell’istanza di riesame per carenza di interesse a impugnare, a seguito del dissequestro disposto dal P.M., e comunque aveva fatto presente che era addirittura mancato a monte il sequestro stesso, giacché l’autorità inquirente si era limitata a estrarre copia della documentazione e dei supporti informatici procedendo poi alla restituzione dei documenti originali. Un simile provvedimento, in tesi difensiva, doveva considerarsi illegittimo in presenza di un interesse attuale e concreto a impugnare un sequestro di informazione autonomamente apprezzabile. Non poteva negarsi infatti l’esistenza di un oggetto sequestrato, posto che nel nostro ordinamento penale il concetto di cosa copre anche il dato informatico, che dunque è di per sé passibile di sequestro la peculiarità del bene sequestrato impediva peraltro di ravvisare un’effettiva restituzione quando la parte fosse stata privata del valore in sé del dato costituito dalla sua informazione portante, di modo che anche il trattenimento di una copia implicava un sequestro di informazione e rappresentava uno spossessamento del diritto. Infine la restituzione degli atti originali non comportava il venir meno del sequestro in presenza di una persistente compromissione del diritto del reclamante il quale al momento della perquisizione aveva opposto il segreto professionale mettendo a verbale la relativa dichiarazione alla restituzione delle copie informatiche e ad esercitare il segreto professionale su documenti non oggetto dell’autorizzazione al sequestro. In forza di tali motivi il ricorrente ha perciò domandato l’annullamento dell’ordinanza impugnata. Considerato in diritto 1. La più recente giurisprudenza di questa Corte Sez. U, n. 40963 del 20/07/2017 - dep. 07/09/2017, Andreucci, Rv. 27049701 , dopo aver ricordato che secondo il rapporto esplicativo adottato dal Comitato dei ministri del Consiglio d’Europa il termine sequestrare in base alla convenzione significa prendere il mezzo fisico sul quale i dati o le informazioni sono registrati oppure fare e trattenere una copia di tali dati o informazioni , ha precisato che l’art. 258 c.p.p., che riguarda espressamente i documenti, non può trovare applicazione rispetto a un apparato informativo o a una copia immagine, intesa quale clone identico all’originale di un documento informatico, mentre tale disposizione può essere considerata quando il dato informatico sia riconducibile entro la nozione di atto o documento, nel qual caso valgono le conclusioni cui è pervenuta la sentenza Tchmil secondo cui una volta restituita la cosa sequestrata, la richiesta di riesame del sequestro, o l’eventuale ricorso per cassazione contro la decisione del tribunale del riesame è inammissibile per sopravvenuta carenza di interesse, che non è configurabile neanche qualora l’autorità giudiziaria disponga, all’atto della restituzione, l’estrazione di copia degli atti o documenti sequestrati, dal momento che il relativo provvedimento è autonomo rispetto al decreto di sequestro, né è soggetto ad alcuna forma di gravame, stante il principio di tassatività delle impugnazioni Sez. U, n. 18253 del 24/04/2008 - dep. 07/05/2008, Tchmil, Rv. 23939701 . Le Sezioni Unite tuttavia hanno sottolineato come quest’ultima decisione non si sia preoccupata di considerare l’ipotesi in cui il documento, sia esso informatico o di altro tipo, trasferisca il proprio valore anche sulla copia , venendo così in gioco l’interesse alla disponibilità esclusiva del patrimonio informativo , poiché esso non verrebbe meno con la mera restituzione fisica di quanto oggetto di sequestro. In questi casi, nonostante la restituzione del supporto sul quale il dato è contenuto, permane comunque un interesse all’impugnazione del provvedimento ablativo per la verifica della sussistenza dei presupposti applicativi deve tuttavia trattarsi di un interesse concreto ed attuale, specifico ed oggettivamente valutabile sulla base di elementi univocamente indicativi della lesione di interessi primari conseguenti alla indisponibilità delle informazioni contenute nel documento, la cui sussistenza andrà dimostrata, non potendosi ritenere sufficienti allo scopo generiche allegazioni . 2. Nel solco di questa prospettiva interpretativa il ricorso si rivela fondato nei termini che si vanno ad illustrare. L’ordinanza impugnata ha ritenuto che per i documenti cartacei o informatici copiati al momento della perquisizione sia mancato a monte un qualsiasi sequestro. L’assunto non è condivisibile, dato che la decisione sopra citata ha nella sostanza condiviso il precedente orientamento di questa Corte Sez. 6, n. 24617 del 24/02/2015 - dep. 10/06/2015, Rizzo, Rv. 26409301 secondo cui costituisce sequestro probatorio l’acquisizione, mediante estrazione di copia informatica o riproduzione su supporto cartaceo, dei dati contenuti in un archivio visionato nel corso di una perquisizione legittimamente eseguita ai sensi dell’art. 247 c.p.p., quando il trattenimento della copia determina la sottrazione all’interessato dell’esclusiva disponibilità dell’informazione e incide sul diritto alla riservatezza o al segreto. 3. Ciò posto occorre poi verificare se la persistente disponibilità in capo al titolare degli originali dei documenti e dei dati informatici di cui è stata acquisita copia comporti una perdita autonomamente valutabile sotto il profilo della lesione dell’interesse primario all’esclusiva utilizzabilità delle informazioni negli stessi contenute, tale da fare ritenere l’operazione di copia effettuata un vero e proprio sequestro di informazione autonomamente apprezzabile e idonea di conseguenza a legittimare la presentazione di un’impugnazione avverso il relativo provvedimento. Questa indagine, come detto, ha ad oggetto l’esistenza di interesse, concreto, attuale, specifico ed oggettivamente valutabile, a preservare l’esclusiva disponibilità del patrimonio informativo. La verifica di questo interesse impone di riconoscere all’istante la possibilità di impugnare al fine di dimostrare in sede di riesame l’esistenza dei presupposti legittimanti la sussistenza di un suo diritto alla disponibilità esclusiva del patrimonio informativo estratto in copia. 4. Giova aggiungere, da ultimo, che l’attuale disposto dell’art. 256 c.p.p. - nel testo introdotto dall’art. 8 L. 48/2008 ed applicabile anche agli esperti contabili ai sensi del combinato disposto degli artt. 200 c.p.p. e 5 d.lgs. 28.6.2005 n. 139 - ha superato i limiti in precedenza esistenti in tema di opposizione del segreto professionale prevedendo una tutela di carattere simmetrico rispetto a quella contemplata per la testimonianza questa nuova disciplina stabilisce che nel caso in cui sorga la necessità di acquisire atti, documenti, dati, informazioni e programmi informatici l’autorità giudiziaria ha l’onere di rivolgere una richiesta di consegna attraverso un decreto di esibizione, in virtù del quale sussiste un obbligo di rimessa immediata della cosa domandata, a meno che il soggetto destinatario della richiesta non dichiari per iscritto che il bene di cui si pretende l’esibizione è oggetto di segreto professionale. La formale opposizione del segreto professionale, ove fosse stata sollevata in ragione della correlazione della disponibilità dei beni sequestrati o estratti in copia con un mandato professionale in precedenza conferito, sarebbe stata idonea a impedire all’autorità giudiziaria di procedere al sequestro del bene richiesto in consegna, salvi gli accertamenti previsti dall’art. 256, comma 2, c.p.p 5. Risulta pertanto errata la valutazione compiuta all’interno del provvedimento impugnato in merito all’inammissibilità della richiesta di riesame per carenza di interesse, con la conseguente necessità di disporre l’annullamento dello stesso con rinvio al Tribunale di Messina per un nuovo esame. P.Q.M. Annulla l’ordinanza impugnata con rinvio al Tribunale di Messina, sezione del riesame, per nuovo giudizio.